La festa del Corpus Domini, più propriamente chiamata solennità del santissimo Corpo e Sangue di Cristo, è una delle principali solennità dell'anno liturgico e la celebrazione, chiudendo il ciclo delle feste del dopo Pasqua, vuole celebrare il mistero dell'Eucaristia. Questa festa è stata istituita nel lontano 1264 da Papa Urbano IV a ricordo del miracolo eucaristico avvenuto nel 1263 a Bolsena, sebbene di miracoli eucaristici si erano verificati molto tempo prima.
Nella prima lettura, tratta dal Libro dell’Esodo, leggiamo che il popolo d’Israele ai piedi del monte Sinai strinse solennemente l’alleanza con Dio, impegnandosi ad osservare con totale fedeltà i comandamenti del Signore. Il sangue sparso sull’altare e sul popolo prefigura il sangue di Cristo nostro Salvatore.
Nella seconda lettura, tratta dalla lettera agli Ebrei, l’autore afferma che il sangue di Cristo, immolato sulla croce una volta per sempre, elimina l’ostacolo dell’incontro con Dio, cioè il peccato, che l’antico rituale ebraico non era in grado di togliere.
Nel Vangelo, l’evangelista Marco ci fa rivivere la scena della Cena Pasquale, in cui Gesù istituisce l’Eucaristia nella quale si offre vittima per i peccati del mondo. La cena eucaristica che noi oggi celebriamo nella solennità del Corpo e del Sangue del Signore è una pregustazione di una intimità senza incrinature e senza frontiere con Dio. E’ per questo che l’Eucaristia domenicale è celebrata sempre “nell’attesa della venuta” gloriosa di Cristo. L’eucaristia è espressione della presente vicinanza di Dio con il Suo popolo, che pellegrina in mezzo alle oscurità della storia, ma è anche squarcio di luce verso la speranza che il dolore e la morte saranno eliminati per sempre.
Dal Libro dell’Esodo
In quei giorni, Mosè andò a riferire al popolo tutte le parole del Signore e tutte le norme. Tutto il popolo rispose a una sola voce dicendo: «Tutti i comandamenti che il Signore ha dato, noi li eseguiremo!».
Mosè scrisse tutte le parole del Signore. Si alzò di buon mattino ed eresse un altare ai piedi del monte, con dodici stele per le dodici tribù d’Israele. Incaricò alcuni giovani tra gli Israeliti di offrire olocausti e di sacrificare giovenchi come sacrifici di comunione, per il Signore.
Mosè prese la metà del sangue e la mise in tanti catini e ne versò l’altra metà sull’altare. Quindi prese il libro dell’alleanza e lo lesse alla presenza del popolo. Dissero: «Quanto ha detto il Signore, lo eseguiremo e vi presteremo ascolto». Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo, dicendo: «Ecco il sangue dell’alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole!».
Es. 24,3-8
Il Libro dell'Esodo è il secondo libro del Pentateuco (Torah ebraica), è stato scritto in ebraico e, secondo l'ipotesi di molti studiosi, la sua redazione definitiva, ad opera di autori ignoti, è collocata al VI-V secolo a.C. in Giudea, sulla base di precedenti tradizioni orali e scritte. È composto da 40 capitoli e nei primi 14 descrive il soggiorno degli Ebrei in Egitto, la loro schiavitù e la miracolosa liberazione tramite Mosè, mentre nei restanti descrive il soggiorno degli Ebrei nel deserto del Sinai. Il libro si apre con la descrizione dello stato di schiavitù del popolo ebreo in Egitto e giunge con il suo racconto sino al patto di Dio con il popolo e alla promulgazione della legge divina, e si conclude con lunghe sezioni legali. Gli studiosi collocano questi avvenimenti tra il 15^ e il 13^ secolo a.C.
