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Nov 9, 2018

XXXII Domenica tempo ordinario - Anno B - "L'offerta della vedova" - 11 novembre 2018

Le letture liturgiche di questa domenica vedono protagoniste due vedove che nell’antico oriente avevano una situazione drammatica, perchè con la perdita del marito non avevano più chi assicurava loro una tutela giuridica e spesso si riducevano a mendicare in balìa della prepotenza altrui.
Nella prima lettura, tratta dal libro dei Re, Dio mette sul cammino del profeta Elia a Sarèpta una vedova, che a malapena riesce a provvedere a sé e al figlio. Mosso dalla sua fede incrollabile, Elia non teme di chiedere alla vedova ciò che le rimane per il suo sostentamento e, questa donna straniera, a differenza del popolo di Dio, che si era affidato a déi stranieri, si fida del Signore e rischia tutto sulla parola del profeta.
Nella seconda lettura, tratta dalla lettera agli Ebrei, l’autore afferma che Cristo a differenza degli antichi sacerdoti, che immolavano per il sacrificio più volte degli animali, ha offerto in sacrificio se stesso una volta per sempre. Grazie al Suo sacrificio il peccato è perdonato e la riconciliazione è realizzata.
Nel Vangelo di Marco, Gesù osserva il sublime gesto della povera vedova che versa due monetine. Avrebbe potuto offrirne anche una sola, e invece versandone due aveva rinunziato a tutto ciò che possedeva. E’ a questo punto che Gesù estrae questa donna dall’anonimato innalzandola al di sopra di tutti i “benefattori anonimi” del tempio.
La vedova di questi due racconti biblici è una figura emblematica, è il segno del vero credente che si affida in totalità a Dio. E’ il simbolo della Chiesa povera, tanto cara a Papa Francesco, ed è la rappresentazione dell’autentico amore e della donazione di se stessi.

Dal primo libro dei Re
In quei giorni, il profeta Elia si alzò e andò a Sarèpta. Arrivato alla porta della città, ecco una vedova che raccoglieva legna. La chiamò e le disse: «Prendimi un po' d'acqua in un vaso, perché io possa bere».
Mentre quella andava a prenderla, le gridò: «Per favore, prendimi anche un pezzo di pane». Quella rispose: «Per la vita del Signore, tuo Dio, non ho nulla di cotto, ma solo un pugno di farina nella giara e un po' d'olio nell'orcio; ora raccolgo due pezzi di legna, dopo andrò a prepararla per me e per mio figlio: la mangeremo e poi moriremo».
Elia le disse: «Non temere; va' a fare come hai detto. Prima però prepara una piccola focaccia per me e portamela; quindi ne preparerai per te e per tuo figlio, poiché così dice il Signore, Dio d'Israele: "La farina della giara non si esaurirà e l'orcio dell'olio non diminuirà fino al giorno in cui il Signore manderà la pioggia sulla faccia della terra”.
Quella andò e fece come aveva detto Elia; poi mangiarono lei, lui e la casa di lei per diversi giorni. La farina della giara non venne meno e l'orcio dell'olio non diminuì, secondo la parola che il Signore aveva pronunciato per mezzo di Elia.
1Re 17,10-16

