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Elena Tasso

Elena Tasso

Lunedì, 10 Ottobre 2022 12:47

FESTA PARROCCHIALE 2022

Nella settimana dal 9 al 16 ottobre si terrà nella nostra comunità, la festa parrocchiale, in occasione del 176esimo anniversario della apparizione della Madonna a La Salette.
Il programma completo delle attività per ogni giornata, lo trovate nelle locandine di seguito.
Vi aspettiamo numerosi!

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Lunedì, 03 Ottobre 2022 19:00

Domenica - 2 ottobre 2022

Domenica prossima alle 11.30 si celebrerà il Sacramento della cresima ai nostri ragazzi. Per l'occasione sarà in mezzo a noi il Cardinal Vicario Angelo De Donatis. Al termine della celebrazione, due responsabili per ogni gruppo parrocchiale, sono invitati al pranzo comunitario, che si terrà nella sede della Bocciofila. Si chiede di comunicare il numero effettivo dei partecipanti al parroco entro giovedì prossimo.

Sabato prossimo 8 ottobre dalle 16.00 ci sarà : Messa per la pace, proiezione e presentazione cortometraggio 'Mi passi un po' di pace?', scritto da Elena Tasso

-Sempre da domenica prossima, 9 ottobre, comincerà una settimana di festa in occasione del 176esimo anniversario della Madonna della Salette. Sarà una settimana di iniziative liturgiche e pastorali, a cui vi invitiamo a partecipare. Il 15 ottobre alle 17.00 ci sarà proiezione del cortometraggio 'Mi passi un po' di pace?' e incontro con Elena Tasso e Giancarlo Mici. La festa culminerà nella giornata di domenica 16 ottobre, con la processione per le vie del quartiere e la festa con gli stand gastronomici culturali nel piazzale parrocchiale. Il programma completo della festa, lo trovate nelle bacheche in fondo alla chiesa.


Da questa domenica riprende l'animazione domenicale in Oratorio dalle 11.15 alle 12.30. Gli animatori, questa domenica, vi aspettano con la tradizionale colazione e con i tornei sportivi.

Locandina Salette 8 Ottobre

Venite! Siete tutti invitati sabato 8 OTTOBRE 2022, dalle ore 16, presso la PARROCCHIA DI NOSTRA SIGNORA DE LA SALETTE a Roma. Uniti tutti per la pace, preghiamo! Ognuno dia il suo contributo per rendere il mondo migliore

L’evento si svolgerà:
- SANTA MESSA PER LA PACE, presieduta dal parroco Padre ADRIANO ELIAS, M.S.
- PROIEZIONE E PRESENTAZIONE del cortometraggio con la partecipazione del cast: MARIANO RIGILLO, ANNA TERESA ROSSINI, SILVIA SIRAVO, PIERRE BRESOLIN, GIANCARLO MICI, ELENA TASSO, FRANCESCA DI MEGLIO.
- TESTIMONIANZE DI PACE ospiti: RICCARDO ROSSI, missionario coniugato e giornalista e Ufficiale della Riserva Col. CARLO CETTEO CIPRIANI, storico.
- ESPOSIZIONE DEI DISEGNI DI PACE, a cura di Maryam Pezeshki.

Ideato come semplice veicolo di pace tra i popoli, alla luce del conflitto tra Russia e Ucraina, il cortometraggio è stato ispirato dalle parole del Santo Padre Papa Francesco.

E’ stato ideato da ELENA TASSO e prodotto da MARIA PAOLA MIGLIASSI per Saint Production s.r.l. in collaborazione con M.P.M. Management Productions s.r.l.


Protagonista del video è l’attrice SILVIA SIRAVO, nella parte di una ragazza che fugge da una situazione d'oppressione e sofferenza. Durante il cammino per la sua salvezza, incontra alcuni personaggi che, con un simbolo, aiutano la giovane a ricercare la pace, accogliendola ed ospitandola all'interno di un paese. Questi simboli vengono ritratti dalla giovane, che si rivelerà una disegnatrice, componendo alla fine un unico grande messaggio di pace.


Le immagini sono commentate dalle letture, tratte dall’ “Atto di Consacrazione al Cuore Immacolato di Maria”, dal Messaggio “Urbi et Orbi” del 17 Aprile 2022, dall’Omelia della “Messa della Divina Misericordia” del 24 Aprile 2022, tutte redatte e pronunciate dal Santo Padre PAPA FRANCESCO, e da una preghiera dell’autrice.


Le voci commentatrici, oltre quella della protagonista, sono degli attori MARIANO RIGILLO e ANNA TERESA ROSSINI. Nel corto partecipano anche gli attori MARCO PROSPERINI e PIERRE BRESOLIN e parte della Proloco Dott. Tullio De Sanctis A.P.S. e del Centro Sociale Anziani di Collepardo A.P.S. La regia è di GIANCARLO MICI, anche produttore esecutivo e autore della canzone “Un quadro di pace”, interpretata da FRANCESCA DI MEGLIO e registrata nello studio SUONOMATICA di Frosinone, colonna sonora del cortometraggio, e di WALTER CULICELLI che ha curato anche le riprese e la fotografia. I ritratti dei simboli di pace sono stati realizzati da MARYAM PEZESHKI.


Il video è stato realizzato sotto l’egida del MINISTERO DELLA CULTURA, DIREZIONE REGIONALE MUSEI LAZIO, della REGIONE LAZIO, di LAZIOCREA S.p.A., del COMUNE DI COLLEPARDO e della LIBRERIA EDITRICE VATICANA - DICASTERO PER LA COMUNICAZIONE. Le località principali delle riprese sono la Certosa di Trisulti e il paese di Collepardo, in provincia di Frosinone.


Dal 9 ottobre 2022 il corto è fruibile gratuitamente al pubblico attraverso la piattaforma YOUTUBE sul link: https://youtu.be/Z3R0zVpH4D4
oppure sul sito: http://www.saintproduction.it/Pace.html


La canzone “Un quadro di pace” è fruibile su tutte le piattaforme musicali digitali.
“MI PASSI UN PO’ DI PACE?” è in concorso per il Premio DAVID DI DONATELLO 2023.