Nel brano che la Liturgia ci propone, tratto dal 24^ capitolo, troviamo descritte varie operazioni che compie Mosé per celebrare un rito che sancisce un'Alleanza con Dio e il Suo l popolo. Dio accetta questi riti perché sono segni che si praticavano a quei tempi e la gente li capiva. In questo modo il Signore vuole garantire un'alleanza concreta con il Suo popolo attraverso il sacrificio di animali con il mutuo consenso del popolo intero e non solo di Mosè. Così metà del sangue è versato sull'altare (che rappresenta Dio): Dio in tal modo esprime il Suo consenso. Un'altra metà è posta in catini. Poi dopo queste azioni Mosé “prese il libro dell’alleanza e lo lesse alla presenza del popolo. Dissero: «Quanto ha detto il Signore, lo eseguiremo e vi presteremo ascolto».” Un'alleanza si compie quando per tutti sono chiare le clausole e si sa quello che si accetta. E qui vengono lette le leggi che il popolo deve mantenere per stare ai patti e quindi meritare la fiducia del Signore e la Sua protezione. Il popolo accetta e formula anche verbalmente la propria adesione. Accettata l'alleanza perché c'è accordo con le regole-leggi di Dio, Mosè versa l'altra metà del sangue contenuta nei catini “dicendo «Ecco il sangue dell’alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole!”.
Con tutta probabilità, anche se non viene riportato, si asperge il popolo versando il sangue su dodici stele o colonnine, presumibilmente disposte in cerchio che rappresentano le 12 tribù. La medesima vita, rappresentata dal sangue, lega i due contraenti: Dio e il Suo popolo diventano "consanguinei". Un patto di sangue lega ormai il Signore e Israele in una relazione di intimità e di amore.
E’ proprio a quelle parole che Gesù si ricollega nell’ultima sera della Sua vita terrena, quando nel cenacolo celebra la cena pasquale con i Suoi discepoli.
Salmo 115 - Alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore.
Che cosa renderò al Signore,
per tutti i benefici che mi ha fatto?
Alzerò il calice della salvezza
e invocherò il nome del Signore.
Agli occhi del Signore è preziosa
la morte dei suoi fedeli.
Io sono tuo servo, figlio della tua schiava:
tu hai spezzato le mie catene.
A te offrirò un sacrificio di ringraziamento
e invocherò il nome del Signore.
Adempirò i miei voti al Signore
davanti a tutto il suo popolo.
Il salmista ha provato momenti di sgomento di fronte agli inganni degli uomini. Si era trovato imprigionato, ma poi ha visto la libertà: “hai spezzato le mie catene”. Come risposta il salmista offrirà “un sacrificio di ringraziamento".
Una parte delle vittime sacrificate spettava all'offerente, che la consumava in un convito coi famigliari, gli amici, i poveri (Cf. Ps 21,27). Durante il convito l'offerente prendeva una coppa di vino presentandola al Signore e poi ne beveva lui e tutti gli altri: “Alzerò il calice della salvezza”.
Il salmista dice che “Agli occhi del Signore è preziosa la morte dei suoi fedeli”, intendendo affermare che l'ora della morte dei fedeli a Dio non è ad arbitrio degli uomini. Lui decide il dove, il come e il quando, e questo per il bene del fedele.
Il salmista offrirà "un sacrificio di ringraziamento" davanti a tutto il popolo, e con piena ortodossia nel tempio del Signore, a Gerusalemme, testimoniando così pubblicamente la sua fede nel Signore.
L'esistenza del tempio porta a pensare ad un personaggio perseguitato per la sua fedeltà a Dio da un qualche re di Gerusalemme rivolto agli dei pagani; come fu il caso di Geremia.
“Il calice della salvezza”, nel sensus plenior è quello eucaristico.
Commento tratto da “Perfetta Letizia”
Lettera agli Ebrei
Fratelli, Cristo è venuto come sommo sacerdote dei beni futuri, attraverso una tenda più grande e più perfetta, non costruita da mano d’uomo, cioè non appartenente a questa creazione. Egli entrò una volta per sempre nel santuario, non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma in virtù del proprio sangue, ottenendo così una redenzione eterna.
