La quarta domenica di Pasqua ritorna ogni anno come giornata del Buon Pastore e della Vocazione, in particolare quella sacerdotale e religiosa. Le letture che la liturgia ci offre sono pervase dal simbolismo carico di risonanze del pastore che a noi spesso sfuggono perchè il pastore nell’antico Oriente non era solo la guida del gregge, ma il compagno di vita in modo totale, pronto a condividere con le sue pecore la sete, le marce, il sole infuocato, il freddo notturno.
Nella prima lettura tratta dagli Atti degli Apostoli, Luca ci presenta ancora Pietro, che dopo aver guarito lo storpio, risponde ai suoi accusatori per affermare che questo miracolo è stato compiuto nel nome di Gesù Cristo. Solo nel Cristo risorto c’è speranza per l’umanità.
Nella seconda lettura, nella sua prima lettera, Giovanni, dopo aver considerato che ogni ristiano nella sua realtà concreta di individuo è in comunione con il Padre e il Figlio, qui afferma che è realmente figlio di Dio e oggetto dell’amore del Padre. Questa realtà, che non può essere capita da coloro che non conoscono Dio, apre alla speranza della rivelazione totale di ciò che siamo.
Nel Vangelo di Giovanni, Gesù viene presentato come il Buon Pastore che a differenza del mercenario, il quale, svolgendo il suo compito solo per ottenere un salario, di fronte al pericolo fugge e abbandona le pecore, Gesù è invece il vero pastore, conosce le pecore per nome una per una e per loro è disposto a dare la vita. Tra i credenti e Gesù-buon Pastore intercorre una comunione reale e intensa che non è infranta dagli sbandamenti del gregge, che non è cancellata dalla solitudine e dall’isolamento creato dalle pecore ribelli. Anzi Gesù vuole aprire un altro orizzonte che si estende fino a pecore lontane, che non appartengono al primo ovile di Dio, quello di Israele.
Dagli Atti degli Apostoli
In quei giorni, Pietro, colmato di Spirito Santo, disse loro: «Capi del popolo e anziani, visto che oggi veniamo interrogati sul beneficio recato a un uomo infermo, e cioè per mezzo di chi egli sia stato salvato, sia noto a tutti voi e a tutto il popolo d’Israele: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi risanato. Questo Gesù è la pietra, che è stata scartata da voi, costruttori, e che è diventata la pietra d’angolo. In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati».
At 4,8-12
Dopo la Pentecoste e la guarigione dello storpio, Pietro che aveva parlato al popolo nel portico di Salomone, viene arrestato insieme a Giovanni. Dopo una notte in carcere, entrambi vengono condotti al Sinedrio, il supremo Consiglio giudaico. Di fronte a questo tribunale vengono interrogati dai sommi sacerdoti, i quali vogliono sapere con quale potere e in nome di chi hanno fatto quel miracolo. Allora Pietro pieno di Spirito santo, inizia il suo discorso rifacendosi alla situazione concreta che ha determinato il suo arresto e quello di Giovanni. Pietro riconosce prima i presenti come “capi del popolo e anziani”, intendendo così rivolgersi attraverso loro a tutto il popolo che essi rappresentano. Egli ricorda poi il motivo per cui lui e Giovanni si trovano di fronte a loro: essi vengono “interrogati sul beneficio recato a un uomo infermo, e cioè per mezzo di chi egli sia stato salvato”.È importante che egli indichi la guarigione avvenuta con il verbo “salvare”, lasciando così intuire come l’azione risanatrice da lui esercitata vada oltre la guarigione fisica e riguardi tutta la persona. Subito dopo Pietro afferma che la guarigione dell’infermo è avvenuta nel nome di Gesù Cristo il Nazareno che essi hanno crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti. Egli qui dà a Gesù il titolo di Cristo e lo qualifica come il Nazareno. In tal modo egli mette in luce il suo collegamento con le promesse fatte al suo popolo in forza di un progetto divino.