E’ stato presentato in anteprima al Santo Padre PAPA FRANCESCO nell’udienza generale del 21 settembre a Piazza San Pietro in Vaticano

 

Papa1

© Vatican Media in concessione a Saint Production s.r.l.

 

Mi passi un po di pace


© Saint Production s.r.l.

 

Altre foto qui sotto in galleria

Le letture liturgiche di questa domenica ci portano a confrontare la ricchezza umana e la carità divina e capire che il regno di Dio capovolge i valori del mondo. C’è un detto rabbinico che dice: “Com’è facile per un uomo povero confidare in Dio ed essere da Lui accolto! Com’è difficile per un ricco confidare in Dio. Tutti i suoi beni gli gridano: Confida in me!”
Nella prima lettura, il profeta Amos, colpisce con sarcasmo le vergogne delle alte classi di Samaria, la capitale del regno settentrionale di Israele. Il lusso ostentato e la corruzione sono un oltraggio a chi soffre, e attirano castigo e rovina “gli spensierati di Sion”
Nella seconda lettura, l’apostolo Paolo concludendo la sua prima lettera a Timoteo, esorta a combattere la buona battaglia della fede e a perseverare nella speranza e nella carità con animo sereno e forte.
Nel Vangelo di Luca, viene proposta una celebre parabola, l’unica di Gesù ad avere un personaggio con un nome proprio, Lazzaro, che in ebraico vuol dire:” Dio aiuta”. La parabola sottolinea l’importanza del buon uso delle ricchezze e della premura verso i bisognosi. Insegna che con la morte c’è il giudizio personale, che non potrà più essere modificato.

Dal libro del profeta Amos
Guai agli spensierati di Sion
e a quelli che si considerano sicuri
sulla montagna di Samaria!
Distesi su letti d’avorio e sdraiati sui loro divani
mangiano gli agnelli del gregge
e i vitelli cresciuti nella stalla.
Canterellano al suono dell’arpa,
come Davide improvvisano su strumenti musicali;
bevono il vino in larghe coppe
e si ungono con gli unguenti più raffinati,
ma della rovina di Giuseppe non si preoccupano.
Perciò ora andranno in esilio in testa ai deportati
e cesserà l’orgia dei dissoluti.
Am 6,1a.4-7


Nel libro di Amos, ci sono una serie di oracoli contro Israele e in questo brano il profeta denuncia le colpe di un gruppo privilegiato, i notabili della “casa d'Israele”, ed inizia con questa esclamazione: “Guai agli spensierati di Sion e a quelli che si considerano sicuri sulla montagna di Samaria! “
L'espressione “spensierati di Sion” indica una categoria di persone che si trovano a loro agio, senza preoccupazione, e la loro sicurezza sta nel fatto che risiedono in Sion, cioè in Gerusalemme, dove si trova il tempio di DIO. La denunzia del profeta cade dunque su una certa categoria di abitanti sia del regno di Giuda che di quello di Israele.
Il primo rimprovero riguarda i festini a cui partecipano: “Distesi su letti d’avorio e sdraiati sui loro divani mangiano gli agnelli del gregge e i vitelli cresciuti nella stalla ”.
Si tratta dunque di persone che appartengono alle classi più abbienti e politicamente influenti, e la descrizione dei cibi fa pensare che essi li prendono direttamente dal meglio del gregge e della stalla. Oltre che sdraiarsi pigramente nei loro banchetti, coloro a cui si rivolge Amos “Canterellano al suono dell’arpa,come Davide improvvisano su strumenti musicali”. Infine le persone in questione: “bevono il vino in larghe coppe e si ungono con gli unguenti più raffinati, ma della rovina di Giuseppe non si preoccupano.”
Dopo la descrizione del comportamento dei benestanti in Sion e a Samaria, il profeta pronunzia la condanna: “Perciò ora andranno in esilio in testa ai deportati e cesserà l’orgia dei dissoluti.” Introdotta dal minaccioso “perciò” la conclusione è l'annunzio dell'esilio d'Israele. Gli esiliati che vanno in testa sono infatti”i notabili” mentre il popolo era probabilmente in buona parte risparmiato dall'esilio, per ragioni non certo umanitarie, ma pratiche ed economiche.
Il profeta critica dunque duramente la corruzione di una classe dirigente che trae vantaggio dalla propria posizione sociale (situazione sempre attuale anche ai nostri giorni). Ciò che al profeta sta a cuore non è tanto la giusta distribuzione del benessere economico, ma il senso di responsabilità che dovrebbero avere coloro che sono a capo di una nazione. Di fronte a questa superficialità dettata dall’egoismo, il profeta annunzia come castigo la conquista nemica e l’esilio. Quando questo evento capiterà, proprio loro saranno i primi a essere colpiti, ma sono stati loro stessi ad aver provocato la propria rovina.
Su questo sfondo il messaggio del profeta è un invito a cambiare mentalità e ad assumere fino in fondo le proprie responsabilità, un invito sempre vivo ed attuale.

Salmo 112 - Benedetto il Signore che rialza il povero.

Lodate, servi del Signore,
lodate il nome del Signore.
Sia benedetto il nome del Signore,
da ora e per sempre.

Su tutte le genti eccelso è il Signore,
più alta dei cieli è la sua gloria.
Chi è come il Signore, nostro Dio,
che siede nell’alto
e si china a guardare
sui cieli e sulla terra?

Solleva dalla polvere il debole,
dall’immondizia rialza il povero,
per farlo sedere tra i prìncipi,
tra i prìncipi del suo popolo.

