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Elena Tasso

Elena Tasso

Lunedì, 29 Maggio 2023 16:44

PENTECOSTE 2023

PENTECOSTE ore 10.00

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La festa della Pentecoste rievoca la discesa dello Spirito Santo sugli apostoli e la loro investitura missionaria, avvenuta cinquanta giorni dopo la Pasqua di resurrezione.
Nella prima lettura, tratta dagli Atti degli Apostoli, viene sottolineato che lo Spirito scendendo sugli apostoli dà loro il potere di esprimersi in tutte le lingue. Da quel momento la Chiesa proclama un unico linguaggio, quello di Cristo e dell’amore. La diversità delle culture, delle razze e dei doni personali non è sorgente di incomprensione e di ostilità, ma diventa una “sinfonia” di voci che secondo i timbri e totalità differenti annunziano la stessa gioia e la stessa speranza.
Nella seconda lettura, tratta dalla 1^ lettera ai Corinzi, Paolo affronta il tema dell'unità nella diversità paragonando la comunità al corpo umano. E’ lo Spirito Santo l’anima del corpo che è la Chiesa. E’ lo Spirito il criterio di verifica dell’autenticità della fede.
Nel Vangelo, Giovanni presenta la prima Pentecoste ambientata nella stessa sera del giorno di Pasqua. Nel cenacolo, il Cristo risorto compie innanzitutto un atto simbolico “soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo….” Lo Spirito di Dio è soffio della vita, la sorgente della creazione, il principio di una nuova esistenza interiore. Nella Pentecoste narrata da Giovanni Cristo appare come il creatore dell’uomo nuovo, libero dal peccato e dal male. Infatti le parole che accompagnano il gesto simbolico del soffio sono emblematiche: “A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”.

Dagli Atti degli Apostoli
Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.
Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamiti; abitanti della Mesopotàmia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frìgia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirène, Romani qui residenti, Giudei e prosèliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio».
At 2,1-11

Luca inizia il suo racconto indicando il momento e il luogo in cui si è verificato l’evento: “Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste si trovavano tutti insieme nello stesso luogo.” In realtà stava per compiersi non tanto il giorno di Pentecoste, che era solo iniziato, ma il conto delle sette settimane, a partire dalla Pasqua, al termine delle quali ha luogo la Pentecoste . 1*
Anche se non viene precisato chi fosse presente all’avvenimento, si può supporre che insieme ai discepoli fosse presente Maria insieme ad altre donne. Luca dicendo “si trovavano tutti insieme” vuole sottolineare non solo la presenza fisica nello stesso luogo ma anche l’unione che regnava tra coloro che costituivano il primo nucleo della Chiesa.
“Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano”.
Il fragore venuto dal cielo "riempì tutta la casa" . Il dono dello Spirito risponde alla dimensione dell'universalità. La singolarità della persona di Gesù di Nazareth viene trascesa dallo Spirito che supera ogni limite e barriera storica. I termini che Luca usa si ricollegano alla terminologia usata per descrivere la teofania (V. 1Re 19,11), e il termine “vento” allude già allo Spirito (pneuma), che ad esso viene spesso assimilato (Ez 37,9; Gv 3,8).
“Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi”.
Il fuoco, a cui le lingue assomigliavano, è anch’esso un’immagine ricavata dalla rappresentazione biblica della teofania (Es 19,18). È indicativo inoltre che, la parola di Dio ha preso la forma di una torcia di fuoco. Il fatto che i presenti "furono colmati di Spirito Santo» parlino “altre lingue” richiama la leggenda giudaica secondo la quale al Sinai la parola di Dio si divideva in 70 lingue..
A prima vista sembra quindi che essi parlassero ognuno una lingua diversa dall’altra, ma dal seguito del racconto appare che si trattava piuttosto di un miracolo di audizione, simile a quello che, secondo le leggende giudaiche, si era verificato al Sinai: in realtà essi parlavano normalmente e i presenti li comprendevano nella propria lingua originaria.
fenomeno non è conosciuto altrove nel N.T- perciò diversi studiosi pensano che originariamente si trattasse non di un ”parlare in altre lingue”, ma del “parlare in lingue”, cioè della “glossolalia”, un carisma che consiste nel lodare Dio in una lingua sconosciuta.
Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua.
Il fragore della teofania viene udito anche all’esterno della casa in cui si trovavano gli apostoli, e subito si raduna una piccola folla di curiosi, pieni di stupore e di meraviglia, “perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua… delle grandi opere di Dio”.
La gente che si era radunata era composta di giudei della diaspora e di proseliti, cioè pagani convertiti in modo pieno al giudaismo, venuti a stabilirsi a Gerusalemme. I loro paesi di origine sono elencati in modo tale da dare l’impressione che si tratti di tutto il mondo allora conosciuto. Pur essendo giudei di nascita o di religione, i testimoni della Pentecoste cristiana sono presentati come i rappresentanti delle nazioni alle quali sarà rivolto l’annunzio evangelico.
Lo Spirito Santo con la Sua discesa sugli Apostoli e Maria ha completato l’opera dell’Incarnazione di Dio: al momento della Sua prima discesa, lo Spirito Santo aveva compiuto nella santa Vergine l’Incarnazione del Verbo, permettendo che il Verbo divenisse, nel suo corpo, il Dio-Uomo, per esserlo nell’eternità. Al momento della Sua seconda discesa, durante la Pentecoste, lo Spirito Santo discende per dimorare nel Suo corpo che è la Chiesa.
Maria è presente poiché è l’unica che possa confermare la presenza e l’azione dello Spirito, in quanto lei è la sola che ne ha già fatto esperienza, avendo, per opera dello Spirito Santo, generato al mondo il Verbo consustanziale al Padre.
Gli Apostoli sono rivestiti di Spirito Santo e annunciano al mondo quel Verbo eterno, crocifisso e risorto che Maria ha generato nella carne. Essi proclamano, lei conferma! Loro annunciano, a lei è stato annunciato! Essi diffondo la Parola di Vita, lei ha dato vita alla Parola!

Salmo 103 Manda il tuo Spirito, Signore,

Benedici il Signore, anima mia!
Sei tanto grande, Signore, mio Dio!
Quante sono le tue opere, Signore!
Le hai fatte tutte con saggezza;
la terra è piena delle tue creature.

Togli loro il respiro: muoiono,
e ritornano nella loro polvere.
Mandi il tuo spirito, sono creati,
e rinnovi la faccia della terra.

Sia per sempre la gloria del Signore;
gioisca il Signore delle sue opere.
A lui sia gradito il mio canto,
io gioirò nel Signore.

