La liturgia di questa domenica ci propone delle letture che ci aiutano a comprendere che la salvezza non è un privilegio solo di alcuni e Dio non fa distinzioni tra uomini di differenti popoli, culture, razze e lingue.
Nella prima lettura, tratta dal libro del profeta Isaia, leggiamo come Dio, scegliendo Israele come suo popolo, non ha inteso escludere dalla salvezza gli altri uomini. Tutte le nazioni, infatti, saranno riunite nella Gerusalemme celeste, che con l’avvento del Messia, il tempio diventerà “casa di preghiera per tutti i popoli”.
Nella seconda lettura, tratta dalla lettera ai Romani, l’apostolo Paolo afferma che i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili ed esprime la certezza che anche il popolo d’Israele, pur non avendo accolto Gesù-Messia, troverà misericordia.
Nel Vangelo di Matteo, l’evangelista mette in luce la grande fede della donna cananea che implora Gesù di liberare sua figlia da un demonio. In un primo momento Gesù non esaudisce le sue preghiere, ma lo fa solo dopo l’intercessione degli apostoli e la perseveranza e la fede della donna.
Nel gesto di Gesù emerge chiaramente che la salvezza non ha confini razziali o culturali, ma passa attraverso la coscienza di ogni uomo, la sua libertà e la sua fede.
Dal libro del profeta Isaia
Così dice il Signore:
«Osservate il diritto e praticate la giustizia,
perché la mia salvezza sta per venire,
la mia giustizia sta per rivelarsi.
Gli stranieri, che hanno aderito al Signore per servirlo
e per amare il nome del Signore,
e per essere suoi servi,
quanti si guardano dal profanare il sabato
e restano fermi nella mia alleanza,
li condurrò sul mio monte santo
e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera.
I loro olocausti e i loro sacrifici
saranno graditi sul mio altare, perché la mia casa si chiamerà
casa di preghiera per tutti i popoli».
Is 56,1,6-7
Con questo capitolo inizia il periodo del dopo esilio e la ricostruzione del tempio di Gerusalemme (iniziata dal 536 e terminata nel 515 a.C). Questo testo, attribuito al terzo Isaia, ritenuto discepolo spirituale del secondo Isaia, riferisce la consolazione che Dio offre al suo popolo ed il messaggio delle meraviglie che il Signore opera per la nuova Gerusalemme, ricostruita e ripopolata. La liberazione da Babilonia ha aperto molte speranze, ma il ritorno in patria non porta verso quella radicale novità annunciata dal Deuteroisaia, che aveva parlato di un nuovo Esodo come passaggio dall’infedeltà e dal peccato alla fedeltà con Dio, quasi come la concretizzazione dell’Alleanza.
Una serie di problemi concreti mette a dura prova le rinate speranze: i rimpatriati a Gerusalemme non trovano più le terre e le case che erano state di loro proprietà. Devono ricominciare da capo a ricostruirsi la vita. Soprattutto devono porre al centro della loro vita religiosa e politica il Signore. Per questi motivi gli esegeti sono convinti che i contenuti di questi dieci capitoli risalgono al tempo di Neemia, il governatore venuto a Gerusalemme per guidare e incoraggiare la ricostruzione di Gerusalemme, del Tempio e organizzare la vita politica e religiosa del popolo.
Il Tritoisaia da una parte si ricollega alle parole di consolazione di Isaia 40-55, (deuteroIsaia) dove si annuncia la ricostruzione di Gerusalemme e dall'altra richiama il messaggio di conversione del primo Isaia (capitoli 1-39), attualizzandola in questa nuova situazione di scoraggiamento, perdita di speranza e infedeltà.
Nei brani di consolazione il profeta afferma che la salvezza, lo splendore della gloria di Dio sul Suo popolo (60,1s.) cambierà la loro situazione caratterizzata dai bisogni economici (60,17; 62,8-9), dall'insicurezza politica (60,10-18), da rovine e distruzione (61,4) e soprattutto da un perdurante stato di umiliazione (61,7; 62,4). Centro del Tritoisaia è il capitolo 61, il quale dichiara che la missione del profeta è essenzialmente un lieto annuncio per i poveri, gli ammalati, gli emarginati; è predicare il condono dei debiti da parte del Signore, vale a dire il Suo anno di grazia. E questo corrisponde al Giubileo.
In questo brano il profeta, mentre offre suggerimenti di fedeltà, incoraggia a prepararsi al tempo nuovo: "Osservate il diritto e praticate la giustizia…". Perciò ai rimpatriati è rivolto l'invito di superare la tentazione dell'esclusivismo, cioè di formare una comunità etnicamente pura. Il profeta annuncia che ora, per volontà del Signore, potranno aderire anche coloro che prima erano esclusi come lo straniero e l'eunuco, purché vivano le regole dell'alleanza.