Il primo libro dei re, come il secondo, è un testo contenuto nella Bibbia ebraica (Tanakh, dove sono contati come un testo unico) e in quella cristiana. Sono stati scritti entrambi in ebraico e secondo molti esperti, la loro redazione definitiva, ad opera di autori ignoti, è collocata al VI-V secolo a.C. in Giudea, sulla base di precedenti tradizioni orali e scritte, in particolare della cosiddetta fonte deuteronomista del VII secolo a.C., integrata da tradizioni successive.
Il primo libro è composto da 22 capitoli descriventi la morte di Davide, Salomone, la scissione del Regno di Israele dal Regno di Giuda, il ministero del Profeta Elia (nel nord) e i vari re di Israele e Giuda, eventi datati attorno al 970-850 a.C..
In questo brano, incontriamo il grande profeta Elia, che svolse la propria missione sotto Acab (874-853 a.C.) re di Israele. Elia prima di rifugiarsi a Sarèpta, aveva profetizzato al re Acab, che spinto dalla moglie Gezabele, aveva organizzato in Israele il culto di Baal, dio siro-fenicio della fertilità, un lungo periodo di siccità.. Sotto l’’incubo della persecuzione della regina Gezabele, sua implacabile nemica, durante questa terribile carestia, Elia sconfina in Fenica, nella città di Sarepta, l’attuale Sarafand in Libano.
L’incontro che Elia farà in questa città con una vedova ridotta all’estremo, sarà ricordato anche da Gesù nella sinagoga di Nazareth. C’è da tenere presente che la situazione delle vedove dell’antico Oriente era particolarmente drammatica: con la perdita del marito non avevano più chi assicurava loro protezione e sostentamento e spesso si riducevano a mendicare, in balia della prepotenza altrui.
Il brano inizia riferendo che Elia “arrivato alla porta della città, vede una vedova che raccoglieva legna”. Egli le chiese di riempire una brocca d'acqua perché aveva sete e di portargliela. Poi “mentre quella andava a prenderla, le gridò: «Per favore, prendimi anche un pezzo di pane». La donna rispose che non aveva nulla di cotto, ma solo un pugno di farina nella giara e un goccio d'olio nell'orcio, e soggiunse “ora raccolgo due pezzi di legna, dopo andrò a prepararla per me e per mio figlio: la mangeremo e poi moriremo”. Vediamo che questa donna non ha che un pugno di farina e qualche goccia d’olio, eppure è pronta a sacrificare tutto per il profeta, che l’aveva rassicurata dicendo: «Non temere; va' a fare come hai detto…. poiché così dice il Signore, Dio d'Israele: "La farina della giara non si esaurirà e l'orcio dell'olio non diminuirà …”.
La donna fa ciò che Elia aveva ordinato ”poi mangiarono lei, lui e la casa di lei per diversi giorni
Il racconto termina riportando che: “La farina della giara non venne meno e l'orcio dell'olio non diminuì, secondo la parola che il Signore aveva pronunciato per mezzo di Elia” .
Mosso dalla sua fede incrollabile, Elia non teme di chiedere alla vedova ciò che le rimaneva per il suo sostentamento e, questa donna straniera, a differenza del popolo di Dio che si era affidato a déi stranieri, si fida del Signore e rischia tutto sulla parola del profeta.

Salmo 145 - Loda il Signore, anima mia
Il Signore rimane fedele per sempre
rende giustizia agli oppressi,
dà il pane agli affamati.
Il Signore libera i prigionieri.

Il Signore ridona la vista ai ciechi,
il Signore rialza chi è caduto,
il Signore ama i giusti,
il Signore protegge i forestieri.

Egli sostiene l'orfano e la vedova,
ma sconvolge le vie dei malvagi.
Il Signore regna per sempre,
il tuo Dio, o Sion, di generazione in generazione.

Il salmo è stato composto nel tardo postesilio come rivela la sua lingua aramaicizzante. Esso fa pensare a un tempo di pace, di normalità, quale si ebbe verso la fine dell'epoca persiana quando Giuda divenne uno stato teocratico autonomo con propria moneta fino alla persecuzione di Antioco IV Epifane (2Mac 4,1s).
Il salmista al proposito personale e di testimonianza di lodare il Signore per tutta la vita, fa seguire un'ammonizione basilare: “Non confidate nei potenti, in un uomo che non può salvare”. I potenti, che amano circondarsi di un alone di gloria, non sono dei semidei, sono uomini che come tutti moriranno: “Esala lo spirito e ritorna alla terra: in quel giorno svaniscono tutti i suoi disegni”. Il salmista tuttavia non fa accenno ai guai, alle rovine a cui si espone chi confida nell'uomo, ma, in positivo, dice che è beato, “chi ha per aiuto il Dio di Giacobbe”, cioè il Dio dei padri, il Dio delle promesse e dell'alleanza, riconoscendolo l'unico Dio, onnipotente creatore: “che ha fatto il cielo e la terra, il mare e quanto contiene".
Egli è fedele per sempre”, mai manca alla sua parola, e il suo governo è giustizia e bontà: “Rende giustizia agli oppressi, dà il pane agli affamati”.
Poi il salmista con ritmo incalzante presenta a tutti cinque motivi di confidenza in Dio.
Libera i prigionieri”; intendendo ciò in senso largo: deportati, carcerati ingiustamente, irretiti in trame di calunnia.
“Ridona la vista ai ciechi”, dove il cieco è colui che ha smarrito la via della verità (Dt 28,29; Gb 12,25; Is 29,18; 35,5).
Rialza chi è caduto”, cioè chi è caduto nel peccato.
Ama i giusti”, cioè li guida nel giusto cammino e protegge nei loro passi.
Protegge i forestieri, egli sostiene l'orfano e la vedova”, cioè tre categorie di persone deboli, con scarsi punti di riferimento.
Poi una severa osservazione: “Ma sconvolge le vie dei malvagi”.
Dio è re, “regna per sempre”. Nessuno lo può contrastare, limitare il suo potere sovrano, nessuno può sperare di vincerlo; e il suo regnare è segnato dalla giustizia, dalla bontà e dalla misericordia.
Il tuo Dio, o Sion, di generazione in generazione”; Dio che ha fatto alleanza con Sion. Ma l'alleanza è diventata nuova in Cristo; Sion ha rifiutato la nuova ed eterna alleanza, ma Cristo non rinuncia al popolo di Sion, ora tronco morto dell'unico popolo di Dio, il cui tronco vivo è la Chiesa, ma un giorno il tronco morto diventerà vivo, accogliendo Cristo e facendo parte della Chiesa (Rm 11,25).
Commento di Padre Paolo Berti

