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S.Messe (settimana)
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KRZYZ

Elena Tasso

Elena Tasso

Con questa prima Domenica di Avvento si apre il nuovo anno liturgico che nelle sue varie tappe sarà unito dalla lettura del Vangelo di Marco che vuole proporci un viaggio dello spirito nella storia e nel mistero di Gesù, passando dall’oscurità alla luce.
La Liturgia di questa domenica ci presenta: Nella prima lettura, il profeta Isaia, che davanti alla desolazione del peccato, dell’ingiustizia e delle miserie che toccano il popolo, implora l’intervento di Dio chiedendogli di non lasciare andare in rovina la sua opera, ma di liberarla dall’oppressione del male.
Nella seconda lettura, l’apostolo Paolo, scrivendo ai Corinzi, ringrazia Dio delle grazie ricevute dalla giovane comunità di Corinto, ed è certo che lo stesso Dio, che ha arricchito i corinzi di tanti doni, li aiuterà ad essere saldi e irreprensibili sino alla fine.
Nel Vangelo di Marco, Gesù ci invita a vegliare, ma la nostra attesa non deve divenire un’attesa di paura perchè essa riguarda non tanto l’incontro con il Signore, ma l’eventualità di non trovarsi preparati quando questo incontro si realizzerà. La vigilanza deve avere come base la necessità di vivere quotidianamente secondo i valori del Vangelo, annunziati da Gesù.
L’Avvento è il tempo della vigilanza, Vegliare in obbedienza al pressante invito di Gesù comporta non cedere alla stanchezza e stare all’erta per non lasciarsi ingannare dalle seduzioni del mondo.

Dal libro del profeta Isaia
Tu, Signore, sei nostro padre,
da sempre ti chiami nostro redentore.
Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie
e lasci indurire il nostro cuore, così che non ti tema?
Ritorna per amore dei tuoi servi,
per amore delle tribù, tua eredità.
Se tu squarciassi i cieli e scendessi!
Davanti a te sussulterebbero i monti.
Quando tu compivi cose terribili che non attendevamo,
tu scendesti e davanti a te sussultarono i monti.
Mai si udì parlare da tempi lontani,
orecchio non ha sentito, occhio non ha visto
che un Dio, fuori di te, abbia fatto tanto per chi confida in lui.
Tu vai incontro a quelli che praticano con gioia la giustizia
e si ricordano delle tue vie.
Ecco, tu sei adirato perché abbiamo peccato
contro di te da lungo tempo e siamo stati ribelli.
Siamo divenuti tutti come una cosa impura,
e come panno immondo sono tutti i nostri atti di giustizia;
tutti siamo avvizziti come foglie,
le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento.
Nessuno invocava il tuo nome,
nessuno si risvegliava per stringersi a te;
perché tu avevi nascosto da noi il tuo volto,
ci avevi messo in balìa della nostra iniquità.
Ma, Signore, tu sei nostro padre;
noi siamo argilla e tu colui che ci plasma,
tutti noi siamo opera delle tue mani.
Is 63,16-17.19; 64,2-7

La terza parte del libro di Isaia (capitoli 56-66) contiene una raccolta di oracoli che, per lo stile e lo sfondo storico, sono attribuiti ad un anonimo profeta del postesilio, al quale perciò è stato dato il nome di Trito (Terzo) Isaia. Alcuni hanno ritenuto che egli fosse un discepolo del Deuteroisaia, mentre altri hanno pensato a un profeta vissuto più di un secolo dopo di lui. Il profeta si rivolge non più agli esiliati, ma ai giudei ritornati da Babilonia a Gerusalemme; il suo centro di interesse non è più il nuovo esodo, ma il ristabilimento delle istituzioni teocratiche, le quali sono minacciate non da agenti esterni, ma dalla infedeltà del popolo.
Il brano liturgico, che è una commovente e fiduciosa preghiera, una delle più belle dell’Antico Testamento, inizia con un’accorata invocazione:
“Tu, Signore, sei nostro padre, da sempre ti chiami nostro redentore. Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore, così che non ti tema? Ritorna per amore dei tuoi servi, per amore delle tribù, tua eredità”.
Il profeta si rivolge direttamente a Dio con accenti di grande intensità facendo proprio il grido di tutta la comunità. Dio qui viene invocato come “Padre” e “redentore” in ebraico “go’el”. Il termine “go’el” sta ad indicare il parente prossimo che interviene in soccorso di chi si trova in una situazione di grande pericolo o necessità. (Sia nel momento dell’uscita dall’Egitto, sia in quello del ritorno dall’esilio JHWH ha assunto nei confronti di Israele il ruolo del go’el, liberandolo e acquistandolo per sé con le sue azioni prodigiose).
Il profeta nello stesso tempo rivolge a Dio un velato rimprovero: se Dio è padre e redentore, perché lascia che il suo popolo cammini lontano dalle sue vie? Perché lascia che il cuore di tutti si indurisca così da non temere più Lui, che è il padre e il redentore? E’ messa in evidenza con una intensità crescente la disperazione di Israele: non solo è stato distrutto il suo santuario, distrutto dai babilonesi nel 587, ma Israele ha la sensazione di essere stato abbandonato completamente da Dio.
Infine torna la richiesta pressante e accorata affinché Dio intervenga direttamente dall'alto:
“ Se tu squarciassi i cieli e scendessi! Davanti a te sussulterebbero i monti”.
I cieli chiusi sono un’immagine per indicare la mancanza di comunicazione tra Dio e il Suo popolo. La richiesta di un nuovo intervento di Dio evoca le immagini tipiche della teofania, quando DIO era disceso sul Sinai e il monte era stato scosso dal terremoto (Es 19,18).
“Quando tu compivi cose terribili che non attendevamo,tu scendesti e davanti a te sussultarono i monti”. La preghiera prosegue con il ricordo degli interventi prodigiosi di Dio in favore di Israele. Di fronte alla manifestazione di DIO le nazioni hanno tremato perché Egli compiva cose terribili e inaudite, e commenta: “Mai si udì parlare da tempi lontani, orecchio non ha sentito, occhio non ha visto che un Dio, fuori di te, abbia fatto tanto per chi confida in lui”.
Anche qui si può notare un riferimento alla tradizione del Sinai dove viene affermata l’unicità di DIO: egli è l’unico che ha dimostrato una potenza così grande da liberare Israele (Es 20,3; Dt 6,4).
Da queste esperienze viene ricavato un principio generale circa il comportamento di Dio:
“Tu vai incontro a quelli che praticano con gioia la giustizia e si ricordano delle tue vie”
Poi il profeta confessa a nome del popolo: “Siamo divenuti tutti come una cosa impura, e come panno immondo sono tutti i nostri atti di giustizia; tutti siamo avvizziti come foglie, le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento”.
La preghiera non termina però con espressioni così disperate e alla fine ritorna il sentimento di fiducia: “Ma, Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani”.
Come si era aperta, così la preghiera termina con l’attribuzione a DIO della qualifica di “Padre” (Avinu Malkeinu). Questa gli compete perché è stato Lui a plasmare Israele, perciò il popolo è per Lui come l’argilla su cui è intervenuto per dargli la vita. Su questo rapporto originario e indissolubile si basa la fiducia del popolo in un avvenire migliore. Ma ciò che interessa maggiormente il profeta è il ristabilimento della comunione con Dio. Le sventure materiali sono dolorose non in se stesse, ma perché sono viste come il segno della lontananza di Dio. Se Dio dà un segno della Sua presenza in mezzo al popolo, allora anche le prove non saranno più così insostenibili.
Dio in Gesù Cristo ha totalmente infranto il suo splendido isolamento, “è disceso” in mezzo a noi “ è andato incontro a quanti si ricordano delle sue vie”, ha svelato il Suo volto di “Padre” e di “redentore”. La rivelazione e l’incarnazione sono la testimonianza più reale di questo movimento di Dio senza il quale l’uomo resterebbe solitario in questo universo indifferente alle sue speranze, ai dolori, ai suoi misfatti.

