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Ott 7, 2021

XXVIII Domenica del Tempo Ordinario - Anno B - "Ricchezza e disponibilità" - 10 ottobre 2021

Le letture liturgiche di questa domenica si possono definire un vademecum per realizzare la propria esistenza e per rendere sicuro ciò che abbiamo costruito con il nostro operato.
Nella prima lettura, tratta dal Libro della Sapienza, l’antico saggio chiede a Dio la docilità del cuore, la capacità cioè di rendere giustizia e di distinguere il bene dal male, che equivale a chiedere la sapienza. Solo Dio è in grado di donarla ad ogni uomo, perché con essa possiamo vivere nel rispetto dei veri valori morali e religiosi.
Nella seconda lettura, l’autore della lettera agli Ebrei, afferma che per imparare la vera sapienza non c’è nessun mezzo efficace quanto l’ascolto attento della Parola di Dio. Essa infatti è luce che rischiara e forza che ravviva le più nascoste energie dello Spirito.
Nel Vangelo di Marco, troviamo un brano celebre, costruito sulla tensione che intercorre tra ricchezza e cristianesimo, un passo che ha fatto scrivere ai padri della Chiesa pagine incandescenti. Gesù, al giovane che gli chiedeva cosa dovesse fare per avere in eredità la vita eterna, risponde invitandolo a capire con il cuore. La sfida che ci lancia Gesù è di provare a vivere, lasciando le nostre mentalità per abbracciare lo stile del Vangelo. C’è una ricchezza che noi possediamo: è la ricchezza della nostra vita personale. Davvero siamo tutti ricchi in questo senso. Tuttavia questo dono diventa ancora più prezioso nella misura in cui diventa dono per gli altri.

Dal libro della Sapienza
Pregai e mi fu elargita la prudenza,
implorai e venne in me lo spirito di sapienza.
La preferii a scettri e a troni,
stimai un nulla la ricchezza al suo confronto,
non la paragonai neppure a una gemma inestimabile,
perché tutto l’oro al suo confronto è come un po’ di sabbia
e come fango sarà valutato di fronte a lei l’argento.
L’ho amata più della salute e della bellezza,
ho preferito avere lei piuttosto che la luce,
perché lo splendore che viene da lei non tramonta.
Insieme a lei mi sono venuti tutti i beni;
nelle sue mani è una ricchezza incalcolabile.
Sap 7,7-11

Il Libro della Sapienza è stato utilizzato dai Padri fin dal II secolo d.C. e, nonostante esitazioni e alcune opposizioni, è stato riconosciuto come ispirato allo stesso titolo dei libri del canone ebraico. E’ stato scritto in greco, caso unico in tutto l’Antico Testamento, ad Alessandria d’Egitto tra il 20 a.C. e il 38 d.C. probabilmente da Filone o da un suo discepolo. Si presenta come opera di Salomone (in greco infatti il testo si intitola “Sapienza di Salomone”) ed è composto da 19 capitoli.
L'autore si esprime come un re e si rivolge ai re come suoi pari. Si tratta però di un espediente letterario, per mettere questo scritto, come del resto il Qoèlet o il Cantico dei Cantici, sotto il nome di Salomone il più grande saggio d’Israele.
L’autore in questa opera si preoccupa di insegnare la vera sapienza, quella necessaria per condurre una vita retta, non quella scienza che si può acquistare vivendo e pensando, ma una sapienza che viene da Dio. Ogni sapienza divina, di fatto, ha rivelato, guidando magistralmente la storia del popolo eletto, che la vera felicità appartiene agli amici di Dio. In altre parole, non scoprono il senso della vita se non coloro cui il Signore lo rivela.
L’Autore stimolato dall’ambiente circostante, ci dona un primo abbozzo di filosofia religiosa che si unisce a una bella meditazione di fede cui la liturgia si è spesso ispirata. All’incrocio dell’Antica Alleanza e dell’ellenismo si può affermare che il libro della Sapienza prepara Giudei e Greci alla venuta di Gesù Cristo.
In questo brano, Salomone parla in prima persona per proporsi come modello di vita. Egli afferma di aver pregato e gli “fu elargita la prudenza,” implorò e venne in lui “lo spirito di sapienza”. La preferì a “scettri e a troni”, fino a stimare “un nulla la ricchezza al suo confronto.”
Poi continua nel suo elogio dicendo: “ L’ho amata più della salute e della bellezza, ho preferito avere lei piuttosto che la luce, perché lo splendore che viene da lei non tramonta” e come conseguenza afferma ancora: “Insieme a lei mi sono venuti tutti i beni; nelle sue mani è una ricchezza incalcolabile”
Questo brano è una rilettura sapienziale della preghiera di Salomone e del suo esaudimento da parte di Dio (1Re 3,6-13) . Il chiedere, infatti, a Dio la docilità del cuore, la capacità di rendere giustizia e di distinguere il bene dal male, equivale, come riconosce Dio stesso, a chiedere la sapienza. Solo Dio è in grado di donarla all'uomo, perché con essa possiamo vivere nel rispetto dei veri valori morali e religiosi.