Dalla lettera agli Ebrei
Cristo non è entrato in un santuario fatto da mani d'uomo, figura di quello vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore. E non deve offrire se stesso più volte, come il sommo sacerdote che entra nel santuario ogni anno con sangue altrui: in questo caso egli, fin dalla fondazione del mondo, avrebbe dovuto soffrire molte volte.
Invece ora, una volta sola, nella pienezza dei tempi, egli è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso. E come per gli uomini è stabilito che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio, così Cristo, dopo essersi offerto una sola volta per togliere il peccato di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione con il peccato, a coloro che l'aspettano per la loro salvezza.
Eb 9,24-28

Questo brano è tratto dalla parte centrale della Lettera agli Ebrei, in cui si affronta il tema del sacerdozio e del sacrificio di Cristo, in particolare descrive l’efficacia del suo sacerdozio in quanto esso si configura come un ingresso nel santuario celeste.
L’autore inizia affermando: “Cristo non è entrato in un santuario fatto da mani d'uomo, figura di quello vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore.
Cristo sommo sacerdote, non è entrato nel tempio fatto dagli uomini, ma in quello vero, cioè al cospetto di Dio. Il tempio di Gerusalemme era solo una figura della corte celeste. Gesù è comparso davanti al Dio dell'universo per intercedere a nostro favore. Dal giorno dell‘ascensione Egli è davanti al trono di Dio, nel Suo corpo glorioso e parla di noi al Padre.
E non deve offrire se stesso più volte, come il sommo sacerdote che entra nel santuario ogni anno con sangue altrui: “la Sua offerta ha valore perenne, non deve perciò essere ripetuta ogni anno come invece dovevano fare i sacerdoti a Gerusalemme. Inoltre Gesù non ha presentato l'offerta di animali per il sacrificio, ma Lui stesso è stato immolato e offerto, come vero agnello pasquale.
in questo caso egli, fin dalla fondazione del mondo, avrebbe dovuto soffrire molte volte. Invece ora, una volta sola, nella pienezza dei tempi, egli è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso”.
Qui viene chiarito meglio l’aspetto definitivo del sacrificio di Cristo. Egli non deve offrire più volte se stesso perché il Suo sacrificio non ha semplicemente impetrato il perdono dei peccati, bensì ha annullato del tutto il peccato.
E come per gli uomini è stabilito che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio
Anche per gli uomini vi è un evento definitivo e irreversibile, quello della morte. Dopo la morte avviene il giudizio, la valutazione di quanto di bene una persona ha fatto durante la sua vita terrena.
così Cristo, dopo essersi offerto una sola volta per togliere il peccato di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione con il peccato, a coloro che l'aspettano per la loro salvezza.
Gesù tornerà una seconda venuta nel mondo. Egli che si è offerto una sola volta per annullare il peccato, tornerà una seconda volta nella gloria; uscirà di nuovo dal santuario celeste, quando verrà a noi, non per morire, ma per salvare coloro che l’aspettano per essere ammessi nel Suo Regno.