Per due volte il salmo invita a lodare “il nome del Signore”, al cui confronto ogni altro nome è niente. Niente quello delle schiere angeliche; niente quello dei potenti della terra; meno di niente quello costruito attorno agli inesistenti dei: “Su tutte le genti eccelso è il Signore... Chi è come il Signore, nostro Dio...?”.
“Il nome del Signore”, significa la grandezza, la potenza, la maestà regale, la sua giustizia, ciò che egli è e che deve essere riconosciuto dagli uomini. La “sua gloria” è inarrivabile, immensa, mai oscurabile da alcuno: “Più alta dei cieli è la sua gloria”. Egli è l'Altissimo che “si china a guardare sui cieli (ndr. cioè la corte celeste) e sulla terra (ndr. cioè gli uomini). Egli agisce mirabilmente nella storia sollevando “dalla polvere il debole” e “dall'immondizia rialza il povero”. Il salmo guarda ai giudici, tratti dal popolo e innalzati tra i capi delle varie tribù di Israele.
Egli dà gioia alla sterile rendendola “madre gioiosa di figli”. Qui il salmo guarda a Rebecca (Gn 25,21, alla madre di Sansone (Gdc 13,2), ad Anna, la madre di Samuele (1sam 1,11). Con ciò sembrerebbe di poter collocare la composizione del salmo al tempo dei giudici, ma potrebbe essere stato composto anche dopo.
Il salmo ha un netto riferimento al cantico di Anna (1Sam 2,1s), per molte espressioni: “Non c'è santo come il Signore, perché non c'è altri all'infuori di te e non c'è roccia come il nostro Dio” (2,2); “La sterile ha partorito sette volte” (2,5); “Solleva dalla polvere il debole, dall'immondizia rialza il povero, per farli sedere con i nobili” (2,8).
Commento di P.Paolo Berti

Dalla prima lettera di S.Paolo apostolo a Timoteo
Figlio mio, raccomando, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio.
Questa è cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità.
Uno solo, infatti, è Dio e uno solo anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti.
Questa testimonianza egli l’ha data nei tempi stabiliti, e di essa io sono stato fatto messaggero e apostolo – dico la verità, non mentisco –, maestro dei pagani nella fede e nella verità.
Voglio dunque che in ogni luogo gli uomini preghino, alzando al cielo mani pure, senza collera e senza contese.
1Tm 2,1-8

Con questo brano, con il quale termina la 1^lettera a Timoteo, Paolo oppone all’ideale di vita dei falsi cristiani, (trattata nei versetti precedenti 6,3-10) l’elevatezza morale dei veri discepoli di Cristo, che Timoteo, come vescovo, deve rendere palese con la propria vita.
E’ la prima esortazione che Paolo dà a Timoteo: “Tu, uomo di Dio, evita queste cose; tendi invece alla giustizia, alla pietà,alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza.” E’ una lista di sei virtù contrapposte ai vizi dei falsi maestri menzionati nel bravo precedente. Il primo abbinamento “giustizia-pietà” indica i rapporti corretti con Dio e con gli uomini. Seguono tre virtù strettamente collegate tra loro, la fede, la carità e la pazienza, che indica la capacità di resistere alle prove, la pazienza che, corrisponde alla speranza.
Con l'immagine sportiva della lotta si entra nella parte centrale e più originale della lettera:
“Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni”.
L’uomo di Dio, che può essere il responsabile della comunità, ma anche il semplice cristiano, deve affrontare con decisione incondizionata la gara o la lotta, come un autentico campione, anzitutto per raggiungere la meta alla quale è stato chiamato, cioè la vita eterna, inoltre deve essere coerente con gli impegni presi quando ha fatto la sua professione di fede, che diventa anche impegno di vita.
L’esortazione termina con un ordine drastico e tassativo:
Davanti a Dio, che dà vita a tutte le cose, e a Gesù Cristo, che ha dato la sua bella testimonianza davanti a Ponzio Pilato, ti ordino di conservare senza macchia e in modo irreprensibile il comandamento, fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo … .
Paolo qui ha inserito un frammento del credo primitivo dentro la cornice dell'esortazione e ciò gli permette di esortare con maggiore intensità il discepolo davanti al Dio che dà la vita e a Gesù Cristo.
Prima di terminare la lettera, Paolo fa un ritratto del ricco cristiano (brano non inserito nella liturgia), ma che è bene meditarlo per il profondo insegnamento che lascia:
“Ai ricchi in questo mondo raccomanda di non essere orgogliosi, di non riporre la speranza sull’incertezza delle ricchezze, ma in Dio, che tutto ci dà con abbondanza perché ne possiamo godere; di fare del bene, di arricchirsi di opere buone, di essere pronti a dare, di essere generosi, mettendosi così da parte un buon capitale per il futuro, per acquistarsi la vita vera. 1Tm 6, 17-19

Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ai farisei:
C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo,e Lazzaro accanto a lui.
Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”.
Ma Abramo rispose: “Figlio, ricordati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”.
E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”.
Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».
Lc 16,19-31

