Con questa domenica, in cui si conclude il tempo di Natale, la Chiesa celebra il Battesimo del Signore invitandoci a fare memoria del nostro Battesimo. Dopo trent’anni di vita nascosta, Gesù prende un’iniziativa impensabile: giunge al fiume Giordano, si unisce alle folle desiderose di perdono, e riceve anche Lui il Battesimo amministrato da Giovanni.
Nella prima lettura, tratta dal libro del profeta Isaia, Dio offre la nuova alleanza al suo popolo, invita tutti a rendersi depositari delle promesse, ma esige però che il ritorno dall’esilio sia segno di una vera ricerca del perdono.
Nella seconda lettura, tratta dalla prima lettera di S.Giovanni, l’apostolo afferma che grazie all’acqua del battesimo e allo Spirito Santo rinasciamo alla fede e all’amore di Dio, che sono la base dell’amore verso i fratelli e per la vittoria sul male presente nel mondo.
Il Vangelo di Marco ci racconta del battesimo di Gesù sulle rive del Giordano. Il cuore del suo racconto è nella solenne proclamazione divina: “«Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento» che costruisce quasi un dialogo diretto tra il Padre e il Figlio Gesù.
Con oggi celebriamo la grande svolta della vita di ogni credente, ma anche di quella dell’intera umanità perchè in Cristo, “Figlio di Dio”, lo Spirito di Dio è effuso su tutti gli uomini.
Dal libro del profeta Isaia
Così dice il Signore: «O voi tutti assetati, venite all’acqua,
voi che non avete denaro, venite; comprate e mangiate;
venite, comprate senza denaro, senza pagare, vino e latte.
Perché spendete denaro per ciò che non è pane,
il vostro guadagno per ciò che non sazia?
Su, ascoltatemi e mangerete cose buone e gusterete cibi succulenti.
Porgete l’orecchio e venite a me, ascoltate e vivrete.
Io stabilirò per voi un’alleanza eterna, i favori assicurati a Davide.
Ecco, l’ho costituito testimone fra i popoli, principe e sovrano sulle nazioni.
Ecco, tu chiamerai gente che non conoscevi;
accorreranno a te nazioni che non ti conoscevano
a causa del Signore, tuo Dio,
del Santo d’Israele, che ti onora.
Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo, mentre è vicino.
L’empio abbandoni la sua via e l’uomo iniquo i suoi pensieri;
ritorni al Signore che avrà misericordia di lui
e al nostro Dio che largamente perdona.
Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri,
le vostre vie non sono le mie vie. Oracolo del Signore.
Quanto il cielo sovrasta la terra,
tanto le mie vie sovrastano le vostre vie,
i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri.
Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo
e non vi ritornano senza avere irrigato la terra,
senza averla fecondata e fatta germogliare,
perché dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia,
così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca:
non ritornerà a me senza effetto,
senza aver operato ciò che desidero
e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata».
Is 55,1-11
Questo brano fa parte dei testi (capitoli 40-55) attribuiti ad un autore, rimasto anonimo, a cui è stato dato il nome di “Secondo Isaia ” o “deutero Isaia ”. Forse era un lontano discepolo del primo Isaia che visse a Babilonia insieme agli esiliati che, dalla sue profezie prendono speranza. La sua predicazione si colloca, infatti, tra il 550 e il 539 a.C., anni in cui cresce e si afferma sulla scena la potenza persiana, grazie a Ciro il Grande che, dopo una serie di campagne militari tese a consolidare il proprio potere all'interno, ne consegue una grande vittoria su Babilonia (539 a.C. ). Israele vede così la fine dell'esilio e della diaspora in cui si trovava dal 587.
Il brano si apre con un invito: “O voi tutti assetati, venite all’acqua,voi che non avete denaro, venite, comprate e mangiate; venite, comprate senza denaro, senza pagare, vino e latte”. Acqua, vino e latte sono simboli del dono della salvezza , che si è concretizzato specialmente nel cammino dell’esodo. L'invito a mangiare rievoca i temi biblici della Pasqua (Es 12,1-14), della manna (Es 16; Nm 11), del banchetto ai piedi del Sinai, tramite il quale è stata conclusa l’alleanza (24,5.11; Sal 23,5) e infine il banchetto escatologico (Is 25,6-9).
Nel versetto successivo il profeta chiede: “Perché spendete denaro per ciò che non è pane,il vostro guadagno per ciò che non sazia? Su, ascoltatemi e mangerete cose buone e gusterete cibi succulenti”.