Dal vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù [nel tempio] diceva alla folla nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa».
Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo. Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».
Mc 12, 38-44

L’evangelista Marco continua a farci il resoconto dell’attività di Gesù dopo il suo ingresso a Gerusalemme e le varie controversie avute con i rappresentanti di diversi gruppi che componevano il giudaismo del suo tempo. Questo brano si apre con una ammonizione rivolta da Gesù alla folla:
Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa”.
Gesù accusa gli scribi di vanità e di ostentazione, che si rivelano nel loro modo di vestire e nel ricercare il saluto ossequioso della gente e i primi posti nella sinagoga. Gli scribi erano incaricati di leggere e interpretare la Legge di Mosè, venivano chiamati infatti anche dottori della legge, e diversi di loro facevano parte del Sinedrio, cioè l'organo amministrativo più importante del popolo di Gerusalemme, che aveva ancora una grande autorità, nonostante la dominazione romana.
Il loro comportamento dimostra come si servivano del loro ruolo per avere riconoscimenti e privilegi. A questi atteggiamenti si aggiunge anche lo sfruttamento nei confronti delle vedove, che rappresentavano la categoria più debole e più esposta della società giudaica: essi si approfittavano della loro posizione sociale e religiosa per impadronirsi (divorare) le loro case, che rappresentavano l’unica garanzia di una vita dignitosa. E quasi a nascondere o giustificare i soprusi commessi, essi si dedicavano a lunghe preghiere, strumentalizzando quindi la religione per fini immorali. E questa è stata anche l’accusa principale che i profeti avevano loro rivolta (per es.v. Am 2,6-8).
Agli scribi che si comportavano in questo modo, viene minacciato un castigo più severo di quello previsto a quanti, pur commettendo gli stessi misfatti, non si facevano scudo della religione.
Poi l’evangelista continua riferendo che Gesù “ Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo
Questa scena si svolge nel recinto del tempio (atrio delle donne) in cui vi erano 13 cassette con apertura a forma di tromba per raccogliere offerte volontarie e imposte per la gestione del tempio. Gesù è seduto e segue i gesti degli offerenti. C’era un rituale preciso per compiere queste offerte: il donatore consegnava il suo dono al sacerdote incaricato. Costui contava l'ammontare dell'importo e la validità del denaro utilizzato e lo proclamava ad alta voce e questo dava adito a gesti di grande ostentazione
La povera vedova nell’Antico e Nuovo Testamento è il simbolo della completa mancanza di mezzi, poiché ella stessa ha diritto ad essere aiutata, ed in questo caso il suo dono, anche se è poca cosa, è sorprendente. Le due monetine sembrano testimoniare la totalità del dono, non ha tenuto per sé nemmeno una moneta!
Il fatto poi che Marco debba dire che due monetine fanno un soldo, significa che i suoi contemporanei non conoscevano più il valore della moneta di quel tempio.
Il particolare inoltre che la vedova getti due monetine può far pensare che avrebbe potuto trattenerne una, invece le dona entrambe, dona tutto ciò che aveva! Allora Gesù, chiamati a sé i discepoli, fa questo commento: “In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere”.
Per Gesù la vedova ha dato più di tutti gli altri, non certo come quantità assoluta, ma perché, mentre costoro hanno dato solo parte del loro superfluo, essa ha dato tutto quanto aveva, cioè si è privata di quanto le era necessario per la sua sopravvivenza. Gesù vuole così affermare che ognuno è gradito a Dio non per quanto egli può offrirgli in denaro, meriti, osservanze o gesti rituali, ma per il dono totale di sé, con il quale partecipa fino in fondo al suo progetto salvifico.
La vedova, rappresentante delle vedove che gli scribi avevano depredato, diventa così modello di gratuità e di dono, fino a divenire l'esempio del vero discepolo, della vera persona religiosa, il perfetto contrario degli scribi.
Gesù, nel fare il suo elogio, critica anche coloro che per finta virtù religiosa davano le offerte al tempio, la loro infatti era solo ostentazione e non una condivisione dei propri beni. Il dono della vedova al contrario è stato il sacrificio nascosto in cui una persona lascia tutte le sue sicurezze per abbandonarsi completamente alla misericordia di Dio, (come la vedova di Sarèpta che aiutò Elia).
Il comportamento di queste due donne, dell’antico e nuovo Testamento, diventano così esempio della vera fede.