Dopo la parabola dell’amministratore scaltro di domenica scorsa, oggi ci viene proposta una seconda parabola di Gesù sull’uso della ricchezza, contenuta sempre nel capitolo 16 del vangelo secondo Luca: la parabola del ricco e del povero Lazzaro, conosciuta anche come del “ricco epulone”.
Il racconto, che è riportato solamente da Luca, inizia con la presentazione dei due protagonisti: “C’era un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente … Si tratta quindi di una persona che ha molti soldi e si serve dei suoi beni per godersi la vita, senza pensare ad altro. Non si dice il nome del ricco: ciò significa che egli non ha una personalità, ma è solo un tipo che ama mangiare e spassarsela.
Luca poi presenta il secondo personaggio: “Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe”.
Si tratta dunque di un povero, che vive chiedendo l’elemosina: alla povertà si unisce dunque la vergogna della dipendenza dalla pietà degli altri. Diversamente da quando avviene per il ricco, del povero viene detto il nome, “Lazzaro”, che significa “Dio aiuta”. Mediante il nome si mette quindi in luce non solo l’importanza di questa persona, ma anche il fatto che Dio non si dimentica dei miseri ma si prenda cura di loro. Di Lazzaro si dice semplicemente che giace presso l’atrio del ricco, è coperto di piaghe e desidera saziarsi di ciò che cade dalla sua tavola. Il dettaglio dei cani che leccano le sue piaghe non vuole dire che il sollievo a lui negato dagli uomini gli viene prestato dagli animali, ma piuttosto che anche gli animali riescono a mostrare attenzione alla la sua sofferenza. Il confronto tra questi due personaggi tende a presentare il primo come uno che, al di là delle modalità con cui si è procurato le sue ricchezze, è un egoista, tutto dedito al godimento dei suoi beni, senza alcun interesse per chi è nel bisogno. In contrasto con le esortazioni di Gesù riportate precedentemente, viene evidenziato che egli non invita certo i poveri alla sua tavola.
Contrariamente alle convinzioni del suo tempo, per Gesù la ricchezza non è dunque un segno della benevolenza di Dio e la povertà un castigo, ma viceversa è la povertà che attira su chi la subisce l’attenzione e l’aiuto di Dio.
Dopo aver delineato i personaggi, Gesù racconta che cosa capita loro:
Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo,e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”.
Mentre dunque Lazzaro, alla sua morte, viene portato dagli angeli, cioè per un intervento diretto di Dio, nel luogo in cui risiedono i padri di Israele ed è reso partecipe con Abramo della loro beatitudine, il ricco va semplicemente a finire sotto terra, magari dopo un sontuoso funerale
L’Ade (she’ol per gli ebrei), dove va a finire il ricco, è la dimora dei morti, solitamente concepita come un luogo sotterraneo dove costoro conducono una vita amorfa, priva d’ogni gioia (Is 14,8-11); qui invece con questo termine viene designata la “geenna”, il luogo in cui gli empi sono afflitti da orribili tormenti (Is 66,24; Sir 21,9-10). La situazione del ricco appare tanto più drammatica in quanto egli ha la possibilità di vedere Abramo e Lazzaro nel suo seno, ma mentre Lazzaro stava in silenzio alla porta della sua casa, il ricco si rivolge ad Abramo: e gli chiede di inviare Lazzaro per portargli anche solo una goccia d’acqua per rinfrescargli la lingua.. Ma Abramo rispose: “Figlio, ricordati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. Chiamandolo “figlio”, Abramo riconosce il ricco come suo discendente, membro del popolo eletto, ma gli dichiara l’assoluta impossibilità di portargli soccorso: non basta essere figli di Abramo per ottenere la salvezza. Il ricco ha ricevuto in vita i suoi beni e Lazzaro i suoi mali. Ora la situazione si è capovolta: adesso Lazzaro è consolato ed egli è torturato. A questo punto il ricco replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”.
Questa parabola potrebbe anche venire interpretata come un invito ai poveri a sopportare passivamente la loro situazione in vista di un premio nell’aldilà, invece riguarda il buon uso dei beni di questo mondo nella prospettiva del regno di Dio. Mentre l’amministratore infedele era stato additato come modello per aver saputo farsi amici con l’ingiusta ricchezza, il ricco di questa parabola è l’esempio di chi ne usa nel modo più sbagliato. Egli non è condannato in quanto ricco, ma perché si è mostrato insensibile verso il prossimo. Nella parabola non si esalta la povertà, come se fosse il biglietto d’ingresso nel regno dei cieli, ma si raccomanda ai ricchi di farsi carico fraternamente dei poveri e dei sofferenti, pena il loro fallimento non solo come credenti, ma anche come esseri umani.
Con questa parabola Gesù intende anche sottolineare la validità dell’AT (Legge e Profeti). Gesù non ha mai inteso mettere in discussione la legge, ma semplicemente l’ha portata a compimento, dando con le Sue parole e la Sua vita una chiave di lettura molto precisa. Egli ha insegnato ad andare al cuore della legge, mettendo in secondo piano tutto ciò che non ha riferimento diretto con l’amore.
Raccontando la parabola ai cristiani del suo tempo, Luca propone loro uno spunto di riflessione sulla propria fede: essi devono credere alle parole di Gesù non solo perché egli è risuscitato dai morti, ma perché, sia in vita che in morte, è stato fedele fino in fondo alla volontà di Dio contenuta nelle Scritture.

 

