La liturgia di questa domenica ci propone delle letture non facili da comprendere e ci possono lasciare un po’ sconcertati.
Nella prima lettura, vediamo come il profeta Geremia, anticonformista e paladino della verità, non ha timore di continuare a smascherare le ipocrisie, anche a costo della propria vita.
Nella seconda lettura, tratta dalla lettera Ebrei, l’autore ricorda che Cristo “si sottopose alla croce, disprezzando il disonore” e che “ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori” perchè gli uomini non si perdessero d’animo.
Nel Vangelo di Luca, Gesù dà un messaggio radicale ed esigente: i Cristiani, autentici seguaci di Cristo, potranno essere posti di fronte ad una scelta, che data la loro libertà, provocherà non la pace, ma la divisione anche nelle proprie famiglie. Dovranno decidersi, anche a costo di incomprensioni: chi persisterà avrà la forza di sopportare ostilità se porrà la sua fiducia in Lui che porterà a compimento la sua opera aiutandoli a non cadere nello scoraggiamento
Dal libro del profeta Geremìa
In quei giorni, i capi dissero al re: «Si metta a morte Geremìa, appunto perché egli scoraggia i guerrieri che sono rimasti in questa città e scoraggia tutto il popolo dicendo loro simili parole, poiché quest’uomo non cerca il benessere del popolo, ma il male». Il re Sedecìa rispose: «Ecco, egli è nelle vostre mani; il re infatti non ha poteri contro di voi».
Essi allora presero Geremìa e lo gettarono nella cisterna di Malchìa, un figlio del re, la quale si trovava nell’atrio della prigione. Calarono Geremìa con corde. Nella cisterna non c’era acqua ma fango, e così Geremìa affondò nel fango.
Ebed-Mèlec uscì dalla reggia e disse al re: «O re, mio signore, quegli uomini hanno agito male facendo quanto hanno fatto al profeta Geremìa, gettandolo nella cisterna. Egli morirà di fame là dentro, perché non c’è più pane nella città». Allora il re diede quest’ordine a Ebed-Mèlec, l’Etiope: «Prendi con te tre uomini di qui e tira su il profeta Geremìa dalla cisterna prima che muoia».
Ger 38,4-6.8-10
Nel libro del profeta Geremia troviamo raccontata in modo autobiografico la sua vita. Sappiamo così che la sua chiamata avvenne intorno al 626 a.C. quando ancora era un ragazzo e desiderava sposarsi con la sua Giuditta, ma Dio stesso glielo proibisce, ed è per questo che è stato l’unico profeta celibe dell’A.T. a differenza di tutti gli altri. Aveva un carattere mite e, all'inizio della sua missione, in cui era giovane inesperto, dovette affrontare il momento più difficile e decisivo della storia della nazione giudaica, quello che conduce all'esilio in Babilonia (587 a.C.). Egli tenta di tutto: scuote il torpore del popolo con una predicazione che chiede una radicale conversione; appoggia la riforma nazionalista e religiosa del re Giosia (622 a.C.); cerca di convincere tutti alla sottomissione al dominio di Babilonia dopo la morte del re (609 a.C.). Viene però accusato di pessimismo religioso e di disfattismo politico.
Questo brano riporta gli avvenimenti dell’anno 588 in cui i Babilonesi sospesero l’assedio a Gerusalemme per fronteggiare l’Egitto, ma Geremia si rifiuta di dire che "tutto va bene", come vorrebbero i consiglieri potenti del re Sedecia. Essi considerano Geremia un pericolo per la nazione solo perché non fa loro da spalla e fa traballare il loro potere di fronte al re il quale ammette: “Ecco, egli è nelle vostre mani; il re infatti non ha poteri contro di voi”. Allora i capi dell’esercito gonfi di presunzione presero Geremìa e lo gettarono nella cisterna…”melmosa, simbolo della morte e del regno dei morti: e così Geremìa affondò nel fango, fisicamente, psicologicamente e simbolicamente. Ci vuole tutta l'onestà e l'intelligenza del consigliere regale Etiope, Ebed-Melech per convincere Sedecia e ordinargli di tirar fuori il “profeta dalla cisterna prima che muoia”.