Salmo 79 (80) Signore, fa' splendere il tuo volto e noi saremo salvi.
Tu, pastore d’Israele, ascolta,
seduto sui cherubini, risplendi.
Risveglia la tua potenza
e vieni a salvarci.

Dio degli eserciti, ritorna!
Guarda dal cielo e vedi e visita questa vigna,
proteggi quello che la tua destra ha piantato,
il figlio dell’uomo che per te hai reso forte.

Sia la tua mano sull’uomo della tua destra,
sul figlio dell’uomo che per te hai reso forte.
Da te mai più ci allontaneremo,
facci rivivere e noi invocheremo il tuo nome.

Il salmo venne scritto quando ancora l’arca non era distrutta, il che avvenne con la distruzione di Gerusalemme. Probabilmente è stato scritto dopo la presa di Samaria da parte dell’Assiro Sargon (721), e dopo che Gerusalemme, assediata dall’Assiro Sennacherib dopo la devastazione della Giudea, rimase indenne (701). Questo evento fece risaltare la potenza di Dio nel suo tempio di Gerusalemme, e rese sensibile la Samaria verso Gerusalemme, cosa che permetterà l’azione riformista di Giosia (640-609) anche in territorio Samaritano.
Il salmista è un pio Israelita delle tribù del nord (Samaria) che desidera che le tribù di Efraim, Beniamino e Manasse siano benedette da Dio, la cui gloria sta sui cherubini dell’arca, posta nel tempio di Gerusalemme; desidera la fine dello scisma samaritano: “Seduto sui cherubini, risplendi davanti a Efraim, Beniamino e Manasse. Risveglia la tua potenza e vieni a salvarci”.
A Dio, che guida Giuseppe “come un gregge”, il salmista chiede di manifestare nuovamente quella potenza che esercitò quando fece uscire “Giuseppe” dall’Egitto; intendendo per Giuseppe tutto Israele, finito in Egitto proprio a partire da lui (Gn 37,38).
Egli attraverso la bella immagine della vigna rievoca la storia di Israele: “Hai sradicato un vite dall’Egitto…”. Questa vite curata da lui ha esteso i suoi rami fino al Mediterraneo e fino al Libano: “La sua ombra copriva le montagne e i suoi rami i cedri più alti. Ha esteso i suoi tralci fino al mare, arrivavano al fiume i suoi germogli”. “Il fiume”, è l’Eufrate. Esso era lontano dalla Terra Promessa, ma indica fin dove giungeva l’influenza di Israele.
Il salmista è stordito di fronte alle sventure che si sono abbattute su Israele: “Signore, Dio degli eserciti, fino a quando fremerai di sdegno contro le preghiere del tuo popolo?”; “Perché hai aperto brecce nella sua città e ne fa vendemmia ogni passante ?”, ma non desiste dalla preghiera e invoca Dio, “Dio degli eserciti”, perché forte in battaglia per difendere i suo popolo: “Dio degli eserciti, ritorna! Guarda dal cielo e vedi e visita questa vigna, proteggi quello che la tua destra ha piantato, il figlio dell'uomo che per te hai reso forte”.
Il salmista riconosce la dinastia di Davide e ha la speranza che il re di Gerusalemme saprà risollevare le sorti di Israele, costui al presente era Ezechia (716-687): “Sia la tua mano sull’uomo della tua destra, sul figlio dell’uomo che per te hai reso forte”, ma nel futuro sarà il Cristo. Quell’uomo reso forte è ora ogni pontefice, ogni vescovo, ogni sacerdote, ogni diacono, ogni fedele, che tutti sono uno, nell’uno che è la Chiesa, corpo mistico di Cristo, e che si adoperano per portare nel mondo la vera pace, cioè Cristo.
Commento tratto da “Perfetta Letizia”

Dalla 1^ lettera di S.Paolo apostolo ai Corinzi
Fratelli, grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo!
Rendo grazie continuamente al mio Dio per voi, a motivo della grazia di Dio che vi è stata data in Cristo Gesù, perché in lui siete stati arricchiti di tutti i doni, quelli della parola e quelli della conoscenza.
La testimonianza di Cristo si è stabilita tra voi così saldamente che non manca più alcun carisma a voi, che aspettate la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo. Egli vi renderà saldi sino alla fine, irreprensibili nel giorno del Signore nostro Gesù Cristo. Degno di fede è Dio, dal quale siete stati chiamati alla comunione con il Figlio suo Gesù Cristo, Signore nostro!
1 Cor 1,3-9