 

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“Il brano del Vangelo di questa domenica si compone di due parti: una in cui si descrive come non devono essere i seguaci di Cristo; l’altra in cui viene proposto un ideale esemplare di cristiano.
Cominciamo dalla prima: cosa non dobbiamo fare. Nella prima parte Gesù addebita agli scribi, maestri della legge, tre difetti che si manifestano nel loro stile di vita: superbia, avidità e ipocrisia. A loro – dice Gesù - piace «ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti» . Ma sotto apparenze così solenni si nascondono falsità e ingiustizia. Mentre si pavoneggiano in pubblico, usano la loro autorità per “divorare le case delle vedove”, che erano considerate, insieme agli orfani e agli stranieri, le persone più indifese e meno protette. Infine, gli scribi «pregano a lungo per farsi vedere». Anche oggi esiste il rischio di assumere questi atteggiamenti. Ad esempio, quando si separa la preghiera dalla giustizia, perché non si può rendere culto a Dio e causare danno ai poveri. O quando si dice di amare Dio, e invece si antepone a Lui la propria vanagloria, il proprio tornaconto.
E in questa linea si colloca la seconda parte del Vangelo di oggi. La scena è ambientata nel tempio di Gerusalemme, precisamente nel luogo dove la gente gettava le monete come offerta. Ci sono molti ricchi che versano tante monete, e c’è una povera donna, vedova, che mette appena due spiccioli, due monetine. Gesù osserva attentamente quella donna e richiama l’attenzione dei discepoli sul contrasto netto della scena. I ricchi hanno dato, con grande ostentazione, ciò che per loro era superfluo, mentre la vedova, con discrezione e umiltà, ha dato «tutto quanto aveva per vivere»; per questo – dice Gesù – lei ha dato più di tutti. A motivo della sua estrema povertà, avrebbe potuto offrire una sola moneta per il tempio e tenere l’altra per sé. Ma lei non vuole fare a metà con Dio: si priva di tutto. Nella sua povertà ha compreso che, avendo Dio, ha tutto; si sente amata totalmente da Lui e a sua volta Lo ama totalmente. Che bell’esempio quella vecchietta!
Gesù, oggi, dice anche a noi che il metro di giudizio non è la quantità, ma la pienezza. C’è una differenza fra quantità e pienezza. Tu puoi avere tanti soldi, ma essere vuoto: non c’è pienezza nel tuo cuore. Pensate, in questa settimana, alla differenza che c’è fra quantità e pienezza. Non è questione di portafoglio, ma di cuore. C’è differenza fra portafoglio e cuore… Ci sono malattie cardiache, che fanno abbassare il cuore al portafoglio … E questo non va bene! Amare Dio “con tutto il cuore” significa fidarsi di Lui, della sua provvidenza, e servirlo nei fratelli più poveri senza attenderci nulla in cambio.
Mi permetto di raccontarvi un aneddoto, che è successo nella mia diocesi precedente. Erano a tavola una mamma con i tre figli; il papà era al lavoro; stavano mangiando cotolette alla milanese… In quel momento bussano alla porta e uno dei figli – piccoli, 5, 6 anni, 7 anni il più grande - viene e dice: “Mamma, c’è un mendicante che chiede da mangiare”. E la mamma, una buona cristiana, domando loro: “Cosa facciamo?” – “Diamogli, mamma…” – “Va bene”. Prende la forchetta e il coltello e toglie metà ad ognuna delle cotolette. “Ah no, mamma, no! Così no! Prendi dal frigo” – “No! facciamo tre panini così!”. E i figli hanno imparato che la vera carità si dà, si fa non da quello che ci avanza, ma da quello ci è necessario. Sono sicuro che quel pomeriggio hanno avuto un po’ di fame… Ma così si fa!
Di fronte ai bisogni del prossimo, siamo chiamati a privarci – come questi bambini, della metà delle cotolette – di qualcosa di indispensabile, non solo del superfluo; siamo chiamati a dare il tempo necessario, non solo quello che ci avanza; siamo chiamati a dare subito e senza riserve qualche nostro talento, non dopo averlo utilizzato per i nostri scopi personali o di gruppo.
Chiediamo al Signore di ammetterci alla scuola di questa povera vedova, che Gesù, tra lo sconcerto dei discepoli, fa salire in cattedra e presenta come maestra di Vangelo vivo. “
Papa Francesco Parte dell’Angelus dell’8 novembre 2015

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