La prima domenica dopo Pasqua, prima di chiamarsi della Divina Misericordia, era chiamata "domenica in albis". Questo nome era dovuto perchè ai primi tempi della Chiesa il battesimo era amministrato durante la notte di Pasqua, ed i battezzandi indossavano una tunica bianca che portavano poi per tutta la settimana successiva, fino alla prima domenica dopo Pasqua, detta perciò "domenica in cui si depongono le vesti bianche" ("in albis depositis"). Questa domenica dal 2000 è stata proclamata Festa della Divina Misericordia per volontà del Papa Giovanni Paolo II, come testimonia la sua seconda Enciclica “Dives in Misericordia”, scritta nel 1980.
Le letture liturgiche però non hanno subito variazioni.
Nella prima lettura tratta dagli Atti degli Apostoli, Luca sottolinea la crescita della prima comunità cristiana con una espressione che ci può dare un quadro di come era: “un cuor solo e un’anima sola!” la comunità dei credenti uniti nell’amore che si esprime nella generosità di mettere i propri beni a disposizione degli altri.
Nella seconda lettura, l’apostolo Giovanni nella sua lettera, afferma come Cristo continua a realizzare il mistero pasquale attraverso i sacramenti del Battesimo e dell’Eucaristie e a offrirci il dono dello Spirito
Il Vangelo di Giovanni riporta l’incontro di Gesù risorto con gli apostoli e il suo saluto: “Pace a Voi!” L’episodio di Tommaso, con i suoi umanissimi dubbi, è particolarmente utile per tutti coloro che procedono a tentoni in una valle oscura alla ricerca di Dio. Tommaso alla fine è stato in grado di proclamare la sua fede con una purezza straordinaria, forse la più alta del quarto Vangelo, esclamando: “Mio Signore e mio Dio!”
Dagli Atti degli Apostoli
La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune.
Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti godevano di grande favore. Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; poi veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno.
At 4,32-35
L’evangelista Luca, negli Atti degli Apostoli dà una panoramica di come viveva la prima comunità cristiana descrivendo alcuni modelli di vita. Mentre nel capitolo 2 descrive la comunità nei suoi vari aspetti, mettendo in risalto la pietà che avevano, nel brano attuale evidenzia il tema della comunione dei beni, e descrive la sintonia profonda che univa “coloro che erano diventati credenti”, facendo così comprendere che chi ispirava il loro comportamento era la fede che li univa alla persona di Gesù.
Luca descrive il loro tipo di vita con tre espressioni: “un cuore solo e un’anima sola” e “nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva”, e infine “fra loro tutto era comune”.
La condivisione dunque non riguardava solo i beni materiali, ma si estendeva a tutto ciò che uno possedeva, come i talenti, la cultura, le amicizie, le esperienze umane e religiose.
Luca indica anche quale era la fonte da cui derivava la comunione tra i membri della comunità, sottolineando che “Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti godevano di grande favore.” Gli apostoli dunque davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù!. Era proprio la fede nel Crocifisso, glorificato da Dio con la risurrezione, tema centrale della predicazione apostolica, che permetteva ai membri della comunità di abbandonare ogni interesse personale, per assumere quello stesso atteggiamento di amore e di condivisione con gli ultimi, che Gesù aveva insegnato, fino all’atto estremo della Sua vita.
Nell’ultima parte del brano Luca riprende la prima affermazione sottolineando l’agire forse più appariscente, in cui i primi credenti esercitavano il loro rapporto di comunione. Anzitutto egli mette in luce il risultato di questo comportamento: “Nessuno tra loro era bisognoso”. Questa espressione ha un riferimento al Dt 15,4, dove si afferma che nel popolo eletto non ci sarà nessun bisognoso, perché Dio lo favorirà di larghe benedizioni se sarà fedele alla Sua voce e obbedirà ai Suoi comandamenti.
In forza della sua fedeltà a Cristo si è dunque attuata nella comunità cristiana la promessa fatta a Israele nel contesto dell’alleanza!.