Il salmista esordisce con un invito a se stesso a benedire il Signore. Di fronte alla grandezza, alla bellezza, alla potenza della creazione esprime il suo stupore e la sua lode a Dio: “Sei tanto grande, Signore, mio Dio!”.Egli contempla Dio nella sua sovranità universale, tratteggiandolo “avvolto di luce come di un manto”. Una luce gloriosa, non terrena, non degli astri, ma divina, con la quale illumina gli spiriti angelici, nel cielo. …
Il salmo, segue l'ordine della prima narrazione della creazione (Gn 1,1s), continua presentando la primordiale situazione della terra, ora fermamente salda “sulle sue basi”, intendendo per basi niente di formalmente vincolante, ma solo un'immagine tratta dalle congetture dell'uomo.
L'onnipotenza divina viene presentata come dominatrice delle acque che coprivano la terra: “Al tuo rimprovero esse fuggirono, al fragore del tuo tuono rimasero atterrite”. Le acque si divisero in acque sotto il firmamento e in acque sopra il firmamento (le nubi, pensate ferme in alto per la presenza di una invisibile calotta detta firmamento), così cominciò il ciclo delle piogge e le acque “Salirono sui monti, discesero nelle valli, verso il luogo (mare) che avevi loro assegnato”. Dio provvede, nel tempo privo di piogge, al regime delle acque, e fa scaturire nelle alte valli montane acque sorgive che poi scendono lungo i canaloni tra i monti per dissetare gli animali. Gli uccelli trovano dimora nei luoghi alti e cantano tra le fronde degli alberi. Tutto è predisposto perché non manchi il cibo: “Con il frutto delle tue opere si sazia la terra. Tu fai crescere l'erba per il bestiame e le piante che l'uomo coltiva...”.
E anche gli alberi alti sono sazi per la pioggia “sono sazi gli alberi del Signore (cioè gli alberi altissimi: nell'ebraico il superlativo assoluto è reso con un riferimento a Dio), i cedri del Libano da lui piantati”. (I cedri del Libano raggiungono anche i 40 m. di altezza, con un diametro alla base di 2,5 m.)
Dio per segnare le stagioni ha fatto il sole e la luna. Ritirando a sera la luce stende “le tenebre e viene la notte”; e anche nella notte prosegue la vita: “si aggirano tutte le bestie della foresta; ruggiscono i giovani leoni in cerca di preda”. Con i loro ruggiti “chiedono a Dio il loro cibo”. Il salmo presenta che gli animali carnivori sono stati creati così da Dio. Il libro della Genesi (1,30) presenta un mondo animale che si cibava di erbe nella situazione Edenica; ma è un'immagine rivolta a presentare come all'inizio non ci fosse la ferocia tra gli animali, benché non mancassero animali carnivori, creati da Dio, come il nostro salmo presenta.
L'uomo comincia il suo lavoro col sorgere del sole: “Allora l'uomo esce per il suo lavoro, per la sua fatica fino a sera”.
Il salmista loda ancora il Signore per le sue opere.
Passa quindi a considerare le creature del mare; in particolare il Leviatan, nome col quale l'autore designa la balena.
Il mondo animale è oggetto pure esso dell'assistenza divina: “Nascondi il tuo volto: li assale il terrore; togli loro il respiro: muoiono, e ritornano nella loro polvere”. Se Dio ritrae la sua assistenza gli animali periscono, non hanno più l'alito delle narici “togli loro il respiro”.
Ma se manda il suo Spirito creatore sono creati. Lo Spirito di Dio è all'origine della creazione: (Gn 1,2).
Il salmista chiede che sulla terra ci sia la pace tra gli uomini, affinché “gioisca il Signore delle sue opere”. “Scompaiano i peccatori dalla terra e i malvagi non esistano più” dice, augurandosi un tempo dove gli uomini cessino di combattersi. Questo sarà nel tempo di pace che abbraccerà tutta la terra, quando la Chiesa porterà Cristo a tutte le genti; sarà la società della verità e dell'amore. Noi dobbiamo incessantemente impegnarci con la preghiera e la testimonianza per questo tempo che invochiamo nel Padre Nostro dicendo: “Venga il tuo regno”.
Commento tratto da «Perfetta Letizia»
(Per avere un’idea più completa della bellezza di questo salmo è stato riportato il commento nella sua interezza e non solo per i versetti proposti dalla liturgia

Dalla prima lettera di S.Paolo Apostolo ai Corinzi
Fratelli, nessuno può dire «Gesù è Signore!», se non sotto l’azione dello Spirito Santo.
Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito. Vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti.
A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune.
Come infatti il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito.
1Cor 12,3b-7.12-13

La Prima lettera ai Corinzi, che Paolo scrisse da Efeso nel 53-54, è una delle più lunghe fra quelle scritte da Paolo, paragonabile a quella dei Romani, ambedue infatti sono suddivise in 16 capitoli.
La lettera si contraddistingue per la molteplicità dei temi che Paolo vi affronta per chiarire dubbi o difficoltà della comunità e per correggere abusi e deviazioni. In essa l’apostolo dovrà prendere posizioni anche piuttosto critiche, che potrebbero compromettergli la simpatia dei destinatari.
In questo brano tratto dal capitolo 12, scelto per la solennità di Pentecoste, è indicata l'azione dello Spirito Santo come garanzia per l'appartenenza dei credenti alla Chiesa. Qui l'Apostolo affronta il tema dell'unità nella diversità paragonando la comunità al corpo umano. Ai Corinti che aspiravano al dono della profezia Paolo ricorda che nella Chiesa vi sono diversi doni, la cui fonte è sempre lo Spirito Santo, che servono tutti alla vita e alla crescita della Chiesa.
Il brano inizia con una dichiarazione iniziata nel versetto precedente “Voi sapete infatti che, quando eravate pagani, vi lasciavate trascinare senza alcun controllo verso gli idoli muti. Perciò io vi dichiaro: nessuno che parli sotto l’azione dello Spirito di Dio può dire: «Gesù è anàtema!, “1Cor 12,2) così
“nessuno può dire «Gesù è Signore!», se non sotto l’azione dello Spirito Santo”
Lo Spirito non è neutrale, è lo Spirito di Dio e parla sempre in favore di Gesù Cristo perché lo riconosce Signore. E' questo il criterio per discernere i doni di profezia all'interno della Chiesa. L'appartenenza al Signore porta alla professione di fede, a riconoscere la centralità, la signoria di Cristo.
“Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito”.
I carismi sono i doni dello Spirito, si contrappongono alle esperienze estatiche che non hanno nessuna fecondità.
“Vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore”;
Per ministeri qui s’intende i servizi, la diaconia, che richiama un ministero preciso all'interno della Chiesa, giunto fino ad oggi.
“vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti”.
La Chiesa è un organismo che ha bisogno di diverse attività, ma tutte hanno come fonte Dio e sono volte al bene di tutti i credenti.
“A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune”.
I Corinzi amavano avere qualche manifestazione spirituale, e il Signore ne aveva donate loro, ma l'unica fonte di tali doni è lo Spirito e l'unica destinazione di questi doni è il bene comune. Coloro che avevano il dono di parlare in lingue diverse sotto l'influsso di qualche spirito venivano ammirati ma non apportavano nessun bene alla Chiesa.
“Come infatti il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo”.
Paolo utilizzando ampiamente l’apologo classico, che paragona la società a un corpo, il quale resta unito nonostante la diversità delle sue membra, introduce la famosa allegoria della Chiesa come corpo di Cristo: nessun membro può agire per se stesso, ma agisce in virtù della sua appartenenza alla Chiesa e compie ciò che è necessario al bene di tutto il corpo.
“Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito”.
L'evento vincolante per tutte le membra della Chiesa è il Battesimo. Grazie al battesimo si è formato questo corpo, le distinzioni etniche e sociali restano, ma perdono la loro importanza.
Ciò che ci accomuna è lo Spirito che ci ha dissetati, ci ha tolti cioè da una situazione di dolorosa precarietà e ci ha resi partecipi dello stesso corpo di Cristo.
Come i Corinzi allora, anche noi oggi, dobbiamo imparare a riconoscere non solo nei fenomeni straordinari, ma anche in quelli meno straordinari, l'azione carismatica dello Spirito; dobbiamo sapere che i fatti spettacolari, i miracoli più strepitosi, non sono l'unico modo in cui si manifestano la presenza e l'azione dello Spirito Santo.

