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Set 7, 2018

XXIII Domenica tempo ordinario - Anno B - "Gesù guarisce un sordomuto" - 9 settembre 2018

Le letture liturgiche di questa domenica ci spingono alla lode di Dio, allo stupore per le Sue grandi opere, per la Sua fedeltà.
Nella prima lettura, il Profeta Isaia, annuncia la salvezza di Israele, il ritorno in patria dei deportati e la ricostruzione di Gerusalemme dopo la sua distruzione effettuata dalle armate babilonesi. La fine di una fase così difficile viene descritta da Isaia come una sorta di rivoluzione, di "capovolgimento" del mondo: chi è infermo guarisce, la siccità lascia il passo all'abbondanza dell'acqua. Finisce dunque l'ansia e la luce dell'amicizia di Dio riappare chiaramente.
Nella seconda lettura, l’Apostolo Giacomo afferma che la fede non deve essere condizionata da indebiti riguardi verso i ricchi o la freddezza verso i poveri, e sottolinea come bisogna insistere sulla pratica materiale e senza finzioni della carità, in quanto espressione concreta della nostra relazione con Cristo.
Nel Vangelo di Marco, il racconto è inquadrato nella cornice del cosiddetto “segreto messianico”. Gesù infatti porta in disparte dalla folla il sordomuto e guaritolo, gli comanda di non dire niente a nessuno. Più che un prodigio spettacolare Gesù vuole compiere un atto che trasformi soprattutto la coscienza: gli orecchi sordi nel linguaggio biblico sono spesso segno di cuore indifferente. Senza la parola efficace del Cristo l’uomo resta sordo al Vangelo! E’ per questo che nel sacramento del Battesimo si è introdotto il rito dell’Effata sul bambino che è stato appena battezzato perchè diventi colui che ascolta la parola di Dio e la comunica agli altri con le sue labbra e la sua vita.

Dal libro del profeta Isaia
Dite agli smarriti di cuore:
«Coraggio, non temete!
Ecco il vostro Dio,
giunge la vendetta,
la ricompensa divina.
Egli viene a salvarvi».
Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi.
Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto, perché scaturiranno acque nel deserto, scorreranno torrenti nella steppa.
La terra bruciata diventerà una palude, il suolo riarso sorgenti d’acqua.
Is 35,4-7a