Paolo scrisse la prima lettera ai Corinzi durante la sua permanenza ad Efeso negli anni 54-55. E’ una delle più lunghe scritte dall’apostolo, paragonabile a quella dei Romani, ambedue infatti sono suddivise in 16 capitoli. Paolo si era deciso a scriverla dopo aver ricevuto notizie sulla comunità da parte di conoscenti della famiglia di Cloe e dopo che gli era anche pervenuta una lettera dagli stessi Corinzi. Corinto era un’importante grande città, (famosa per il suo porto), centro di cultura greca, dove si affrontavano correnti di pensiero e di religione molto differenti tra loro. Il contatto della fede cristiana con questa capitale del paganesimo, anche celebre per il rilassamento dei costumi, poneva nei neofiti numerosi e delicati problemi. Pur essendo passati solo pochi anni dalla sua fondazione, la comunità di Corinto si era dimostrata molto vivace e nello stesso tempo anche molto problematica.
In questo brano, in cui viene riportato l’inizio della lettera, Paolo comincia con il saluto: “grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo!” in cui sono concentrati due stili, quello tipico del mondo ebraico “shalôm” (pace) e del mondo greco “chaire” (salve) poi continua con il rendimento di grazie:. “Rendo grazie continuamente al mio Dio per voi, a motivo della grazia di Dio che vi è stata data in Cristo Gesù, perché in lui siete stati arricchiti di tutti i doni, quelli della parola e quelli della conoscenza.”
In questa frase Paolo, riprendendo uno dei termini dell’augurio appena fatto, ringrazia Dio per aver conferito ai corinzi la sua “grazia” in forza della quale possono entrare in un rapporto personale e vissuto con Lui; Dio l’ha data loro per mezzo del Signore Gesù Cristo, avendoli inseriti in Lui come membra di un corpo. Questa grazia porta con sé non solo la salvezza, ma una ricchezza di doni che riguardano sia la “parola” che la “conoscenza”.
Poi Paolo continua esprimendo l’altro motivo di ringraziamento: “La testimonianza di Cristo si è stabilita tra voi così saldamente che non manca più alcun carisma a voi, che aspettate la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo”.
Tra i cristiani di Corinto si è molto rafforzata la “testimonianza di Cristo” ossia il Vangelo di Cristo, testimoniato dall’apostolo, ha messo radici profonde tra i corinzi. Di conseguenza essi non mancano ”di nessun carisma”, cioè di nessuno dei doni che lo Spirito conferisce a ciascuno per l’utilità comune . Al tema dei carismi l’apostolo dedicherà ben tre capitoli della sua lettera (cc. 12-14).
Ciò che i corinzi hanno già ricevuto lascia ben sperare anche per il futuro: “Egli vi renderà saldi sino alla fine, irreprensibili nel giorno del Signore nostro Gesù Cristo”. Paolo è dunque certo che lo stesso Dio, che ha arricchito i corinzi di tanti doni, li aiuterà ad essere saldi sino alla fine e irreprensibili “nel giorno del Signore nostro Gesù Cristo”: con queste parole egli identifica il “giorno del Signore” annunziato dai profeti con quello della manifestazione gloriosa di Gesù Cristo, alla quale i credenti si preparano fin d’ora mediante una vita santa.
In questa prospettiva la fine non suscita più sentimenti di paura, ma di fiducia. Con queste parole Paolo vuole rassicurare i suoi corrispondenti, facendo loro capire che con i forti richiami che farà , non intende certo dubitare dell’autenticità del loro cammino di fede.
L’apostolo conclude il ringraziamento affermando: “Degno di fede è Dio, dal quale siete stati chiamati alla comunione con il Figlio suo Gesù Cristo, Signore nostro!”
L’affermazione “degno di fede è Dio”, è uno dei pilastri su cui si poggia la fede biblica! È vero che l’uomo può allontanarsi da Dio, attirando su di sé sofferenze e insuccessi, ma nello stesso tempo Dio non può venire meno alle Sue promesse. Per il fatto che li ha “chiamati alla comunione con il Figlio suo Gesù Cristo,” Egli non li potrà mai abbandonare a se stessi, perciò se anche in qualcosa hanno sbagliato, non per questo devono sentirsi abbandonati da Dio.

Dal vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare.
Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati.
Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».
Mc 13, 33-37

