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Giu 15, 2017

Domenica del Santissimo Corpo e sangue di Cristo – Anno A – 18 giugno 2017

La festa del Corpus Domini, più propriamente chiamata solennità del santissimo Corpo e Sangue di Cristo, è una delle principali solennità dell'anno liturgico e la celebrazione, chiudendo il ciclo delle feste del dopo Pasqua, vuole celebrare il mistero dell'Eucaristia. Questa festa è stata istituita nel lontano 1264 da Papa Urbano IV a ricordo del miracolo eucaristico avvenuto nel 1263 a Bolsena.

Nella prima lettura, tratta dal Libro del Deuteronomio,
leggiamo che Dio ha messo alla prova Israele nel deserto, ma non lo ha abbandonato. La manna e l’acqua che sprizza dalla rupe durissima e arida per dissetare i figli d’Israele, sono segni della parola che “esce dalla bocca del Signore”.

Nella seconda lettura, tratta dalla prima lettera ai Corinzi, San Paolo raccoglie le dichiarazioni di Gesù a Cafarnao, e formula in modo chiaro e limpido il senso di ogni celebrazione eucaristica.

Nel Vangelo di Giovanni viene riportato il discorso tenuto da Gesù nella sinagoga di Cafarnao davanti ad un gruppo di ebrei allibiti: ...Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Attraverso l’eucaristia il credente entra in comunione col Cristo, è strappato al suo destino di morte ed inserito nel mistero della vita divina.

Dal libro del Deuteronomio
Mosè parlò al popolo dicendo:
«Ricòrdati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto, per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore, se tu avresti osservato o no i suoi comandi.
Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore.
Non dimenticare il Signore, tuo Dio, che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile; che ti ha condotto per questo deserto grande e spaventoso, luogo di serpenti velenosi e di scorpioni, terra assetata, senz’acqua; che ha fatto sgorgare per te l’acqua dalla roccia durissima; che nel deserto ti ha nutrito di manna sconosciuta ai tuoi padri».
Dt. 8,2-3.14b-16

Il Deuteronomio è il quinto e ultimo libro del Pentateuco e ha la funzione di concludere la storia delle origini di Israele, e di fornire una sintesi delle tradizioni di fede contenute nella Torah. È stato scritto in ebraico e, secondo l'ipotesi condivisa da molti studiosi, la sua redazione definitiva, ad opera di autori ignoti, è collocata al VI-V secolo a.C. in Giudea , sulla base di precedenti tradizioni orali e scritte
È composto da 34 capitoli descriventi la storia degli Ebrei durante il loro soggiorno nel deserto del Sinai (circa 1200 a.C.) e contiene varie leggi religiose e sociali. Dopo la Prima Legge, data da Dio sul Sinai, il Deuteronomio (Deuteros nomos) si presenta come la "Seconda Legge", la nuova Legge che Mosè consegna al popolo poco prima di morire e invita a tradurre l'amore per Dio nella vita sociale e familiare, non limitandosi dunque allo stretto compimento della Legge.

E’ uno dei libri più intensi di tutto l’Antico Testamento, e presenta una lettura teologica della storia del popolo eletto: Mosè, prima di morire, ricorda a Israele gli avvenimenti passati, mostrando come essi facciano parte di una economia salvifica che ha come punti centrali la promessa ai Padri, l’elezione d’Israele fra tutti i popoli della terra e l’alleanza sinaitica. Questa consapevolezza di appartenere a Dio, privilegio unico ed esclusivo, fa nascere nel popolo l’esigenza di una risposta decisa e libera a favore di Dio e della Sua legge.

Il brano che abbiamo inizia con un invito pressante rivolto da Mosè al popolo di Israele che si trova nelle steppe di Moab, pronto ad attraversare il Giordano e ad entrare nella terra promessa: “Ricordati di tutto il cammino ...”La generazione uscita dall’Egitto è ormai scomparsa e davanti a Mosè si trovano soltanto quelli che sono nati nel deserto e che hanno fatto l’esperienza delle sofferenze che comportava il muoversi continuamente in un territorio inospitale. In realtà il discorso è rivolto a coloro che già si trovano nella terra di Canaan e rischiano di dimenticare le difficoltà che i loro progenitori hanno dovuto superare prima di prenderne possesso. Mosè attribuisce queste sofferenze a un’esplicita decisione di Dio, il quale anzitutto voleva in tal modo “umiliare” cioè spezzare il loro orgoglio e la loro presunzione di poter attuare da soli la propria liberazione. Le difficoltà incontrate erano dunque un mezzo predisposto da Dio per verificare se essi in tali circostanze avrebbero avuto fiducia in Lui, senza lamentarsi e senza rimpiangere ”i comodi” che la schiavitù in Egitto forniva.