Dal Vangelo secondo Giovanni
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre eratno chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Gv 20,19-23

L’evangelista Giovanni, dopo la visita dei due discepoli al sepolcro (20,1-10) e la manifestazione del Risorto a Maria Maddalena (20,11-18), narra in questo brano la duplice apparizione di Gesù agli Undici, a cui fa seguito immediatamente la prima conclusione del suo vangelo.
In questa apparizione Gesù si presenta ai discepoli per conferire loro, insieme al mandato missionario, anche il dono dello Spirito che li guiderà nel loro cammino. L’evento ha luogo nello stesso giorno della risurrezione, cioè il primo dopo il sabato: si tratta dunque del primo giorno della settimana, che, come l’inizio della creazione, segna la nascita di un mondo nuovo.
Sebbene le porte del luogo in cui si trovano i discepoli siano chiuse per timore dei giudei, Gesù non ha difficoltà a entrare perchè il Suo corpo ormai spiritualizzato non è più legato ai limiti propri dell’esistenza fisica, tipica di questo mondo. Egli presentandosi in mezzo ai discepoli, dice loro: “Pace a voi” (shalôm). Questo saluto è tipico del costume ebraico, ma qui Gesù intende esprimere qualcosa di più di un semplice saluto. Dopo essersi presentato ai discepoli, Gesù mostra loro le mani e il costato. Con questo gesto egli intende non soltanto dimostrare la realtà della Sua presenza, ma anche ricordare come sia proprio in forza della Sua morte in croce, che Egli si presenta a loro nella Sua nuova realtà.
L’apparizione di Gesù provoca nei discepoli una reazione di incontenibile e profonda gioia. Non si tratta semplicemente della soddisfazione di rivedere in vita una persona tanto amata, ma piuttosto di una gioia indescrivibile, perchè ultraterrena, che solo la presenza di Gesù porta con sé.
Poi Gesù ripete il saluto: “Pace a voi” e prosegue: “Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”. Manda proprio loro, che lo hanno abbandonato e che hanno avuto paura, a continuare la sua missione: donare agli uomini il perdono del Padre. Chi ha sperimentato la forza risanante del perdono è chiamato a donare agli altri la possibilità di vivere la stessa esperienza, testimoniando il volto di un Dio che perdona.
Gesù poi, alitando sui discepoli, dice: “Ricevete lo Spirito Santo”.
Gesù aveva promesso anche il dono dello Spirito Santo. Ne aveva parlato a più riprese nel discorso di addio dell'ultima cena. Il Paraclito sarebbe rimasto sempre con i discepoli (Gv 14,1-17); avrebbe reso testimonianza al mistero di Gesù per accompagnare i discepoli suoi testimoni (Gv 15,26), li avrebbe condotti alla verità tutta intera (Gv 16,13-15).
Ora Gesù dona questo Spirito, e lo dona come DIO ha fatto nel giorno in cui ha soffiato la vita nelle narici di Adamo. E' una nuova creazione, la storia ricomincia!
Solo lo Spirito è in grado di accomunare profondamente i discepoli al Maestro e come conseguenza di questo dono Egli dà ai discepoli il potere di rimettere i peccati: “A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Anche la remissione dei peccati, come la pace, era un dono promesso da DIO.. In particolare era messa in relazione con l'effusione dello Spirito di Dio. Con il suo soffio Gesù ha inaugurato una nuova creazione, una rinascita dell'uomo e dunque il perdono dei suoi peccati. Gesù aveva già detto: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita. Gv 5,24
Ora dunque il potere di rimettere i peccati passa ai discepoli. E’ alquanto difficile pensare che la misericordia del Padre possa avere dei limiti ma esiste il perdono, ma esiste anche l’esclusione perché l’uomo è libero, anche di rifiutare l’amore di Dio. (È l’uomo che con la sua libertà può scegliere anche la propria rovina definitiva, la sua “morte seconda” di cui parla l’Apocalisse (Ap 20, 6).
La missione di Gesù non ha limiti e così la missione di tutti i Suoi discepoli, di ogni tempo e di ogni luogo. Uniti dobbiamo chiedere al Padre, che nel mistero della Pentecoste santifichi la Sua Chiesa in ogni popolo e nazione, diffondendo sino ai confini della terra i doni dello Spirito Santo.

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LE PAROLE DI PAPA FRANCESCO

Oggi celebriamo la grande festa di Pentecoste, nel ricordo dell’effusione dello Spirito Santo sulla prima Comunità cristiana. Il Vangelo odierno ci riporta alla sera di Pasqua e ci mostra Gesù risorto che appare nel Cenacolo, dove si sono rifugiati i discepoli. Avevano paura. «Stette in mezzo e disse loro: “Pace a voi!”» . Queste prime parole pronunciate dal Risorto: «Pace a voi», sono da considerare più che un saluto: esprimono il perdono, il perdono accordato ai discepoli che, per dire la verità, lo avevano abbandonato. Sono parole di riconciliazione e di perdono. E anche noi, quando auguriamo pace agli altri, stiamo dando il perdono e chiedendo pure il perdono. Gesù offre la sua pace proprio a questi discepoli che hanno paura, che stentano a credere a ciò che pure hanno veduto, cioè il sepolcro vuoto, e sottovalutano la testimonianza di Maria di Magdala e delle altre donne. Gesù perdona, perdona sempre, e offre la sua pace ai suoi amici. Non dimenticatevi: Gesù non si stanca mai di perdonare. Siamo noi che ci stanchiamo di chiedere perdono.
Perdonando e radunando attorno a sé i discepoli, Gesù fa di essi una Chiesa, la sua Chiesa, che è una comunità riconciliata e pronta alla missione. Riconciliata e pronta alla missione. Quando una comunità non è riconciliata, non è pronta alla missione: è pronta a discutere dentro di sé, è pronta alle [discussioni] interne.
L’incontro con il Signore risorto capovolge l’esistenza degli Apostoli e li trasforma in coraggiosi testimoni. Infatti, subito dopo dice: «Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Queste parole fanno capire che gli Apostoli sono inviati a prolungare la stessa missione che il Padre ha affidato a Gesù. «Io mando voi»: non è tempo di stare rinchiusi, né di rimpiangere: rimpiangere i “bei tempi”, quei tempi passati col Maestro. La gioia della risurrezione è grande, ma è una gioia espansiva, che non va tenuta per sé, è per darla. Nelle domeniche del Tempo pasquale abbiamo ascoltato dapprima questo stesso episodio, poi l’incontro con i discepoli di Emmaus, quindi il buon Pastore, i discorsi di addio e la promessa dello Spirito Santo: tutto questo è orientato a rafforzare la fede dei discepoli – e anche la nostra – in vista della missione.
E proprio per animare la missione, Gesù dona agli Apostoli il suo Spirito. Dice il Vangelo: «Soffiò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo”» . Lo Spirito Santo è fuoco che brucia i peccati e crea uomini e donne nuovi; è fuoco d’amore con cui i discepoli potranno “incendiare” il mondo, quell’amore di tenerezza che predilige i piccoli, i poveri, gli esclusi… Nei sacramenti del Battesimo e della Confermazione abbiamo ricevuto lo Spirito Santo con i suoi doni: sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, conoscenza, pietà, timore di Dio. Quest’ultimo dono – il timore di Dio – è proprio il contrario della paura che prima paralizzava i discepoli: è l’amore per il Signore, è la certezza della sua misericordia e della sua bontà, è la fiducia di potersi muovere nella direzione da Lui indicata, senza che mai ci manchino la sua presenza e il suo sostegno.
La festa di Pentecoste rinnova la consapevolezza che in noi dimora la presenza vivificante dello Spirito Santo. Egli dona anche a noi il coraggio di uscire fuori dalle mura protettive dei nostri “cenacoli”, dei gruppetti, senza adagiarci nel quieto vivere o rinchiuderci in abitudini sterili. Eleviamo ora il nostro pensiero a Maria. Lei era lì, con gli Apostoli, quando è venuto lo Spirito Santo, protagonista con la prima Comunità dell’esperienza mirabile della Pentecoste, e preghiamo Lei perché ottenga per la Chiesa l’ardente spirito missionario.