Dopo questa proclamazione sommaria Pietro afferma che Gesù “è la pietra, che è stata scartata da voi, costruttori, e che è diventata la pietra d’angolo”. C’è una chiaro riferimento al salmo 118,22 nel quale, mediante il simbolismo della pietra scartata e poi diventata il fondamento di tutto l’edificio, si vuole indicare un evidente fallimento, a cui fa seguito un imprevedibile successo. In esso Pietro vede dunque, come è riportato anche in altri passi del N.T. (Mt 21,42; Ef 2,20;1Pt 2,6-7), una prefigurazione della morte e della risurrezione di Gesù. Con questo riferimento egli mostra che questi due eventi non si sono attuati come conseguenza di una fatalità imprevista, ma corrispondono al piano di Dio preannunziato nelle Scritture. Pietro conclude con una dichiarazione di fede: “In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati”. La guarigione dello storpio è dunque solo il segno di una salvezza che Gesù ha attuato con la Sua morte e risurrezione e che Lui soltanto può donare a tutta l’umanità. Con questa affermazione Pietro pone Gesù al centro del piano salvifico di Dio, che riguarda l’umanità di tutti i tempi e di tutti i luoghi.
Gesù è dunque l’esempio più chiaro e significativo di una logica divina che opera non attraverso i potenti di questo mondo, ma attraverso gli ultimi, gli emarginati, i disprezzati. Gesù ha vissuto la Sua passione rappresentando tutti i sofferenti di ogni tempo e di ogni luogo, e con la Sua risurrezione ha manifestato l’opera meravigliosa di Dio che li riabilita e dà loro la vita.
Salmo 117 (118) La pietra scartata dai costruttori è divenuta pietra d’angolo.
Rendete grazie al Signore perché è buono,
perché il suo amore è per sempre.
È meglio rifugiarsi nel Signore
che confidare nell’uomo.
È meglio rifugiarsi nel Signore
che confidare nei potenti.
Ti rendo grazie, perché mi hai risposto,
perché sei stato la mia salvezza.
La pietra scartata dai costruttori
è divenuta la pietra d’angolo.
Questo è stato fatto dal Signore:
una meraviglia ai nostri occhi.
Benedetto colui che viene nel nome del Signore.
Vi benediciamo dalla casa del Signore.
Sei tu il mio Dio e ti rendo grazie,
sei il mio Dio e ti esalto.
Rendete grazie al Signore, perché è buono,
perché il suo amore è per sempre.
Il salmo è stato composto per essere recitato con cori alterni e da un solista. Esso celebra una vittoria contro nemici numerosi.
Probabilmente è stato scritto al tempo di Giuda Maccabeo dopo la vittoria su Nicanore e la purificazione del tempio di Gerusalemme (1Mac7,33; 2Mac 10,1s) (165 a.C). Si è condotti a questa collocazione storica, a preferenza di quella del tempo della ricostruzione delle mura di Gerusalemme con Neemia (445 a.C), dal fatto che si parla di “grida di giubilo e di vittoria”, che sono proprie di una vittoria militare. Inoltre le “tende dei giusti” non possono essere né le case, né le capanne di frasche per la festa delle Capanne, ma le tende di un accampamento militare.
Il salmo inizia con l'invito a celebrare l'eterna misericordia di Dio. A questo viene invitato tutto il popolo: “Dica Israele il suo amore è per sempre"; i leviti e i sacerdoti: “Dica la casa di Aronne”; i “timorati di Dio”: “Dicano quelli che temono il Signore” (Cf. Ps 113 B).
Il solista - storicamente Giuda Maccabeo – presenta come Dio lo ha aiutato dandogli la forza, nella confidenza in lui, di sfidare i suoi nemici.
Egli non ha confidato, né intende confidare, in alleanze con potenti della terra, che lo avrebbero trascinato agli idoli, ma ha confidato nel Signore. Era circondato dal fronte compatto delle genti vicine asservite al dominio dei Seleucidi, ma “Nel nome del Signore le ho distrutte". L'urto contro di lui era stato forte, ma aveva vinto nel nome del Signore: “Mi avevano spinto con forza per farmi cadere, ma il Signore è stato il mio aiuto”. “Cadere” significa cedere all'idolatria.
Egli sa che deve continuare la lotta, ma è fiducioso nel Signore: “Non morirò, ma resterò in vita e annuncerò le opere del Signore”. “Le opere del Signore” sono la liberazione dall'Egitto, l'alleanza del Sinai e la conquista della Terra Promessa.
Il solista, che è alla testa di un corteo chiede che gli vengano aperte le porte del tempio purificato dopo le profanazioni di Nicanore per “ringraziare il Signore”: “Apritemi le porte della giustizia...”.
“La pietra scartata dai costruttori”, è Giuda Maccabeo e i suoi, scartati da tanti di Israele che si erano fatti conquistare dai costumi ellenistici (1Mac 1,11s). Tale pietra per la forza di Dio era diventata “pietra d'angolo”, per Israele.