*****

“Desidero soffermarmi con voi oggi sulla parabola dell’uomo ricco e del povero Lazzaro. La vita di queste due persone sembra scorrere su binari paralleli: le loro condizioni di vita sono opposte e del tutto non comunicanti. Il portone di casa del ricco è sempre chiuso al povero, che giace lì fuori, cercando di mangiare qualche avanzo della mensa del ricco. Questi indossa vesti di lusso, mentre Lazzaro è coperto di piaghe; il ricco ogni giorno banchetta lautamente, mentre Lazzaro muore di fame. Solo i cani si prendono cura di lui, e vengono a leccare le sue piaghe. Questa scena ricorda il duro rimprovero del Figlio dell’uomo nel giudizio finale: «Ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero […] nudo e non mi avete vestito» (Mt25,42-43). Lazzaro rappresenta bene il grido silenzioso dei poveri di tutti i tempi e la contraddizione di un mondo in cui immense ricchezze e risorse sono nelle mani di pochi.
Gesù dice che un giorno quell’uomo ricco morì: i poveri e i ricchi muoiono, hanno lo stesso destino, come tutti noi, non ci sono eccezioni a questo. E allora quell’uomo si rivolse ad Abramo supplicandolo con l’appellativo di “padre”. Rivendica perciò di essere suo figlio, appartenente al popolo di Dio. Eppure in vita non ha mostrato alcuna considerazione verso Dio, anzi ha fatto di sé stesso il centro di tutto, chiuso nel suo mondo di lusso e di spreco. Escludendo Lazzaro, non ha tenuto in alcun conto né il Signore, né la sua legge. Ignorare il povero è disprezzare Dio! Questo dobbiamo impararlo bene: ignorare il povero è disprezzare Dio. C’è un particolare nella parabola che va notato: il ricco non ha un nome, ma soltanto l’aggettivo: “il ricco”; mentre quello del povero è ripetuto cinque volte, e “Lazzaro” significa “Dio aiuta”. Lazzaro, che giace davanti alla porta, è un richiamo vivente al ricco per ricordarsi di Dio, ma il ricco non accoglie tale richiamo. Sarà condannato pertanto non per le sue ricchezze, ma per essere stato incapace di sentire compassione per Lazzaro e di soccorrerlo.
Nella seconda parte della parabola, ritroviamo Lazzaro e il ricco dopo la loro morte . Nell’al di là la situazione si è rovesciata: il povero Lazzaro è portato dagli angeli in cielo presso Abramo, il ricco invece precipita tra i tormenti. Allora il ricco «alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui». Egli sembra vedere Lazzaro per la prima volta, ma le sue parole lo tradiscono: «Padre Abramo – dice – abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma». Adesso il ricco riconosce Lazzaro e gli chiede aiuto, mentre in vita faceva finta di non vederlo. - Quante volte tanta gente fa finta di non vedere i poveri! Per loro i poveri non esistono - Prima gli negava pure gli avanzi della sua tavola, e ora vorrebbe che gli portasse da bere! Crede ancora di poter accampare diritti per la sua precedente condizione sociale. Dichiarando impossibile esaudire la sua richiesta, Abramo in persona offre la chiave di tutto il racconto: egli spiega che beni e mali sono stati distribuiti in modo da compensare l’ingiustizia terrena, e la porta che separava in vita il ricco dal povero, si è trasformata in «un grande abisso». Finché Lazzaro stava sotto casa sua, per il ricco c’era la possibilità di salvezza, spalancare la porta, aiutare Lazzaro, ma ora che entrambi sono morti, la situazione è diventata irreparabile. Dio non è mai chiamato direttamente in causa, ma la parabola mette chiaramente in guardia: la misericordia di Dio verso di noi è legata alla nostra misericordia verso il prossimo; quando manca questa, anche quella non trova spazio nel nostro cuore chiuso, non può entrare. Se io non spalanco la porta del mio cuore al povero, quella porta rimane chiusa. Anche per Dio. E questo è terribile.
A questo punto, il ricco pensa ai suoi fratelli, che rischiano di fare la stessa fine, e chiede che Lazzaro possa tornare nel mondo ad ammonirli. Ma Abramo replica: «Hanno Mosè e i profeti, ascoltino loro». Per convertirci, non dobbiamo aspettare eventi prodigiosi, ma aprire il cuore alla Parola di Dio, che ci chiama ad amare Dio e il prossimo. La Parola di Dio può far rivivere un cuore inaridito e guarirlo dalla sua cecità. Il ricco conosceva la Parola di Dio, ma non l’ha lasciata entrare nel cuore, non l’ha ascoltata, perciò è stato incapace di aprire gli occhi e di avere compassione del povero. Nessun messaggero e nessun messaggio potranno sostituire i poveri che incontriamo nel cammino, perché in essi ci viene incontro Gesù stesso: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40), dice Gesù. Così nel rovesciamento delle sorti che la parabola descrive è nascosto il mistero della nostra salvezza, in cui Cristo unisce la povertà alla misericordia. “
Papa Francesco Udienza Generale del 18 maggio 2016

Le letture liturgiche di questa domenica ci insegnano quale uso deve fare il cristiano della propria ricchezza per poterne disporre con saggezza e generoso distacco tenendo sempre presente che il denaro è un mezzo e non un fine.
Nella prima lettura, il profeta Amos, “ex coltivatore di sicomori” denuncia con forza e coraggio i notabili del paese sfruttatori dei miseri. Questi oppressori – politici corrotti – sono ritratti proprio mentre stanno escogitando le loro infami macchinazioni.
Nella seconda lettura, l’apostolo Paolo continuando a scrivere a Timoteo, afferma che è compito del responsabile della comunità cristiana animare e presiedere la preghiera liturgica. E’ nella volontà di Dio – afferma l’apostolo – che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità, e cioè nell’accoglienza dell’unico mediatore tra Dio e gli uomini: Cristo Gesù.
Nel Vangelo di Luca, viene proposta una parabola un po’ originale quella di un amministratore scorretto che fu accusato dal suo padrone di sperperare i suoi averi. L’uomo prima di essere licenziato agisce con scaltrezza procurandosi con i beni terreni la sicurezza di un futuro più sicuro. Il padrone riconosce la scaltrezza del suo amministraoree e loda, non la disonestà, ma l’abilità nel maneggiare il denaro. Gesù commenta: “I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce”. E aggiunge “Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne.” . Il cristiano non è chiamato a cedere senza alcun senso i beni materiali che possiede, ma a servirsene in funzione di un bene più grande che è il regno di Dio.

Dal libro del profeta Amos
Il Signore mi disse:
Ascoltate questo,
voi che calpestate il povero
e sterminate gli umili del paese,
voi che dite: "Quando sarà passato il novilunio
e si potrà vendere il grano?
E il sabato, perché si possa smerciare il frumento,
diminuendo l’efa e aumentando il siclo
e usando bilance false,
per comprare con denaro gli indigenti
e il povero per un paio di sandali?
Venderemo anche lo scarto del grano".
Il Signore lo giura per il vanto di Giacobbe:
certo non dimenticherò mai tutte le loro opere.
Am 8,4-7