Il Vangelo di Marco, che ci accompagnerà nella varie tappe di questo nuovo anno liturgico, è il primo dei Vangelo scritti, composto tra il 60 e il 70. E’ il più corto dei vangeli, (ha circa 11.230 parole) e a differenza di Matteo e Luca, non riporta alcuna informazione sulla vita di Gesù prima dell’inizio del Suo ministero; non vi è riportato neanche un accenno alla natività, né si fa menzione della genealogia di Gesù. Marco più che scrivere una biografia di Gesù, ha voluto attirare l’attenzione di chi legge il suo Vangelo sul mistero della persona del Cristo. Non per nulla tutto il Vangelo è sospeso tra due proclamazioni, quella iniziale del battesimo in cui la voce dal cielo presenta Gesù come il Figlio prediletto in cui il Padre di compiace e quella finale in cui il primo convertito pagano, afferma «Davvero quest'uomo era Figlio di Dio!»
Questo brano, che è parallelo al Vangelo di Matteo, fa parte del così detto discorso escatologico. Gesù aveva fatto accenno prima al fico per indicare la necessità di saper discernere la venuta degli eventi finali, (vv. 28-29) sottolineando che essi sono imminenti, ma si attueranno secondo tempi che non sono noti a nessuno, neppure al Figlio. Gesù aveva concluso, nei versetti precedenti non riportati dal brano liturgico, invitando a stare attenti e vigilare per mantenersi sempre pronti.
Per far comprendere quanto sia importante il messaggio, suggella quanto ha detto con le parole: “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”. Mc 13,31
Per sottolineare ancora la necessità dell’attesa vigilante, Gesù in questo brano fa ricorso a una similitudine: “È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare.”
E una piccola parabola che ricorda la parabola dei talenti di Matteo (Mt 25,14-15) o delle monete d'oro in Luca (Lc 19,12-13), ma con un diverso intento. Poiché il padrone ha dato un compito preciso a ciascun servo per cui ognuno deve stare attento per poter ricevere un giudizio positivo al suo ritorno. L'accenno al portiere ci riporta il verbo vegliare, parola chiave del nostro piccolo brano.
Dopo questa similitudine, Gesù conclude: ”Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati.
Questo versetto riporta le diverse veglie in cui i romani dividevano la notte, corrispondenti ai turni di guardia; il padrone di casa nel contesto di Marco potrebbe identificarsi con il Figlio dell'uomo, e il suo ritorno con il tempo del giudizio finale. Anche l'affermazione finale ”non vi trovi addormentati” ha un significativo rimando al racconto della passione (Mc 14,37.40.41) dove i discepoli si addormentano.
Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!”
Tutto il capitolo, ma in particolare questi versetti finali, hanno l'intento di mantenere viva l'aspettativa del ritorno glorioso di Cristo, ma nello stesso tempo di frenare eccessive fantasie riguardo al come accadrà tale evento e al tempo in cui avverrà.
Gesù ci invita a vegliare, ma la nostra attesa non deve divenire un’attesa di paura perché essa riguarda non tanto l’incontro con il Signore, ma l’eventualità di trovarsi impreparati quando questo incontro si realizzerà. La vigilanza, quindi, ha per oggetto la necessità di vivere quotidianamente secondo i valori del Vangelo, annunziati da Gesù.
Sebbene la piena realizzazione di tutto questo avrà luogo solo alla fine dei tempi, essa è già presente nel cuore di ogni credente la cui vita deve svolgersi nella dimensione del “già” e del “non ancora”: quello che non si è ancora attuato nella sua pienezza, è presente già ora come risultato delle nostre scelte.

*****

“Oggi, prima domenica di Avvento, comincia un nuovo anno liturgico. In esso la Chiesa scandisce il corso del tempo con la celebrazione dei principali eventi della vita di Gesù e della storia della salvezza. Così facendo, come Madre, illumina il cammino della nostra esistenza, ci sostiene nelle occupazioni quotidiane e ci orienta verso l’incontro finale con Cristo. L’odierna liturgia ci invita a vivere il primo “tempo forte” che è questo dell’Avvento, il primo dell’anno liturgico, l’Avvento, che ci prepara al Natale, e per questa preparazione è un tempo di attesa, è un tempo di speranza. Attesa e speranza.
San Paolo indica l’oggetto dell’attesa. Qual è? La «manifestazione del Signore». L’Apostolo invita i cristiani di Corinto, e anche noi, a concentrare l’attenzione sull’incontro con la persona di Gesù. Per un cristiano la cosa più importante è l’incontro continuo con il Signore, stare con il Signore. E così, abituati a stare con il Signore della vita, ci prepariamo all’incontro, a stare con il Signore nell’eternità. E questo incontro definitivo verrà alla fine del mondo. Ma il Signore viene ogni giorno, perché, con la sua grazia, possiamo compiere il bene nella nostra vita e in quella degli altri. Il nostro Dio è un Dio-che-viene - non dimenticatevi questo: Dio è un Dio che viene, continuamente viene - : Egli non delude la nostra attesa! Mai delude il Signore. Ci farà aspettare forse, ci farà aspettare qualche momento nel buio per far maturare la nostra speranza, ma mai delude. Il Signore sempre viene, sempre è accanto a noi. Alle volte non si fa vedere, ma sempre viene. È venuto in un preciso momento storico e si è fatto uomo per prendere su di sé i nostri peccati – la festività del Natale commemora questa prima venuta di Gesù nel momento storico - ; verrà alla fine dei tempi come giudice universale; e viene anche una terza volta, in una terza modalità: viene ogni giorno a visitare il suo popolo, a visitare ogni uomo e donna che lo accoglie nella Parola, nei Sacramenti, nei fratelli e nelle sorelle. Gesù, ci dice la Bibbia, è alla porta e bussa. Ogni giorno. È alla porta del nostro cuore. Bussa. Tu sai ascoltare il Signore che bussa, che è venuto oggi per visitarti, che bussa al tuo cuore con una inquietudine, con un’idea, con un’ispirazione? È venuto a Betlemme, verrà alla fine del mondo, ma ogni giorno viene da noi. State attenti, guardate cosa sentite nel cuore quando il Signore bussa.
Sappiamo bene che la vita è fatta di alti e bassi, di luci e ombre. Ognuno di noi sperimenta momenti di delusione, di insuccesso e di smarrimento. Inoltre, la situazione che stiamo vivendo, segnata dalla pandemia, genera in molti preoccupazione, paura e sconforto; si corre il rischio di cadere nel pessimismo, il rischio di cadere in quella chiusura e nell’apatia. Come dobbiamo reagire di fronte a tutto ciò? Ce lo suggerisce il Salmo di oggi: «L’anima nostra attende il Signore: egli è nostro aiuto e nostro scudo. È in lui che gioisce il nostro cuore» (Sal 32,20-21). Cioè l’anima in attesa, un’attesa fiduciosa del Signore fa trovare conforto e coraggio nei momenti bui dell’esistenza. E da cosa nasce questo coraggio e questa scommessa fiduciosa? Da dove nasce? Nasce dalla speranza. E la speranza non delude, quella virtù che ci porta avanti guardando all’incontro con il Signore.
L’Avvento è un incessante richiamo alla speranza: ci ricorda che Dio è presente nella storia per condurla al suo fine ultimo per condurla alla sua pienezza, che è il Signore, il Signore Gesù Cristo. Dio è presente nella storia dell’umanità, è il «Dio con noi», Dio non è lontano, sempre è con noi, al punto che tante volte bussa alle porte del nostro cuore. Dio cammina al nostro fianco per sostenerci. Il Signore non ci abbandona; ci accompagna nelle nostre vicende esistenziali per aiutarci a scoprire il senso del cammino, il significato del quotidiano, per infonderci coraggio nelle prove e nel dolore. In mezzo alle tempeste della vita, Dio ci tende sempre la mano e ci libera dalle minacce. Questo è bello! Nel libro del Deuteronomio c’è un passo molto bello, che il profeta dice al popolo: “Pensate, quale popolo ha i suoi dèi vicini a sé come tu hai vicino me?”. Nessuno, soltanto noi abbiamo questa grazia di avere Dio vicino a noi. Noi attendiamo Dio, speriamo che si manifesti, ma anche Lui spera che noi ci manifestiamo a Lui!
Maria Santissima, donna dell’attesa, accompagni i nostri passi in questo nuovo anno liturgico che iniziamo, e ci aiuti a realizzare il compito dei discepoli di Gesù, indicato dall’apostolo Pietro. E qual è questo compito? Rendere ragione della speranza che è in noi (cfr1 Pt 3,15).”
Papa Francesco
Parte dell’Angelus del 29 novembre 2020