Certamente come dice Qoelet, “non c’è niente di nuovo sotto il sole” (1,9) la storia si ripete, perché sembra che anche oggi si torni ad esaltare la nostra nazione, chiudendosi all'apertura allo straniero!
Cinquecento anni prima di Cristo possiamo ben immaginare come questo messaggio abbia suscitato meraviglia: lo straniero veniva ammesso, se lo voleva, a celebrare in Gerusalemme il culto a Dio, purché lo riconosca come il vero e unico Dio. Quindi stranieri ed eunuchi possono appartenere al popolo di DIO perché il tempio è “casa di preghiera per tutti i popoli” e invita ad accogliere il fratello senza sfruttarlo o emarginarlo.
E' strabiliante questa apertura ad ogni popolo che accoglie la parola del Signore e il Suo giudizio.
Mentre molti testi profetici presentano la relazione tra Israele e le altre nazioni in senso conflittuale perché i pagani sono popoli idolatri, adorano altri dei e quindi sono da distruggere, qui ne viene prospettata l'assimilazione all'interno della comunità ebraica credente. Dio raccoglierà tutti i popoli per una nuova creazione, “perché la sua casa si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli”.
Salmo 66- Popoli tutti, lodate il Signore.
Dio abbia pietà di noi e ci benedica,
su di noi faccia splendere il suo volto;
perché si conosca sulla terra la tua via,
la tua salvezza fra tutte le genti.
Gioiscano le nazioni e si rallegrino,
perché tu giudichi i popoli con rettitudine,
governi le nazioni sulla terra.
Ti lodino i popoli, o Dio,
ti lodino i popoli tutti.
Ci benedica Dio e lo temano
tutti i confini della terra.
Il salmista presenta come Dio abbia benedetto il suo popolo con un raccolto abbondante: “La terra ha dato il suo frutto”.
Ma questo non chiude il salmista nell’appagamento dei beni dati dalla terra, poiché egli manifesta, fin dall’inizio del salmo, il desiderio di un ben più alto dono: quello della presenza del Messia. Per tale presenza il popolo sarà rinnovato e si avrà che tutti i popoli giungeranno a conoscere il vero Dio e a lodarlo: “Su di noi faccia splendere il suo volto; perché si conosca sulla terra la tua via, la tua salvezza fra tutte le genti ”.
Il salmista conclude il salmo ripresentando il suo desiderio dei tempi messianici: “Ci benedica Dio; il nostro Dio, ci benedica Dio e lo temano tutti i confini della terra”.
Noi, in Cristo, desideriamo vivamente una terra rinnovata dalla conoscenza di Cristo e dall’azione del suo Spirito, e dobbiamo, nella viva appartenenza alla Chiesa, adoperarci incessantemente per questo.
Commento di P.Paolo Berti
Dalla lettera di S.Paolo Apostolo ai Romani
Fratelli, a voi, genti, ecco che cosa dico: come apostolo delle genti, io faccio onore al mio ministero, nella speranza di suscitare la gelosia di quelli del mio sangue e di salvarne alcuni. Se infatti il loro essere rifiutati è stata una riconciliazione del mondo, che cosa sarà la loro riammissione se non una vita dai morti?
Infatti i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili! Come voi un tempo siete stati disobbedienti a Dio e ora avete ottenuto misericordia a motivo della loro disobbedienza, così anch’essi ora sono diventati disobbedienti a motivo della misericordia da voi ricevuta, perché anch’essi ottengano misericordia. Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per essere misericordioso verso tutti!
Rm 11,13-15,29-32
Paolo, continuando la sua lettera ai Romani, dopo aver esaminato nella parte precedente questo brano la situazione in cui Israele è venuto a trovarsi in seguito alla venuta di Cristo, affronta il problema di coloro che non hanno creduto e delinea il significato che essi hanno nel piano di Dio.
Il rifiuto del vangelo da parte dei giudei e l’accoglienza che gli hanno riservato i pagani potrebbe dare l’impressione che Dio abbia abbandonato proprio quel popolo al quale storicamente ha conferito le sue promesse. Paolo rifiuta questa ipotesi ed afferma che anche l’indurimento di Israele rientra nel piano di Dio. Alcuni dei suoi membri, di cui il giudeo Paolo, cristiano e apostolo, si sente il rappresentante, hanno conseguito mediante la fede l’elezione divina, mentre gli altri, a causa del loro indurimento, sono stati tagliati fuori da essa. Sottolinea poi che se la loro caduta e il loro fallimento hanno portato a tutto il mondo una ricchezza così grande – come la chiamata dei pagani - bisogna supporre che la loro piena partecipazione sarà in grado di realizzare un bene ancora più grande.