A questo risultato i discepoli sono giunti perché hanno istituito una cassa comune a cui attingevano le risorse necessarie per venire incontro ai bisogni dei più poveri. Questa cassa, la cui responsabilità era affidata agli apostoli, in quanto erano considerati come i membri più autorevoli della comunità, veniva alimentata dal ricavato della vendita di case e terreni da parte dei membri più facoltosi della comunità (v.2,45). Si può dedurre, anche se non è specificato, che le vendite riguardassero i beni non direttamente utilizzati dai proprietari, e non ciò che serviva loro per la propria sussistenza. In altre parole non si tratta di una vera e propria “comunione dei beni”, ma della rinunzia ad una parte dei propri beni da parte di coloro che avevano più del necessario in favore dei più bisognosi.
A Luca sembra comunque interessare la comunione che sta alla base di questa ridistribuzione di beni materiali, per cui il rapporto di solidarietà e di comunione tra i membri della comunità va ben al di là dei beni materiali. Essa riguarda la totalità della vita e di ciò che uno possiede, perché alla base di tutto ciò si mette in comune il cuore, cioè la persona stessa nella sua espressione più profonda.
Salmo 117 Rendete grazie al Signore perché è buono: il suo amore è per sempre.
Dica Israele: «Il suo amore è per sempre».
Dica la casa di Aronne:
«Il suo amore è per sempre».
Dicano quelli che temono il Signore:
«Il suo amore è per sempre».
La destra del Signore si è alzata,
La destra del Signore ha fatto prodezze.
Non morirò, ma resterò in vita
e annuncerò le opere del Signore.
Il Signore mi ha castigato duramente,
ma non mi ha consegnato alla morte.
La pietra scartata dai costruttori
è divenuta la pietra d’angolo.
Questo è stato fatto dal Signore:
una meraviglia ai nostri occhi.
Questo è il giorno che ha fatto il Signore:
rallegriamoci in esso ed esultiamo!
Il salmo è stato composto per essere recitato con cori alterni e da un solista. Esso celebra una vittoria contro nemici numerosi.
Probabilmente è stato scritto al tempo di Giuda Maccabeo dopo la vittoria su Nicanore e la purificazione del tempio di Gerusalemme (1Mac7,33; 2Mac 10,1s) (165 a.C). Si è condotti a questa collocazione storica, a preferenza di quella del tempo della ricostruzione delle mura di Gerusalemme con Neemia (445 a.C), dal fatto che si parla di “grida di giubilo e di vittoria”, che sono proprie di una vittoria militare. Inoltre le “tende dei giusti” non possono essere né le case, né le capanne di frasche per la festa delle Capanne, ma le tende di un accampamento militare.
Il salmo inizia con l'invito a celebrare l'eterna misericordia di Dio. A questo viene invitato tutto il popolo: “Dica Israele il suo amore è per sempre"; i leviti e i sacerdoti: “Dica la casa di Aronne”; i “timorati di Dio”: “Dicano quelli che temono il Signore” (Cf. Ps 113 B).
Il solista - storicamente Giuda Maccabeo – presenta come Dio lo ha aiutato dandogli la forza, nella confidenza in lui, di sfidare i suoi nemici.
Egli non ha confidato, né intende confidare, in alleanze con potenti della terra, che lo avrebbero trascinato agli idoli, ma ha confidato nel Signore. Era circondato dal fronte compatto delle genti vicine asservite al dominio dei Seleucidi, ma “Nel nome del Signore le ho distrutte". L'urto contro di lui era stato forte, ma aveva vinto nel nome del Signore: “Mi avevano spinto con forza per farmi cadere, ma il Signore è stato il mio aiuto”. “Cadere” significa cedere all'idolatria.
Egli sa che deve continuare la lotta, ma è fiducioso nel Signore: “Non morirò, ma resterò in vita e annuncerò le opere del Signore”. “Le opere del Signore” sono la liberazione dall'Egitto, l'alleanza del Sinai e la conquista della Terra Promessa.
Il solista, che è alla testa di un corteo chiede che gli vengano aperte le porte del tempio purificato dopo le profanazioni di Nicanore per “ringraziare il Signore”: “Apritemi le porte della giustizia...”.