Parte dell’Angelus del 31 maggio 2020

 

1 * Nota L'origine della festa di Pentecoste è ebraica e si riferisce allo Shavuot, celebrata sette settimane dopo la Pasqua ebraica. La Pentecoste cristiana rappresenta una novità rispetto alla Pentecoste giudaica che è una festa agricola, la festa del pane: il ringraziamento a Dio, a cui il popolo offre due pani lievitati. Luca situa il racconto del dono dello Spirito nel contesto di tale festa giudaica: il dono dello Spirito, quale frutto della morte e resurrezione del Signore.

Sabato, 27 Maggio 2023 17:01

VEGLIA DI PENTECOSTE 2023

Locandina del programma della veglia di Pentecoste 2023

Le letture che la liturgia di questa settima domenica di Pasqua, in cui celebriamo l’Ascensione del Signore, hanno la stessa scenografia che ha come sfondo il cielo!
Già dalla prima lettura tratta dagli Atti degli Apostoli, Luca ci racconta che Gesù dal monte degli ulivi ascende verso le nubi del cielo, per cui dall’orizzonte terrestre la Sua figura penetra negli infiniti orizzonti celesti.
Nella seconda lettura, Paolo nella sua lettera agli efesini, effonde il suo canto di benedizione nell'inno di ringraziamento a Dio, che "ci ha benedetti" in Cristo Gesù e per mezzo di Lui ci ha predestinati ad essere "figli adottivi" del Padre suo.
Nel Vangelo di Matteo, Gesù, prima di salire in cielo affida ai Suoi discepoli, e a tutta la Chiesa, la missione di portare a tutti i popoli l’annunzio della parola di salvezza. Anche se questa missione può aver lasciato un po’ sgomenti gli apostoli che si sentivano non preparati a tale compito , Gesù con le sue ultime parole: io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» dà a loro, a noi e a tutti i cristiani di ogni tempo, una sicurezza ed una forza che nessuna potenza umana al mondo può dare.

Dagli Atti degli Apostoli
Nel primo racconto, o Teòfilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo.
Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre, «quella – disse – che voi avete udito da me: Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo».
Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra».
Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo».
At 1,1-11


In questo brano viene riportato il prologo degli Atti degli Apostoli e Luca lo inizia dedicando il suo libro a Teofilo,(la cui identità non è nota), lo stesso a cui aveva dedicato il suo Vangelo.
Luca ricorda che nel suo primo racconto aveva già trattato di tutto quello “che Gesù fece e insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo”.
Il gruppo dei Dodici, che dopo il tradimento di Giuda è ridotto a undici, viene così presentato fin dall’inizio come la cerchia degli intimi di Gesù, chiamati esplicitamente con l’appellativo di “apostoli”. Dopo aver accennato all’ascensione di Gesù, Luca ci riporta al periodo precedente, affermando che Gesù è apparso agli apostoli per quaranta giorni.
Anche qui il numero 40 è un numero simbolico, che spesso è usato per indicare il tempo di preparazione a una particolare rivelazione divina (Mosè trascorre 40 giorni sul Sinai prima di ricevere le tavole dell’alleanza (Es 24,18), il popolo peregrina 40 anni nel deserto prima di giungere alla terra promessa (Nm 14,33), Elia cammina 40 giorni nel deserto verso il monte di Dio (1Re 19,8); nel giudaismo Esdra resta quaranta giorni con Dio quando gli sono consegnati i libri sacri (4Esd 14,23-45) e Baruc istruisce il popolo per quaranta giorni prima della sua assunzione in cielo (2Bar 76,1-4). Anche Gesù aveva trascorso 40 giorni nel deserto, digiunando, prima di iniziare la sua vita pubblica (Lc 4,1-2).
Un tempo analogo è necessario agli apostoli per essere adeguatamente istruiti “con molte prove” circa il regno di Dio.
L’annunzio del regno di Dio era stato il programma di Gesù durante la Sua vita terrena, ora Egli lo affida agli apostoli e Luca si limita a riferire che egli ordinò loro di non lasciare Gerusalemme, ma di attendere che si adempisse la promessa del Padre che essi avevano inteso da lui: “Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo”.
Il battesimo mediante lo Spirito santo viene inteso qui non come il rito cristiano che si sostituisce a quello del Battista, ma come il dono dello Spirito fatto alla nascente comunità cristiana nel giorno di Pentecoste. Come Gesù, all’inizio della Sua attività pubblica, ha ricevuto lo Spirito Santo in occasione del battesimo di Giovanni, così anche la Chiesa, all’inizio del suo cammino nel mondo, deve essere contrassegnata dalla presenza dello Spirito.
La domanda dei discepoli a Gesù: “Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele” dimostra che ancora non avevano compreso e pensavano che fosse ormai imminente il momento in cui i regni di questo mondo sarebbero stati distrutti e di conseguenza instaurata la sovranità di Dio mediante il popolo di Israele, come aveva profetizzato il profeta Daniele (7,27), ma Gesù risponde: “Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra”.
Anche per Gesù solo il Padre conosce i tempi in cui si attua il Suo progetto: ciò significa che l’instaurazione del regno non coincide con la fine del mondo perché in realtà il regno è già stato inaugurato da Gesù, ma dovrà passare ancora un lungo periodo di tempo prima della Sua venuta piena e definitiva.
Questo nuovo periodo, che inizierà appunto con la venuta dello Spirito Santo, sarà contrassegnato dalla testimonianza degli apostoli che si estenderà da Gerusalemme alla Giudea, alla Samarìa, fino agli estremi confini della terra.
Per Luca, Gerusalemme è il centro della salvezza, mentre gli estremi confini della terra sono il mondo dei pagani e in particolare Roma che, come capitale dell’impero romano, rappresenta, rispetto a Gerusalemme, l’estremo opposto del mondo.
In questo versetto, che delinea il progressivo espandersi del cristianesimo, Luca indica anche il piano della sua opera: egli intende narrare lo sviluppo dell’annunzio evangelico a Gerusalemme poi in Giudea e Samaria e infine, per mezzo di Paolo, in Anatolia e in Grecia.
Nel racconto dell’ascensione Luca si ispira anche a quanto scrive il profeta Daniele, che descrive l’apparizione, sulle nubi del cielo, di uno simile a un figlio di uomo, il quale si presenta davanti al trono di Dio e riceve potere, gloria e regno (Dn 7,13-14). Di questa scena nel racconto degli Atti rimane il particolare della nuvola, simbolo della manifestazione misteriosa di Dio, che sottrae Gesù dallo sguardo degli apostoli.
Come “figlio dell’uomo” Egli si presenta a Dio per ricevere il regno che si è acquistato con la Sua morte. Ma, contrariamente alle aspettative giudaiche, non è ancora venuto il momento della conclusione finale, infatti gli angeli annunziano che Egli dovrà ritornare un giorno “nello stesso modo” in cui i discepoli l’hanno visto andare in cielo. Sarà quello il momento della fine, nel frattempo gli apostoli non devono rimanere a guardare in cielo, come facevano coloro che ricevevano visioni apocalittiche (Dn 10,8), ma devono andare a svolgere la missione che è stata loro affidata, e da loro a tutta la Sua Chiesa, il Suo corpo mistico.
E proprio nell’impegno che noi oggi, Sua Chiesa, abbiamo di testimoniarlo, si sperimenta la Sua presenza, si scopre che Gesù non solo è venuto e verrà, ma che viene, oggi, nell’oggi di ognuno di noi, e lo colma di sé, della Sua gioia. La nostra testimonianza diviene allora indicazione di una presenza esperimentata, amata, e per questa ragione, comunicata.