Sabato, 02 Dicembre 2023 19:03

AVVISI - 3 dicembre 2023

1. Da questa domenica, 3 dicembre, ripartono le iniziative dell’Avvento in oratorio. Sarà possibile da questa data, acquistare i biglietti della lotteria al termine della messa delle 10 e delle 11.30. Per conoscere gli altri appuntamenti, potete consultare le bacheche in fondo alla chiesa e recarvi in oratorio.

2. I laici salettini avranno il loro incontro ordinario lunedì, 4 dicembre, alle ore 17:00, nella aula battesimale. In questo incontro si inizierà una serie di catechesi sul libro dell’Apocalisse.

3. Venerdì, 08 Dicembre, la chiesa celebra la Solennità dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria. L’orario delle messe è delle domeniche e solennità: 08:30, 10:00, 11:30 e 18:30.

4. Il nostro fratello Luca ANDERLONI, MS, sarà ordinato diacono da Monsignore Baldo Reina, Vescovo del nostro settore e Vice gerente della diocesi di Roma. L’ordinazione si terrà qui in parrocchia, venerdì, 08 Dicembre, nella solennità dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, nella messa delle ore 08:30. Siamo tutti invitati.

5. Il nostro Superiore generale, Padre Silvano Marisa, celebra il suo 50° anniversario sacerdotale il 10 Dicembre, nella messa delle ore 11:30. Siamo tutti invitati a ringraziare Dio per così grande dono.

6. Sabato, 16 dicembre, il gruppo delle famiglie organizza una gita invernale nella città di Assisi. È invitata a partecipare tutta la comunità parrocchiale. Le adesioni devono essere date entro venerdì 8 dicembre, per permettere di organizzare il trasporto tramite pullman. Il costo orientativo è di 20 euro a persona.

7. Il Centro d’ascolto e CARITAS della nostra parrocchia, oltre al bel lavoro che fa nei giovedì, accogliendo, ascoltando ed aiutando i poveri e bisognosi del nostro quartiere, ha avviato un altro servizio che consiste esclusivamente nell’ascolto. Tale servizio viene offerto nei pomeriggi di tutti i giovedì. Venite, parlateci ed apritevi e noi ci saremo per aiutarvi.

Lunedì, 27 Novembre 2023 09:17

MANDATO AGLI OPERATORI PASTORALI

Ieri, 26 di Novembre, Solennità di Cristo Re dell’Universo, alla Messa delle ore 10.00 è stato dato il mandato pastorale ai catechisti in occasione della Giornata Mondiale della gioventù a livello diocesano, prima tappa verso il Giubileo dei giovani nel 2025.

 

Qui sotto in galleria altre foto

 

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Sabato, 11 Novembre 2023 21:26

XXXII Domenica - Anno A - 12 novembre 2023

In queste ultime settimane dell’Anno liturgico, le letture che la Liturgia propone ci invitano alla vigilanza, ad un continuo senso di attesa, per preparare il nostri cuori all’incontro con il Signore.
La prima lettura, tratta dal Libro della Sapienza, vediamo che proprio la Sapienza viene personificata nelle vesti di una figura femminile quanto mai affascinante, che i giusti cercano, amano e infine la trovano. Solo Dio la può donare, ma di questo dono bisogna esserne degni.
Nella seconda lettura, Paolo nella sua lettera ai Tessalonicesi, che ritenevano imminente l’ultima venuta di Cristo ed erano perciò preoccupati per i fratelli defunti, rasserena gli animi, riducendo l’importanza dell’evento finale per presentarlo come il coronamento di una salvezza che già si attua nella vita e nella morte dei credenti.
Nel Vangelo di Matto, troviamo la celebre parabola delle vergini sagge e stolte.
E’ facile comprendere che questo racconto ci invita a stare svegli nello spirito, e sempre pronti al momento in cui il Signore verrà. La vigilanza, l’attesa operosa, la premura carica d’amore, l’impegno personale spalancano la porta del banchetto nuziale con il Signore. Come pensiero costante per il nostro cammino, anche in questo periodo così oscuro che stiamo vivendo, potremo ricordare ciò che la grande santa Teresa d’Avila diceva: Nulla ti turbi, nulla ti spaventi. Tutto passa, solo Dio non cambia. La pazienza ottiene tutto. Chi ha Dio non manca di nulla: solo Dio basta!

Dal libro della Sapienza
La sapienza è splendida e non sfiorisce, facilmente si lascia vedere da coloro che la amano e si lascia trovare da quelli che la cercano.
Nel farsi conoscere previene coloro che la desiderano. Chi si alza di buon mattino per cercarla non si affaticherà, la troverà seduta alla sua porta.
Riflettere su di lei, infatti, è intelligenza perfetta, chi veglia a causa sua sarà presto senza affanni; poiché lei stessa va in cerca di quelli che sono degni di lei, appare loro benevola per le strade e in ogni progetto va loro incontro.
Sap 6,12-16