“Questo è il giorno che fatto il Signore”; il giorno della vittoria, del ripristino del culto nel tempio, è dovuto al Signore. Per noi cristiani quel giorno è il giorno della risurrezione; della vittoria di Cristo contro il male.
Il corteo viene invitato a disporsi con ordine fino all'altare: “Formate il corteo con rami frondosi fino agli angoli dell'altare”.
Il salmo si conclude ripetendo l'invito a celebrare la misericordia del Signore.
Il salmo è messianico nel senso che esso profeticamente riguarda il Cristo: (Mt 21,42; Mc 12,10; Lc 20,17; At 4,11; Rm 9,23; 1Pt 2,7).
Commento di P.Paolo Berti
Dalla prima lettera di S.Giovanni apostolo
Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui.
Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è.
1Gv 3,1-2
Giovanni in questa lettera, che ha come destinatari tutti i pagani della comunità dell’Asia Minore, che si sono convertiti al Cristianesimo, si prefigge lo scopo di richiamare le comunità cristiane all'amore fraterno e di metterle in guardia verso i falsi maestri (gnostici ed eretici), che negavano l’incarnazione di Gesù Cristo (v. 2,18-19); alla comunione con Dio e con Suo Figlio, che si realizza con la verità (v.1,6), l'obbedienza (v.2,3) , la purezza (v.3,3) la fede (v.3,23; 4,3;5,5) e l'amore che è il cuore della dottrina del suo messaggio.
In questo brano egli considera il cristiano nella sua realtà concreta di creatura, che è in comunione con il Padre e il Figlio e ne spiega il motivo nel fatto che egli è, ora, realmente figlio di Dio, (v.Gv1.12: A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome) e di conseguenza oggetto dell’amore del Padre.
Questa nostra realtà, che non può essere capita da coloro che non conoscono Dio, apre alla speranza della rivelazione totale di ciò che siamo, come dice anche S. Paolo: Quando si manifesterà Cristo …, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria. Col3,4
Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario - che non è pastore e al quale le pecore non appartengono - vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».
Gv 10,11-18
Questo brano tratto dal Vangelo di Giovanni, che è l’unico evangelista che ci racconta la parabola del Buon Pastore, ci riporta il discorso di Gesù iniziato nei versetti precedenti (meditati nella IV domenica di Pasqua – anno A) in cui parlava della triste situazione del gregge per colpa dei pastori (c’è un chiaro riferimento a quanto dice il profeta Ezechiele 30,1-10 e Geremia 23,1-3) e poi dell’annuncio che Dio fa di reggere come pastore il suo popolo mediante un nuovo pastore. Gesù dichiara: “Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore”. Al buon pastore si contrappone il mercenario, il quale, svolgendo il suo compito solo per ottenere un salario, di fronte al pericolo fugge e abbandona le pecore.
Il suo comportamento dà maggior risalto, per contrasto, a quello opposto del buon pastore.
Gesù si attribuisce di nuovo la qualifica di “buon pastore” e la spiega partendo dal rapporto che egli instaura con le sue pecore affermando “conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore.” Tra il pastore e le pecore si instaura quindi un intimo rapporto di conoscenza reciproca, come comunione profonda di vita. Il verbo “conoscere”, usato quattro volte nel presente brano, indica l’amore di Gesù per i suoi discepoli, che ha come fondamento e modello l’amore reciproco tra Lui e il Padre. In altre parole Gesù non intende semplicemente spiegare il rapporto che lo lega a coloro che credono in Lui, ma presentando il Suo rapporto con il Padre, ne indica anche l’origine. Infine Gesù ribadisce: “io do la mia vita per le pecore”.
La morte di Gesù rappresenterà l’espressione massima del Suo amore e la manifestazione suprema della bontà sconfinata del Padre verso l’umanità intera.
Gesù prosegue affermando che egli ha altre pecore che non sono di questo recinto: “anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore “.
Questa ultima parte introduce il tema della salvezza universale: le altre pecore sono i pagani che entreranno a far parte della comunità messianica. Anch’essi ascolteranno la “voce” di Gesù, cioè crederanno in Lui. Gesù continua affermando riguardo ai rapporti con il Padre: il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo, e subito aggiunge che nessuno gliela toglie, perché ha il potere di offrirla e di riprenderla. Con queste parole sottolinea la libertà con cui ha accettato la morte: non è il Padre che, come nei Vangeli sinottici, “consegna” il Figlio, ma è Gesù stesso che “dona” la Sua vita con decisione libera e autonoma. Ma come ha il “potere” di donare la propria vita, così ha pure il potere di riprenderla.