Infatti, se il sangue dei capri e dei vitelli e la cenere di una giovenca, sparsa su quelli che sono contaminati, li santificano purificandoli nella carne, quanto più il sangue di Cristo – il quale, mosso dallo Spirito eterno, offrì se stesso senza macchia a Dio – purificherà la nostra coscienza dalle opere di morte, perché serviamo al Dio vivente?
Per questo egli è mediatore di un’alleanza nuova, perché, essendo intervenuta la sua morte in riscatto delle trasgressioni commesse sotto la prima alleanza, coloro che sono stati chiamati ricevano l’eredità eterna che era stata promessa.
Eb 9,11-15
L’autore della Lettera agli Ebrei è rimasto anonimo, anche se nei primi tempi si è pensato a Paolo di Tarzo, ma sia la critica antica che moderna, ha escluso quasi concordemente questa attribuzione.
L’autore è certamente di origine giudaica, perchè conosce perfettamente la Bibbia, ha una fede integra e profonda, una grande cultura, ma tutte le congetture fatte sul suo nome rimangono congetture, si può solo dedurre che nel cristianesimo primitivo ci furono notevoli personalità oltre agli apostoli, anche se rimaste sconosciute. Quanto ai destinatari – ebrei – è certo che l’autore non si rivolge agli ebrei per invitarli a credere in Cristo, il suo scopo è invece quello di ravviare la fede e il coraggio ai convertiti di antica data, con tutta probabilità di origine giudaica. Infatti per discutere con essi, l’autore cita in continuazione la Scrittura e richiama incessantemente le idee e le realtà più importanti della religione giudaica .
Il capitolo 9, da dove è tratto questo brano, mette a confronto il sacrificio di Cristo, sacerdote e vittima con quello offerto nel grande giorno dell’espiazione. Nel rito ebraico il sommo sacerdote una volta all’anno, durante la festa dell’Espiazione (Yom Kippur), entrava con il sangue dell’espiazione nel Santo dei Santi e lì, nascosto alla vista del popolo, rimaneva però al suo servizio in quanto ne espiava le colpe offrendo il sacrificio annuale.
A confronto del sommo Sacerdote, Cristo è entrato una sola volta e per sempre nel santuario celeste e non con il sangue di capri e di tori ha offerto il sacrificio, ma con il proprio sangue proclamando per tutti una redenzione definitiva, eterna, perchè il Suo sacrificio ha valore eterno. Infatti se già purificava il sacrificio di sangue di capri e tori, di gran lunga maggiore sarà la purificazione ottenuta con un sangue senza macchia e per di più del Figlio di Dio. Per questo Gesù è divenuto mediatore di un nuovo patto, una nuova alleanza, assolutamente perfetta, che assicura a quelli che credono in Lui l’eredità promessa.
Il “Santo dei Santi o Sancta sanctorum”, letteralmente “camera posteriore”, era la parte più santa del tempio, era il luogo della presenza di Dio, il luogo in cui si trovava l’arca con le tavole della legge, coperta dal propiziatorio costituito da una lastra d’oro e due angeli che la coprivano con le loro ali.
Il Santo dei Santi era una cella cubica di circa 9 metri di lato e separata dall’altra parte del tempio da una porta, poi sostituita da una tenda: il “Velo del tempio” che si squarciò alla morte di Gesù in croce (Mc 15,38; Mt, 27,51; Lc 23,45
Dal Vangelo secondo Marco
Il primo giorno degli Àzzimi, quando si immolava la Pasqua, i discepoli dissero a Gesù: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?».
Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi».
I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua.
Mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio».
Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.
Mc 14,12-16.22-26
L’evangelista Marco struttura il racconto della cena del Signore su quanto si legge nel Libro dell’Esodo, in cui Mosè prese il libro dell’alleanza e lo lesse alla presenza del popolo, poi prese il sangue e ne asperse il popolo e disse “Ecco il sangue dell’alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole”.
