La festa dell’Epifania, che significa “manifestazione del Signore” ha sempre rivestito un particolare significato perchè celebra l’incontro di Dio con l’uomo, è la festa dell’amore gratuito con cui Dio ha raggiunto l’umanità. Se a Natale, Dio ha vissuto il Suo pellegrinaggio, venendo ad abitare in mezzo a noi, nell’Epifania assistiamo al movimento corrispondete: gli uomini attratti dalla rivelazione del Suo mistero, si dirigono verso di Lui.
Nella prima lettura il profeta Isaia profetizza il giorno in cui “cammineranno le genti alla luce del Signore”. Il profeta canta Gerusalemme come la madre che riunirà i figli dispersi e come il luogo in cui confluiranno tutti i popoli.
Nella seconda lettura, tratta dalla lettera agli Efesini, San Paolo afferma che tutti gli uomini, senza esclusioni, sono chiamati a partecipare “in Cristo Gesù” alle promesse di salvezza fatte da Dio.
Nel Vangelo, Matteo ci parla dei Magi che si lasciano guidare dalla stella cometa dall’Oriente verso Betlemme. I magi sono il simbolo del mondo che va in cerca di Dio, è la festa della scienza che si fa guidare dalla stella della fede. E’ la festa della manifestazione della gloria di Dio che si rivela nell’umiltà, in un bambino appena nato. E’ sorprendente come questi uomini sapienti, non rimasero delusi quando videro il bambino; l’evangelista Matteo infatti dice “Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono …” La scienza quando è illuminata dalla fede può raggiungere mete ancora più alte di quelle umanamente sperate.
Dal libro del profeta Isaìa
Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce,
la gloria del Signore brilla sopra di te.
Poiché, ecco, la tenebra ricopre la terra,
nebbia fitta avvolge i popoli;
ma su di te risplende il Signore,
la sua gloria appare su di te.
Cammineranno le genti alla tua luce,
i re allo splendore del tuo sorgere.
Alza gli occhi intorno e guarda:
tutti costoro si sono radunati, vengono a te.
I tuoi figli vengono da lontano,
le tue figlie sono portate in braccio.
Allora guarderai e sarai raggiante,
palpiterà e si dilaterà il tuo cuore,
perché l’abbondanza del mare si riverserà su di te,
verrà a te la ricchezza delle genti.
Uno stuolo di cammelli ti invaderà,
dromedari di Màdian e di Efa,
tutti verranno da Saba, portando oro e incenso
e proclamando le glorie del Signore.
Is 60,1-6
Questo brano appartiene al "Terzo Isaia" (o Trito Isaia capitoli 56-66), il profeta della situazione successiva al ritorno dall'esilio. Dopo l’editto di Ciro (538 a.C) che autorizza il ritorno dall’esilio e la ricostruzione di Gerusalemme, il profeta si rivolge non più agli esiliati, ma ai giudei ritornati da Babilonia a Gerusalemme; il suo non è più il nuovo esodo, ma il ristabilimento delle istituzioni teocratiche, le quali sono minacciate non da agenti esterni, ma dalla infedeltà del popolo. I temi principali che tratta sono l’universalismo della salvezza (56,1-9), la fedeltà al Signore (56,10-59,21), la rinascita di Gerusalemme (60-62), prospettive escatologiche (63-66).
Il testo liturgico si apre con due imperativi, che riflettono lo stile del DeuteroIsaia (Is 41,1; 51,17; 52,1):
“Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te. Poiché, ecco, la tenebra ricopre la terra, nebbia fitta avvolge i popoli; ma su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te.”La luce, associata al concetto di gloria, è simbolo della presenza del Signore. Dio aveva posto la Sua dimora nel tempio fatto costruire da Salomone in Gerusalemme., ma quando però il peccato del popolo era giunto al culmine, la gloria di Dio aveva abbandonato il tempio e Gerusalemme e si era recata in Mesopotamia, accanto agli esuli ( Ez 10,18-22; 11,22-25). In seguito all’editto di Ciro è il Signore stesso che si mette a capo degli esuli e la Sua gloria li riconduce nella terra promessa (Is 40,1-5). Ora la gloria del Signore è ritornata nella città santa, la quale perciò si riempie di luce. La luminosità della città santa provoca un contrasto stridente con tutte le altre regioni della terra, nelle quali invece dominano le tenebre.