“La pietra scartata dai costruttori”, è Giuda Maccabeo e i suoi, scartati da tanti di Israele che si erano fatti conquistare dai costumi ellenistici (1Mac 1,11s). Tale pietra per la forza di Dio era diventata “pietra d'angolo”, per Israele.
“Questo è il giorno che fatto il Signore”; il giorno della vittoria, del ripristino del culto nel tempio, è dovuto al Signore. Per noi cristiani quel giorno è il giorno della risurrezione; della vittoria di Cristo contro il male.
Il corteo viene invitato a disporsi con ordine fino all'altare: “Formate il corteo con rami frondosi fino agli angoli dell'altare”.
Il salmo si conclude ripetendo l'invito a celebrare la misericordia del Signore.
Il salmo è messianico nel senso che esso profeticamente riguarda il Cristo: (Mt 21,42; Mc 12,10; Lc 20,17; At 4,11; Rm 9,23; 1Pt 2,7).
Commento di P.Paolo Berti
Dalla prima lettera di S.Giovanni Apostolo
Carissimi, chiunque crede che Gesù è il Cristo, è stato generato da Dio; e chi ama colui che ha generato, ama anche chi da lui è stato generato.
In questo conosciamo di amare i figli di Dio: quando amiamo Dio e osserviamo i suoi comandamenti. In questo infatti consiste l’amore di Dio, nell’osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi.
Chiunque è stato generato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede.
E chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio? Egli è colui che è venuto con acqua e sangue, Gesù Cristo; non con l’acqua soltanto, ma con l’acqua e con il sangue. Ed è lo Spirito che dà testimonianza, perché lo Spirito è la verità.
1 Gv 5,1-6
La Prima lettera di Giovanni è considerata la quarta delle cosiddette “lettere cattoliche”. Il contenuto, la terminologia e lo stile della lettera presentano delle evidenti affinità con il Vangelo secondo Giovanni, per cui alcuni studiosi moderni ritengono che l'autore della Prima lettera e del "quarto vangelo”, siano la stessa persona.
La lettera nella sua stesura finale potrebbe essere stata scritta verso la fine del 1^secolo probabilmente ad Efeso. I destinatari della lettera sono i pagani delle comunità dell'Asia Minore che si sono convertiti al Cristianesimo.
Nella lettera l'autore si sofferma molto sul modo in cui si manifesta la comunione con Dio e come sia possibile rimanervi per sempre.
Questo brano è tratto dalla parte finale della lettera e come tutti i finali è un po’ riassuntivo e sottolinea le caratteristiche di colui che ama Dio ed è in comunione con Lui.
Carissimi, chiunque crede che Gesù è il Cristo, è stato generato da Dio; e chi ama colui che ha generato, ama anche chi da lui è stato generato.
Chiunque crede in Gesù figlio di Dio, diviene a sua volta figlio di Dio. In forza di questa adozione diviene anche un fratello nei confronti di tutti coloro che amano Dio, perché non si può pretendere di amare Dio senza amare coloro di cui Egli è Padre.
In questo conosciamo di amare i figli di Dio: quando amiamo Dio e osserviamo i suoi comandamenti.
Possiamo dire perciò di amare veramente i fratelli se amiamo Dio e osserviamo i comandamenti. C’è uno stretto legame tra la dimensione orizzontale (verso i fratelli) e quella verticale (verso Dio) dell'amore.
In questo infatti consiste l’amore di Dio, nell’osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi.
Nell’osservare i comandamenti di Dio si distingue ogni vero credente. I fedeli di Giovanni devono crescere in questa osservanza, in questa fede operativa. Egli li rassicura ricordando loro che i comandamenti di Dio non sono troppo pesanti da osservare.
Chiunque è stato generato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede. E chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio?
Per “mondo” qui si intendono i falsi profeti che avevano diffuso dottrine erronee facendo deviare alcuni cristiani della comunità a cui è rivolta questa lettera. In virtù della loro fede essi hanno potuto vincere i falsi profeti e le loro false dottrine.
E chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio?
Questa vittoria è assicurata a quanti credono che Gesù è Figlio di Dio, quindi capace di donare la salvezza.