Amos è stato uno dei profeti minori di Israele. Era nato in un villaggio non lontano da Betlemme e visse al tempo di Geroboamo II re di Israle (783-743 a.C). Era un semplice contadino-mandriano, e fu chiamato improvvisamente dal Signore mentre seguiva il gregge, come egli stesso lo racconta nel suo Libro (v.7,14-15) . Gli fu affidata la missione di predicare nei due regni e di ammonire il popolo e denunciare un culto corrotto e ridotto a pura esteriorità, in un tempo in cui la prosperità cresceva nel regno di Israele. In particolare fece pressioni sui sacerdoti e sui potenti che con la loro astuzia camuffavano abilmente le ingiustizie contro i poveri. Le sue predicazioni contro i costumi del tempo gli procurarono forti inimicizie, visto che fu anche espulso dalla città di Betel dal re Geroboamo su istigazione del sacerdote Amasia. Molti sono i passi nel suo libro dove si ammonisce il ricco e dove si condanna la religiosità esteriore. Le sue profezie di sventura per una mancata conversione troveranno compimento nell'abbattimento del regno del nord da parte degli Assiri e nella conseguente deportazione del popolo di Israele e dei suoi notabili nel 722 a.C.
E’ impressionante come descrive al cap.5 il giorno del Signore: “Guai a coloro che attendono il giorno del Signore! Che sarà per voi il giorno del Signore? Sarà tenebre e non luce. Come quando uno fugge davanti al leone e s’imbatte in un orso; entra in casa, appoggia la mano sul muro e un serpente lo morde. Non sarà forse tenebra e non luce il giorno del Signore,e oscurità senza splendore alcuno? (Am 5,18-20)
Il brano che la liturgia ci propone, inizia con una esortazione: “Ascoltate questo, voi che calpestate il povero e sterminate gli umili del paese,… I destinatari dell’esortazione sono coloro che “calpestano i poveri” e “gli umili del paese” i quali, a causa della loro situazione sociale, non riescono a far valere i loro diritti.
Il profeta riporta i discorsi degli oppressori “Quando sarà passato il novilunio e si potrà vendere il grano? E il sabato, perché si possa smerciare il frumento, diminuendo l’efa e aumentando il siclo e usando bilance false, per comprare con denaro gli indigenti e il povero per un paio di sandali? Venderemo anche lo scarto del grano“. In questi versetti (sempre attuali anche ai giorni nostri) si può avere un’idea di come si possano attuare delle operazioni disoneste per arrivare a guadagnare sempre di più, non solo ma c’è anche la denuncia di coloro che si approfittano dei riti religiosi e sopportano con insofferenza i giorni liturgici del riposo come la festa mensile del novilunio o quella settimanale del sabato perché spezzano il ritmo frenetico dei loro affari.
Ma il punto più vergognoso è che sul mercato di Samaria i poveri sono oggetto di trattativa economica per la loro riduzione in schiavitù e il loro prezzo non supera quello di un paio di sandali!
Il profeta ora riporta il giuramento finale di Dio o «certo non dimenticherò mai tutte le loro opere».
Dio non vuole qualcosa per se stesso, ma tutto quello che Gli è offerto deve servire al bene di tutti.
All’origine di questa preoccupazione tipica dei profeti sta l’esperienza dell’alleanza, dalla quale scaturisce un rapporto comunitario fondato sulla fede nell’unico Dio, che esige non solo che ai più poveri sia data la garanzia di ottenere i mezzi che sono necessari per la loro sopravvivenza, ma anche che sia difesa la loro libertà e la possibilità di condividere con gli altri i beni che Dio ha messo a disposizione del suo

Salmo 112 - Benedetto il Signore che rialza il povero.

Lodate, servi del Signore,
lodate il nome del Signore.
Sia benedetto il nome del Signore,
da ora e per sempre.

Su tutte le genti eccelso è il Signore,
più alta dei cieli è la sua gloria.
Chi è come il Signore, nostro Dio,
che siede nell’alto
e si china a guardare
sui cieli e sulla terra?

Solleva dalla polvere il debole,
dall’immondizia rialza il povero,
per farlo sedere tra i prìncipi,
tra i prìncipi del suo popolo.

Per due volte il salmo invita a lodare “il nome del Signore”, al cui confronto ogni altro nome è niente. Niente quello delle schiere angeliche; niente quello dei potenti della terra; meno di niente quello costruito attorno agli inesistenti dei: “Su tutte le genti eccelso è il Signore... Chi è come il Signore, nostro Dio...?”.
“Il nome del Signore”, significa la grandezza, la potenza, la maestà regale, la sua giustizia, ciò che egli è e che deve essere riconosciuto dagli uomini. La “sua gloria” è inarrivabile, immensa, mai oscurabile da alcuno: “Più alta dei cieli è la sua gloria”. Egli è l'Altissimo che “si china a guardare sui cieli (ndr. cioè la corte celeste) e sulla terra (ndr. cioè gli uomini). Egli agisce mirabilmente nella storia sollevando “dalla polvere il debole” e “dall'immondizia rialza il povero”. Il salmo guarda ai giudici, tratti dal popolo e innalzati tra i capi delle varie tribù di Israele.
Egli dà gioia alla sterile rendendola “madre gioiosa di figli”. Qui il salmo guarda a Rebecca (Gn 25,21, alla madre di Sansone (Gdc 13,2), ad Anna, la madre di Samuele (1sam 1,11). Con ciò sembrerebbe di poter collocare la composizione del salmo al tempo dei giudici, ma potrebbe essere stato composto anche dopo.
Il salmo ha un netto riferimento al cantico di Anna (1Sam 2,1s), per molte espressioni: “Non c'è santo come il Signore, perché non c'è altri all'infuori di te e non c'è roccia come il nostro Dio” (2,2); “La sterile ha partorito sette volte” (2,5); “Solleva dalla polvere il debole, dall'immondizia rialza il povero, per farli sedere con i nobili” (2,8).
Commento tratto da “Perfetta Letizia”

Dalla prima lettera di S.Paolo a Timoteo
Figlio mio, raccomando, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio.
Questa è cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità.
Uno solo, infatti, è Dio e uno solo anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti. Questa testimonianza egli l’ha data nei tempi stabiliti, e di essa io sono stato fatto messaggero e apostolo – dico la verità, non mentisco –, maestro dei pagani nella fede e nella verità.
Voglio dunque che in ogni luogo gli uomini preghino, alzando al cielo mani pure, senza collera e senza contese.
1Tm 2,1-8