Nel brano che abbiamo Paolo osserva che egli stesso, “come apostolo delle genti”, esercita il suo ministero “nella speranza di suscitare la gelosia di quelli del suo sangue e di salvarne alcuni”.
Egli osserva poi, riprendendo il pensiero appena espresso, “Se infatti il loro essere rifiutati è stata una riconciliazione del mondo, che cosa sarà la loro riammissione se non una vita dai morti?”
In quanto al vangelo infatti essi sono nemici, ma quanto all’elezione sono amati da Dio. Poi c’è l’affermazione conclusiva: “i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili!” Essi infatti non si basano sui meriti dell’uomo, ma su una decisione divina che come tale non può cambiare: su questa convinzione si fonda l’affermazione di Paolo secondo cui un giorno tutto Israele si convertirà a Cristo.
La futura conversione a Cristo di tutto il popolo giudaico viene poi illustrata mediante un paragone: “Come voi un tempo siete stati disobbedienti a Dio e ora avete ottenuto misericordia a motivo della loro disobbedienza, così anch’essi ora sono diventati disobbedienti a motivo della misericordia da voi ricevuta, perché anch’essi ottengano misericordia”. In conclusione Paolo afferma che “Dio ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per essere misericordioso verso tutti!. In altre parole Dio voleva evitare che la misericordia verso Israele fosse intesa come effetto dei suoi meriti: anche Israele deve fare l’esperienza della disobbedienza per comprendere che la salvezza è un dono gratuito di Dio.
Pensiamo agli ebrei, con un senso di commozione,di gratitudine, e persino di affetto, ricordando anche ciò che ha detto Giovanni Paolo II, durante la storica visita nella Sinagoga di Roma il 13 aprile 1986 :“La religione ebraica non ci è estrinseca, ma in certo qual modo, è intrinseca alla nostra religione… Siete i nostri fratelli prediletti e, si potrebbe dire, i nostri fratelli maggiori”.
Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo, partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidòne. Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quella regione, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio». Ma egli non le rivolse neppure una parola.
Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!». Egli rispose: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele».
Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: «Signore, aiutami!». Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». «È vero, Signore – disse la donna –, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni».
Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita.
Mt 15, 21-28
Matteo, in questo brano del suo Vangelo, ci racconta che Gesù si ritira verso la regione di Tiro e Sidone, che secondo la mentalità giudaica dell’epoca, era considerata zona straniera in prevalenza pagana.
Qui avviene che una donna cananea uscita da quel territorio, gli grida: “Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio”. Gesù non le risponde direttamente, e solo quando i suoi discepoli si fanno avanti, Egli spiega loro il Suo atteggiamento. I discepoli quando dicono a Gesù : “Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!”, manifestano un loro parere benevolo, ma può anche avere lo scopo che esaudendo il desiderio della donna, essa cessi di gridare, e se ne vada in pace.
Gesù allora spiega loro la ragione del suo silenzio: “Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele”. Con questa frase, Gesù sembra limitare il suo campo d’azione al popolo dell’alleanza. Una così rigida delimitazione era già apparsa in un altro racconto di Matteo dell’invio dei discepoli, ai quali Gesù aveva ordinato di rivolgersi solo alle pecore perdute della casa di Israele (v.10,6). L’appellativo di “pecore perdute” si rifà alla nota immagine biblica del popolo come gregge senza pastore (Ez 36).
Nel frattempo la donna si avvicina a Gesù, si prostra davanti a lui e ripete: “Signore aiutami!” .A questo punto Matteo riferisce,la risposta che Gesù dà alla donna che ci lascia alquanto sconcertati: “Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini”.
Il comportamento di Gesù nei confronti della donna cananea riflette inizialmente i canoni della tradizione giudaica: Egli infatti secondo il colorito linguaggio orientale, etichetta la donna come un “cane infedele” . Gesù non è un essere disincarnato, ma vive all’interno di una precisa cultura, di un ambiente ben definito.
Non dimentichiamo che la Chiesa delle origini ha vissuto con forti tensioni il problema dell’ammissione dei pagani alla mensa spirituale dell’unico popolo di Dio, come è testimoniato dal dibattito al Concilio di Gerusalemme (Atti 15) e dalla polemica di Paolo e contro Paolo proprio su questo argomento.
Gesù dice dunque alla donna ciò che aveva detto prima ai discepoli.
La donna non reagisce con risentimento e suscettibilità, ma con una umiltà che rivela nella donna una singolare conoscenza dell'uomo che le sta di fronte. Essa si impadronisce della sola cosa positiva che può leggere nella risposta di Gesù e la volge a suo vantaggio: " È vero, Signore, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni”.