Geremia mostra in modo concreto quanto soffre chi vuole rimanere fedele a Dio e in questo richiama vivamente la figura di Gesù sofferente e crocifisso. Ma per l'intervento di uno straniero etiope, Geremia è tirato fuori da una cisterna: richiamo velato alla risurrezione vera di Gesù.
Salmo 39 - Signore, vieni presto in mio aiuto
Ho sperato, ho sperato nel Signore
ed egli su di me si è chinato,
ha dato ascolto al mio grido.
Mi ha tratto da un pozzo di acque tumultuose,
dal fango della palude;
ha stabilito i miei piedi sulla roccia,
ha reso sicuri i miei passi.
Ma io sono povero e bisognoso:
di me ha cura il Signore.
Tu sei mio aiuto e mio liberatore:
mio Dio, non tardare.
… Raffinata è l’opposizione simbolica tra la solidità e la stabilità della roccia che è Dio e la melma fangosa della palude stigia degli inferi. L’orante è, quindi, assediato dal principe degli avversari, la morte, dal cui gorgo nauseabondo solo Dio lo può liberare …
L’orante spera, quindi, qualcosa che parrebbe impossibile, l’allontanamento dalla morte. Ma Dio è Signore e dominatore anche della morte…
Commenta S. Agostino “Cantate con sicurezza il cantico nuovo nella nuova via che Dio vi ha fatto conoscere e così tutti i popoli ascoltino e adorino”.
Commento tratto da “I Salmi” di Gianfranco Ravasi
Dalla lettera agli Ebrei
Fratelli, anche noi, circondati da tale moltitudine di testimoni, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento.
Egli, di fronte alla gioia che gli era posta dinanzi, si sottopose alla croce, disprezzando il disonore, e siede alla destra del trono di Dio.
Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d’animo. Non avete ancora resistito fino al sangue nella lotta contro il peccato.
Eb 12,1-4
L’autore della lettera agli Ebrei, dopo aver presentato i testimoni della fede citando i nomi dei primi patriarchi, ora espone l’atteggiamento che deve avere il cristiano. Sembra immaginare una scena grandiosa: il cristiano si trova in uno stadio, gremito dei grandi testimoni della fede, in procinto di entrare in gara. Deve innanzitutto spogliarsi di tutto ciò che può renderlo meno agile nella gara, soprattutto il peccato, poi non deve più accontentarsi di guardare ai santi antichi, ma deve fissare lo sguardo sull’unico e vero modello della corsa e della vita cristiana, Gesù, autore e perfezionatore della fede. Dopo aver indicato l’esempio di Cristo, l’attenzione ritorna immediatamente al comportamento dei credenti a cui ribadisce: ”Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d'animo. …
Per i cristiani, tentati di cedere alla stanchezza o scoraggiamento di fronte alle prove, è importante pensare alle sofferenze che ha sopportato Cristo. La perseveranza di Gesù è stata fortemente messa alla prova dai Suoi persecutori, ma non per questo Egli è venuto meno alla Sua scelta, perciò anche i Suoi seguaci devono imparare a non lasciarsi andare alla stanchezza e allo sconforto.
L’impegno nella fede deve dunque consistere non solo nel tirarsi fuori da un mondo ancora dominato dal peccato, ma nel lottare con tutte le proprie forze, fino all’effusione del sangue, contro le strutture di peccato presenti nel mondo, pur sapendo che la liberazione definitiva avverrà solo alla fine dei tempi. E in questo impegno la loro forza non può derivare se non dall’esempio di Gesù.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!
Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».
Lc 12,49-53
Questo brano fa ancora parte del discorso di Gesù sulla fiducia in Dio. Dopo il discorso sul distacco dai beni terreni, la fiducia nella provvidenza e l’attesa del Signore che viene (12,32-48) il testo che abbiamo ha come tema la “sfida del tempo presente”.
I primi due detti di Gesù sono piuttosto enigmatici: “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso! C’è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato, finché non sia compiuto!” Nel primo detto, il fuoco portato da Gesù poteva indicare originariamente, in chiave escatologica, il giudizio divino purificatore, che rappresentava un aspetto essenziale del regno annunziato da Gesù. È possibile anche che questa attesa fosse collegata con il tema della parola di Dio che Gesù predicava con il desiderio che essa raggiungesse quanto prima il suo scopo. Nel contesto attuale il fuoco può rappresentare la venuta nel giorno di Pentecoste dello Spirito (At 2,3) che, dopo la prova dolorosa della passione-morte di Gesù, spingerà i discepoli ad annunziare il vangelo in tutto il mondo. L’immersione di Gesù nel battesimo indica invece la sua morte imminente: è l’immersione nel destino di sofferenza e di morte, che lo attende a Gerusalemme, dove è diretto. Poi Luca attribuisce a Gesù un altro detto il più provocatorio che Gesù abbia mai pronunciato: “Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera”.