Con la domanda il profeta allude forse alle preoccupazioni di alcuni esuli, i quali subordinavano la ricerca del pane, dono di Dio e simbolo dell’alleanza, al possesso di beni materiali con cui garantire la propria sicurezza sia nella terra d’esilio che in quella in cui stanno per ritornare. Perciò il profeta ripete la sua esortazione, e l’invito ad “ascoltare” .
Una terza volta l’invito viene ripetuto: “Porgete l’orecchio e venite a me, ascoltate e vivrete”.
L’ascolto della parola di Dio pronunziata dal profeta ha lo scopo di unire gli esuli per farne un popolo e di garantire loro la vera vita che si attua pienamente nel rapporto con Dio.
Infine il profeta fa una promessa: “Io stabilirò per voi un’alleanza eterna, i favori assicurati a Davide.” L’alleanza escatologica era stata preannunziata dai profeti nell’imminenza dell’esilio. Geremia aveva parlato di una “nuova alleanza”, che avrebbe comportato, come caratteristica, l’incisione della legge sul cuore del popolo (Ger 31,31-33) ed anche di una “alleanza eterna” (Ger 33,40). Il profeta fa riferimento alla promessa fatta a Davide mediante il profeta Natan (2Sm 7,12-16), con la quale Dio si impegnava a mantenere la dinastia davidica sul trono di Gerusalemme, ma qui il profeta non prevede la restaurazione della dinastia davidica, ma l’attuazione dell'alleanza conclusa con David in favore di tutto il popolo. e in questo modo tutto Israele diventa beneficiario dei doni promessi.
E infatti è tutto il popolo che viene “costituito testimone fra i popoli,principe e sovrano sulle nazioni”
e chiamerà gente che non conosceva, “accorreranno a te nazioni che non ti conoscevano a causa del Signore, tuo Dio,del Santo d’Israele, che ti onora.”
La seconda parte del brano inizia con queste parole: Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo, mentre è vicino. Il concetto di “cercare” Dio nasce dalla consuetudine diffusa in tutte le religioni di visitare il santuario di una divinità per poterla incontrare nella statua che la rappresenta e ottenere da essa doni e grazie. Anche in Israele c’era la consuetudine di far visita al santuario per richiedere un responso per mezzo di un oracolo (Dt 17,9). L’esigenza di cercare Dio comporta quindi un impegno preciso:”L’empio abbandoni la sua via e l’uomo iniquo i suoi pensieri; ritorni al Signore che avrà misericordia di lui e al nostro Dio che largamente perdona”.
Il termine “empio” o “iniquo” indica colui che non si preoccupa di compiere il volere di Dio nella sua vita quotidiana. In questo contesto riguarda quei giudei che si erano stabiliti nella terra d’esilio integrandosi nella società in cui si trovavano senza più pensare alla possibilità di un ritorno nella loro terra. “L’empio e l’iniquo” sono quindi invitati ad abbandonare rispettivamente la loro via e i loro pensieri. Per ritornare al Signore è indispensabile mutare la mentalità, il cuore delle persone- Il verbo “ritornare” qui indica la “conversione”, che consiste in un cambiamento di rotta per ritornare sul proprio cammino e incontrare nuovamente il Signore. Per colui che è andato fuori strada non è facile convertirsi, soprattutto se ha di Dio un’immagine distorta, vendicativa e crudele. Perciò il profeta sottolinea che il Signore avrà misericordia di lui perchè è un Dio misericordioso e disponibile al perdono.
Per cogliere fino in fondo la misericordia infinita di Dio bisogna superare la tendenza spontanea a immaginare Dio con categorie umane, e questo è un problema di ogni pratica religiosa e il profeta lo affronta in questi termini:
“Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri,le vostre vie non sono le mie vie. Oracolo del Signore. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri”
Anche Dio ha i Suoi pensieri e le Sue vie, che sono totalmente diversi da quelli dell’uomo. I pensieri di Dio sono i Suoi progetti in favore dell’universo e dell’uomo e le Sue vie sono i Suoi interventi nella storia. Ciò che Dio pensa e per cui agisce è solo la salvezza del Suo popolo e in prospettiva di tutta l’umanità. I pensieri e le vie di Dio non solo sono diversi, ma “sovrastano” quelli dell’uomo, sono più alti di essi come è più alto il cielo rispetto alla terra. I piani di Dio sono quindi sconosciuti all’uomo, e questo non solo perché Dio è un Dio misterioso (Is 45,15), ma anche e soprattutto perché l’uomo è rivolto alle cose terrene che gli interessano, mentre Dio cerca il vero bene di tutti.