Il profeta prosegue descrivendo la nuova situazione: “Cammineranno le genti alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere. Alza gli occhi intorno e guarda:tutti costoro si sono radunati, vengono a te. I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio”. Coloro che si muovono attratti dalla luce che risplende a Gerusalemme sono anzitutto gli appartenenti a nazioni lontane, i quali giungono accompagnate dai loro re. Con questi stranieri vi sono anche i giudei dispersi tra di loro, i quali sono portati in braccio, quasi a indicare la stima e la protezione che le nazioni hanno verso di loro.
Con grande stupore gli abitanti della città vedono una grande quantità di persone che vengono in pellegrinaggio dai paesi più lontani, portando con sé tutti i loro beni in dono al Signore: Allora guarderai e sarai raggiante, palpiterà e si dilaterà il tuo cuore, perché l’abbondanza del mare si riverserà su di te, verrà a te la ricchezza delle genti. Uno stuolo di cammelli ti invaderà, dromedari di Màdian e di Efa, tutti verranno da Saba, portando oro e incenso e proclamando le glorie del Signore.
Qui viene utilizzata l’immagine ricavata dal pellegrinaggio annuale che tutti gli israeliti dovevano fare al santuario centrale, portando al Signore i loro doni. (In origine il pellegrinaggio consisteva nella visita al santuario locale. Con la riforma religiosa del re Giosia questi santuari furono soppressi (V.2Re 18,4.22) e si fissò a Gerusalemme la celebrazione delle feste principali (Pasqua, Settimane, Capanne, 2Re 23; Dt 16,1-17) che diventarono occasione non solo per dare unità al popolo nel contesto di un culto unitario, ma anche per approfondire la sua formazione religiosa).
Ora però coloro che salgono in pellegrinaggio a Gerusalemme non sono più i giudei ma le popolazioni straniere che portano con sé i giudei residenti in mezzo ad esse, quasi come un’offerta al Signore. Esse portano anche i loro doni che simbolicamente vengono designati come oro e incenso,(un metallo prezioso e una preziosa resina, ambedue utilizzati per la costruzione del tempio e per l’esercizio del culto).
Nei versetti che seguono non riportati dal brano liturgico, il profeta prosegue affermando che tutte queste nazioni esprimeranno la loro fede nel Signore mettendosi al servizio del popolo giudaico e ricostruendo le mura della città, mentre sempre nuovi popoli giungeranno portando i loro doni.
La glorificazione di Gerusalemme è presentata dal Terzo Isaia come un fenomeno escatologico che mette in luce la vittoria di Dio contro le potenze perverse che dominano in questo mondo. Nonostante la Sua apparente sconfitta, Dio è il vincitore, e ciò apparirà chiaramente alla fine della storia. Allora Dio creerà un mondo nuovo, nel quale prevarranno la giustizia e la pace.
La prospettiva escatologica di questa profezia non deve però condurre a non vivere l’oggi . Quello che Dio un giorno farà deve diventare il punto di riferimento, la meta a cui tendere giorno per giorno sia sul piano individuale che su quello sociale.
Per gli israeliti è soprattutto importante sottolineare il ruolo storicamente assegnato da Dio al Suo popolo. La luce che un giorno brillerà nella città santa deve essere anticipata mediante un’esistenza conforme alla volontà di Dio. La venuta delle nazioni non rappresenta un privilegio di cui ci si possa vantare, ma piuttosto fa parte di una visione del mondo che deve essere tenuta viva anche a costo di grandi sacrifici, sapendo che essa un giorno sarà destinata a prevalere.