Il profeta Isaia (Primo Isaia autore dei capitoli 1-39) iniziò la sua opera pubblica verso la fine del regno di Ozia, re di Giuda, attorno al 740 a.C, quando l'intera regione siro-palestinese era minacciata dall'espansionismo assiro. Isaia fu anche uno degli ispiratori della grande riforma religiosa avviata dal re Ezechia (715-687 a.C) che mise al bando le usanze idolatre e animiste che gli ebrei avevano adottato imitando i popoli vicini. Isaia si scagliò così contro i sacrifici umani (prevalentemente di bambini o ragazzi), i simboli sessuali, gli idoli di ogni forma e materiale. Altro bersaglio della riforma, e delle invettive di Isaia, furono le forme cultuali puramente esteriori, ridotte quasi a pratiche magiche. In particolare, condannò senza mezzi termini il digiuno, le elemosine, le ricche offerte, quando non sono seguite da una condotta di vita moralmente corretta, dal rispetto verso il prossimo, dal soccorso alla vedova e all'orfano, dall'onestà nell'esercizio di cariche pubbliche.
Questo brano fa parte della piccola apocalisse (c.34-35)) con cui Isaia celebra il rimpatrio dalla schiavitù babilonese per la ricostruzione di Gerusalemme dopo la sua distruzione effettuata dalle armate babilonesi. La deportazione in schiavitù fu un'esperienza terribile che il popolo d'Israele visse tra il 586 e il 538 a.C. e che determinò momenti di smarrimento gravissimo.
Il capitolo 35, da dove è tratto il brano liturgico, inizia con un invito rivolto da Dio, per bocca del profeta, al deserto: «Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa. Come fiore di narciso fiorisca; sì, canti con gioia e con giubilo” L’esultanza del deserto si manifesta attraverso la nascita improvvisa di fiori insoliti in quella regione. Il deserto di cui si parla è quello che separa la Mesopotamia dalla Palestina: attraverso di esso gli esuli ritornarono nella loro terra.
Il brano liturgico inizia con un altro invito del Signore “agli smarriti di cuore: «Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio, giunge la vendetta, la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi».” Il messaggio chiaramente è rivolto agli esuli che si sono messi in cammino. Essi sono ancora infiacchiti dal lungo periodo di esilio, non hanno fiducia in se stessi, e soprattutto non hanno la sicurezza di poter riuscire nella loro impresa.
Vengono perciò incoraggiati con la promessa della presenza del Signore che li guida come aveva fatto un tempo con gli israeliti durante l’esodo dall’Egitto.
Egli porta con sé oltre alla salvezza, riservata al Suo popolo, anche il castigo per i loro nemici che sono anche i Suoi nemici. La ricompensa divina non consiste in un premio guadagnato con le proprie opere buone, ma nella salvezza donata gratuitamente da Dio al Suo popolo.
Alla venuta del Signore corrisponde la guarigione di persone afflitte da diverse infermità: “Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto
Gli esuli che si mettono in cammino sono paragonati a persone afflitte da mali che impediscono loro la possibilità stessa di fare un lungo cammino a piedi. Nonostante la loro inabilità, essi si mettono in cammino senza difficoltà per raggiungere la meta.
scaturiranno acque nel deserto, scorreranno torrenti nella steppa. La terra bruciata diventerà una palude, il suolo riarso sorgenti d’acqua. L’immagine del deserto che rifiorisce al passaggio degli esuli dà l’idea di un rinnovamento che, partendo dal cuore umano, si estende a tutto il creato.
Si può notare che Isaia inserisce nel suo racconto una doppia fila di immagini antitetiche: da una parte si incontrano simboli della natura: l’aridità del deserto, la steppa riarsa, la terra bruciata, si oppongono le acque, i torrenti, le paludi, le sorgenti zampillanti. Dall’altra prendono vita immagini corporali: al fisico malato dei ciechi, dei sordi, degli zoppi, dei muti si oppone il corpo risanato dotato di occhi con ottima vista, di orecchi sensibilissimi, di gambe saltellanti come quelle di un cervo, di labbra che esplodono in canti di gioia.
Il Nuovo Testamento farà sue queste espressioni per indicare in Gesù-Messia il vero realizzatore della salvezza.

Salmo 145 Loda il Signore, anima mia.

Il Signore rimane fedele per sempre
rende giustizia agli oppressi,
dà il pane agli affamati.
Il Signore libera i prigionieri.

Il Signore ridona la vista ai ciechi,
il Signore rialza chi è caduto,
il Signore ama i giusti,
il Signore protegge i forestieri.

Egli sostiene l’orfano e la vedova,
ma sconvolge le vie dei malvagi.
Il Signore regna per sempre,
il tuo Dio, o Sion, di generazione in generazione.

Il salmo è stato composto nel tardo postesilio come rivela la sua lingua aramaicizzante. Esso fa pensare a un tempo di pace, di normalità, quale si ebbe verso la fine dell'epoca persiana quando Giuda divenne uno stato teocratico autonomo con propria moneta fino alla persecuzione di Antioco IV Epifane (2Mac 4,1s).
Il salmista al proposito personale e di testimonianza di lodare il Signore per tutta la vita, fa seguire un'ammonizione basilare: “Non confidate nei potenti, in un uomo che non può salvare”. I potenti, che amano circondarsi di un alone di gloria, non sono dei semidei, sono uomini che come tutti moriranno: “Esala lo spirito e ritorna alla terra: in quel giorno svaniscono tutti i suoi disegni”. Il salmista tuttavia non fa accenno ai guai, alle rovine a cui si espone chi confida nell'uomo, ma, in positivo, dice che è beato, “chi ha per aiuto il Dio di Giacobbe”, cioè il Dio dei padri, il Dio delle promesse e dell'alleanza, riconoscendolo l'unico Dio, onnipotente creatore: “che ha fatto il cielo e la terra, il mare e quanto contiene".
Egli è fedele per sempre”, mai manca alla sua parola, e il suo governo è giustizia e bontà: “Rende giustizia agli oppressi, dà il pane agli affamati”.
Poi il salmista con ritmo incalzante presenta a tutti cinque motivi di confidenza in Dio.
Libera i prigionieri”; intendendo ciò in senso largo: deportati, carcerati ingiustamente, irretiti in trame di calunnia.
Ridona la vista ai ciechi”, dove il cieco è colui che ha smarrito la via della verità (Dt 28,29; Gb 12,25; Is 29,18; 35,5).
Rialza chi è caduto”, cioè chi è caduto nel peccato.
Ama i giusti”, cioè li guida nel giusto cammino e protegge nei loro passi.
Protegge i forestieri, egli sostiene l'orfano e la vedova”, cioè tre categorie di persone deboli, con scarsi punti di riferimento.
Poi una severa osservazione: “Ma sconvolge le vie dei malvagi”.
Dio è re, “regna per sempre”. Nessuno lo può contrastare, limitare il suo potere sovrano, nessuno può sperare di vincerlo; e il suo regnare è segnato dalla giustizia, dalla bontà e dalla misericordia.
Il tuo Dio, o Sion, di generazione in generazione”; Dio che ha fatto alleanza con Sion. Ma l'alleanza è diventata nuova in Cristo; Sion ha rifiutato la nuova ed eterna alleanza, ma Cristo non rinuncia al popolo di Sion, ora tronco morto dell'unico popolo di Dio, il cui tronco vivo è la Chiesa, ma un giorno il tronco morto diventerà vivo, accogliendo Cristo e facendo parte della Chiesa (Rm 11,25).
Commento di P. Paolo Berti