Infine il profeta mette in luce l’efficacia della parola di Dio, cioè del Suo operare nella storia e lo fa ricorrendo a due termini: “Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra,senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia,”
In questa descrizione, ricavata dall’esperienza agricola, quello su cui si fa leva è l’efficacia dell’acqua che, sotto forma di pioggia o di neve, non scende mai sulla terra senza fecondarla, facendole produrre il frumento che l’agricoltore utilizzerà sia come seme sia per la semina dell’anno successivo, sia per fare il pane che serve al nutrimento della sua famiglia.
Il secondo termine è così raffigurato: così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca:non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata,
La parola divina avrà dunque la stessa efficacia dell’acqua che scende sui campi: una volta che è pronunziata essa non può rimanere senza effetto, cioè senza attuare la volontà divina in essa formulata.
Il profeta presenta Dio come Colui che è immensamente superiore all’uomo, che ha pensieri e comportamenti totalmente opposti ai suoi, ma nello stesso tempo come Colui che è vicino e si lascia trovare dall’uomo.
In forza della Sua trascendenza, Dio non può essere definito, perché inevitabilmente sarebbe ridotto a categorie umane, di Lui si può dire con più sicurezza quello che non è che non quello che è. Tutto quanto si dice di Lui non può essere che una metafora, un’analogia totalmente inadeguata al Suo vero essere. Tuttavia questo Dio inaccessibile si fa vicino all’uomo e gli parla attraverso gli eventi della storia, interpretati dai Suoi profeti che sanno leggere i segni dei tempi e indicare la strada da percorrere. La Sua Parola è luce e guida per tutto il popolo, specialmente nei momenti più critici.
Dalla prima letterta di S.Giovanni apostolo
Carissimi, chiunque crede che Gesù è il Cristo, è stato generato da Dio; e chi ama colui che ha generato, ama anche chi da lui è stato generato. In questo conosciamo di amare i figli di Dio: quando amiamo Dio e osserviamo i suoi comandamenti. In questo infatti consiste l’amore di Dio, nell’osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi. Chiunque è stato generato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede.
E chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio? Egli è colui che è venuto con acqua e sangue, Gesù Cristo; non con l’acqua soltanto, ma con l’acqua e con il sangue. Ed è lo Spirito che dà testimonianza, perché lo Spirito è la verità. Poiché tre sono quelli che danno testimonianza: lo Spirito, l’acqua e il sangue, e questi tre sono concordi. Se accettiamo la testimonianza degli uomini, la testimonianza di Dio è superiore: e questa è la testimonianza di Dio, che egli ha dato riguardo al proprio Figlio.
1Gv 5,1-9
La Prima lettera di Giovanni è considerata la quarta delle cosiddette “lettere cattoliche”. Il contenuto, la terminologia e lo stile della lettera presentano delle evidenti affinità con il Vangelo secondo Giovanni, per cui alcuni studiosi moderni ritengono che l'autore della Prima lettera e del "quarto vangelo“, siano la stessa persona. La lettera nella sua stesura finale potrebbe essere stata scritta verso la fine del 1^secolo probabilmente ad Efeso. I destinatari della lettera sono i pagani delle comunità dell'Asia Minore che si sono convertiti al Cristianesimo. Nella lettera l'autore si sofferma molto sul modo in cui si manifesta la comunione con Dio e come sia possibile rimanervi per sempre.
Questo brano è tratto dalla parte finale della lettera e come tutti i finali è un po’ riassuntivo e sottolinea le caratteristiche di colui che ama Dio ed è in comunione con Lui. E' stato scelto per questa festa del battesimo di Gesù poiché parla della sua venuta con acqua, sangue e Spirito, tre elementi che ritornano nel racconto del battesimo e nell'esperienza di donazione di Cristo stesso.
Carissimi, chiunque crede che Gesù è il Cristo, è stato generato da Dio;e chi ama colui che ha generato,ama anche chi da lui è stato generato.
Chiunque crede in Gesù figlio di Dio, diviene a sua volta figlio di Dio. In forza di questa adozione diviene anche un fratello nei confronti di tutti coloro che amano Dio, perché non si può pretendere di amare Dio senza amare coloro di cui Egli è Padre.
In questo conosciamo di amare i figli di Dio: quando amiamo Dio e osserviamo i suoi comandamenti.