Salmo 72 (71) Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra.
Dio, affida al re il tuo diritto,
al figlio di re la tua giustizia;
egli giudichi il tuo popolo secondo giustizia
e i tuoi poveri secondo il diritto.
Nei suoi giorni fiorisca il giusto
e abbondi la pace,
finché non si spenga la luna.
E domini da mare a mare,
dal fiume sino ai confini della terra.
I re di Tarsis e delle isole portino tributi,
i re di Saba e di Seba offrano doni.
Tutti i re si prostrino a lui,
lo servano tutte le genti.
Perché egli libererà il misero che invoca
e il povero che non trova aiuto.
Abbia pietà del debole e del misero
e salvi la vita dei miseri.
Un re giusto è fonte di pace per questo il salmista invoca per il futuro re - “il figlio del re” - giustizia e rettitudine. Il salmo ha un’indubbia tensione messianica poiché non si possono che applicare al Messia alcuni passi fondamentali: “Ti faccia durare quanto il sole, come la luna, di generazione in generazione”; “Nei suoi giorni fiorisca il giusto e abbondi la pace, finché non si spenga la luna. E domini da mare a mare, dal fiume sino ai confini della terra”; “A lui si pieghino le tribù del deserto, mordano la polvere i suoi nemici ”; “In lui siano benedette tutte le stirpi della terra e tutte le genti lo dicano beato”. Il re è indubbiamente Davide, e il figlio del re è Salomone, ma la figura del re e i risultati del suo governo sono tanto alti e ampi da tratteggiare il futuro Messia, il figlio del re per eccellenza; certo, secondo la carne (Rm 1,3;Gal 3,16).
La giustizia e la rettitudine costruiscono la pace e così le montagne e le colline, cioè le frontiere di Israele, porteranno pace al popolo che ha un re di giustizia e di pace: “Le montagne portino pace al popolo e le colline giustizia”. I popoli confinanti cercheranno la pace con Israele. Grande nelle relazioni con le nazioni il re futuro avrà attenzione all’interno per i deboli contro gli oppressori. Un regno fondato sulla giustizia e sull’amore non potrà mai venire meno: “Ti faccia durare quanto il sole, come la luna, di generazione in generazione". I regni fondati sulla guerra e sull’oppressione non possono durare, prima o poi i popoli si ribellano; ma il regno del Messia fondato sulla giustizia che viene da Dio rimarrà per sempre. La giustizia si eserciterà nel Cristo con l’obbedienza al Padre, con l’espiazione delle colpe del genere umano.
La sua azione sarà benefica come l’acqua che scende sulla terra permettendo cibo e vita: “Scenda come pioggia sull’erba, come acqua che irrora la terra”.
Egli Principe della pace, farà fiorire la pace finché “non si spenga la luna”; questo perché la sua pace, presente nella Chiesa e trasmessa dalla Chiesa, rimarrà sempre, La pace, poi, è l’essere riconciliati con Dio e con i fratelli.
Il suo regno sarà immenso. Non ha precedenti nei regni già esistiti, poiché :”E domini da mare a mare, dal fiume (ndr. l’Eufrate, il fiume per eccellenza) sino ai confini della terra”.
Il Messia non solo avrà i territori, ma l’omaggio delle genti: “A lui si pieghino le tribù del deserto, mordano la polvere i suoi nemici”, sottoposti al suo giudizio. I popoli si sottometteranno al suo giogo: “I re di Tarsis e delle isole porteranno tributi; i re di Saba e di Seba offrrano doni” (Tarsis è comunemente identificata con Tartessos in Spagna; Saba con la zona del golfo Arabico). Si noti che offriranno tributi e porteranno offerte, il che vuol dire che non saranno nella costrizione dei vinti.