Salmo 89 Saziaci, Signore, con il tuo amore: gioiremo per sempre.

Insegnaci a contare i nostri giorni
e acquisteremo un cuore saggio.
Ritorna, Signore: fino a quando?
Abbi pietà dei tuoi servi!

Saziaci al mattino con il tuo amore:
esulteremo e gioiremo per tutti i nostri giorni.
Rendici la gioia per i giorni in cui ci hai afflitti,
per gli anni in cui abbiamo visto il male.

Si manifesti ai tuoi servi la tua opera
e il tuo splendore ai loro figli.
Sia su di noi la dolcezza del Signore, nostro Dio:
rendi salda per noi l’opera delle nostre mani,
l’opera delle nostre mani rendi salda.

Il salmo illustra la condizione precaria della vita dell'uomo esposta alle sofferenze del quotidiano unitamente a quelle dei rivolgimenti storici causati per le lotte di potere. Il salmista procede con un tono sapienziale, rischiarato dalla consapevolezza della brevità dei giorni dell'uomo. Questa consapevolezza è tanto importante che egli la invoca per tutti gli uomini: “Insegnaci a contare i nostri giorni e acquisteremo un cuore saggio”.
La composizione del salmo molto probabilmente è avvenuta nel tempo di pace relativa quando Antioco V ridiede la libertà religiosa ad Israele (163 a.C.).
Il salmista si rivolge a Dio come rifugio di Israele. Rifugio certo, perché Dio non è una creazione dell'uomo, egli, infatti, da sempre esiste: “Prima che nascessero i monti e la terra e il mondo fossero generati, da sempre e per sempre tu sei, o Dio”; "Mille anni, ai tuoi occhi, sono come il giorno di ieri che è passato".
Il salmista ha il vivo ricordo di tracotanti superbi entrati nel tempio di Gerusalemme credendo di affermarsi su Dio: Tolomeo III e Tolomeo IV erano entrati nel tempio offrendo sacrifici ai loro dei (ca. 220-221 a.C.); Antioco IV Epifane lo saccheggiò e vi fece sacrifici a Giove (ca. 169-167 a.C).
Ma l'uomo è un nulla di fronte a Dio, che per l'antico peccato lo fa ritornare polvere (Gn 3,19): “Tu fai ritornare l'uomo in polvere”. L'ira di Dio travolge i superbi: “Tu li sommergi: sono come un sogno al mattino, come l'erba che germoglia; al mattino fiorisce e germoglia, alla sera è falciata e secca”; “Sì, siamo distrutti dalla tua ira”; “Tutti i nostri giorni svaniscono per la tua collera”.
L'ira di Dio è rivolta a portare l'uomo al ravvedimento. E' saggezza sapere che la collera di Dio non è una finta, ma una realtà dura che incombe sui ribelli. E' saggezza temere la collera di Dio e non sfidarla, come già fece il faraone (Es 9,30): “Chi conosce l'impeto della tua ira e, nel timore di te, la tua collera?”.
Il salmista si colloca tra tutti gli uomini, ma anche presenta fin dall'inizio la sua appartenenza ad Israele: “Signore, tu sei stato per noi un rifugio...”; e per Israele invoca pace e gioia dopo giorni e anni di afflizione: “Ritorna, Signore: fino a quando? Abbi pietà dei tuoi servi!...Rendici la gioia per i giorni in cui ci hai afflitti".
Commento tratta da Perfetta Letizia