Possiamo dire perciò di amare veramente i fratelli se amiamo Dio e osserviamo i comandamenti. C’è uno stretto legame tra la dimensione orizzontale (verso i fratelli) e quella verticale (verso Dio) dell'amore.
In questo infatti consiste l’amore di Dio, nell’osservare i suoi comandamenti;e i suoi comandamenti non sono gravosi.
Nell’osservare i comandamenti di Dio si distingue ogni vero credente. I fedeli di Giovanni devono crescere in questa osservanza, in questa fede operativa. Egli li rassicura ricordando loro che i comandamenti di Dio non sono troppo pesanti da osservare.
Chiunque è stato generato da Dio vince il mondo;e questa è la vittoria che ha vinto il mondo:
la nostra fede. E chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio?
Per “mondo” qui si intendono i falsi profeti che avevano diffuso dottrine erronee facendo deviare alcuni cristiani della comunità a cui è rivolta questa lettera. In virtù della loro fede essi hanno potuto vincere i falsi profeti e le loro false dottrine.
E chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio?
Questa vittoria è assicurata a quanti credono che Gesù è Figlio di Dio, quindi capace di donare la salvezza.
Egli è colui che è venuto con acqua e sangue, Gesù Cristo;non con l’acqua soltanto, ma con l’acqua e con il sangue. L'acqua ricorda il battesimo di Gesù e il sangue la Sua morte sulla croce, ma rammenta anche l'acqua e il sangue sgorgati dal costato di Gesù a seguito del colpo di lancia del soldato (Gv 19,34). Essi sono anche segno dei sacramenti della Chiesa.
Ed è lo Spirito che dà testimonianza, perché lo Spirito è la verità.
Riguardo alla testimonianza interiore dello Spirito, essa consiste nel manifestare al credente il suo potere salvifico, la verità dei fatti qui ricordati, e condurlo alla conoscenza di Gesù Cristo. Lo Spirito è la verità perché noi sappiamo che proprio dallo Spirito è resa presente e attiva nella Chiesa la verità portata da Gesù.
Poiché tre sono quelli che danno testimonianza:lo Spirito, l’acqua e il sangue, e questi tre sono concordi. Gesù è venuto con il sangue e l’acqua nel passato; ora il sangue, l'acqua e lo Spirito danno una testimonianza duratura nella vita della Chiesa. Si possono interpretare anche come il simbolo del battesimo (acqua) e dell'Eucaristia (sangue). Nel diritto ebraico erano necessari due testimoni perché la loro deposizione fosse ritenuta valida, qui ce ne sono tre, che portano ad un’unica testimonianza.
Se accettiamo la testimonianza degli uomini, la testimonianza di Dio è superiore: e questa è la testimonianza di Dio, che egli ha dato riguardo al proprio Figlio.
La nostra fede ha delle basi incrollabili. Non solo si fonda sulla testimonianza degli uomini e delle donne che ci hanno trasmesso la fede e l'hanno vissuta fino in fondo, ma si basa su una testimonianza di Dio, che è di gran lunga superiore. Dio Padre ha testimoniato riguardo al Figlio. Questa testimonianza anzitutto è quella della risurrezione, però ci sono vari esempi all'interno del Vangelo, in cui Dio Padre dichiara Gesù il Suo figlio amato. Una di queste dichiarazioni è quella che è avvenuta al Giordano dopo il battesimo e di cui ci parla anche il Vangelo di Marco.
Dal vangelo secondo Marco
In quel tempo, Giovanni proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».
Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nàzaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E, subito, uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. E venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».
Mc 1, 7-11
Il tempo di Natale si chiude col Battesimo del Signore, ma in realtà, nella storia di Gesù di Nazareth, il tempo che passa tra la Sua nascita e il battesimo nel Giordano è di circa 30 anni e di questi decenni poco dicono i Vangeli e poco la tradizione.
Col Battesimo inizia la "vita pubblica" di Gesù per le strade di Palestina fino a quel triduo di Pasqua, presumibilmente all'inizio di aprile dell'anno 30. I tre vangeli sinottici hanno in comune la narrazione del battesimo di Gesù, ma ogni evangelista legge la solenne scena di apertura del mistero pubblico di Gesù da una prospettiva diversa cogliendo aspetti particolari.
Il vangelo di Marco si apre con una introduzione in cui l’evangelista, dopo aver dato alcune notizie riguardati Giovanni il Battista, racconta brevemente il Battesimo di Gesù.