Ancora il salmista fa vedere come il futuro Messia non trascurerà i poveri e i miseri, anzi saranno pensiero costante della sua azione: “Li riscatti dalla violenza e dal sopruso, sia prezioso ai suoi occhi il loro sangue”.
“Vivrà”, dice il salmista, cioè anche se colpito dai suoi avversari vivrà, perché conoscerà la risurrezione gloriosa.
“Si preghi sempre per lui”, cioè per mezzo della sua azione sacerdotale, con la quale ha sacrificato se stesso.
“Sia benedetto ogni giorno” perché perenne salvatore di bontà infinita.
Il salmista passa ad un’invocazione a Dio per la grandezza del “figlio di re” su tutta la terra; ciò significa che l’estendersi del regno del Messia sarà dovuto anche all’azione, completamente subordinata alla salvezza operata da Cristo e con la forza data da lui, di coloro che lo amano: “Il suo nome duri in eterno, davanti al sole germogli il suo nome”.
Di nuovo il salmista passa al futuro: “In lui siano benedette tutte le stirpi della terra”. Cioè per mezzo del suo sacrificio riconciliatore il Padre benedirà tutte le genti della terra. “Tutte le genti lo dicano beato”, perché otterrà dal Padre onore e gloria per la sua obbedienza a lui, fino alla morte di croce.
Commento tratto da “Cantico dei Cantici” di P.Paolo Berti
Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni
Fratelli, penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro favore: per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero.
Esso non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come ora è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: che le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo.
Ef 3,2-3.5-6
La Lettera agli Efesini è una delle lettere che la tradizione cristiana attribuisce a S.Paolo, che l'avrebbe scritta durante la sua prigionia a Roma intorno all'anno 62. Gli studiosi moderni però sono divisi su questa attribuzione e la maggioranza ritiene più probabile che la lettera sia stata composta da un altro autore appartenente alla scuola paolina,forse basandosi sulla lettera ai Colossesi, ma in questo caso la datazione della composizione può oscillare, tra l'anno 80 e il 100. La lettera agli Efesini si può dire che è la” lettera della Chiesa” del suo mistero e vita, tanto che anche il Concilio Vaticano II se ne è ampiamente ispirato .
Nella prima parte della lettera dopo aver delineato il progetto salvifico che Dio ha realizzato mediante Cristo (1,2-2,22), in questo brano l’apostolo, dopo essersi presentato come “prigioniero di Cristo per voi pagani…...” prosegue: “penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro favore: per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero.” Ai cristiani provenienti dal mondo pagano era già stato detto che essi erano stati inseriti, a pari diritto dei giudei, nella comunità della Chiesa, di cui gli apostoli sono fondamento (2,20). ma qui viene precisato ancora meglio. Infatti si focalizza l'attenzione sul ministero che Paolo ha ricevuto in favore dei pagani. L'espressione “ ministero della grazia di Dio” indica con precisione l'oggetto della conoscenza degli efesini.
Paolo sottolinea inoltre che questo ministero ha per oggetto un “mistero” che gli è stato fatto conoscere come effetto di un processo di rivelazione, e l’autore di tale processo è Dio stesso.
Poi fa osservare: Esso non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come ora è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito”come dire: il mistero rivelato ora non è come al passato, in cui non è stato manifestato. Questo stesso concetto sarà ripreso anche nei versetti successivi. (vv. 9-10)
Al termine del brano viene definita l' oggetto del mistero: che le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo... Il mistero è dunque la compartecipazione delle genti al corpo della chiesa , all'eredità e alle promesse salvifiche.
Paolo in questo brano dà veramente un grande rilievo al progetto salvifico di Dio, che consiste per lui nell’unità di tutti gli esseri umani, al di là delle differenze di razza e di cultura. Egli mostra come solo eliminando le divisioni sia possibile trovare una pace vera.
Dal vangelo secondo Matteo
Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta:
“E tu, Betlemme, terra di Giuda,
non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda:
da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”».
Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo».
Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.