Dalla lettera agli Ebrei
La parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore.
Non vi è creatura che possa nascondersi davanti a Dio, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi di colui al quale noi dobbiamo rendere conto.
Eb 4,12-13

L’autore della Lettera agli Ebrei nei capitoli precedenti questo brano che la liturgia ci propone, aveva parlato di un riposo promesso a quanti sono stati chiamati da Dio.. Il riposo è dunque la ricompensa a quanti sono stati fedeli e che potranno riposare dalle fatiche delle loro opere compiute nella volontà di Dio. C'è però il pericolo che qualcuno pur avendo ricevuto il Vangelo non entri in questo riposo a causa della propria disobbedienza. L'esortazione dunque è quella di affrettarsi a entrare in questo riposo, perché nessuno ne venga escluso.
Il brano che abbiamo, per confermare l'assoluta efficacia della Parola, ricorre ad una immagine molto forte quando afferma: “La parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore”.
Questi due versetti sono un capolavoro, un vero dipinto letterario..La Parola di Dio viene esaltata sottolineandone cinque caratteristiche. Le prime quattro sono ricordate a due a due: viva ed efficace, tagliente e penetrante. L’ultima caratteristica completa la qualità delle altre: è capace di discernere i sentimenti e i pensieri del cuore. L'immagine della spada, riferita alla Parola di Dio è citata altre volte nella Bibbia (Sap 18,15; Ef 6,17). La spada a doppio taglio ci dà l'idea di una inesorabile forza di penetrazione, ma il significato fondamentale della spada è quello del giudizio che con la spada si esegue la sentenza. (V. Dt 13,13-16). La sentenza di Dio è inappellabile perché nulla può rimanere nascosto ai Suoi occhi. La spada entra in profondità e arriva al punto di divisione tra l'anima e lo spirito, la spada penetra fino alla divisione degli elementi interiori e superiori che costituiscono il composto umano e la sua realtà spirituale e morale.
Poi l’autore conclude affermando : “Non vi è creatura che possa nascondersi davanti a Dio, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi di colui al quale noi dobbiamo rendere conto”
Nessuno dunque può mentire davanti al Signore! Queste parole così forti naturalmente non devono spaventarci e bloccare le nostre azioni, perché non saranno le nostre debolezze che verranno giudicate e condannate, bensì la nostra scelta fondamentale: la fede, l’amore, l'accoglienza del Vangelo, l'ascolto della Parola e l'obbedienza alla volontà di Dio.
Come conclusione si può ancora dire che La Parola di Dio è efficace perché mette l'uomo allo scoperto, denuncia le sue ipocrisie e se l'uomo la rifiuta, si troverà a rifiutare non solo Dio, ma la verità su se stesso.

Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre”». Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.
Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?». Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio».
Pietro allora prese a dirgli: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». Gesù gli rispose: «In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà».
Mc 10, 17-30