Paolo continuando la sua lettera a Timoteo, dopo aver parlato della propria esperienza di peccatore perdonato e inviato ad annunciare il Vangelo, esorta Timoteo a perseverare nella fede e in questo capitolo esorta la comunità cristiana, di cui Timoteo è guida, alla preghiera .
“raccomando, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini”, Paolo comincia a dare disposizioni in particolare per preghiere fatte comunitariamente. La preghiera che lui consiglia ha un respiro universale perché se si è in grado di pregare per tutti, vuol dire che si è superato lo spirito di setta o di casta che forse poteva aver caratterizzato le comunità cristiane dei primi tempi.
Il Vangelo di Gesù è universale, è rivolto a tutte le genti e i veri cristiani sono chiamati a tener conto nella propria preghiera di tutti i popoli, di chiedere a Dio la salute e la prosperità per tutti, a ringraziare per i benefici che Dio ha donato anche agli altri.
“per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio”.
Certamente ci potrebbe stupire questa preghiera rivolta a Dio per coloro che stanno al potere. Il senso di questa preghiera ci viene chiarito nella seconda parte del versetto: “perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla”. La preghiera per l'autorità pubblica dunque ha lo scopo di ottenere la realizzazione dell'ordine, della prosperità e della pace. Sono i frutti del buon governo, il quale permette anche che ognuno possa avere una vita ”dedicata a Dio ”. Ciò che stupisce è che non si chiede la conversione dei rappresentanti del potere pagano, né un riconoscimento speciale per le comunità cristiane, ma bensì che sia salvaguardato il bene pubblico, nella tolleranza reciproca.
“Questa è cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità”.
Anche il Signore vuole che i cristiani vivano con serenità e pace la loro fede. Egli è venuto a portare la spada, nel senso che è necessario decidersi per Lui senza incertezze, ma poi non chiede che la vita cristiana sia una vita di conflitti continui. Egli vuole che tutti gli uomini siano salvati e questo si realizza attraverso una vita serena, che rende possibile una testimonianza coerente che possa attirare anche altri, ricercatori della verità, a ad abbracciare la fede cristiana.
“Uno solo, infatti, è Dio e uno solo anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù,”
Le esortazioni alla preghiera e a una vita sociale ordinata conducono ad una professione di fede (presa forse dalla liturgia della comunità). La novità di questa affermazione non è tanto nell'unicità di Dio, ma in quella che Gesù è mediatore tra Dio e gli uomini. Questo concetto si trova solo nella lettera agli Ebrei, (Eb 2,5) inserito nel nuovo patto.
La mediazione di Gesù ha la sua forza soprattutto nei confronti degli uomini, che Paolo lo sottolinea nei versetti seguenti:”che ha dato se stesso in riscatto per tutti.”
Paolo ci tiene a ricordare che questa “testimonianza egli (Cristo) l’ha data nei tempi stabiliti,” ossia è avvenuta in un momento storico ben preciso. C'è un chiaro riferimento al progetto di salvezza di Dio, che non ha lasciato niente al caso.
“e di essa io sono stato fatto messaggero e apostolo – dico la verità, non mentisco –, maestro dei pagani nella fede e nella verità”.
Nella realizzazione di questo progetto rientra anche il compito missionario di Paolo. Egli ci tiene a ricordare l'impegno che il Signore gli ha dato. I tre sostantivi sono molto importanti: “messaggero, apostolo, maestro dei pagani” preceduti dal solenne giuramento: “dico la verità.”
Voglio dunque che in ogni luogo gli uomini preghino, alzando al cielo mani pure, senza collera e senza contese.
Questa affermazione chiude il brano riprendendo le indicazioni sulla preghiera. Se prima si trattava soprattutto di una preghiera pubblica, ora le esortazioni riguardano qualsiasi momento di preghiera per ogni uomo. C'è anche un'indicazione "pratica", la preghiera con le mani alzate, che ritroviamo spesso nelle raffigurazioni delle catacombe. E' una preghiera che però va fatta con mani pure, cioè purificata da tutto ciò che rende l'uomo asservito alle passioni e non a Dio.

Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli:
«Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”. L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”. Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”.
Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce.
Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne. Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?
Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».
Lc 16 1-13

Siamo nella sezione del Vangelo di Luca riguardante il viaggio di Gesù a Gerusalemme. Gesù aveva iniziato con l’invito ad entrare per la porta stretta, poi c’è stato un invito sul discepolato e il racconto delle tre parabole della misericordia.
Il capitolo 16 Luca lo dedica al tema dell'uso della ricchezza. Prima Gesù si rivolge ai discepoli con la parabola dell'amministratore disonesto. Luca usa parole molto forti verso chi usa egoisticamente i propri beni; probabilmente la sua comunità aveva molte ricchezze e non riusciva a trovare un equilibrio tra i beni materiali e le esigenze del Vangelo.
Il brano inizia riportando ciò che Gesù dice ai suoi discepoli:
“Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi”.
La parabola ci presenta un uomo ricco che aveva un amministratore. Questa era una situazione normale nella civiltà palestinese di allora, a volte il sistema del latifondo era esteso in Galilea e spesso era in mano a degli stranieri.
Il fatto che dà l'avvio all'azione, è l'accusa fatta all'amministratore di sperperare i beni del padrone, che “Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”.
Non si dice niente sulla fondatezza e le motivazioni dell'accusa, non si dice se è stato disonesto o negligente, si sa solo che di colpo l'amministratore si trova nei guai, per cui viene destituito e deve rendere conto della sua gestione! Questa espressione ci ricorda un po‘ quanto dice l’evangelista Matteo sul giudizio finale (Mt 12,36-37).
“L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”.
L’uomo si rende conto immediatamente che lo aspetta il licenziamento ed allora escogita dei rimedi per risolvere i suoi guai. A tal fine chiama i debitori del suo padrone e riduce drasticamente l’ammontare del loro debito: “i cento barili d’olio”, diventano cinquanta; “le cento misure di grano”, sono ridotte a ottanta. Confida così nella gratitudine dei beneficati dopo che il suo padrone lo avrà allontanato.
Sorprende tutti la reazione del padrone “che lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza”. Il padrone loda, non la disonestà, ma l’abilità nel maneggiare il denaro perchè secondo l’uso allora tollerato in Palestina, l’amministratore aveva diritto a concedere prestiti con i beni del suo padrone e, poiché non era pagato, di compensarsi alterando l’importo del prestito sulla ricevuta, per poter usufruire, al tempo della restituzione, della differenza come di un avanzo che rappresentava il suo interesse.
Nel presente caso, qualche esperto fa notare che forse egli non aveva prestato in realtà che cinquanta barili d’olio e ottanta misure di grano: nell’adattare la ricevuta all’importo reale, l’amministratore scaltro si priva di un beneficio, per altro da usuraio, che aveva previsto. La sua “disonestà” non consiste dunque nella riduzione delle ricevute, la quale non è che una privazione dei suoi immediati interessi, abile manovra lodata dal suo padrone, ma nelle prevaricazioni precedenti che hanno causato il suo licenziamento.
Gesù continua commentando: “I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce”. Il comportamento dei credenti, chiamati "figli della luce“ viene messo a confronto con quello dei "figli di questo mondo" (cioè coloro che agiscono secondo i criteri in uso fra i non-credenti).
La sentenza vede nell'agire dell'amministratore un esempio di come la gente di questo mondo si comporta nei propri affari, ed esprime l'augurio che i credenti siano altrettanto abili nelle cose che riguardano il Regno di Dio e le esigenze del Vangelo.
“Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne”
Per l'evangelista Luca la vera interpretazione della parabola si legge in questo versetto, nel quale l'interesse si concentra sul buon uso della ricchezza, e raggiunge quindi una delle sue principali preoccupazioni Si tratta di un invito a sfruttare la ricchezza per farsi degli amici condividendola con i poveri. Alla morte, quando la ricchezza non sarà più di aiuto, questi poveri aiuteranno i loro benefattori ad entrare in cielo.
Seguono poi delle massime: “Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti”;
L'argomento cambia: non è più questione di dare la ricchezza ai poveri, ma di amministrarla bene, in riferimento al comportamento dell'amministratore della parabola ora giudicato negativamente. Il versetto prende dunque in considerazione l'agire riprovevole dell‘amministratore e vede nella sua disonestà il motivo del suo licenziamento. Però il contesto richiede di ampliare la visuale.
E' la scelta fondamentale di Dio senza compromessi che detta il comportamento da seguire nell'uso dei beni terreni. Allora, proprio la fedeltà o meno nell'uso della ricchezza che Dio ha affidato all'uomo risulta un esame adeguato della fedeltà a Dio.
“Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?”
Questi versetti sono l'applicazione della massima precedente, fatta in forma di doppia domanda. E’ un incoraggiamento a non dimenticare il vero bene che aspetta il discepolo quando raggiungerà il regno di Dio. Per ottenerlo però il discepolo deve dimostrarsi fedele nell'uso su questa terra dei beni materiali, che non consiste in proficui investimenti economici, ma nel donare i propri beni a chi è veramente nel bisogno.
“Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza”.
Si chiude il brano con una sentenza sapienziale che inizia come un proverbio: l'esperienza mostra che quando uno schiavo è a servizio di due padroni, egli immancabilmente finirà per servire l'uno meglio dell'altro.
L'incompatibilità non è tanto tra Dio e la ricchezza, ma nel cuore dell'uomo. E' il cuore, cioè le sue scelte fondamentali, che non deve essere diviso. Il pericolo della ricchezza è che l'uomo finisca con l‘amarla e allora sarà lei a diventare per lui un padrone esigente. Diceva bene Papa Leone XII (1823-1829) quando affermava: Il denaro è un ottimo servitore , ma un pessimo padrone .