Mt 2,1-12
L’evangelista Matteo, nel descrivere gli avvenimenti dell’infanzia di Gesù alla luce delle profezie, dopo l’annunzio a Giuseppe, preceduto dalla sua genealogia, racconta quattro avvenimenti che hanno fatto seguito alla sua nascita, presentati ciascuno come compimento di una profezia del’AT: l’arrivo dei magi (2,1-12), la fuga in Egitto (2,13-15), la strage degli innocenti (2,16-18); ritorno in Giudea e poi a Nazaret (2,19-29).
Il brano liturgico ci propone il primo dei quattro avvenimenti: la visita dei magi che vengono dall’oriente. Dopo una breve indicazione circa il tempo e il luogo della nascita di Gesù il racconto si divide in tre parti: venuta dei magi (vv. 1b-2), reazioni di Erode e di Gerusalemme (vv. 3-8), arrivo dei magi a Betlemme e adorazione di Gesù bambino.
Matteo non avendo raccontato la nascita di Gesù, ne dà così l’annunzio: Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta:
Betlemme è nota per aver dato i natali al re Davide, e secondo la profezia di Michea proprio lì doveva nascere il Messia.
Il tempo della nascita viene indicato in riferimento al re Erode, il quale regnò col sostegno del Senato romano sulla Giudea a partire dall'anno 40 a.C. Egli era ebreo, ma di origine idumea, apparteneva cioè per nascita al popolo di Edom, discendente di Esaù, considerato come nemico tradizionale di Israele. Egli si impose ai giudei con la forza, dopo aver soppiantato e sterminato la dinastia reale giudaica degli Asmonei (fondata da Simone Maccabeo) . La lotta per il potere gli era dunque familiare, infatti ha lasciato tristi ricordi e fino alla vecchiaia si rifiutò di abbandonare il trono, facendo perfino assassinare qualcuno dei suoi figli, a suo parere troppo ambiziosi. Non poteva dunque accettare l’idea che si facesse avanti un pretendente al trono, e tanto meno un discendente di Davide. Il racconto di Matteo è in un certo senso la trasposizione in campo religioso di questa situazione conflittuale. Erode morì pochi giorni prima della Pasqua dell'anno 750 dalla fondazione di Roma, cioè nell'anno 4 prima dell'era cristiana. L'attuale sistema di datazione si basa sui calcoli di Dionigi il Piccolo, un monaco del VI secolo che ha commesso un errore facendo incominciare l'era cristiana nell'anno 754 di Roma dunque con 4 anni di ritardo. Aggiungendo i due anni ricordati in Mt 2,16, molti fissano la nascita di Gesù verso l'anno 7-6 prima della nostra era. Ma anche questo calcolo resta incerto.
In seguito alla nascita di Gesù arrivano dunque a Gerusalemme alcuni magi provenienti dall’oriente. Secondo Erodoto, i magi erano originariamente una tribù dei medi divenuta casta sacerdotale tra i persiani. Praticavano la divinazione, la medicina e l'astrologia. Anche se l'astrologia nella Bibbia non gode di una buona fama (Dn 1,20; 2,2-10), tuttavia Matteo presenta questi magi come personaggi di tutto rispetto. La tradizione latina farà di loro dei re (Sal 72,10) e ne preciserà il numero, tre come i doni offerti al bambino, e ne indicherà i nomi: Gaspare, Melchiorre e Baldassarre.
Nel richiedere indicazioni i magi precisano “Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo” Per Matteo, la stella non è soltanto una metafora o un'immagine del Messia: è anche la guida del magi, uno strumento di cui Dio si serve per indicare loro ciò che gli scribi non potranno scoprire nel testo del profeta Michea. Gli antichi consideravano le stelle come esseri animati dotati di natura spirituale per cui possiamo scorgere una similitudine fra la stella che guida i magi a Betlemme e gli angeli di Luca che guidano i pastori alla mangiatoia. In ambo i casi è sempre la Provvidenza di Dio che guida l'uomo.