Il brano liturgico inizia in questo modo: Il primo giorno degli Àzzimi, quando si immolava la Pasqua, i discepoli dissero a Gesù: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?». 1
I discepoli chiedono a Gesù dove vuole celebrare la Pasqua in modo di avere il tempo per i vari preparativi come la pulizia rituale degli ambienti e l’acquisto dell’agnello e di gli altri cibi necessari prima del calar del sole. Come risposta alla domanda dei discepoli Gesù manda due di loro in città dopo aver programmato tutto nel minimo dettaglio. I discepoli allora vanno e, entrati in città, trovano come aveva detto loro e preparano per la Pasqua. Ancora una volta, come in occasione dell’ingresso in Gerusalemme, Gesù agisce come il regista di un piano preordinato da Dio e da Lui pienamente conosciuto e accettato.
All’inizio della cena Gesù dimostra nuovamente la piena consapevolezza di quanto sta per accadere (anche il tradimento di Giuda) e dei suoi sviluppi futuri. Il brano precisa che mentre mangiavano, Gesù “prese il pane e recitò la benedizione”; questi gesti richiamano il rito con cui aveva inizio non solo la cena pasquale, ma ogni banchetto giudaico.
Per i giudei la benedizione consisteva in un ringraziamento a Dio per i benefici accordati al Suo popolo, dei quali il pane era simbolo; mangiando insieme il pane spezzato i commensali esprimevano da una parte l’accettazione dei doni di Dio e dall’altra il rapporto di comunione tra loro, che ne era la diretta conseguenza. Gesù, pur seguendo il rituale, ne offre all’improvviso un significato sorprendente e inedito perchè afferma rivolto ai commensali “Prendete, questo è il mio corpo!”. Ciò significa, secondo il linguaggio biblico, che il pane rappresenta Lui stesso, la Sua persona. Spezzando quel pane e offrendolo ai commensali, Gesù stabiliva con loro un legame di comunione profonda, facendo si che essi entrassero nella Sua stessa vita, nella Sua morte e nella Sua gloria.
Secondo il costume giudaico, alla consumazione del pane azzimo e dell’agnello pasquale seguiva la benedizione solenne che si pronunziava su una coppa di vino per ringraziare Dio per i benefici concessi al Suo popolo: tutti i commensali poi ne bevevano, per testimoniare così nuovamente la comunione che si era stabilita tra di loro in forza del dono ricevuto da Dio. Anche a questo punto Gesù imprime al rituale una svolta con le parole del Suo “ringraziamento”: “ Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti”. E’ qui che riecheggiano le parole di Mosè al Sinai: il vino della Pasqua è ora il sangue di Cristo, che crea l’alleanza piena e perfetta tra Dio e l’uomo. “Il sangue versato per molti”, è un’espressione orientale per indicare che è il sangue di una persona sacrificata per salvare tutti gli uomini.
Gesù poi aggiunge un ultimo messaggio: “io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio” ossia Egli annunzia che dopo la cena eucaristica e la pausa buia della morte, berrà il calice del vino nuovo nel regno di Dio.
E’ il banchetto della perfezione celeste cantato da Isaia, in cui “il Signore Dio eliminerà la morte per sempre; asciugherà le lacrime su ogni volto” Is 25,8
La cena eucaristica che noi oggi celebriamo nella solennità del Corpo e del Sangue del Signore è, quindi una pregustazione di un’intimità senza limiti con Dio.
Dobbiamo sempre avere in mente che l’eucaristia è espressione della presente vicinanza di Dio con il Suo popolo in cammino in mezzo alle oscurità della storia, ma anche squarcio di luce verso la speranza che il dolore e la morte saranno eliminate per sempre.
*************************
Si conoscono tanti Miracoli Eucaristici, il più conosciuto è quello di Bolsena, che ha dato origine alla festa del Corpus Domini, ma il più straordinario è senza dubbio quello di Lanciano che è avvenuto intorno all'anno settecento.. Ciò si desume da circostanze e concomitanze storiche dovute alla persecuzione in Oriente da parte dell'Imperatore Leone III, l'Isaurico, il quale iniziò una feroce persecuzione contro la Chiesa e il culto delle immagini sacre (iconoclastia).