Salmo 46 - Ascende il Signore tra canti di gioia.

Popoli tutti, battete le mani!
Acclamate Dio con grida di gioia,
perché terribile è il Signore, l’Altissimo,
grande re su tutta la terra

Ascende Dio tra le acclamazioni,
il Signore al suono di tromba.
Cantate inni a Dio, cantate inni,
cantate inni al nostro re, cantate inni.

Perché Dio è re di tutta la terra,
cantate inni con arte.
Dio regna sulle genti,
Dio siede sul suo trono santo.

Il salmo è un inno festoso a Dio re dell’universo. Il salmo invita tutti i popoli ad applaudire il Signore. Dopo il momento terribile delle vittorie filistee e dei popoli della terra di Canaan, ecco la vittoria per Israele. La terra promessa sta per essere totalmente conquistata e Gerusalemme è stata sottratta ai Gebusei. Un corteo festante porta l’arca dentro la Città di Davide: “Ascende Dio tra le acclamazioni”.
La conquista della terra promessa, la presa di Gerusalemme sono solo una tappa di un disegno più ampio di Dio che riguarda tutti i popoli.
Israele ha visto come Dio ha posto ai suoi piedi le nazioni, e dunque nessuna nazione può resistergli.
Egli è “re di tutta la terra”. Il popolo di Abramo è come un germe chiamato ad attirare a sé i popoli. Il salmista vede profeticamente già attuato questo: “I capi dei popoli si sono raccolti come popolo del Dio di Abramo”. Questo avverrà per mezzo del futuro Messia, che produrrà la nuova ed eterna alleanza. Il segno della sua vittoria sarà la risurrezione, la sua salita al cielo - “ascende Dio tra le acclamazioni” -, il suo stare alla destra del Padre (Cf. Ps 110,1).
Commento tratto da “Perfetta Letizia” i

La liturgia cattolica a causa del versetto “ascende Dio…” ha usato questo salmo per l’Ascensione del Cristo, mentre quella giudaica lo fa recitare sette volte prima che il corno dia il segnale inaugurale del nuovo anno. …
Al centro appare la figura monumentale del Signore re d’Israele, mentre tutt’attorno si odono suoni, voci, applausi: egli è: “altissimo, terribile, grande”. Si tratta di attributi che vogliono esaltare la trascendenza divina, il suo primato sull’essere, la sua onnipotenza.
Per un lettore cristiano il parallelo cristologico potrebbe essere la celebre pagina finale di Matteo in cui il Cristo risorto proclama:
“Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra…” 28,28
Commento tratto da “I Salmi” del card. Gianfranco Ravasi

Dalla lettera di S.Paolo apostolo agli Efesini
Fratelli, il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi, che crediamo, secondo l’efficacia della sua forza e del suo vigore.
Egli la manifestò in Cristo, quando lo risuscitò dai morti
e lo fece sedere alla sua destra nei cieli,al di sopra di ogni Principato e Potenza,
al di sopra di ogni Forza e Dominazione e di ogni nome che viene nominato
non solo nel tempo presente ma anche in quello futuro.
Tutto infatti egli ha messo sotto i suoi piedi
e lo ha dato alla Chiesa come capo su tutte le cose: essa è il corpo di lui,
la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose.
Ef 1,17-23

La Lettera agli Efesini è una delle lettere che Paolo, secondo molti studiosi, avrebbe scritto durante la sua prigionia a Roma intorno all'anno 62.
Il brano che fa parte di uno dei tre grandi inni cristologici, ci aiuta a farci riflettere sul ruolo di Gesù nel progetto di amore del Padre. Ci parla anche della predestinazione dei credenti e del Padre, che sin dall'inizio dei tempi, aveva pensato a noi, per renderci santi, per renderci Suoi figli, per cui ciascuno di noi è chiamato a questa via di santità, cioè a una relazione di amore forte e incondizionato con il Signore. Il brano inizia con la benedizione e ringrazimento
“il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui;”
Paolo, dopo aver avuto notizia della fede che si era diffusa anche presso gli abitanti di Efeso ringrazia il Signore e augura ai credenti che Dio elargisca loro lo spirito di sapienza e di rivelazione cioè la maturità cristiana che permette ai credenti di scrutare sempre più profondamente il mistero di Dio e di gioire del proprio essere cristiani.
“illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi”
Il Signore illumini anche i cuori dei credenti e faccia comprendere loro che li aspetta la gloria, la partecipazione all'eredità di tutti i santi. Questa è la speranza che anima quanti hanno aderito a Cristo nella fede.
“e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi, che crediamo, secondo l’efficacia della sua forza e del suo vigore”.
Dio è stato potente nel suo agire verso di noi che abbiamo accolto la Sua parola. Le Sue promesse si sono avverate.
“Egli la manifestò in Cristo, quando lo risuscitò dai morti e lo fece sedere alla sua destra nei cieli,”
Il momento in cui davvero si è manifestata la potenza di Dio è stato la risurrezione di Cristo dai morti e quando Gesù è stato innalzato alla Sua destra.
“al di sopra di ogni Principato e Potenza, al di sopra di ogni Forza e Dominazione e di ogni nome che viene nominato non solo nel tempo presente ma anche in quello futuro”.
I Principati e le Potenze, le Forze e le Dominazioni erano gli spiriti, le forze che secondo la cosmologia pagana facevano funzionare il cosmo, i pianeti, i fenomeni atmosferici. Facciamo fatica a comprendere la gloria e la grandezza di Cristo Gesù. Lui regna sopra ogni autorità, potenza, signoria. regna sopra ogni potenza politica, economica e militare, sopra ogni famiglia, regna sopra i demoni e il diavolo, regna sopra ogni cosa che prova a ergersi superbamente contro di Lui o a distruggere la Sua chiesa.
“Tutto infatti egli ha messo sotto i suoi piedi e lo ha dato alla Chiesa come capo su tutte le cose: essa è il corpo di lui, la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose.”
Dio dunque ha dato al Figlio ogni potere e lo ha reso capo del nuovo popolo, la Chiesa, definita qui anche come Sua “pienezza”, in quanto abbraccia tutto il mondo, che sotto l’autorità di Cristo, Signore e Capo, partecipa all’universale rigenerazione, perché solo in Cristo ogni cosa diventa possibile e realizzabile.

Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato.
Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».
Mt 28, 16-20

Con questo brano si conclude il Vangelo di Matteo che a differenza degli altri tre evangelisti, che terminano il loro vangelo con una considerazione o uno spunto narrativo, riporta le ultime parole di Gesù: “io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.
Analizzando il contenuto del brano si può notare che Matteo senza descrivere i dettagli di questa ultima apparizione di Gesù, riporta immediatamente il messaggio conferito agli Undici dal Risorto.
Possiamo immaginare lo stato d’animo dei discepoli per i quali Gesù era stato tutto: padre, madre, fratello, maestro, amico…. e il pensiero di doverlo perdere di nuovo dopo la Sua risurrezione, doveva essere per loro insopportabile. Dovevano affrontare dure prove, e gli anni che si presentavano per loro erano pieni di incognite per le responsabilità tremende che dovevano assumersi. Gesù aveva loro prospettato dure prove come persecuzioni, carcere, torture, morte e l’accusa di essere visionari, sacrileghi, impostori. In più loro erano consapevoli di essere ignoranti, impreparati, incapaci. Ma Gesù però li rincuora.
Prima asserisce : “A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. ..
In forza della Sua morte e risurrezione è stato quindi conferito a Gesù il potere stesso di Dio, che consiste nella capacità di instaurare il Suo regno e di portare la salvezza a tutta l’umanità. La pienezza di questo potere è sottolineata dall’espressione “in cielo e sulla terra”, che indica i due estremi che racchiudono ogni realtà creata.
Poi Gesù li sprona dicendo: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli,…” ma la forza e la carica più grande che dà a loro, è quando aggiunge:
”Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.
Questa frase ha certamente dato la carica a loro come tutti i cristiani di ogni tempo, ed anche a noi oggi, perché ci dice che Gesù è presente, è vivo accanto a noi per cui ogni morte, ogni paura, ogni male sono sconfitti.
Il Vangelo di Matteo non poteva terminare con una frase migliore!