Dalla lettera di S.Giacomo apostolo
Fratelli miei, la vostra fede nel Signore nostro Gesù Cristo, Signore della gloria, sia immune da favoritismi personali. Supponiamo che, in una delle vostre riunioni, entri qualcuno con un anello d’oro al dito, vestito lussuosamente, ed entri anche un povero con un vestito logoro.
Se guardate colui che è vestito lussuosamente e gli dite: «Tu siediti qui, comodamente», e al povero dite: «Tu mettiti là, in piedi», oppure: «Siediti qui ai piedi del mio sgabello», non fate forse discriminazioni e non siete giudici dai giudizi perversi?
Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto i poveri agli occhi del mondo, che sono ricchi nella fede ed eredi del Regno, promesso a quelli che lo amano?
Gc 2,1-5

L'Apostolo Giacomo in questo brano della sua lettera ci dice chiaramente quali scelte dobbiamo fare nella nostra vita personale e sociale e quale strada intraprendere per essere dalla parte di Cristo e fare davvero nostro il Suo messaggio di amore, giustizia, uguaglianza e fratellanza universale.
Il brano inizia con l’esortazione: “Fratelli miei, la vostra fede nel Signore nostro Gesù Cristo, Signore della gloria, sia immune da favoritismi personali”
La fede in Cristo non può essere contaminata dal pensare secondo gli uomini, che si accerchiano di persone che li appoggiano e dalle quali sperano benefici, mentre escludono altre che hanno il torto di non volere essere compiacenti e che seguono Cristo.
Il favoritismo è sempre stato, anche allora, un male per le comunità, e Giacomo lo presenta in tutta la sua gravità, dopo averlo già trattato all’inizio della sua lettera (1,9-10). Disdicevole è anche che i cristiani inseguano i ricchi e si facciano loro servi compiacenti per averne qualche utile. Come disastrosa è l’azione dei cristiani che con favoritismi costituiscono gruppi per condizionare dall’interno le comunità.
L’apostolo passa poi a fare un esempio concreto descrivendo il comportamento, purtroppo sempre attuale anche nei nostri giorni: Supponiamo che, in una delle vostre riunioni, entri qualcuno con un anello d’oro al dito, vestito lussuosamente, ed entri anche un povero con un vestito logoro. Se guardate colui che è vestito lussuosamente e gli dite: «Tu siediti qui, comodamente», e al povero dite: «Tu mettiti là, in piedi», oppure: «Siediti qui ai piedi del mio sgabello», non fate forse discriminazioni e non siete giudici dai giudizi perversi?”
Giacomo presenta veramente un esempio di favoritismo miserevole perché avviene proprio dentro ad un’assemblea eucaristica.
Poi l’apostolo passa alle raccomandazioni: “Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto i poveri agli occhi del mondo, che sono ricchi nella fede ed eredi del Regno, promesso a quelli che lo amano?
La scelta di Dio dei poveri Paolo la espresse così: “Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono”. (1Cor 1,27-28). Anche nel Magnificat troviamo espresse parole analoghe.
Dalla sete del denaro e del potere nascono gli inganni, le invidie, le liti, le oppressioni, le corruzioni, le divisioni, le guerre. Giacomo prende di petto l’eresia di fondo, quella che promuove e fa da supporto a tutte le eresie: il desiderio affannoso del potere.
Giacomo non si fa portatore di un quadro sociale dove tutto sia livellato, ma vuole che chi ha di più, per varie ragioni, non sia chiuso nella superbia, ma sia umile e caritatevole. D’altro canto il povero non deve avere anche lui la bramosia delle ricchezze e di conseguenza odiare il ricco perché le possiede.
Il rinnovamento del modo di pensare dell’uomo passa tutto attraverso l’adesione autentica a Cristo.
Nota: Sappiamo che nella dottrina sociale della Chiesa non si ha affatto il rifiuto del capitale, poiché esso è una forza con la quale si possono creare posti di lavoro; quello che fa scandalo è l’uso egoistico delle ricchezze possedute.

Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli.
Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.
E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».
Mc 7,31-37

Questo brano del vangelo di Marco appartiene alla terza parte riguardante i viaggi di Gesù fuori dalla Galilea. Questo episodio è riportato subito dopo la guarigione della figlia di una donna siro-fenicia (7,24-30), nella quale l’evangelista ha visto un’anticipazione del dono della salvezza ai pagani, e prima della moltiplicazione dei pani per una folla sempre di pagani (8,1-8). L’evangelista inizia il suo racconto con una indicazione di luogo:
Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli.Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano.
Gesù aveva lasciato la zona di Tiro, città della Fenicia, dove aveva guarito la figlia della donna sirofenicia, passa per Sidone e si dirige verso il mare di Galilea, ma invece di fermarsi in questa regione, si reca nella zona orientale Decapoli, (l'odierna Giordania), abitata anch’essa da popolazioni non giudaiche. La collocazione geografica del miracolo che sta per narrare, non è molto importante, ciò che interessa Marco è evidenziare il destinatario: anche lui, come la sirofenicia, è un pagano.
A parte questa indicazione implicita e la malattia da cui è afflitto, non si conoscono altri particolari del sordomuto e di coloro che lo portarono da Gesù; l’imposizione delle mani, che essi gli chiedono, era il gesto solito con cui si invocava la benedizione divina su una persona, e già altre volte era stato richiesto a Gesù o usato da lui e dai suoi discepoli per compiere un’azione straordinaria.
A questa richiesta Gesù risponde più con i gesti che con le parole: ”Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!».”
Gesù non si sottrae alla richiesta di coloro che accompagnano l’uomo e neppure solleva obiezioni, come aveva fatto poco prima con la donna sirofenicia, ma il fatto di compiere il miracolo in disparte indica una certa riservatezza, dovuta certamente al fatto che si trova in territorio non abitato da giudei. E’ questa forse anche la causa per cui Egli, per la prima volta, fa ricorso a gesti inusuali come il toccare gli orecchi con le dita e mettere la saliva sulla lingua, che sono simili a quelli usati dai guaritori dell’epoca.
Il guardare verso il cielo sta però ad attestare che Egli attribuisce non a questi gesti, ma a Dio, l’opera miracolosa.
I gesti di Gesù hanno un effetto immediato: ”E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. E comandò loro di non dirlo a nessuno”.
Il comando che fa seguito alla guarigione fa parte del segreto messianico perchè non è chiaro a chi sia stato dato questo ordine, dal momento che Gesù si trovava solo con l’interessato.
E’ evidente però che Gesù vuole impedire che venga a saperlo la folla, che certamente è composta di pagani, i quali ancora più dei giudei potrebbero non capire ciò che Lui ha fatto.
L’evangelista però osserva: “Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano … e Marco osserva che i presenti, “pieni di stupore”, commentano l’accaduto con queste parole: “Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti”.
La guarigione del sordomuto, al di fuori dei territori abitati tradizionalmente dai giudei, mostra nuovamente che la salvezza ha ormai raggiunto i pagani. Tra di essi Gesù non svolge un’attività di predicazione, ma si limita a fare alcuni segni mediante i quali dimostra che la salvezza è disponibile anche a loro.
Dall’atteggiamento di coloro che vengono a contatto con Lui appare che, diversamente dai giudei, essi sono disposti ad accogliere positivamente il dono di Dio, imparando ad ascoltare la Sua parola e a pregarlo con spirito di figli. Anzi essi stessi si fanno persino missionari del Suo vangelo.
Si apre così una nuova epoca nella storia dell’umanità, nella quale cade la barriera tra giudei e pagani, e con essa tutte le barriere di razza, lingua e religione, e le persone cominciano a capirsi e a condividere. È questo il segno più eclatante che il regno di Dio è vicino.