Egli è colui che è venuto con acqua e sangue, Gesù Cristo; non con l’acqua soltanto, ma con l’acqua e con il sangue. L'acqua ricorda il battesimo di Gesù e il sangue la Sua morte sulla croce, ma rammenta anche l'acqua e il sangue sgorgati dal costato di Gesù a seguito del colpo di lancia del soldato (Gv 19,34). Essi sono anche segno dei sacramenti della Chiesa.
Ed è lo Spirito che dà testimonianza, perché lo Spirito è la verità.
Riguardo alla testimonianza interiore dello Spirito, essa consiste nel manifestare al credente il suo potere salvifico, la verità dei fatti qui ricordati, e condurlo alla conoscenza di Gesù Cristo.
Lo Spirito è la verità perché noi sappiamo che proprio dallo Spirito è resa presente e attiva nella Chiesa la verità portata da Gesù.
La nostra fede ha delle basi incrollabili. Non solo si fonda sulla testimonianza di coloro che ci hanno trasmesso la fede e l'hanno vissuta fino in fondo, ma si basa su una testimonianza di Dio, che è di gran lunga più importante, e Dio Padre ha reso testimonianza al Figlio facendolo risorgere.
Ci sono anche vari esempi all'interno del Vangelo, in cui Dio Padre dichiara Gesù il Suo figlio amato.
Dal vangelo secondo Giovanni
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo»
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!».
Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.
Gv 20, 19-31
L’evangelista Giovanni, dopo la visita dei due discepoli al sepolcro e la manifestazione del Risorto a Maria Maddalena, narra la duplice apparizione di Gesù agli Undici, a cui fa seguito immediatamente la prima conclusione del vangelo.
Il racconto di Giovanni si avvicina a quello dei sinottici in particolare a Luca, con il quale ha in comune alcuni particolari come l’aspetto corporeo di Gesù, la gioia, la missione, la remissione dei peccati, il dono dello Spirito.
L’evento ha luogo nello stesso giorno della risurrezione cioè “il primo dopo il sabato”. Si tratta dunque del primo giorno della settimana, che, come l’inizio della creazione, segna la nascita di un mondo nuovo. Sebbene le porte del luogo in cui si trovano i discepoli siano chiuse per timore dei giudei, Gesù non ha difficoltà a entrare perchè il Suo corpo è ormai spiritualizzato, Egli non è più legato ai limiti propri dell’esistenza fisica, tipica di questo mondo.
“Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!».” Questo saluto è tipico del costume ebraico; ma si può dopo comprendere che con esso Gesù intende esprimere qualcosa di più di un semplice saluto.
“Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco”. Con questo gesto Gesù intende non soltanto dimostrare la realtà della Sua presenza, ma anche ricordare come sia proprio in forza della Sua morte in croce che Egli si presenta a loro nella Sua nuova realtà. In questo momento, in cui Gesù sta per donare lo Spirito ai Suoi discepoli, l’evangelista non può non ricordare che dal fianco squarciato del crocifisso erano usciti sangue ed acqua, simbolo dello Spirito.
”E i discepoli gioirono al vedere il Signore” Non si tratta semplicemente della soddisfazione di rivedere in vita una persona cara, ma piuttosto della gioia escatologica, strettamente collegata con la pace, che la presenza di Gesù porta con sé, in quanto significa l’adempimento della salvezza.
Poi Gesù ripete il saluto: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”. Il dono della pace non riguarda solo i discepoli, ma deve essere esteso a tutta l’umanità. Esso infatti non è solo modellato su quello che era stato l’invio di Gesù da parte del Padre, ma ne è anche e soprattutto la conseguenza e il prolungamento
“Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati»”. Gesù poi, alitando sui discepoli, conferisce loro lo Spirito, che era stato promesso durante l’ultima cena. Il gesto di alitare ricorda il racconto della creazione del primo uomo, che è diventato un essere vivente solo in forza del soffio divino (v.Gen 2,7), rammentando così nuovamente che la venuta dello Spirito rappresenta una nuova creazione.