Questo è il punto alto a cui giunge la donna. che non può non toccare il cuore di Gesù. Gesù è vinto, da questa fede, si commuove, lo si percepisce dalla risposta che dà:
“Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri”.
Noi dovremmo ricordare la fede della Cananea quando sperimentiamo il silenzio di Dio, dobbiamo cioè, continuare a inseguire Gesù e a insistere finché si fermi e ci ascolti, perché qui vediamo che Lui ascolta anche quando non ascolta e si ferma anche quando va avanti. E' la nostra fede in Lui che non deve mai fermarsi e l'impossibile diverrà possibile.
Un grande ammiratore della Cananea era Sant’Agostino. Quella donna sicuramente gli ricordava sua madre Monica. Anche lei aveva inseguito il Signore per anni, piangendo e chiedendogli la conversione del figlio.
Non si era lasciata scoraggiare da nessun rifiuto. Aveva inseguito il figlio fino in Italia e a Milano, fino a che lo vide tornato al Signore. In uno dei suoi discorsi egli ricorda le parole di Cristo: “Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto” e conclude dicendo: “Così fece la Cananea: chiese, cercò, bussò alla porta e ricevette. Facciamo anche noi lo stesso e anche a noi sarà aperto.
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“Il Vangelo di oggi ci presenta un singolare esempio di fede nell’incontro di Gesù con una donna cananea, una straniera rispetto ai giudei. La scena si svolge mentre Egli è in cammino verso le città di Tiro e Sidone, a nord-ovest della Galilea: è qui che la donna implora Gesù di guarire sua figlia la quale - dice il Vangelo - «è molto tormentata da un demonio».
Il Signore, in un primo momento, sembra non ascoltare questo grido di dolore, tanto da suscitare l’intervento dei discepoli che intercedono per lei. L’apparente distacco di Gesù non scoraggia questa madre, che insiste nella sua invocazione.
La forza interiore di questa donna, che permette di superare ogni ostacolo, va ricercata nel suo amore materno e nella fiducia che Gesù può esaudire la sua richiesta. E questo mi fa pensare alla forza delle donne. Con la loro fortezza sono capaci di ottenere cose grandi. Ne abbiamo conosciute tante! Possiamo dire che è l’amore che muove la fede e la fede, da parte sua, diventa il premio dell’amore. L’amore struggente verso la propria figlia la induce «a gridare: “Pietà di me, Signore, figlio di Davide!”» . E la fede perseverante in Gesù le consente di non scoraggiarsi neanche di fronte al suo iniziale rifiuto; così la donna «si prostrò davanti a lui dicendo: “Signore, aiutami!”».
Alla fine, davanti a tanta perseveranza, Gesù rimane ammirato, quasi stupito, dalla fede di una donna pagana. Pertanto, acconsente dicendo: «“Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri”. E da quell’istante sua figlia fu guarita» . Questa umile donna viene indicata da Gesù come esempio di fede incrollabile. La sua insistenza nell’invocare l’intervento di Cristo è per noi stimolo a non scoraggiarci, a non disperare quando siamo oppressi dalle dure prove della vita.
Il Signore non si volta dall’altra parte davanti alle nostre necessità e, se a volte sembra insensibile alle richieste di aiuto, è per mettere alla prova e irrobustire la nostra fede. Noi dobbiamo continuare a gridare come questa donna: “Signore, aiutami! Signore, aiutami!”. Così, con perseveranza e coraggio. E questo è il coraggio che ci vuole nella preghiera.
Questo episodio evangelico ci aiuta a capire che tutti abbiamo bisogno di crescere nella fede e fortificare la nostra fiducia in Gesù. Egli può aiutarci a ritrovare la via, quando abbiamo smarrito la bussola del nostro cammino; quando la strada non appare più pianeggiante ma aspra e ardua; quando è faticoso essere fedeli ai nostri impegni. È importante alimentare ogni giorno la nostra fede, con l’ascolto attento della Parola di Dio, con la celebrazione dei Sacramenti, con la preghiera personale come “grido” verso di Lui - “Signore, aiutami!” -, e con atteggiamenti concreti di carità verso il prossimo.
Affidiamoci allo Spirito Santo affinché Lui ci aiuti a perseverare nella fede. Lo Spirito infonde audacia nel cuore dei credenti; dà alla nostra vita e alla nostra testimonianza cristiana la forza del convincimento e della persuasione; ci incoraggia a vincere l’incredulità verso Dio e l’indifferenza verso i fratelli.
La Vergine Maria ci renda sempre più consapevoli del nostro bisogno del Signore e del suo Spirito; ci ottenga una fede forte, piena d’amore, e un amore che sa farsi supplica, supplica coraggiosa a Dio.”
Papa Francesco Parte dell’Angelus del 20 agosto 2017