In concomitanza della "lotta iconoclasta" nella Chiesa orientale, molti monaci greci si rifugiarono in Italia, tra essi i monaci basiliani, discepoli di San Basilio (329-379) Vescovo di Cesarea di Cappadocia (nell'attuale Turchia Orientale). Alcune comunità di esse si rifugiarono a Lanciano.
Un giorno un monaco mentre celebrava la Santa Messa fu assalito dal dubbio circa la presenza reale di Gesù nella Santa Eucaristia. Pronunziate le parole della consacrazione sul pane e sul vino, all'improvviso, dinanzi ai suoi occhi vide il pane trasformarsi in Carne, il vino in Sangue…
Alle varie ricognizioni ecclesiastiche, condotte fin dal 1574, seguì, nel 1970-1971 e ripresa in parte nel 1981, quella scientifica, compiuta da illustri scienziati. Le analisi, eseguite con assoluto rigore scientifico e documentate da una serie di fotografie al microscopio, hanno dato questi risultati: La Carne è vera Carne. Il Sangue è vero Sangue. La Carne e il Sangue appartengono alla specie umana. La Carne è un "CUORE" completo nella sua struttura essenziale. Nella Carne sono presenti, in sezione, il miocardio, l'endocardio, il nervo vago e, per il rilevante spessore del miocardio, il ventricolo cardiaco sinistro. La Carne e il Sangue hanno lo stesso gruppo sanguigno: AB, lo stesso del lenzuolo della Sacra sindone di Torino .
La conservazione della Carne e del Sangue miracolosi, lasciati allo stato naturale per dodici secoli ed esposti all'azione di agenti fisici, atmosferici e biologici, rimane un fenomeno straordinario.
A conclusione si può dire che la Scienza, chiamata in causa, ha dato una risposta sicura ed esauriente circa la autenticità del Miracolo Eucaristico di Lanciano.
****************************************************************************************
Le parole di Papa Francesco
Oggi, in Italia e in altri Paesi, si celebra la Solennità del Corpo e Sangue di Cristo. Il Vangelo ci presenta il racconto dell’Ultima Cena (Mc 14,12-16.22-26). Le parole e i gesti del Signore ci toccano il cuore: Egli prende il pane nelle sue mani, pronuncia la benedizione, lo spezza e lo porge ai discepoli, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo».
È così, con semplicità, che Gesù ci dona il sacramento più grande. Il suo è un gesto umile di dono, un gesto di condivisione. Al culmine della sua vita, non distribuisce pane in abbondanza per sfamare le folle, ma spezza sé stesso nella cena pasquale con i discepoli. In questo modo Gesù ci mostra che il traguardo della vita sta nel donarsi, che la cosa più grande è servire. E noi ritroviamo oggi la grandezza di Dio in un pezzetto di Pane, in una fragilità che trabocca amore, trabocca condivisione.
Fragilità è proprio la parola che vorrei sottolineare. Gesù si fa fragile come il pane che si spezza e si sbriciola. Ma proprio lì sta la sua forza, nella sua fragilità. Nell’Eucaristia la fragilità è forza: forza dell’amore che si fa piccolo per poter essere accolto e non temuto; forza dell’amore che si spezza e si divide per nutrire e dare vita; forza dell’amore che si frammenta per riunire tutti noi in unità.