Le parole dei magi provocano in Erode una certa agitazione condivisa da tutta la città di Gerusalemme. Il motivo del turbamento di Erode è comprensibile, tenuto conto della sua continua paura di un possibioe concorrente, meno comprensibile è lo sbigottimento dei cittadini di Gerusalemme. Forse si può spiegare come paura di violenze da parte di Erode, ma più probabilmente si tratta anche qui di un espediente narrativo con cui l’evangelista anticipa l’opposizione di Gerusalemme nei confronti di Gesù, che alla fine farà di Gerusalemme la città omicida.
Erode convoca allora tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, per sapere dove doveva nascere il Messia. È chiaro che egli vuole sottolineare come tutto Israele, nei suoi rappresentanti più qualificati, abbia cercato la risposta da dare al re. Questa risposta si rifà a un oracolo profetico in cui si dice: “E tu, Betlemme di Èfrata, così piccola per essere fra i villaggi di Giuda, da te uscirà per me colui che deve essere il dominatore in Israele; le sue origini sono dall’antichità, dai giorni più remoti. Perciò Dio li metterà in potere altrui fino a quando partorirà colei che deve partorire;e il resto dei tuoi fratelli ritornerà ai figli d’Israele. Egli si leverà e pascerà con la forza del Signore, con la maestà del nome del Signore, suo Dio.
(Mi 5,1-3a). Nella citazione di Michea, Matteo fa alcuni ritocchi, per es. sostituisce “Efrata” con “terra di Giuda”, forse per evitare la confusione con la Betlemme del nord (Gs 19,15) e abbrevia anche la seconda parte del testo di Michea riformulandola alla luce di 2Sam 5,2 “sarà il pastore del mio popolo”, che contiene lo stesso tema del pastore.
Avuta l’informazione desiderata Erode convoca i magi, si informa circa il tempo in cui era apparsa la stella e infine li invia a Betlemme con la raccomandazione di fargli sapere dove si trova il bambino perché anche lui intende andare ad adorarlo, nascondendo la sua vera intenzione che era quella di eliminare fisicamente il possibile pretendente al trono.
I magi, informati da Erode circa il luogo di nascita del re dei giudei, si rimettono in cammino e guidati nuovamente dalla stella, pieni di gioia, giungono al luogo in cui si trova il bambino con Maria sua madre e prostrati lo adorano; poi traggono dai loro scrigni oro, incenso e mirra e glieli offrono. “Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese”.
Per Matteo i primi che vengono a contatto con Gesù non sono dunque i pastori di Betlemme, ma i misteriosi rappresentanti delle nazioni. I tre doni da loro portati hanno chiaramente valore simbolico: essi indicano da un lato i prodotti tipici dell’oriente, che i magi offrono a Gesù riconoscendo così in lui il loro re; dall’altro richiamano due testi importanti dell’AT:
“Il re di Tarsis e delle isole porteranno offerte, i re degli Arabi e di Saba offriranno tributi. A lui tutti i re si prostreranno, lo serviranno tutte le nazioni... Vivrà e gli sarà dato oro di Arabia” (Sal 72.10-11.15); “Uno stuolo di cammelli ti invaderà, dromedari di Madian e di Efa, tutti verranno da Saba, portando oro e incenso” (Is 60,6)
In questi testi biblici è espressa la speranza che un giorno Dio restaurerà il popolo eletto nella sua gloria originale, i suoi figli ritorneranno nella terra dei padri e tutte le nazioni saliranno a Gerusalemme, portando con sé doni meravigliosi, per adorare il Signore. Rispetto ai testi biblici l’evangelista aggiunge tra i doni dei magi anche la mirra, un unguento usato nella sepoltura, ed è evidente che con questa aggiunta l’evangelista voglia indicare il destino di morte che aspetta il neonato Messia proprio a causa del rifiuto del suo popolo.