 

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Stavo rimpiangendo il passato
e temendo il futuro.
Improvvisamente il Signore parlò:
Mi chiamo: Io sono .
Tacque. Attesi. Egli continuò:
Quando vivi nel passato,
coi suoi errori e i suoi rimpianti è duro:
Io non ci sono.
Il mio nome non è: io ero.
Quando vivi nel futuro,
coi suoi problemi e le sue paure, è duro:
Io non ci sono.
Il mio nome non è: io sarò.
Quando vivi nel momento presente
non è difficile.
Io ci sono,
il mio nome è IO SONO

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“Oggi, in Italia e in altri Paesi, si celebra la solennità dell’Ascensione del Signore. Il brano del Vangelo ci mostra gli Apostoli che si radunano in Galilea, «sul monte che Gesù aveva loro indicato». Qui avviene l’ultimo incontro del Signore risorto con i suoi, sul monte. Il “monte” ha una forte carica simbolica. Su un monte Gesù ha proclamato le Beatitudini; sui monti si ritirava a pregare; là accoglieva le folle e guariva i malati. Ma questa volta, sul monte, non è più il Maestro che agisce e insegna, guarisce ma è il Risorto che chiede ai discepoli di agire e di annunciare, affidando a loro il mandato di continuare la sua opera.
Li investe della missione presso tutte le genti. Dice: «Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato» . I contenuti della missione affidata agli Apostoli sono questi: annunciare, battezzare, insegnare e camminare sulla via tracciata dal Maestro, cioè il Vangelo vivo. Questo messaggio di salvezza implica prima di tutto il dovere della testimonianza - senza testimonianza non si può annunciare -, alla quale anche noi, discepoli di oggi, siamo chiamati per rendere ragione della nostra fede. Di fronte a un compito così impegnativo, e pensando alle nostre debolezze, ci sentiamo inadeguati, come di certo si sentirono anche gli Apostoli stessi. Ma non bisogna scoraggiarsi, ricordando le parole che Gesù ha rivolto a loro prima di ascendere al Cielo: «Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo».
Questa promessa assicura la presenza costante e consolante di Gesù tra di noi. Ma in che modo si realizza questa presenza? Mediante il suo Spirito, che conduce la Chiesa a camminare nella storia come compagna di strada di ogni uomo. Quello Spirito che, inviato da Cristo e dal Padre, opera la remissione dei peccati e santifica tutti coloro che, pentiti, si aprono con fiducia al suo dono. Con la promessa di rimanere con noi sino alla fine dei tempi, Gesù inaugura lo stile della sua presenza nel mondo come Risorto. Gesù è presente nel mondo ma con un altro stile, lo stile del Risorto, cioè una presenza che si rivela nella Parola, nei Sacramenti, nell’azione costante e interiore dello Spirito Santo. La festa dell’Ascensione ci dice che Gesù, pur essendo salito al Cielo per dimorare glorioso alla destra del Padre, è ancora e sempre tra noi: da qui derivano la nostra forza, la nostra perseveranza e la nostra gioia, proprio dalla presenza di Gesù tra noi con la forza dello Spirito Santo.
La Vergine Maria accompagni il nostro cammino con la sua materna protezione: da Lei impariamo la dolcezza e il coraggio per essere testimoni nel mondo del Signore risorto.”
Papa Francesco
Angelus 24 maggio 2020

Ci stiamo avvicinando alla Pentecoste e le letture liturgiche di questa sesta domenica di Pasqua ci preparano alla venuta della Terza Persona della Santissima Trinità: lo Spirito Santo e la Sua azione vivificatrice.
Nella prima lettura tratta dagli Atti degli Apostoli, Luca ci racconta che con il diacono Filippo la fede cristiana ha raggiunto la Samaria. Ed è lì che gli apostoli Pietro e Giovanni si recano per rafforzare la nuova comunità con l’effusione dello Spirito Santo.
Nella seconda lettura, nella sua prima lettera, Pietro chiede ai cristiani di rendere ragione della speranza che li anima “con dolcezza e rispetto” del cammino altrui e “con retta coscienza” disposti a soffrire , piuttosto che facendo il male, come Cristo.
Nel Vangelo di Giovanni, Gesù, continuando il Suo “discorso di addio” agli apostoli, offre loro nuovi motivi di fiducia e promette che pregherà il Padre che manderà loro un altro Paràclito perché rimanga con loro sempre. Poi afferma, come per dare un messaggio anche a noi oggi: “Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui”. .Gesù non è venuto a portarci un nuovo modo di sospirare e di piangere, ma a sradicarci dalle vecchie abitudini, con strappi e sofferenze, che in questo ultimo periodo abbiamo avuto, ma che solo l’amore che Lui ci ha trasmesso ha reso sopportabile.


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Dagli Atti degli Apostoli
In quei giorni, Filippo, sceso in una città della Samarìa, predicava loro il Cristo. E le folle, unanimi, prestavano attenzione alle parole di Filippo, sentendolo parlare e vedendo i segni che egli compiva. Infatti da molti indemoniati uscivano spiriti impuri, emettendo alte grida, e molti paralitici e storpi furono guariti. E vi fu grande gioia in quella città.
Frattanto gli apostoli, a Gerusalemme, seppero che la Samarìa aveva accolto la parola di Dio e inviarono a loro Pietro e Giovanni. Essi scesero e pregarono per loro perché ricevessero lo Spirito Santo; non era infatti ancora disceso sopra nessuno di loro, ma erano stati soltanto battezzati nel nome del Signore Gesù. Allora imponevano loro le mani e quelli ricevevano lo Spirito Santo.
At 8,5-8,14-17