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"Il Vangelo di oggi racconta la guarigione di un sordomuto da parte di Gesù, un evento prodigioso che mostra come Gesù ristabilisca la piena comunicazione dell’uomo con Dio e con gli altri uomini. Il miracolo è ambientato nella zona della Decapoli, cioè in pieno territorio pagano; pertanto quel sordomuto che viene portato da Gesù diventa simbolo del non-credente che compie un cammino verso la fede. Infatti la sua sordità esprime l’incapacità di ascoltare e di comprendere non solo le parole degli uomini, ma anche la Parola di Dio. E san Paolo ci ricorda che «la fede nasce dall’ascolto della predicazione» (Rm 10,17).
La prima cosa che Gesù fa è portare quell’uomo lontano dalla folla: non vuole dare pubblicità al gesto che sta per compiere, ma non vuole nemmeno che la sua parola sia coperta dal frastuono delle voci e delle chiacchiere dell’ambiente. La Parola di Dio che il Cristo ci trasmette ha bisogno di silenzio per essere accolta come Parola che risana, che riconcilia e ristabilisce la comunicazione.
Vengono poi evidenziati due gesti di Gesù. Egli tocca le orecchie e la lingua del sordomuto. Per ripristinare la relazione con quell’uomo “bloccato” nella comunicazione, cerca prima di ristabilire il contatto. Ma il miracolo è un dono dall’alto, che Gesù implora dal Padre; per questo alza gli occhi al cielo e comanda: “Apriti!”. E le orecchie del sordo si aprono, si scioglie il nodo della sua lingua e si mette a parlare correttamente.
L’insegnamento che traiamo da questo episodio è che Dio non è chiuso in sé stesso, ma si apre e si mette in comunicazione con l’umanità. Nella sua immensa misericordia, supera l’abisso dell’infinita differenza tra Lui e noi, e ci viene incontro. Per realizzare questa comunicazione con l’uomo, Dio si fa uomo: non gli basta parlarci mediante la legge e i profeti, ma si rende presente nella persona del suo Figlio, la Parola fatta carne. Gesù è il grande “costruttore di ponti”, che costruisce in sé stesso il grande ponte della comunione piena con il Padre.
Ma questo Vangelo ci parla anche di noi: spesso noi siamo ripiegati e chiusi in noi stessi, e creiamo tante isole inaccessibili e inospitali. Persino i rapporti umani più elementari a volte creano delle realtà incapaci di apertura reciproca: la coppia chiusa, la famiglia chiusa, il gruppo chiuso, la parrocchia chiusa, la patria chiusa… E questo non è di Dio! Questo è nostro, è il nostro peccato.
Eppure all’origine della nostra vita cristiana, nel Battesimo, ci sono proprio quel gesto e quella parola di Gesù: “Effatà! - Apriti!”. E il miracolo si è compiuto: siamo stati guariti dalla sordità dell’egoismo e dal mutismo della chiusura e del peccato, e siamo stati inseriti nella grande famiglia della Chiesa; possiamo ascoltare Dio che ci parla e comunicare la sua Parola a quanti non l’hanno mai ascoltata, o a chi l’ha dimenticata e sepolta sotto le spine delle preoccupazioni e degli inganni del mondo.
Chiediamo alla Vergine Santa, donna dell’ascolto e della testimonianza gioiosa, di sostenerci nell’impegno di professare la nostra fede e di comunicare le meraviglie del Signore a quanti incontriamo sul nostro cammino."
Papa Francesco Parte dell’Angelus del 6 settembre 2015

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