In conclusione si può dire che il testo è un esempio di come può essere la chiamata alla fede:
- i Re-magi sono chiamati per mezzo della stella e la seguono;
- i sommi sacerdoti e gli scribi conoscono le scritture, sanno dare indicazioni, ma non si muovono;
- Erode tra la volontà di Dio e la sua, chiaramente sceglie la sua, conosce solo il suo tornaconto, non vede perché non vuole vedere!
Nel Vangelo di oggi, il racconto dei Magi, venuti dall’oriente a Betlemme per adorare il Messia, conferisce alla festa dell’Epifania un respiro di universalità. E questo è il respiro della Chiesa, la quale desidera che tutti i popoli della terra possano incontrare Gesù, fare esperienza del suo amore misericordioso. E’ questo il desiderio della Chiesa: che trovino la misericordia di Gesù, il suo amore.
Il Cristo è appena nato, non sa ancora parlare, e tutte le genti – rappresentate dai Magi – possono già incontrarlo, riconoscerlo, adorarlo. Dicono i Magi: «Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo» . Erode ha sentito questo appena i Magi sono giunti a Gerusalemme. Questi Magi erano uomini prestigiosi, di regioni lontane e culture diverse, e si erano incamminati verso la terra di Israele per adorare il re che era nato. La Chiesa da sempre ha visto in essi l’immagine dell’intera umanità, e con la celebrazione di oggi, della festa dell’Epifania vuole quasi indicare rispettosamente ad ogni uomo e ogni donna di questo mondo il Bambino che è nato per la salvezza di tutti.
Nella notte di Natale Gesù si è manifestato ai pastori, uomini umili e disprezzati - alcuni dicono dei briganti - furono loro i primi a portare un po’ di calore in quella fredda grotta di Betlemme. Ora giungono i Magi da terre lontane, anch’essi attratti misteriosamente da quel Bambino. I pastori e i Magi sono molto diversi tra loro; una cosa però li accomuna: il cielo. I pastori di Betlemme accorsero subito a vedere Gesù non perché fossero particolarmente buoni, ma perché vegliavano di notte e, alzando gli occhi al cielo, videro un segno, ascoltarono il suo messaggio e lo seguirono. Così pure i Magi: scrutavano i cieli, videro una nuova stella, interpretarono il segno e si misero in cammino, da lontano. I pastori e i Magi ci insegnano che per incontrare Gesù è necessario saper alzare lo sguardo al cielo, non essere ripiegati su sé stessi, sul proprio egoismo, ma avere il cuore e la mente aperti all’orizzonte di Dio, che sempre ci sorprende, saper accogliere i suoi messaggi, e rispondere con prontezza e generosità.
I Magi, dice il Vangelo, «al vedere la stella, provarono una gioia grandissima» . Anche per noi c’è una grande consolazione nel vedere la stella, ossia nel sentirci guidati e non abbandonati al nostro destino. E la stella è il Vangelo, la Parola del Signore, come dice il salmo: «Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino» (119,105). Questa luce ci guida verso Cristo. Senza l’ascolto del Vangelo, non è possibile incontrarlo! I Magi, infatti, seguendo la stella giunsero fino al luogo dove si trovava Gesù. E qui «videro il Bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono». L’esperienza dei Magi ci esorta a non accontentarci della mediocrità, a non “vivacchiare”, ma a cercare il senso delle cose, a scrutare con passione il grande mistero della vita. E ci insegna a non scandalizzarci della piccolezza e della povertà, ma a riconoscere la maestà nell’umiltà, e saperci inginocchiare di fronte ad essa.
La Vergine Maria, che accolse i Magi a Betlemme, ci aiuti ad alzare lo sguardo da noi stessi, a lasciarci guidare dalla stella del Vangelo per incontrare Gesù, e a saperci abbassare per adorarlo. Così potremo portare agli altri un raggio della sua luce, e condividere con loro la gioia del cammino.
Papa Francesco
Parte dell’Angelus del 6 gennaio 2016