Da mercoledì scorso, con la liturgia delle ceneri, è iniziata la quaresima, tempo che ci riporta alla sostanza dell’esistenza cristiana invitandoci a intensificare nella preghiera e nella penitenza il cammino per la preparazione alla Pasqua di risurrezione.
Nella prima lettura, tratta dal Libro del Deuteronomio, ci viene proposto il più antico credo di Israele, in cui nel rito dell’offerta delle primizie, il popolo ricordava il grandioso intervento divino che lo liberò dall’umiliazione e dalla schiavitù d’Egitto per introdurlo nella Terra promessa.
Nella seconda lettura, nella sua lettera ai Romani, Paolo ci rassicura che “non c’è distinzione tra giudeo e greco”, dato che Gesù Cristo è il Signore di tutti, infatti “chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato”. Invocare il Signore in spirito di penitenza e umiltà significa ravvivare la propria fede: una fede da vivere con sincerità interiore ma anche con il coraggio di testimoniarla. .
Nel brano del Vangelo, Luca racconta che all’inizio della sua missione Gesù fu tentato da Satana, che lo invitava a salvare il mondo, obbedendo ad aspirazioni del tutto umane e non in sintonia con la volontà di Dio. Ma Gesù sul pinnacolo del tempio dichiara il suo “si” definitivo al Padre, diventando anche per tutti i suoi seguaci, di ogni tempo e di ogni luogo, l’emblema luminoso dell’adesione piena e totale Dio.
Aurelia Stagnaro
Parrocchia N.S.de La Salette
Dal libro del Deuteronòmio
Mosè parlò al popolo e disse:
«Il sacerdote prenderà la cesta dalle tue mani e la deporrà davanti all’altare del Signore, tuo Dio, e tu pronuncerai queste parole davanti al Signore, tuo Dio:
“Mio padre era un Aramèo errante; scese in Egitto, vi stette come un forestiero con poca gente e vi diventò una nazione grande, forte e numerosa. Gli Egiziani ci maltrattarono, ci umiliarono e ci imposero una dura schiavitù. Allora gridammo al Signore, al Dio dei nostri padri, e il Signore ascoltò la nostra voce, vide la nostra umiliazione, la nostra miseria e la nostra oppressione; il Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente e con braccio teso, spargendo terrore e operando segni e prodigi. Ci condusse in questo luogo e ci diede questa terra, dove scorrono latte e miele. Ora, ecco, io presento le primizie dei frutti del suolo che tu, Signore, mi hai dato”.
Le deporrai davanti al Signore, tuo Dio, e ti prostrerai davanti al Signore, tuo Dio».
Dt 26,4-10
Secondo la tradizione ebraica e molte confessioni religiose cristiane, il libro del Deuteronomio sarebbe stato scritto da Mosè, ma molti esegeti moderni ritengono che tutto il Pentateuco sia in realtà una raccolta di vari scritti di epoche diverse, formatasi nel periodo post-esilico. Per quanto riguarda il Deuteronomio almeno la parte centrale, si pensa che sia stata composta da un movimento profetico sorto intorno all‘VIII-VII Sec. a.C., nel periodo della conquista assira, ed alla seguente riforma del re Giosia. Si presenta come il testamento di Mosè, la raccolta cioè delle ultime sue disposizioni che avrebbe espresso poco prima della sua morte, quando ormai il popolo, radunato nelle steppe di Moab, sta per iniziare il suo ingresso nella terra promessa.
In questo brano, troviamo il più antico Credo di Israele che gira intorno a tre articoli di fede: la vocazione dei patriarchi “Aramèi erranti ”, il dono della libertà dopo la pesante esperienza dell’oppressione egiziana, il dono della terra promessa.
Offrendo al Signore le primizie dei suoi raccolti, ogni israelita così riconosce che la terra è un dono di Dio. La professione di fede che egli pronuncia in occasione di tale offerta rievoca non la creazione del mondo, ma l'evento principale della storia della salvezza. L'epopea dell'esodo inizia con la migrazione del "padre" delle dodici tribù di Israele, Giacobbe, il quale scese in Egitto "come un forestiero". Oppresso dagli egiziani, il popolo alzò la voce al Dio dei padri, "e il Signore ascoltò" il suo grido, "con mano potente e con braccio teso" lo liberò dalla schiavitù e lo condusse nella terra promessa, dandogli il paese "dove scorrono latte e miele".