Il brano inizia presentando il Battista e ciò che lui proclama: Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali
L’attività del Battista viene qui definita come un annunzio fatto da un araldo. Marco non riporta la sua predicazione penitenziale (riferita da Matteo e Luca), ma si limita a riportare il suo annunzio messianico, di fronte al quale tutto il resto scompare. Il Battista parla di uno che viene “dopo” di lui, e lo descrive come “più forte”di lui. Nei confronti di colui che viene, il Battista assume un atteggiamento di grandissimo rispetto e sottomissione, ritenendosi addirittura indegno di sciogliere i legacci dei suoi sandali (questo gesto esprime l'umile servizio degli schiavi, considerato così degradante che il padrone non poteva pretenderlo da schiavi ebrei). Giovanni aggiunge poi: “Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo”. Egli presenta la sua attività di battezzatore come una parentesi che sta per essere conclusa In questa affermazione si può trovare un richiamo alla fede cristiana, che considera il battesimo di Giovanni come una pratica che appartiene ormai al passato, mentre è in uso il battesimo amministrato nello Spirito santo (v. 1Cor 12,13). Comunque nella frase attribuita al Battista si vuol dire che, mentre egli amministrava un battesimo solo di acqua, cioè prefigurativo, il vero battesimo, amministrato nel nome di Gesù (il più forte) avrebbe comportato il dono pieno dello Spirito (senza però escludere l’impiego dell’acqua).
L’arrivo di Gesù viene descritta da Marco con poche e concise parole: “Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nàzaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni”.
L’indicazione del tempo “in quei giorni” è alquanto vaga e il verbo “venne” si richiama chiaramente al più forte di cui il Battista ha annunziato la venuta . Qui si viene a sapere per la prima volta che Gesù è originario di un paesino della Galilea chiamato Nazareth. La Galilea, una regione abitata in gran parte da pagani, veniva considerata dai giudei poco importante dal punto di vista della salvezza (v. Gv 7,42.52); ed anche il villaggio di Nazareth era considerato ancora meno (Gv 1,46) infatti non è stato mai
menzionato nell’AT. Sembrerebbe che Gesù sia stato l’unico della Galilea ad andare da Giovanni, con l’unico scopo di ricevere il battesimo, nel racconto di Marco tra l’altro non si dice nulla del rapporto di parentela di Gesù con il Battista.
Marco si limita solo a dire che egli “fu battezzato” nel Giordano da Giovanni e descrive il seguito dell’evento con queste parole: “E, subito, uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba.”
Marco pone l’accento non sul battesimo di Gesù, ma sul fatto che in concomitanza con esso egli ha avuto una profonda esperienza interiore, e diversamente da quanto riportano gli altri evangelisti, la scena non è stata vista dai presenti. L’immagine dei cieli aperti è tipica della letteratura apocalittica (Is 63,19; Gv 1,51; At 7,56; Ap 4,1) e sta ad indicare la ripresa dei contatti diretti tra Dio e l’umanità, interrotti dal peccato, e quindi l’inizio degli ultimi tempi. L’apertura dei cieli consente a Gesù di vedere “lo Spirito discendere verso di lui”. La venuta dello Spirito, caratteristica anch’essa degli ultimi tempi (Ez 36,26-27), ha lo scopo di consacrare Gesù come il mediatore finale della salvezza, sia sulla linea messianica (v. Is 11,2), sia su quella profetica, per questo i primi cristiani hanno interpretato la discesa dello Spirito su Gesù come una “unzione” messianica (v. At 10,38).
Lo Spirito discende su Gesù “come una colomba”… non è facile spiegare come mai lo Spirito sia stato raffigurato come una colomba. Forse sullo sfondo vi è la concezione rabbinica, secondo la quale lo Spirito di Dio all’inizio della creazione aleggiava sulle acque (v. Gen 1,2) come fa una colomba con i suoi piccoli: in questo caso la discesa dello Spirito su Gesù sarebbe presentata come un segno della nuova creazione da Lui inaugurata. Ma è più probabile che lo Spirito sia raffigurato come una colomba anzitutto perché questa era simbolo di Israele in quanto popolo eletto.
Lo Spirito dunque assume la forma di colomba per indicare che viene conferita a Gesù la missione di portare a termine il raduno escatologico del popolo di Dio. Nello stesso modo lo Spirito assumerà a Pentecoste l’aspetto di lingue di fuoco (v At 2,3), in quanto dovrà guidare e sostenere gli apostoli nell’annunzio della salvezza.