Il libro della Sapienza si presenta come opera del re Salomone, ma è un evidente espediente letterario, perché è stato scritto da un pio giudeo di lingua greca, sicuro conoscitore del mondo ellenistico, che viveva in Alessandria d’Egitto tra il 120-80 a.C.
E’ il più recente dei libri dell’Antico Testamento e il suo autore si rivolge ai suoi correligionari che vivevano in ambiente greco, per convincerli della superiorità della sapienza ebraica, ispirata da Dio e concretamente espressa nella Legge che governa il popolo eletto, sulla filosofia e la vita pagana.
Nelle sue grandi linee, il libro espone le vie della sapienza opposte alla via degli empi, la sapienza in se stessa come realtà divina, le opere della sapienza divina nella storia di Israele.
In quest’opera, la dottrina biblica sulla sapienza raggiunge gli ultimi sviluppi ed è come il sintomo dell’insegnamento del Nuovo Testamento sulla grazia; a sua volta il Nuovo Testamento aiuta a capire la dottrina dell’antico sulla sapienza.
La speranza beata nell’aldilà è espressa con rara chiarezza, illuminando il problema dell’umano destino. E’ l’ultimo passo verso la rivelazione cristiana: Cristo, sapienza di Dio incarnata tra gli uomini, è la fonte della vita e della felicità eterna.
Questo spiega l’influsso che il libro ha esercitato nella cristologia di Giovanni e di Paolo…
In questo brano l’autore definisce la sapienza splendida e non sfiorisce e che si lascia vedere da coloro che la amano e si lascia trovare da quelli che la cercano.
Qui il termine “sapienza” indica non solo una dottrina, ma la verità divina, dono di Dio il quale si lascia trovare da chi lo cerca, anzi “Nel farsi conoscere previene coloro che la desiderano. Chi si alza di buon mattino per cercarla non si affaticherà, la troverà seduta alla sua porta….
Nell’A.T. la Sapienza non è possibile concepirla distinta da Dio. Solo nel N.T. San Paolo definisce una persona (il Crocifisso) “Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio” (1Cor 1,24)

O Dio, tu sei il mio Dio,
all’aurora io ti cerco,
di te ha sete l'anima mia,
a te anela la mia carne
come terra deserta, arida, senz’acqua.

Così nel santuario ti ho cercato,
per contemplare la tua potenza e la tua gloria.
Poiché la tua grazia vale più della vita,
le mie labbra diranno la tua lode.

Nel mio giaciglio di te mi ricordo
e penso a te nelle veglie notturne,
a te che sei stato il mio aiuto,
esulto di gioia all’ombra delle tue ali.

Il salmo presenta un pio giudeo, che fin dal primissimo mattino si pone in orazione. Egli cerca Dio, perché gli si è rivelato a lui per mezzo del dono della fede e delle Scritture, e ora cerca l’unione con lui, l’intima conoscenza di lui, in un “cercare” in cui il “trovare” spinge ancor più a cercare.
L’orante è presentato come un assetato in mezzo ad un deserto. Ma l’assetato del salmo sa dov’è la fonte, non è disorientato; sa che la fonte della pace e della gioia è Dio: Dio stesso è questa fonte.
L’orante ha un punto di riferimento: il tempio; e così vi si reca per trarre ristoro nella contemplazione Dio: “Così nel santuario ti ho contemplato, guardando la tua potenza e la tua gloria”. L’orante cerca Dio, ama Dio, non tanto i benefici di Dio. Ama lui, e lo dichiara poiché dice che la comunione con lui (“il tuo amore") “vale più della vita”. Questa dolce consapevolezza è la molla della sua lode: “Le mie labbra canteranno la tua lode”; “Così ti benedirò per tutta la vita”. Egli, ritornato dal tempio alla sua dimora, probabilmente distante da Gerusalemme, ha come pensiero dolce e vivo Dio, e così “nelle veglie notturne”, quando il sonno è assente, non si agita, ma pensa a Dio, cerca Dio.
Ha tanti nemici che cercano di ucciderlo, che probabilmente sono con bande di predoni Idumei (Cf. Ps 58), ma ha la ferma speranza che i nemici non avranno vittoria e che il re trionferà e insieme a lui chi gli è fedele: “Chi giura per lui” (Cf. 1Sam 17,55; 25,2; 2Sam 11,11; 15,21; ecc.). Gli ultimi versetti, per le loro dure espressioni, non entrano nella recitazione cristiana.
Commento tratto da “Perfetta Leltizia”

Dalla prima lettera di S.Paolo apostolo ai Tessalonicesi
Non vogliamo, fratelli, lasciarvi nell'ignoranza a proposito di quelli che sono morti, perché non siate tristi come gli altri che non hanno speranza. Se infatti crediamo che Gesù è morto e risorto, così anche Dio, per mezzo di Gesù, radunerà con lui coloro che sono morti.
Sulla parola del Signore infatti vi diciamo questo: noi, che viviamo e che saremo ancora in vita alla venuta del Signore, non avremo alcuna precedenza su quelli che sono morti.
Perché il Signore stesso, a un ordine, alla voce dell'arcangelo e al suono della tromba di Dio, discenderà dal cielo. E prima risorgeranno i morti in Cristo; quindi noi, che viviamo e che saremo ancora in vita, verremo rapiti insieme con loro nelle nubi, per andare incontro al Signore in alto, e così per sempre saremo con il Signore.
Confortatevi dunque a vicenda con queste parole
1Ts 4,13-18