****

La parabola contenuta nel Vangelo di questa domenica ha come protagonista un amministratore furbo e disonesto che, accusato di aver dilapidato i beni del padrone, sta per essere licenziato.
In questa situazione difficile, egli non recrimina, non cerca giustificazioni né si lascia scoraggiare, ma escogita una via d’uscita per assicurarsi un futuro tranquillo. Reagisce dapprima con lucidità, riconoscendo i propri limiti: «Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno» ; poi agisce con astuzia, derubando per l’ultima volta il suo padrone. Infatti, chiama i debitori e riduce i debiti che hanno nei confronti del padrone, per farseli amici ed essere poi da loro ricompensato. Questo è farsi amici con la corruzione e ottenere gratitudine con la corruzione, come purtroppo è consuetudine oggi.
Gesù presenta questo esempio non certo per esortare alla disonestà, ma alla scaltrezza. Infatti sottolinea: «Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza», cioè con quel misto di intelligenza e furbizia, che ti permette di superare situazioni difficili. La chiave di lettura di questo racconto sta nell’invito di Gesù alla fine della parabola: «Fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne». Sembra un po’ confuso, questo, ma non lo è: la “ricchezza disonesta” è il denaro – detto anche “sterco del diavolo” – e in generale i beni materiali.
La ricchezza può spingere a erigere muri, creare divisioni e discriminazioni. Gesù, al contrario, invita i suoi discepoli ad invertire la rotta: “Fatevi degli amici con la ricchezza”. È un invito a saper trasformare beni e ricchezze in relazioni, perché le persone valgono più delle cose e contano più delle ricchezze possedute. Nella vita, infatti, porta frutto non chi ha tante ricchezze, ma chi crea e mantiene vivi tanti legami, tante relazioni, tante amicizie attraverso le diverse “ricchezze”, cioè i diversi doni di cui Dio l’ha dotato. Ma Gesù indica anche la finalità ultima della sua esortazione: “Fatevi degli amici con la ricchezza, perché essi vi accolgano nelle dimore eterne”. Ad accoglierci in Paradiso, se saremo capaci di trasformare le ricchezze in strumenti di fraternità e di solidarietà, non ci sarà soltanto Dio, ma anche coloro con i quali abbiamo condiviso, amministrandolo bene, quanto il Signore ha messo nelle nostre mani.
Fratelli e sorelle, questa pagina evangelica fa risuonare in noi l’interrogativo dell’amministratore disonesto, cacciato dal padrone: «Che cosa farò, ora?» . Di fronte alle nostre mancanze, ai nostri fallimenti, Gesù ci assicura che siamo sempre in tempo per sanare con il bene il male compiuto. Chi ha causato lacrime, renda felice qualcuno; chi ha sottratto indebitamente, doni a chi è nel bisogno. Facendo così, saremo lodati dal Signore “perché abbiamo agito con scaltrezza”, cioè con la saggezza di chi si riconosce figlio di Dio e mette in gioco sé stesso per il Regno dei cieli.
La Vergine Santa ci aiuti ad essere scaltri nell’assicurarci non il successo mondano, ma la vita eterna, affinché al momento del giudizio finale le persone bisognose che abbiamo aiutato possano testimoniare che in loro abbiamo visto e servito il Signore."
Papa Francesco Parte dell’Angelus del 22 settembre 2019

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Pro Memoria

L'umanità è una grande e  immensa famiglia ... Troviamo la dimostrazione di ciò da quello che ci sentiamo nei nostri cuori a Natale.
(Papa Giovanni XXIII)

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