In questa seconda parte degli Atti degli Apostoli Luca mette in luce la prima espansione dell’annunzio evangelico al di fuori di Gerusalemme.
Il brano inizia riportando che «Filippo, sceso in una città della Samarìa, predicava loro il Cristo. E le folle, unanimi, prestavano attenzione alle parole di Filippo, sentendolo parlare e vedendo i segni che egli compiva».
Filippo, uno dei sei compagni di Stefano, il secondo della lista dei sette prescelti, si reca “in una città della Samaria”, (ricordiamo che la Samaria per gli i ebrei era considerata eretica)
dove annunziando Cristo, trova grande seguito tra le folle che ascoltano la sua parola e vedono i suoi miracoli.
Luca osserva che una grande gioia si diffonde nella città, segno questo dell’impatto che l’annunzio del regno di Dio ha sugli ascoltatori e per mezzo loro su tutta la popolazione.
A Gerusalemme gli apostoli vengono a sapere che per opera di Filippo, i samaritani hanno accolto la parola di Dio e vi mandano Pietro e Giovanni che “scesero e pregarono per loro perché ricevessero lo Spirito Santo; non era infatti ancora disceso sopra nessuno di loro, ma erano stati soltanto battezzati nel nome del Signore Gesù.”
Lo Spirito veramente non conosce frontiere razziali o culturali!! Attraverso il rito dell’imposizione delle mani gli apostoli Pietro e Giovanni comunicano ai samaritani battezzati dal diacono Filippo lo Spirito Santo.
.La discesa dello Spirito sui samaritani segna una svolta fondamentale nella vita della Chiesa. Essa conferisce un marchio di legittimità al fatto che ora a ricevere l’annunzio evangelico siano persone considerate dai giudei alla stregua dei pagani. Inoltre questo racconto riflette ancora una volta il modo di pensare di Luca, il quale vuole mostrare come l’evangelizzazione, attuata dagli ellenisti dispersi a causa della persecuzione scatenatasi contro Stefano, è approvata e sostenuta dai Dodici, i quali se ne prendono la piena responsabilità.
Questo episodio ha una grande importanza nella trama degli Atti, perché con esso Luca vuole preannunziare i futuri sviluppi della missione cristiana; ma prima intende narrare la chiamata di Saulo, il persecutore, che diventerà il primo artefice di questa missione, e la conversione di Cornelio, dalla quale appare che il vero responsabile dell’apertura ai pagani non è Paolo, ma Pietro, il principe degli apostoli.

Salmo 65 - Acclamate Dio, voi tutti della terra.
Acclamate Dio, voi tutti della terra,
cantate la gloria del suo nome,
dategli gloria con la lode.
Dite a Dio: «Terribili sono le tue opere!

A te si prostri tutta la terra,
a te canti inni, canti al tuo nome».
Venite e vedete le opere di Dio,
terribile nel suo agire sugli uomini.

Egli cambiò il mare in terraferma;
passarono a piedi il fiume:
per questo in lui esultiamo di gioia.
Con la sua forza domina in eterno.

Venite, ascoltate, voi tutti che temete Dio,
e narrerò quanto per me ha fatto.
Sia benedetto Dio,
che non ha respinto la mia preghiera,
non mi ha negato la sua misericordia.

Il salmo è stato scritto nel postesilio, come è facile ricavare dalla menzione di grandi prove nazionali: “Ci hai purificati come si purifica l’argento (…). Hai fatto cavalcare uomini sopra le nostre teste (…), poi ci hai fatto uscire verso l'abbondanza”.
L’universalismo del salmo è espresso nell’invito a tutta la terra a dare gloria a Dio. Il salmista anima poi il gruppo orante che lo attornia a presentare a Dio il desiderio che sia celebrato in tutta la terra: “Dite a Dio: ”. Il salmista riprende il suo invito a tutte le genti, invitandole ad avvicinarsi ad Israele per udire le grandi opere che Dio ha compiuto per il suo popolo, compresa la liberazione da Babilonia: “Venite e vedete le opere di Dio, terribile nel suo agire sugli uomini. Egli cambiò il mare in terra ferma…”. Dio ha piegato i nemici del suo popolo, compresi i babilonesi: “contro di lui non si sollevino i ribelli”. Il salmista ancora invita i popoli a lodare Dio: “Popoli, benedite il nostro Dio, fate risuonare la voce della sua lode…”. Poi il salmista si rivolge direttamente a Dio facendo memoria della catastrofe della deportazione a Babilonia: “O Dio, tu ci hai messi alla prova; ci hai purificati come si purifica l’argento (…). Hai fatto cavalcare uomini sopra le nostre teste (…), poi ci hai fatto uscire verso l'abbondanza”. Il cavalcare uomini sopra le teste era una efferatezza egizia, assira, babilonese e poi anche persiana. I vinti venivano legati e calpestati dai carri dei vincitori. Il salmista, dopo essersi rivolto a Dio nella memoria dei grandi avvenimenti della nazione, che sente suoi per appartenenza, si riferisce a Dio come persona singola, che ha una sua storia di dolore, e che nell’angoscia ha pronunciato voti. Questi voti li assolverà perché è stato beneficato da Dio secondo il suo desiderio espresso nella preghiera, ma anche secondo la giustizia di Dio: “Se nel mio cuore avessi cercato il male, il Signore non mi avrebbe ascoltato”.
Il salmo, che noi recitiamo in Cristo, ci collega alla grande storia di Israele, alla quale siamo stati innestati per mezzo di Cristo (Cf. Rm 11,24), il quale è la ragione di ogni liberazione, di ogni grazia che viene dal Padre. Noi entriamo nelle sue chiese non offrendo sacrifici di montoni, capri e tori, ma il sacrificio di noi stessi, in unione al sacrificio del Cristo presente sugli altari (Cf. Ps 39,7). Perfettamente nostra è l’invocazione a tutte le genti a venire e vedere. A vedere in noi, nella Chiesa, la grande opera della redenzione
Commento tratto da “Perfetta Letizia”i

Dalla prima lettera di S.Pietro apostolo
Carissimi, adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi.
Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché, nel momento stesso in cui si parla male di voi, rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo.
Se questa infatti è la volontà di Dio, è meglio soffrire operando il bene che facendo il male, perché anche Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio; messo a morte nel corpo, ma reso vivo nello spirito.
1Pt 3,15-18

In questo brano Pietro, dopo aver tratteggiato nei capitoli precedenti l’atteggiamento cristiano riguardo ai pagani e alle autorità, la situazione degli schiavi e degli sposi, e le relazioni interpersonali tra cristiani, ora parla della condotta cristiana di fronte alla persecuzione che non può non suscitare paura e sgomento, ma che di fronte ad essa il credente deve assumere un atteggiamento positivo:
“adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi.”
I cristiani sono chiamati nei momenti di sconforto e di paura di mantenere fermo il rapporto con Cristo, di stringersi sempre di più a Lui, qualunque cosa accada, anzi essi devono mantenersi sempre pronti a spiegare agli altri in cosa consista la loro fede e la loro speranza. I primi cristiani venivano infatti portati in tribunale e chiamati a spiegare in cosa consistesse la loro fede e dare la risposta giusta alle domande che venivano loro fatte.
Ma l’Apostolo precisa: “Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché, nel momento stesso in cui si parla male di voi, rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo”
La testimonianza di Cristo, i cristiani la devono rendere con un atteggiamento di dolcezza, di rispetto e di “retta coscienza”, cioè determinato da un’intenzione buona, senza secondi fini. Questo è l’unico atteggiamento in grado di sconfessare quanti mettono in dubbio la rettitudine del loro comportamento “in Cristo”, cioè della loro vita cristiana.
«Se questa infatti è la volontà di Dio, è meglio soffrire operando il bene che facendo il male, perché anche Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio; messo a morte nel corpo, ma reso vivo nello spirito.
È importante che alle parole corrispondano le opere, le quali sono più convincenti. Se poi, nonostante tutto, non si è compresi e si viene persino fatti oggetto di maltrattamenti, non bisogna sentirsi delusi perché, dovendo comunque soffrire, è meglio che ciò avvenga avendo fatto il bene piuttosto che il male. Questo insegnamento è uno dei più caratteristici del cristianesimo ma va compreso correttamente. La sofferenza non è da cercare, ma può essere accettata anche quando non si è fatto niente di male «anche gli innocenti sono chiamati a prestare il loro contributo di sofferenza» come disse un grande filosofo .
L’apostolo si preoccupa che i cristiani non cadano in un’autodifesa che a volte potrebbe essere arrogante e aggressiva, che li metterebbe sullo stesso piano dei loro avversari. I veri cristiani devono saper evitare ogni tipo di violenza, anche solo verbale. In loro non deve esserci alcun senso di ritorsione, anzi devono imparare da Cristo che, soffrendo senza avere fatto nulla di male, possono collaborare con Lui nella Sua lotta contro il peccato e aprire agli altri la via verso Dio.
In questa prospettiva anche la sofferenza più grande, come quella della morte, non è poi così terribile, perché riguarda, come per Cristo, soltanto il corpo fisico, mentre in realtà rappresenta una vittoria dello Spirito sul potere del male.

Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi.
Non vi lascerò orfani: verrò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi.
Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui».
Gv 14, 15-21

Questa brano del Vangelo di Giovanni fa seguito a quella della scorsa domenica. Ci troviamo nel discorso che Gesù fa nell'Ultima Cena, aveva parlato della Trinità presentando le prime due persone, ora presenta la terza: lo Spirito Santo..
Il brano inizia con una dichiarazione di Gesù sull'amore che i discepoli gli portano:
“Se mi amate, osserverete i miei comandamenti”. Nel vangelo di Giovanni fino a questo punto Gesù non aveva mai parlato di comandamenti che i discepoli dovevano osservare, ma del "comandamento" che Egli stesso aveva ricevuto dal Padre Suo: “dare la vita per poi riprenderla e parlare secondo quanto il Padre gli ha comandato di dire ed esprimere” (Gv 10,18).
“io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi.”
Gesù nel Suo discorso di addio, annuncia in diverse riprese la venuta dello Spirito Santo, un altro Paràclito, cioè un "Avvocato difensore" che assisterà, proteggerà i discepoli. E’ ”un altro" rispetto a Gesù, che rimane comunque il primo "Paràclito". Colui che il Padre sta per donare continuerà l'opera di Gesù, sarà come "un altro Gesù", in relazione strettissima con Lui. Una persona che appare chiaramente distinta dal Padre e da Gesù: lo Spirito della verità. Lo "Spirito" (cioè l'alito vitale di Dio e di Suo Figlio, il loro respiro, la loro forza infinita d'amore) con la Sua azione interiore farà capire, comprendere e assimilare la rivelazione di Gesù. In tal modo "difenderà" e rafforzerà la loro fede. Il "mondo" (cioè gli uomini che si ostinano nel rifiutare la rivelazione di Gesù) "non lo può ricevere". Ma per i discepoli è una Persona amica, è Persona-amore, è Persona-dono d’amore, è inseparabile (rimane con voi sempre), vicina e in relazione continua con loro (rimane presso di voi), presente dentro di essi (sarà in voi) quale radice e fonte del loro credere e del loro amare.
“Non vi lascerò orfani: verrò da voi”.
Davvero i nostri bisogni affettivi nessuno li ha mai conosciuti e presi sul serio come Gesù! Giovanni ribadisce perciò il ruolo prevalente del Figlio glorificato, a cui rimane subordinata l'attività dello Spirito. Il termine “orfani” ricorda la morte di Gesù, ma i discepoli non resteranno abbandonati: “verrò da voi”, dice Gesù. E’ un futuro-presente che indica una venuta costante di Gesù nel corso dei secoli. Ma indica anche la venuta di Gesù che avverrà in un giorno ben preciso, nel giorno della risurrezione, ma anche nel giorno della Parusia, il Suo ritorno definitivo alla fine dei tempi.
“Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete”.
Gesù annuncia “io vivo e voi vivrete", riferendosi agli incontri che avrà con i discepoli dopo la risurrezione e confermando che la prospettiva è quella della vittoria sulla morte.
“In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi”.
Da quel giorno i discepoli conosceranno in verità chi era Gesù di Nazareth: il Figlio uno con il Padre, e scopriranno che cosa significa per loro credere in Lui.
“Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui”.
L'esortazione di Gesù ad osservare i Suoi comandamenti chiude questo brano di Vangelo così come l'aveva aperto. Amare, osservare i comandamenti è la condizione affinché Gesù si manifesti, e nell’osservanza della volontà di Dio, attraverso l’amore fraterno, saremo amati da Dio e da Gesù.
La vita di Dio è un flusso di amore nel quale, se accogliamo il Suo dono, possiamo essere coinvolti. Questo è ciò che dovremmo conoscere nell’ebbrezza dello Spirito e nella comunione con Cristo in ogni eucaristia che viviamo: una celebrazione dell’amore!

 

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LE PAROLE DI PAPA FRANCESCO

Il Vangelo di questa domenica presenta due messaggi: l’osservanza dei comandamenti e la promessa dello Spirito Santo.
Gesù lega l’amore per Lui all’osservanza dei comandamenti, e su questo insiste nel suo discorso di addio: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti» ; «Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama» . Gesù ci chiede di amarlo, ma spiega: questo amore non si esaurisce in un desiderio di Lui, o in un sentimento, no, richiede la disponibilità a seguire la sua strada, cioè la volontà del Padre. E questa si riassume nel comandamento dell’amore reciproco – il primo amore [nell’attuazione] –, dato da Gesù stesso: «Come io ho amato voi, così anche voi amatevi gli uni gli altri» . Non ha detto: “Amate me, come io ho amato voi”, ma “amatevi a vicenda come io vi ho amato”. Egli ci ama senza chiederci il contraccambio. È un amore gratuito quello di Gesù, mai ci chiede il contraccambio. E vuole che questo suo amore gratuito diventi la forma concreta della vita tra di noi: questa è la sua volontà.
Per aiutare i discepoli a camminare su questa strada, Gesù promette che pregherà il Padre di inviare «un altro Paraclito» , cioè un Consolatore, un Difensore che prenda il suo posto e dia loro l’intelligenza per ascoltare e il coraggio per osservare le sue parole. Questo è lo Spirito Santo, che è il Dono dell’amore di Dio che discende nel cuore del cristiano. Dopo che Gesù è morto e risorto, il suo amore è donato a quanti credono in Lui e sono battezzati nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Lo Spirito stesso li guida, li illumina, li rafforza, affinché ognuno possa camminare nella vita, anche attraverso avversità e difficoltà, nelle gioie e nei dolori, rimanendo nella strada di Gesù. Questo è possibile proprio mantenendosi docili allo Spirito Santo, affinché, con la sua presenza operante, possa non solo consolare ma trasformare i cuori, aprirli alla verità e all’amore.
Di fronte all’esperienza dell’errore e del peccato – che tutti facciamo –, lo Spirito Santo ci aiuta a non soccombere e ci fa cogliere e vivere pienamente il senso delle parole di Gesù: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti». I comandamenti non ci sono dati come una sorta di specchio, nel quale vedere riflesse le nostre miserie, le nostre incoerenze. No, non sono così. La Parola di Dio ci è data come Parola di vita, che trasforma il cuore, la vita, che rinnova, che non giudica per condannare, ma risana e ha come fine il perdono. La misericordia di Dio è così. Una Parola che è luce ai nostri passi. E tutto questo è opera dello Spirito Santo! Egli è il Dono di Dio, è Dio stesso, che ci aiuta ad essere persone libere, persone che vogliono e sanno amare, persone che hanno compreso che la vita è una missione per annunciare le meraviglie che il Signore compie in chi si fida di Lui.
La Vergine Maria, modello della Chiesa che sa ascoltare la Parola di Dio e accogliere il dono dello Spirito Santo, ci aiuti a vivere con gioia il Vangelo, nella consapevolezza di essere sorretti dallo Spirito, fuoco divino che riscalda i cuori e illumina i nostri passi.

Parte dell’Angelus del 17 maggio 2020

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Pro Memoria

L'umanità è una grande e  immensa famiglia ... Troviamo la dimostrazione di ciò da quello che ci sentiamo nei nostri cuori a Natale.
(Papa Giovanni XXIII)

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