E’ chiaro che Gesù non è venuto a portare la divisione e la guerra, ma la sua venuta è ugualmente divisione e contrasto, perchè egli mette le persone davanti alla decisione: con Lui o contro di Lui. Il vecchio Simeone lo aveva predetto quando lo aveva preso in braccio da bambino: Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. Lc 2,35. Gesù dice che questa divisione può passare anche dentro la famiglia… e purtroppo sappiamo che questo è vero, ma sappiamo anche che molto spesso la fede riunisce la famiglia in una unità e concordia più bella e profonda.
Facciamo fatica a pensare ad un Gesù angosciato! Gesù è quel fuoco che si è acceso sulla terra. Il fuoco di un amore che arde e non si consuma, ma dobbiamo anche tenere presente che Gesù era Dio ma anche uomo...e la sensazione di angoscia è tipicamente umana. Gesù è consapevole che dovrà passare attraverso le onde della sofferenza e della morte per la salvezza degli uomini, ma Lui berrà tutto il suo calice amaro come una resa totale e incondizionata al progetto del Padre.
Dobbiamo ammettere che questo breve brano di Vangelo ci lascia un po’ sconcertati. Ma il Vangelo è anche questo: non rendere la nostra vita facile, ma suscitarci dei continui interrogativi, delle inquietudini che non ci possono lasciare tranquilli. Gesù come uomo-Dio ha provato anche Lui angoscia e sarà proprio Lui che ci aiuterà a superare le nostre!
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La Parola di Dio di questa domenica contiene anche una parola di Gesù che ci mette in crisi, e che va spiegata, perché altrimenti può generare malintesi. Gesù dice ai discepoli: «Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione» (Lc 12,51). Che cosa significa questo? Significa che la fede non è una cosa decorativa, ornamentale; vivere la fede non è decorare la vita con un po’ di religione, come se fosse una torta e la si decora con la panna. No, la fede non è questo. La fede comporta scegliere Dio come criterio-base della vita, e Dio non è vuoto, Dio non è neutro, Dio è sempre positivo, Dio è amore, e l’amore è positivo! Dopo che Gesù è venuto nel mondo non si può fare come se Dio non lo conoscessimo. Come se fosse una cosa astratta, vuota, di referenza puramente nominale; no, Dio ha un volto concreto, ha un nome: Dio è misericordia, Dio è fedeltà, è vita che si dona a tutti noi. Per questo Gesù dice: sono venuto a portare divisione; non che Gesù voglia dividere gli uomini tra loro, al contrario: Gesù è la nostra pace, è la nostra riconciliazione! Ma questa pace non è la pace dei sepolcri, non è neutralità, Gesù non porta neutralità, questa pace non è un compromesso a tutti i costi. Seguire Gesù comporta rinunciare al male, all’egoismo e scegliere il bene, la verità, la giustizia, anche quando ciò richiede sacrificio e rinuncia ai propri interessi. E questo sì, divide; lo sappiamo, divide anche i legami più stretti. Ma attenzione: non è Gesù che divide! Lui pone il criterio: vivere per se stessi, o vivere per Dio e per gli altri; farsi servire, o servire; obbedire al proprio io, o obbedire a Dio. Ecco in che senso Gesù è «segno di contraddizione» (Lc 2,34).
Dunque, questa parola del Vangelo non autorizza affatto l’uso della forza per diffondere la fede. E’ proprio il contrario: la vera forza del cristiano è la forza della verità e dell’amore, che comporta rinunciare ad ogni violenza. Fede e violenza sono incompatibili! Fede e violenza sono incompatibili! Invece fede e fortezza vanno insieme. Il cristiano non è violento, ma è forte. E con che fortezza? Quella della mitezza, la forza della mitezza, la forza dell’amore.
Papa Francesco Angelus 18 agosto 2013