Nella sua lettera ai Tessalonicesi Paolo nella prima parte aveva fatto un lungo ringraziamento, nella seconda invece fa una serie di raccomandazioni per rispondere a richieste particolari dei tessalonicesi..
Nel brano liturgico viene riportata la terza raccomandazione con la quale l’Apostolo dà una risposta a un problema specifico della comunità, quello della sorte di coloro che sono morti prima del ritorno del Signore.
Il problema a cui Paolo risponde non è chiaro, anche se lo si può comprendere abbastanza bene dalle sue parole: egli infatti aveva annunziato l'imminente ritorno di Gesù come giudice escatologico. Per i tessalonicesi era quindi logico pensare che sarebbero stati sollevati dall'esperienza della morte per entrare direttamente nel regno glorioso di Dio. Ora invece il ritorno del Signore non si era ancora attuato mentre alcuni membri della comunità erano morti. Questo fatto aveva determinato in loro un certo malessere: che fine avevano fatto i loro fratelli defunti? Sarebbero stati esclusi per sempre dalla salvezza?
Si potrebbe pensare che questo disagio nascesse dal fatto che l’apostolo non aveva ancora detto nulla circa la risurrezione finale dei credenti; siccome ciò è improbabile, potrebbe anche darsi che i dubbi dei tessalonicesi derivassero dalla difficoltà, tipica del mondo greco, di capire e di accettare la dottrina della risurrezione finale dei morti. Comunque sia, le prime morti verificatesi dopo l’evangelizzazione di Tessalonica suscitavano un doloroso problema a cui Paolo non poteva non rispondere.
Come risposta ai dubbi espressi dai tessalonicesi, Paolo chiarisce il suo insegnamento:” Non vogliamo, fratelli, lasciarvi nell'ignoranza a proposito di quelli che sono morti, perché non siate tristi come gli altri che non hanno speranza.”. La speranza, di cui ha già parlato all’inizio in relazione con la fede e l’amore (V.1,3) è la virtù che permette al credente di attendere l’intervento finale di Dio in questo mondo e di passare indenne attraverso le tribolazioni della vita.
Per dare fondamento alla speranza messa alla prova dei tessalonicesi, Paolo richiama anzitutto l’evento su cui si fonda la loro fede: ” Se infatti crediamo che Gesù è morto e risorto”. È questo il centro della professione di fede che i tessalonicesi stessi avevano diffuso nella loro città circa l’insegnamento ricevuto da Paolo. Da questo principio si ricava la conseguenza “così anche Dio, per mezzo di Gesù, radunerà con lui coloro che sono morti.
A questo punto, rifacendosi a una “parola del Signore”, Paolo dichiara: “noi, che viviamo e che saremo ancora in vita alla venuta del Signore, non avremo alcuna precedenza su quelli che sono morti. ”.
Alla sua seconda venuta il Signore troverà alcune persone ancora in vita, ma questo fatto non rappresenterà per loro un privilegio. Paolo convalida poi questa affermazione con una descrizione di ciò che avverrà alla fine: «il Signore stesso, a un ordine, alla voce dell'arcangelo e al suono della tromba di Dio, discenderà dal cielo». Queste immagini erano note nel mondo culturale giudaico dell’epoca di Paolo: non è infatti difficile trovare mescolate nell’apocalittica giudaica e cristiana allusioni al comando di Dio, alla voce dell’arcangelo (Ap 5,2; 7,2), al suono della tromba (V.Es 19,13.16.19; Ap 1,10; 4,1 ecc.) e alla venuta del Figlio dell’uomo (V. Dn 7,13).
Quando avrà luogo la venuta del Signore, “prima risorgeranno i morti in Cristo”, cioè i defunti che, avendo creduto in Cristo durante la loro vita, sono diventati partecipi anche della Sua morte e resurrezione(V. Rm 6,4). Dopo di ciò anche “quindi noi, che viviamo e che saremo ancora in vita, verremo rapiti insieme con loro nelle nubi, per andare incontro al Signore in alto, e così per sempre saremo con il Signore..”
È significativo che l’apostolo, designando coloro che saranno ancora in vita al momento della seconda venuta del Signore, comprende tra essi anche se stesso.
Paolo qui è dunque convinto che la fine del mondo avrà luogo nel corso della sua generazione. Egli immagina il termine della vita terrena per coloro che saranno in vita alla venuta del Signore alla luce dei “rapimenti in cielo” di cui si parla nel giudaismo per esempio a proposito di Elia (V.2Re 2,11; 1Mac 2,58) . Questo rapimento avrà lo scopo di rendere possibile l’incontro con il Signore. La salvezza raggiungerà il suo culmine quando tutti i giusti saranno ammessi alla piena comunione con Lui e con il Padre. (Secondo Tertulliano , i morti, resuscitando, risponderanno per primi al segnale. Essi saranno raggiunti dai sopravvissuti e tutti insieme saranno condotti all’incontro col Signore, poi lo accompagneranno al giudizio che inaugura il Suo regno senza fine. Importante è il tratto finale: e così per sempre saremo con il Signore.
Per questo Paolo conclude: Confortatevi dunque a vicenda con queste parole” per rasserenare gli animi dei tessalonicesi, riducendo l’importanza dell’evento finale per presentarlo come il coronamento di una salvezza che già si attua nella vita e nella morte dei credenti.
L’Apostolo ha potuto valorizzare così il tempo dell’attesa, dando spazio alla ricerca della santità, all’amore fraterno e alla fondazione di nuove comunità. Esortando poi i credenti a vivere con il lavoro delle proprie mani , egli ha dato importanza all’impegno per migliorare l’ambiente in cui viviamo, mostrando che una vita oziosa non si addice a una visione cristiana del mondo .

Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono.
A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”. Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. Le stolte dissero alle sagge: “Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono”.
Le sagge risposero: “No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene”.
Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa.
Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”. Ma egli rispose: “In verità io vi dico: non vi conosco”.
Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora.“
Mt 25, 1-13