Lo Spirito viene direttamente da Gesù, rappresenta quindi la potenza di Dio che promana dalla Sua persona, dalla Sua opera e dalla Sua morte in croce, dove egli “ha dato lo Spirito”. Come effetto di questo dono Egli dà ai discepoli il potere di rimettere i peccati, e i discepoli, guidati e animati dallo Spirito, dovranno rendere presente la salvezza operata da Cristo, che comporta l’eliminazione del peccato e la riconciliazione di tutti gli uomini con Dio e tra di loro. Secondo i profeti l’effusione escatologica dello Spirito avrebbe purificato Israele dalle sue contaminazioni e dai suoi idoli (cfr. Ez 36,25-27).
Si attua così per mezzo dei discepoli il progetto contenuto nelle parole di Giovanni il Battista che aveva designato Gesù come «l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo» (v.. Gv 1,29) e lo aveva presentato come “colui che battezza in Spirito Santo” (v.1,33).
Il racconto dell’apparizione di Gesù ai discepoli ha dunque lo scopo di mostrare come Egli abbia ormai realizzato il compito ricevuto dal Padre e affidi alla chiesa, guidata dallo Spirito, la missione di rendere presenti i frutti della salvezza, portando avanti nel mondo e nella storia l’esperienza di una vita riconciliata.
L’evangelista Giovanni precisa nel suo racconta che al momento di questa venuta di Gesù era assente uno dei dodici, Tommaso detto Didimo (Gemello). Egli apparteneva al gruppo dei Dodici, anche se in questo momento essi sono rimasti solo in undici. Di lui l’evangelista aveva già parlato quando, in seguito alla morte di Lazzaro, aveva commentato la decisione di Gesù di recarsi a Betania dicendo: “Andiamo anche noi a morire con lui”(11,16); sempre lui durante il discorso dell’ultima cena, quando Gesù aveva detto che i discepoli conoscevano la via che portava al luogo in cui egli andava, aveva soggiunto: “Signore, non sappiamo dove vai, come possiamo conoscerne la via?” (14,5). Infine sarà uno del gruppetto che successivamente si recherà a pescare con Pietro in Galilea (V.. 21,2).
Sentendo che gli altri “avevano visto il Signore”, Tommaso, invece di unirsi a loro nella fede, afferma: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo» Questa frase rispecchia stranamente le parole alquanto critiche dette da Gesù al funzionario del re: “Se non vedete segni e prodigi, non credete” (Gv 4,48). Per Tommaso invece il desiderio di fare un’esperienza personale e diretta del Risorto, come l’avevano fatta gli altri discepoli, è legittimo, in quanto anche lui, insieme con loro, dovrà testimoniare quello che ha visto.
Esattamente otto giorni dopo la Pasqua, quindi nuovamente nel giorno di domenica, Gesù, come la prima volta, riappare ai discepoli e li saluta nello stesso modo: “Pace a voi”. Questa volta è presente tra loro anche Tommaso. È a lui che Gesù si rivolge direttamente con queste parole: “Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!”. Con queste parole Gesù dimostra di conoscere, come aveva fatto con Natanaele che cosa il discepolo desiderava fare. Egli non critica Tommaso per la sua richiesta, anzi si dichiara disponibile a soddisfarla. Per l’evangelista il fatto che Tommaso, incredulo com’era, abbia potuto vedere e toccare il corpo di Gesù risorto è chiaramente una conferma della sua realtà.
Alle parole di Gesù Tommaso risponde: “Mio Signore e mio Dio!”. Quando Gesù gli appare, egli non sente più il bisogno di toccare le sue ferite, ma subito, come gli altri, passa dall’incredulità alla fede più piena. Gesù allora conclude: “Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!”.
Tommaso è dunque entrato nel gruppo di coloro che, avendo visto, hanno creduto. Le parole di Gesù non rappresentano certo una critica nei confronti di coloro che appartengono a questa categoria, ma piuttosto esprimono un grande apprezzamento per tutti quelli che, pur non avendo avuto un’esperienza diretta di Gesù, hanno creduto sulla parola dei testimoni oculari.
L’evangelista pensa qui a coloro che essendo privi dell’esperienza diretta di Gesù, possono pensare di essere cristiani di seconda categoria: ad essi egli, con le parole del Risorto, dice: ”Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!”.