In questa estrema semplicità della fede degli Israeliti emerge un dato decisivo:
Dio non si rivela con apparizioni mistiche o paranormali, non si affaccia in mezzo a cieli limpidi o sopra a nuvole dorate, ma si nasconde nelle cose semplici, nel quotidiano delle nostre giornate. La più completa formula di fede nella Bibbia è quindi il ringraziamento per la presenza di Dio accanto a noi, per il suo svelarsi nel quotidiano, per il suo intatto e viscerale amore per l’umanità , per le sue opere di salvezza che, solo chi ha un animo puro e semplice, può scoprire.
Salmo 90/91 Resta con noi, Signore, nell'ora della prova.
Chi abita al riparo dell’Altissimo
passerà la notte all’ombra dell’Onnipotente.
Io dico al Signore: «Mio rifugio e mia fortezza,
mio Dio in cui confido».
Chi abita al riparo dell’Altissimo
passerà la notte all’ombra dell’Onnipotente.
Io dico al Signore: «Mio rifugio e mia fortezza,
mio Dio in cui confido».
Sulle mani essi ti porteranno,
perché il tuo piede non inciampi nella pietra.
Calpesterai leoni e vipere,
schiaccerai leoncelli e draghi.
«Lo libererò, perché a me si è legato,
lo porrò al sicuro, perché ha conosciuto il mio nome.
Mi invocherà e io gli darò risposta;
nell’angoscia io sarò con lui,
lo libererò e lo renderò glorioso».
Il salmista professa di trovare la sua forza e pace nel Signore, nel quale confida: “Io dicoal Signore: <Mio rifugio e mia fortezza, mio Dio in cui confido>”.
Il salmo vuole infondere fiducia nel futuro, sicuramente positivo per chi confida nel Signore (Cf. Dt 6,14).
Il "laccio del cacciatore”, sono le trappole poste dai nemici per giungere a compromettere il giusto.
“Dalla peste che distrugge”; più giustamente secondo l'originale ebraico dovrebbe tradursi: “Dalla parola che distrugge”, cioè dalla parola calunniatrice.
“Il terrore della notte”, sono gli assalti dei briganti, le incursioni dei nemici.
“La freccia che vola di giorno”, sono gli attacchi in pieno giorno dei nemici: di notte le frecce non si usano.
“La peste che vaga nelle tenebre”, l'uomo non vede il propagarsi del contagio; per questo “nelle tenebre”.
“Lo sterminio che devasta a mezzogiorno”, è l'azione delle carestie.
Di fronte all'imperversare delle sventure: “Mille cadranno al tuo fianco e diecimila alla tua destra, ma nulla ti potrà colpire”.
Indubbiamente il salmo presenta una situazione del giusto non costantemente frequente, per cui va aperta ad una lettura in chiave figurata, dal momento che le sventure colpiscono anche i giusti. Le sventure non colpiscono il giusto nel senso che in tutte le circostanze avrà l'aiuto di Dio per non cadere nell'infedeltà a Dio ed essere felice della sua presenza: Dio è il più grande bene.
Gli angeli custodiranno il giusto in tutti i suoi passi, cioè nei suoi viaggi, nelle sue iniziative. Anzi, tutto sarà facilitato dagli angeli, la cui azione è presentata con l'immagine degli angeli che stendono le loro mani a formare la strada dove percorre il giusto, affinché non inciampi nella pietra il suo piede.
Il giusto assistito da Dio camminerà indenne
nei pericoli:“Calpesterai leoni e vipere, schiaccerai leoncelli e draghi”. I “draghi”, sono un'immagine tratta dalla mitologia cananea (Vedi il Leviatan; Cf. Ps 73).
Il salmista alla fine “passa la parola” a Dio: “Lo libererò, perché a me si è legato, lo porrò al sicuro, perché ha conosciuto il mio nome...lo libererò e lo renderò glorioso. Lo sazierò di lunghi giorni e gli farò vedere la mia salvezza”.
Commento tratto da “Cantico dei Cantici” di P.Paolo Berti
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani
Fratelli, che cosa dice [Mosè]? «Vicino a te è la Parola, sulla tua bocca e nel tuo cuore», cioè la parola della fede che noi predichiamo. Perché se con la tua bocca proclamerai: «Gesù è il Signore!», e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo. Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia, e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza.
Dice infatti la Scrittura: «Chiunque crede in lui non sarà deluso». Poiché non c’è distinzione fra Giudeo e Greco, dato che lui stesso è il Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano. Infatti: «Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato».