Nel versetto successivo si riprende lo stesso tema specificando meglio come Dio si è comportato con Israele: “Egli dunque ti ha umiliato, .... , ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore”. La manna è quindi il simbolo della parola di Dio. Mangiare la manna significa essere aperti alla parola di Dio, essere disposti a osservarla, fidarsi di Lui e delle benedizioni contenute nell’alleanza. Nella manna è dunque simboleggiata la forza che Dio dà a chi crede in Lui, in modo che non gli manchi né il pane materiale né quello spirituale.

Salmo 147 - Loda il Signore, Gerusalemme.

Celebra il Signore, Gerusalemme,
loda il tuo Dio, Sion,
perché ha rinforzato le sbarre delle tue porte,
in mezzo a te ha benedetto i tuoi figli

Egli mette pace nei tuoi confini
e ti sazia con fiore di frumento.
Manda sulla terra il suo messaggio:
la sua parola corre veloce.

Annuncia a Giacobbe la sua parola,
i suoi decreti e i suoi giudizi a Israele.
Così non ha fatto con nessun’altra nazione,
non ha fatto conoscere loro i suoi giudizi.

Il salmo è postesilico, ed è un invito a Gerusalemme (Sion è usato come sinonimo) a glorificare, a lodare, Dio.
Gerusalemme riedificata ha visto consolidata la sua sicurezza di fronte ai popoli confinanti che ora la temono e hanno sospeso le ostilità contro di essa: “Ha rinforzato le sbarre delle tue porte (...). Egli mette pace nei tuoi confini”.
Dio ha benedetto i gli abitanti di Gerusalemme - “in mezzo a te” - e di riverbero tutti gli abitanti di Giuda. Non manca per questo la prosperità materiale: “Ti sazia con fiore di frumento”, cioè con la miglior qualità di farina.

Egli invia la sua Parola a Israele per mezzo dei profeti postesilici, ed essa si diffonde velocemente.
Ma la sua Parola oltre che essere luce per gli uomini è anche creatrice. E' per la sua parola creatrice che viene il freddo, scende la neve, la grandine, la brina, ma segue però il caldo, lo scioglimento delle nevi, lo scorrere delle acque dai nevai. Inverno, temporali, bel tempo sono sotto il comando della sua Parola. La natura non è lasciata a se stessa, ma governata da Dio a favore dell'uomo (Cf. At 14,17).
“Annuncia a Giacobbe la sua parola”; il salmista riprende il tema della parola data ad Israele per mezzo dei profeti. La legge di Mosè e i suoi decreti sono ripresentati con forza dai profeti e dai sacerdoti.
“Così non ha fatto con nessun'altra nazione...”; Israele è oggetto di un'elezione divina, che lo costituisce segno di Dio in mezzo ai popoli.
La Chiesa è invitata a lodare Dio, a glorificarlo, perché ha inviato e dato il suo Figlio, la sua Parola perfetta. Egli l'assiste fortificandola con la forza dello Spirito Santo, e la nutre con fior di frumento, cioè con il pane che non è più pane, se non nelle apparenze, essendo realmente diventato il Corpo del Signore.
Commento di P. Paolo Berti

Dalla prima lettera di S.Paolo apostolo ai Corinzi
Fratelli, il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo?
Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane.
1Cor 10,16-17

Questo brano in cui Paolo illustra con grande chiarezza e profondità il significato dell’eucaristia, si trova nella sezione della prima lettera ai Corinzi in cui l’Apostolo affronta il problema delle carni sacrificate agli idoli.
Ad un cristiano di quei tempi poteva capitare facilmente di assistere al sacrificio con cui si concludeva qualche celebrazione familiare o sociale e di essere invitato a prendere parte al banchetto che faceva seguito. Come doveva comportarsi in tali circostanze? La risposta si comprende se si considera che cosa avviene nella celebrazione cristiana della Cena. Paolo infatti pone la domanda in cui è implicita la risposta: “il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? “
Il calice da cui i cristiani bevono, dopo aver pronunziato su di esso la stessa benedizione proferita un giorno da Cristo, ha il potere di metterli in comunione con il Suo sangue e nello stesso modo il pane che essi spezzano e consumano insieme, li mette in comunione con il corpo di Cristo. Gli elementi eucaristici non sono presentati come il corpo e il sangue di Cristo, ma come dei segni che hanno il potere, nel contesto del rito che commemora la morte e la resurrezione di Cristo, di stabilire un vero rapporto di comunione con Lui. Non sono dunque simboli vuoti, ma strumenti efficaci della presenza di Cristo stesso.
Al rapporto di comunione con Cristo attuato nell’eucaristia corrisponde poi un rapporto non meno reale e profondo tra i partecipanti: “Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane.”