Papa Benedetto XVI aveva commentato: Noi tutti siamo Tommaso, l'incredulo; ma noi tutti possiamo, come lui, toccare il Cuore scoperto di Gesù; quindi toccare, guardare il Logos stesso, e così, con la mano e gli occhi rivolti a questo cuore, giungere alla confessione di fede: «Mio Signore e mio Dio!»
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"Noi sappiamo che ogni domenica facciamo memoria della risurrezione del Signore Gesù, ma in questo periodo dopo la Pasqua la domenica si riveste di un significato ancora più illuminante. Nella tradizione della Chiesa, questa domenica, la prima dopo la Pasqua, veniva chiamata “in albis”. Cosa significa questo? L’espressione intendeva richiamare il rito che compivano quanti avevano ricevuto il battesimo nella Veglia di Pasqua. A ciascuno di loro veniva consegnata una veste bianca – “alba”, “bianca” – per indicare la nuova dignità dei figli di Dio. Ancora oggi si fa questo: ai neonati si offre una piccola veste simbolica, mentre gli adulti ne indossano una vera e propria, come abbiamo visto nella Veglia pasquale. E quella veste bianca, nel passato, veniva indossata per una settimana, fino a questa domenica, e da questo deriva il nome in albis deponendis, che significa la domenica in cui si toglie la veste bianca. E così, tolta le veste bianca, i neofiti iniziavano la loro nuova vita in Cristo e nella Chiesa.
C’è un’altra cosa. Nel Giubileo dell’Anno 2000, S.Giovanni Paolo II ha stabilito che questa domenica sia dedicata alla Divina Misericordia. È vero, è stata una bella intuizione: è stato lo Spirito Santo a ispirarlo in questo. Da pochi mesi abbiamo concluso il Giubileo straordinario della Misericordia e questa domenica ci invita a riprendere con forza la grazia che proviene dalla misericordia di Dio. Il Vangelo di oggi è il racconto dell’apparizione di Cristo risorto ai discepoli riuniti nel cenacolo (cfr Gv 20,19-31). Scrive san Giovanni che Gesù, dopo aver salutato i suoi discepoli, disse loro: «Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi». Detto questo, fece il gesto di soffiare verso di loro e aggiunse: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati». Ecco il senso della misericordia che si presenta proprio nel giorno della risurrezione di Gesù come perdono dei peccati. Gesù Risorto ha trasmesso alla sua Chiesa, come primo compito, la sua stessa missione di portare a tutti l’annuncio concreto del perdono. Questo è il primo compito: annunciare il perdono. Questo segno visibile della Sua misericordia porta con sé la pace del cuore e la gioia dell’incontro rinnovato con il Signore.
La misericordia alla luce di Pasqua si lascia percepire come una vera forma di conoscenza. E questo è importante: la misericordia è una vera forma di conoscenza. Sappiamo che si conosce attraverso tante forme. Si conosce attraverso i sensi, si consce attraverso l’intuizione, attraverso la ragione e altre forme ancora. Bene, si può conoscere anche attraverso l’esperienza della misericordia, perché la misericordia apre la porta della mente per comprendere meglio il mistero di Dio e della nostra esistenza personale. La misericordia ci fa capire che la violenza, il rancore, la vendetta non hanno alcun senso, e la prima vittima è chi vive di questi sentimenti, perché si priva della propria dignità. La misericordia apre anche la porta del cuore e permette di esprimere la vicinanza soprattutto con quanti sono soli ed emarginati, perché li fa sentire fratelli e figli di un solo Padre. Essa favorisce il riconoscimento di quanti hanno bisogno di consolazione e fa trovare parole adeguate per dare conforto.
Fratelli e sorelle, la misericordia riscalda il cuore e lo rende sensibile alle necessità dei fratelli con la condivisione e partecipazione. La misericordia, insomma, impegna tutti ad essere strumenti di giustizia, di riconciliazione e di pace. Non dimentichiamo mai che la misericordia è la chiave di volta nella vita di fede, e la forma concreta con cui diamo visibilità alla risurrezione di Gesù.
Maria, la Madre della Misericordia, ci aiuti a credere e a vivere con gioia tutto questo."
Papa Francesco Parte dell’Angelus del 23 aprile 2017