Matteo nel fare il resoconto dell’ultima settimana di Gesù prima della sua passione, dopo aver riportato le parabole riguardanti la gravità dell’ora, e il il discorso escatologico, ora riporta una parabola, quella delle dieci vergini , riguardante la vigilanza.
Il brano inizia con la solita breve introduzione, in cui si dice che “Il regno dei cieli sarà simile ….” poi c’è la descrizione della situazione: “dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi.
Il tempo passa e improvvisamente è annunziata la venuta dello sposo: “Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono. A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”. A questo punto viene alla luce la differenza tra i due gruppi di vergini: “Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. Le stolte dissero alle sagge: “Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono”. Le sagge risposero: “No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene”.”
Anche se le usanze nuziali del tempo di Gesù non sono molto note, ciò non impedisce l’interpretazione della parabola. Sappiamo dagli esperti che secondo le usanze in cui si svolgevano le nozze nella Palestina del I secolo d.C., nell’ultimo giorno dei festeggiamenti, al tramonto, il fidanzato si recava con gli amici alla residenza della fidanzata che attendeva il suo arrivo in compagnia delle amiche. Con l’arrivo del corteo dello sposo, si costituiva un’unica comitiva verso la casa dello sposo dove si sarebbe celebrato il matrimonio e consumato il banchetto nuziale.. Ma in questo racconto il ritardo stranamente si allunga; il sonno e l’eccitazione impediscono ad alcune ragazze, amiche della sposa, di misurare l’olio necessario per il corteo finale. Inizia così l’atmosfera di tensione che appare nella parabola: corsa nella notte per trovare una bottega aperta, echi del corteo dello sposo che ormai si avvicina e progressivamente si allontana, e la porta del banchetto si chiude, cosi quando “ più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”, lo sposo con accento ostile e sospetto risponde: “In verità io vi dico: non vi conosco”.
Le vergini stolte perciò non possono partecipare al banchetto nuziale. L'occasione di una festa si è trasformata per loro in una situazione di umiliazione e di sconforto.
Lo sposo richiama subito la figura del Cristo giudice, le vergini simboleggiano i discepoli di Gesù, l'olio sembra che in Matteo si riferisca alla pratica delle opere buone, che presuppone una fede perseverante nella Parola. La discriminazione tra i due gruppi delle vergini esprime il diverso comportamento dei cristiani in attesa della parusia, uno vigile e operoso, l'altro ozioso. Il messaggio centrale della parabola viene sintetizzato nella conclusione: “Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora”
E’ facile comprendere che con questo racconto, Gesù, nel Vangelo di Matteo, ci invita a stare svegli nello spirito, e sempre pronti al momento in cui il Signore verrà.
E’ un invito “a vivere nell’amore”, allo scopo di essere degni di raggiungere la pienezza del Regno, quando il Signore ci chiamerà a sè. L’importante, per noi, è avere la lampada accesa, quindi, l’olio dello Spirito non deve mai mancare. Ricordiamoci che solo l'amore, di cui Gesù parla, quando dice “come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13,34) ci dà la misura del nostro essere cristiani.

*****

“Il brano del Vangelo di questa domenica ci invita a prolungare la riflessione sulla vita eterna, iniziata in occasione della Festa di Tutti i Santi e della Commemorazione dei fedeli defunti. Gesù narra la parabola delle dieci vergini invitate a una festa nuziale, simbolo del Regno dei cieli.
Ai tempi di Gesù c’era la consuetudine che le nozze si celebrassero di notte; pertanto il corteo degli invitati doveva procedere con le lampade accese. Alcune damigelle sono stolte: prendono le lampade ma non prendono con sé l’olio; quelle sagge, invece, assieme alle lampade prendono anche dell’olio. Lo sposo tarda, tarda a venire, e tutte si assopiscono. Quando una voce avverte che lo sposo sta per arrivare, le stolte, in quel momento, si accorgono di non avere olio per le loro lampade; lo chiedono alle sagge, ma queste rispondono che non possono darlo, perché non basterebbe per tutte. Mentre le stolte vanno a comprare l’olio, arriva lo sposo. Le ragazze sagge entrano con lui nella sala del banchetto, e la porta viene chiusa. Le altre arrivano troppo tardi e vengono respinte.
È chiaro che con questa parabola, Gesù ci vuole dire che dobbiamo essere preparati all’incontro con Lui. Non solo all’incontro finale, ma anche ai piccoli e grandi incontri di ogni giorno in vista di quell’incontro, per il quale non basta la lampada della fede, occorre anche l’olio della carità e delle opere buone. La fede che ci unisce veramente a Gesù è quella, come dice l’apostolo Paolo, «che si rende operosa per mezzo della carità» (Gal 5,6). È ciò che viene rappresentato dall’atteggiamento delle ragazze sagge. Essere saggi e prudenti significa non aspettare l’ultimo momento per corrispondere alla grazia di Dio, ma farlo attivamente da subito, cominciare da adesso. “Io… sì, poi più avanti mi convertirò…” – “Convertiti oggi! Cambia vita oggi!” – “Sì, sì… domani”. E lo stesso dice domani, e così mai arriverà. Oggi! Se vogliamo essere pronti per l’ultimo incontro con il Signore, dobbiamo sin d’ora cooperare con Lui e compiere azioni buone ispirate al suo amore.
Noi sappiamo che capita, purtroppo, di dimenticare la meta della nostra vita, cioè l’appuntamento definitivo con Dio, smarrendo così il senso dell’attesa e assolutizzando il presente. Quando uno assolutizza il presente, guarda soltanto il presente, perde il senso dell’attesa, che è tanto bello, e tanto necessario, e anche ci butta fuori dalle contraddizioni del momento. Questo atteggiamento – quando si perde il senso dell’attesa – preclude ogni prospettiva sull’al di là: si fa tutto come se non si dovesse mai partire per l’altra vita. E allora ci si preoccupa soltanto di possedere, di emergere, di sistemarsi… E sempre di più. Se ci lasciamo guidare da ciò che ci appare più attraente, da quello che mi piace, dalla ricerca dei nostri interessi, la nostra vita diventa sterile; non accumuliamo alcuna riserva di olio per la nostra lampada, ed essa si spegnerà prima dell’incontro con il Signore. Dobbiamo vivere l’oggi, ma l’oggi che va verso il domani, verso quell’incontro, l’oggi carico di speranza. Se invece siamo vigilanti e facciamo il bene corrispondendo alla grazia di Dio, possiamo attendere con serenità l’arrivo dello sposo. Il Signore potrà venire anche mentre dormiamo: questo non ci preoccuperà, perché abbiamo la riserva di olio accumulata con le opere buone di ogni giorno, accumulata con quell’attesa del Signore, che Lui venga il più presto possibile e che venga a portarmi con Lui.
Invochiamo l’intercessione di Maria Santissima, perché ci aiuti a vivere, come ha fatto Lei, una fede operosa: essa è la lampada luminosa con cui possiamo attraversare la notte oltre la morte e giungere alla grande festa della vita.”

Papa Francesco
Parte dell’Angelus del 8 novembre 2020

Sabato, 11 Novembre 2023 20:55

MESSA CON I GIOVANI DELLA GMG 2023

Domenica 5 Novembre il Gruppo dei giovani della Salette, che ha partecipato alla GMG 2023 in Portogallo, ha animato la messa domenicale delle ore 10.00.

 

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Pro Memoria

L'umanità è una grande e  immensa famiglia ... Troviamo la dimostrazione di ciò da quello che ci sentiamo nei nostri cuori a Natale.
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