Paolo in poche parole formula limpidamente il senso di ogni celebrazione eucaristica: da quella che si svolgeva a Corinto a quella che oggi si compie in tutte le chiese delle nostre città. Attraverso il calice e il pane posti sull’altare, Cristo comunica con noi il Suo corpo, cioè la Sua vita, il Suo amore e la Sua gloria.

Dal vangelo secondo Giovanni
Gesù disse alla folla:
«Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?».
Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui.
Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
Gv 6,51-58

Questo brano fa parte dal lungo discorso che Gesù tiene dopo la moltiplicazione dei pani e dei pesci. Sta parlando nella sinagoga di Cafarnao e afferma che per mezzo del Figlio dell’uomo il Padre dà il vero pane dal cielo, nel quale si concretizza in modo simbolico la salvezza promessa dai profeti. In seguito alla domanda posta dai presenti, Gesù prosegue affermando che questo pane non è qualcosa di separato da Lui, ma si identifica con la Sua stessa persona; Egli infatti è stato mandato dal Padre a portare la vita a chi crede in Lui.
In seguito alle ulteriori mormorazioni dei giudei, Gesù sottolinea che per mezzo di Lui si attua l’attesa di un insegnamento conferito direttamente da Dio e infine, con chiaro riferimento all’episodio biblico della manna, Gesù si presenta nuovamente come il pane della vita. «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».«
I giudei continuano ad esprimere la loro incredulità chiedendosi se quell’uomo, quel profeta che prima aveva moltiplicato i pani e i pesci fosse un forsennato. Mangiare la sua carne? Bere il suo sangue? Per vivere in eterno? (Possiamo comprendere la loro perplessità).

Il significato della vita promessa a chi mangia la Sua carne e beve il Suo sangue viene ulteriormente specificato da Gesù: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me. Tra Gesù e colui che mangia il Suo corpo e beve il Suo sangue, si instaura dunque un’intima comunione di vita, che si modella su quella che unisce Gesù al Padre, anzi ne è la conseguenza e lo sviluppo logico: come il Figlio, che è stato mandato dal Padre, attinge da Lui tutta la Sua vita, così chi mangia il Figlio attinge da Lui quella stessa vita che Egli ha ricevuto dal Padre.

Il discorso giunge così alla sua conclusione: Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno". Con queste parole Gesù, riprendendo espressioni già usate precedentemente, afferma ancora di essere Lui il pane disceso dal cielo, perché, diversamente dalla manna, dà una vita che dura eternamente. La Sua persona, donata sulla croce per la salvezza di tutta l’umanità e rappresentata nei segni eucaristici del pane e del vino, è dunque il nutrimento dei tempi escatologici, dal quale scaturisce la vita piena nella comunione con il Padre.
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In Italia e in molti altri Paesi si celebra in questa domenica la festa del Corpo e Sangue di Cristo – si usa spesso il nome latino: Corpus Domini o Corpus Christi. La Comunità ecclesiale si raccoglie attorno all’Eucaristia per adorare il tesoro più prezioso che Gesù le ha lasciato.

Il Vangelo di Giovanni presenta il discorso sul “pane di vita”, tenuto da Gesù nella sinagoga di Cafarnao, nel quale afferma: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»

Gesù sottolinea che non è venuto in questo mondo per dare qualcosa, ma per dare se stesso, la sua vita, come nutrimento per quanti hanno fede in Lui. Questa nostra comunione con il Signore impegna noi, suoi discepoli, ad imitarlo, facendo della nostra esistenza, con i nostri atteggiamenti, un pane spezzato per gli altri, come il Maestro ha spezzato il pane che è realmente la sua carne. Per noi, invece, sono i comportamenti generosi verso il prossimo che dimostrano l’atteggiamento di spezzare la vita per gli altri.

Gesù, Pane di vita eterna, è disceso dal cielo e si è fatto carne grazie alla fede di Maria Santissima. Dopo averlo portato in sé con ineffabile amore, Ella lo ha seguito fedelmente fino alla croce e alla risurrezione. Chiediamo alla Madonna di aiutarci a riscoprire la bellezza dell’Eucaristia, a farne il centro della nostra vita, specialmente nella Messa domenicale e nell’adorazione.
Papa Francesco
Parte dell’Angelus 22 giugno 2014

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