Rm 10,8-13
San Paolo scrisse la lettera ai Romani da Corinto probabilmente tra gli anni 58-59. La comunità dei cristiani di Roma era già ben formata e coordinata, ma lui ancora non la conosceva. Forse il primo annuncio fu portato a Roma da quei “Giudei di Roma”, presenti a Gerusalemme nel giorno della Pentecoste e che accolsero il messaggio di Pietro e il Battesimo da lui amministrato, diventando cristiani. Nacque subito la necessità di avere a Roma dei presbiteri e questi non poterono che essere istituiti a Gerusalemme.
La Lettera ai Romani è uno dei testi più alti e più impegnativi degli scritti di Paolo perchè affronta grandi temi teologici: l'universalità e la gratuità del dono della salvezza che si ottiene per mezzo della fede in Cristo; la fedeltà di Dio; i rapporti tra giudaismo e cristianesimo; la libertà di aderire alla legge dello Spirito che dà vita.
In questo brano, in particolare l'Apostolo ci ricorda la "parola della fede", che conduce alla salvezza. La fede cristiana, in continuità con quella del popolo dell'antica alleanza, consiste anzitutto nel credere in Dio Creatore del mondo e Signore dell'universo, che si è rivelato in una storia di salvezza a favore del Suo popolo. Ma il vertice dei suoi interventi salvifici è la morte e la risurrezione di Cristo: questa è la novità della fede cristiana, alla quale sono chiamati tutti gli uomini. Infatti, afferma Paolo, "non c'è distinzione tra Giudeo e Greco": in Cristo e per mezzo di lui Dio vuole donare la salvezza a tutta l'umanità. Riprendendo le espressioni del libro del Deuteronomio, Paolo sottolinea che si tratta non solamente di proclamare la nostra fede "con la bocca", ma anche di professarla "con il cuore", ossia con intima e profonda convinzione.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame. Allora il diavolo gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane». Gesù gli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo”».
Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra e gli disse: «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio. Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo». Gesù gli rispose: «Sta scritto: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”».
Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù di qui; sta scritto infatti:
“Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano”;
e anche: “Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”».
Gesù gli rispose: «È stato detto: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”».
Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato.
Lc4,1-13
L’Evangelista Luca, come Marco e Matteo, fa delle tentazioni uno schema di tutta la vita di Gesù, però solo lui le estende a tutti i quaranta giorni.
La prima tentazione: Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane è quella materialistica, perché Gesù ha umanamente fame e quindi satana approfitta della situazione per tentare Gesù a fare un miracolo per sfamarsi (la fame fa anche sragionare) e comincia il discorso mettendo in dubbio la sua natura di Figlio di Dio, ma Gesù citando le scritture (Dt 8,3) risponde: "Sta scritto:Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". Gesù così afferma che è importante mangiare come benessere corporale, ma prima viene la Parola di Dio.
La seconda tentazioneè quella politica, del dominio sugli altri, sui poteri della terra e satana gli dice «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio. Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo». Anche questa volta Gesù, citando le scritture (Dt6,13) gli risponde :
“Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto” La tentazione politica del domino sugli altri, lo sfruttare gli altri per il proprio egoismo per il proprio potere ed interesse, sono tentazioni terribili e attualissime, che finiranno quando finirà il mondo.
La terza tentazioneè quella miracolistica del pinnacolo del tempio di Gerusalemme in cui Satana, (questa volta è anche lui a citare le scritture (sal.91)), dice a Gesù: “Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù di qui; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano”; e anche: “Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Ma Gesù gli risponde: “È stato detto: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo” .(Dt6,16) Praticamente Satana invita Gesù a fare uso dei suoi poteri divini per la propria autoglorificazione, ma Gesù anche questa volta lo respinge perché non si può mettere Dio al servizio dell’uomo, ma al contrario è l’uomo che è al servizio di Dio.
Luca a differenza degli altri sinottici termina annotando: Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato. Questo per indicare che i quaranta giorni nel deserto sono soltanto il primo round e che lo scontro finale avverrà a Gerusalemme durante la passione.
***
Preghiera
Questo è il tempo del deserto, o Signore.
Anche noi con te,
siamo attratti verso le dune del silenzio
per riscoprire l’orizzonte del nostro mondo interiore
e spezzare il pane della Parola
che sazia la nostra fame
e dona vigore nei giorni di lotta.
Questo è il tempo del digiuno, o Signore,
dalle parole vane e dalle immagini effimere,
dal cibo oltre misura,
per ritrovare la dignità del cuore sobrio
che fiorisce in amore solidale.
Donaci, o Signore,
di non sciupare i giorni di luce
che tu dipani per noi:
liberarci dalle febbre dell’evasione
per tuffarci nella corrente della tua grazia
che rigenera e ci fa essere creature pasquali.