La morte di Gesù è strettamente legata alla Sua risurrezione, tanto da formare un unico atto salvifico.
Il deporre per poi riprendere la propria vita rappresenta per Gesù l’obbedienza a un comando che ha ricevuto dal Padre, ma qui è evidente che la volontà del Padre coincide esattamente con la decisione presa da Gesù.
Giovanni qui ci presenta Gesù come Colui che attua la promessa riguardante la venuta escatologica di DIO come unico Pastore del suo popolo: Gesù infatti è Colui che lo rappresenta in questa Sua funzione in forza della Sua morte e risurrezione. Nella Sua disponibilità a dare la Sua vita per coloro che credono in Lui si manifesta non solo il Suo amore per l’umanità, ma anche l’amore del Padre per il Figlio e da Lui si estende a tutti coloro che lo accolgono.
I veri credenti in Gesù Cristo partecipano della stessa libertà di cui è dotato il loro pastore. Essi non lo seguono perchè obbligati, ma perché sono entrati nella Sua mentalità, nel Suo modo di vivere, e non potrebbero concepire la propria vita senza di Lui.
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“La Quarta Domenica di Pasqua – questa -, detta “Domenica del Buon Pastore”, ogni anno ci invita a riscoprire, con stupore sempre nuovo, questa definizione che Gesù ha dato di sé stesso, rileggendola alla luce della sua passione, morte e risurrezione. «Il buon pastore offre la vita per le pecore» : queste parole si sono realizzate pienamente quando Cristo, obbedendo liberamente alla volontà del Padre, si è immolato sulla Croce. Allora diventa completamente chiaro che cosa significa che Egli è “il buon pastore”: dà la vita, ha offerto la sua vita in sacrificio per tutti noi: per te, per te, per te, per me, per tutti! E per questo è il buon pastore!
Cristo è il pastore vero, che realizza il modello più alto di amore per il gregge: Egli dispone liberamente della propria vita, nessuno gliela toglie, ma la dona a favore delle pecore
In aperta opposizione ai falsi pastori, Gesù si presenta come il vero e unico pastore del popolo: il cattivo pastore pensa a sé stesso e sfrutta le pecore; il pastore buono pensa alle pecore e dona sé stesso. A differenza del mercenario, Cristo pastore è una guida premurosa che partecipa alla vita del suo gregge, non ricerca altro interesse, non ha altra ambizione che quella di guidare, nutrire e proteggere le sue pecore. E tutto questo al prezzo più alto, quello del sacrificio della propria vita.
Nella figura di Gesù, pastore buono, noi contempliamo la Provvidenza di Dio, la sua sollecitudine paterna per ciascuno di noi. Non ci lascia da soli!
La conseguenza di questa contemplazione di Gesù Pastore vero e buono, è l’esclamazione di commosso stupore che troviamo nella seconda Lettura dell’odierna liturgia: «Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre…» (1 Gv 3,1). È davvero un amore sorprendente e misterioso, perché donandoci Gesù come Pastore che dà la vita per noi, il Padre ci ha dato tutto ciò che di più grande e prezioso poteva darci! È l’amore più alto e più puro, perché non è motivato da alcuna necessità, non è condizionato da alcun calcolo, non è attratto da alcun interessato desiderio di scambio. Di fronte a questo amore di Dio, noi sperimentiamo una gioia immensa e ci apriamo alla riconoscenza per quanto abbiamo ricevuto gratuitamente.
Ma contemplare e ringraziare non basta. Occorre anche seguire il Buon Pastore. In particolare, quanti hanno la missione di guide nella Chiesa – sacerdoti, Vescovi, Papi – sono chiamati ad assumere non la mentalità del manager ma quella del servo, a imitazione di Gesù che, spogliando sé stesso, ci ha salvati con la sua misericordia. ….
Maria Santissima ottenga per me, per i Vescovi e per i sacerdoti di tutto il mondo la grazia di servire il popolo santo di Dio mediante la gioiosa predicazione del Vangelo, la sentita celebrazione dei Sacramenti e la paziente e mite guida pastorale.”
Papa Francesco Parte dell’Angelus del 26 aprile 2015
L'umanità è una grande e immensa famiglia ... Troviamo la dimostrazione di ciò da quello che ci sentiamo nei nostri cuori a Natale.
(Papa Giovanni XXIII)