Insieme alla visione dello Spirito si fa sentire dal cielo una voce che proclama: “Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento”, e questa “voce” è senza alcun dubbio quella di Dio.
Per concludere si può dire che nell’espressione “Tu sei il Figlio mio, l’amato” possiamo scoprire la Verità che dobbiamo continuamente ricercare nella nostra esistenza: noi siamo generati nell’amore eterno, un amore così grande che l’uomo non comprenderà mai appieno su questa terra.
Innamorarci di Gesù è il senso stesso della nostra ricerca; l’innamoramento di Gesù è qualcosa che va al di là del tempo e dello spazio, è quell’innamoramento che ci fa esistere, che ci rende persone “libere” davanti agli eventi storici E’ con Lui e in Lui che con gioia e fiducia possiamo risentire rivolto ad ognuno di noi, “Tu sei il Figlio mio, l’amato! Perché è in Gesù che la nostra ricerca di senso della vita ritrova il suo compimento.
Le parole di Papa Francesco
Oggi celebriamo la festa del Battesimo del Signore, che conclude il tempo di Natale. Il Vangelo descrive ciò che avvenne sulla riva del Giordano. Nel momento in cui Giovanni Battista conferisce il battesimo a Gesù, il cielo si apre. «Subito – dice san Marco – uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli». Torna alla mente la drammatica supplica del profeta Isaia: «Se tu squarciassi i cieli e scendessi!» (Is 63,19). Questa invocazione è stata esaudita nell’evento del Battesimo di Gesù. È così finito il tempo dei "cieli chiusi", che stanno ad indicare la separazione tra Dio e l’uomo, conseguenza del peccato. Il peccato ci allontana da Dio e interrompe il legame tra la terra e il cielo, determinando così la nostra miseria e il fallimento della nostra vita. I cieli aperti indicano che Dio ha donato la sua grazia perché la terra dia il suo frutto (cfr Sal 85,13). Così la terra è diventata la dimora di Dio fra gli uomini e ciascuno di noi ha la possibilità di incontrare il Figlio di Dio, sperimentandone tutto l’amore e l’infinita misericordia.
Lo possiamo incontrare realmente presente nei Sacramenti, specialmente nell’Eucaristia. Lo possiamo riconoscere nel volto dei nostri fratelli, in particolare nei poveri, nei malati, nei carcerati, nei profughi: essi sono carne viva del Cristo sofferente e immagine visibile del Dio invisibile.
Con il Battesimo di Gesù non solo si squarciano i cieli, ma Dio parla nuovamente facendo risuonare la sua voce: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento». La voce del Padre proclama il mistero che si nasconde nell’Uomo battezzato dal Precursore.
E poi la discesa dello Spirito Santo, in forma di colomba: questo consente al Cristo, il Consacrato del Signore, di inaugurare la sua missione, che è la nostra salvezza. Lo Spirito Santo: il grande dimenticato nelle nostre preghiere. Noi spesso preghiamo Gesù; preghiamo il Padre, specialmente nel "Padre Nostro"; ma non tanto frequentemente preghiamo lo Spirito Santo, è vero? E’ il dimenticato. E abbiamo bisogno di chiedere il suo aiuto, la sua fortezza, la sua ispirazione.
Lo Spirito Santo che ha animato interamente la vita e il ministero di Gesù, è il medesimo Spirito che oggi guida l’esistenza cristiana, l’esistenza di uomo e di una donna che si dicono e vogliono essere cristiani.
Porre sotto l’azione dello Spirito Santo la nostra vita di cristiani e la missione, che tutti abbiamo ricevuto in virtù del Battesimo, significa ritrovare coraggio apostolico necessario per superare facili accomodamenti mondani.
Invece, un cristiano e una comunità "sordi" alla voce dello Spirito Santo, che spinge a portare il Vangelo agli estremi confini della terra e della società, diventano anche un cristiano e una comunità "muti" che non parlano e non evangelizzano.
Ma ricordatevi questo: pregare spesso lo Spirito Santo perché ci aiuti, ci dia la forza, ci dia l’ispirazione e ci faccia andare avanti.
Maria, Madre di Dio e della Chiesa, accompagni il cammino di tutti noi battezzati; ci aiuti a crescere nell’amore verso Dio e nella gioia di servire il Vangelo, per dare così senso pieno alla nostra vita.
Papa Francesco
Angelus dell’11 gennaio 2015