E c’è un’altra forza che risalta nella fragilità dell’Eucaristia: la forza di amare chi sbaglia. È nella notte in cui viene tradito che Gesù ci dà il Pane della vita. Ci regala il dono più grande mentre prova nel cuore l’abisso più profondo: il discepolo che mangia con Lui, che intinge il boccone nello stesso piatto, lo sta tradendo. E il tradimento è il dolore più grande per chi ama. E che cosa fa Gesù? Reagisce al male con un bene più grande. Al no” di Giuda risponde con il “sì” della misericordia. Non punisce il peccatore, ma dà la vita per lui, paga per lui. Quando riceviamo l’Eucaristia, Gesù fa lo stesso con noi: ci conosce, sa che siamo peccatori, sa che sbagliamo tanto, ma non rinuncia a unire la sua vita alla nostra. Sa che ne abbiamo bisogno, perché l’Eucaristia non è il premio dei santi, no, è il Pane dei peccatori. Per questo ci esorta: “Non abbiate paura! Prendete e mangiate”.
Ogni volta che riceviamo il Pane di vita, Gesù viene a dare un senso nuovo alle nostre fragilità. Ci ricorda che ai suoi occhi siamo più preziosi di quanto pensiamo. Ci dice che è contento se condividiamo con Lui le nostre fragilità. Ci ripete che la sua misericordia non ha paura delle nostre miserie. La misericordia di Gesù non ha paura delle nostre miserie. E soprattutto ci guarisce con amore da quelle fragilità che da soli non possiamo risanare. Quali fragilità? Pensiamo. Quella di provare risentimento verso chi ci ha fatto del male – questa da soli non la possiamo guarire –; quella di prendere le distanze dagli altri e isolarci in noi stessi – questa da soli non la possiamo guarire –; quella di piangerci addosso e lamentarci senza trovare pace – anche questa noi soli non la possiamo guarire. È Lui che ci guarisce con la sua presenza, con il suo Pane, con l’Eucaristia. L’Eucaristia è farmaco efficace contro queste chiusure. Il Pane di vita, infatti, risana le rigidità e le trasforma in docilità. L’Eucaristia guarisce perché unisce a Gesù: ci fa assimilare il suo modo di vivere, la sua capacità di spezzarsi e donarsi ai fratelli, di rispondere al male con il bene. Ci dona il coraggio di uscire da noi stessi e di chinarci con amore verso le fragilità altrui. Come fa Dio con noi. Questa è la logica dell’Eucaristia: riceviamo Gesù che ci ama e sana le nostre fragilità per amare gli altri e aiutarli nelle loro fragilità. E questo, durante tutta la vita. Oggi, nella Liturgia delle Ore, abbiamo pregato un inno: quattro versetti che sono il riassunto di tutta la vita di Gesù. Ci dicono così: che Gesù, nascendo, si è fatto compagno di viaggio nella vita; poi, nella cena, si è dato come cibo; poi, nella croce, nella sua morte, si è fatto “prezzo”, ha pagato per noi; e adesso, regnando nei Cieli, è il nostro premio, che noi andiamo a cercare, quello che ci aspetta.
La Vergine Santa, in cui Dio si è fatto carne, ci aiuti ad accogliere con cuore grato il dono dell’Eucaristia e a fare anche della nostra vita un dono. Che l’Eucaristia ci faccia un dono per tutti gli altri.
Papa Francesco Parte dell’Angelus del 6 giugno 2021
1 Il termine Pasqua indica due feste che in origine erano separate, la Pasqua propriamente detta, che consisteva nell’immolazione dell’agnello e nella sua consumazione nell’ambito familiare, e gli Azzimi, che consisteva nel consumare pane azzimo per la durata di una settimana (Es 12,1-20). Nel volgere degli anni le due feste sono state fuse: il giorno di Pasqua in senso proprio è diventato così il primo giorno della settimana degli Azzimi, la quale termina poi con un’altra assemblea festiva. La Pasqua aveva luogo il 15 del mese di Nisan. Siccome il calendario allora in uso era basato sui cicli lunari, la data della pasqua variava ogni anno. La celebrazione della festa iniziava il giorno precedente, dopo il calar del sole. La Pasqua rappresenta per gli ebrei il ricordo annuale dell’uscita degli israeliti dall’Egitto; ad essa era collegato, il ricordo di altri eventi salvifici, quali la creazione, l’alleanza di Dio con Abramo, il sacrificio di Isacco e infine la venuta del Messia.