Dopo il secondo annunzio della passione, l’evangelista Marco inserisce questo episodio, conosciuto anche come la difficoltà delle ricchezze, a cui fanno seguito alcuni detti riguardanti appunto i pericoli delle ricchezze, e poi la ricompensa riservata a coloro che riescono a distaccarsene.
Il brano inizia in modo analogo al racconto della chiamata dei primi discepoli riportando che un tale corre da Gesù e, “gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?»”.
Questo personaggio manifesta con il suo comportamento di essere consapevole di trovarsi di fronte a una persona carismatica. Egli dà a Gesù subito l’appellativo di “Maestro buono” e chiede che cosa deve fare per “avere in eredità la vita eterna”. Gesù risponde mettendo in discussione proprio l’appellativo che egli gli aveva attribuito: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo”. Rifiutando l’appellativo di “buono”, Gesù intende mettere in secondo piano la sua persona per portare l’attenzione su Dio stesso. A tal scopo richiama un testo della Scrittura: “Tu conosci i comandamenti: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre”. Gesù cita il decalogo per sommi capi, con alcuni cambiamenti significativi. Anzitutto egli, avendo già suggerito che la vita eterna si raggiunge mediante un intimo rapporto con Dio, tralascia il primo comandamento. Omette poi il secondo (non pronunziare il nome di Dio invano), in quanto potrebbe essere visto come una ripetizione dell’ottavo, e il terzo, che si riferisce a una pratica, quella del sabato, tipica del mondo ebraico. Infine posticipa il comandamento riguardante l’onore dovuto al padre e alla madre, e aggiunge “non frodare” .
Il “tale” risponde allora: “Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza”. Con questa risposta egli si mette chiaramente nella categoria dei fedeli osservanti della legge. La reazione di Gesù a queste parole non è di dubbio o di critica, ma di grande apprezzamento, l’evangelista infatti osserva: “Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi”.
Lo sguardo di Gesù manifesta tutto il suo amore per lui, e in forza di questo amore Gesù dice all’uomo che gli “manca” qualcosa. La cosa che gli manca è vendere i propri beni e seguirlo, dopo averne distribuito il ricavato ai poveri. Con queste parole Gesù propone la sequela come la strada maestra per ottenere la vita eterna; la rinunzia ai propri beni in favore dei poveri è solo una premessa, nella quale però si manifesta già la dinamica del regno di Dio, nel quale i poveri sono “beati” .
Naturalmente Gesù non chiede all’uomo di diventare povero lui per arricchire i poveri, ma di ridistribuire i suoi beni a coloro che ne sono stati defraudati, dimostrando così il suo amore per loro. Con questa proposta Gesù non intende dare meno valore alla via dei comandamenti e neppure propone una via che porta a una maggiore perfezione.
Di fronte alla richiesta di Gesù la disponibilità dell’uomo viene meno: “Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni”
Quest’uomo evidentemente non se l'è sentita di accettare per questo se ne andò rattristato e deluso. L'attaccamento alla ricchezza, il timore di perdere le possibilità e la sicurezza che materialmente essa offre, smorza anche gli slanci più generosi. Un giovane di buoni principi, disposto al bene, che però non ha il coraggio di fare il passo decisivo perde la grande occasione della sua vita, l'appuntamento con la felicità vera, che viene dal cuore. Non ha saputo raccogliere il messaggio di quello sguardo d'amore.
Appena l’uomo si allontana Gesù non può nascondere la sua la delusione e commenta: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». Di fronte alla meraviglia dei discepoli, Gesù non attenua quanto ha detto ma lo ripete una seconda volta, poi aggiunge: “È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio” ( ) .
Questa risposta crea un senso di sbigottimento tra i discepoli, i quali si chiedono: “E chi può essere salvato?”
In queste parole traspare la preoccupazione di coloro che, pur avendo aderito a Cristo, non hanno potuto seguirlo nel cammino di una rinuncia totale ai beni materiali. Gesù non risponde direttamente, ma osserva: “Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio.”
Queste parole significano che, sebbene il possesso di beni materiali comporti rischi tali da rendere quasi impossibile l’ingresso nel regno di Dio, anche coloro che per motivi indipendenti dalla loro volontà non sono in grado di rinunziarvi totalmente, possono raggiungere la salvezza perché Dio può cambiare il cuore dell'uomo donandogli la libertà interiore ed esteriore dai beni materiali, purché si appoggi a Lui solo.
È questo un segnale di speranza che doveva essere particolarmente apprezzato da quei cristiani che restavano legati alla loro famiglia e al loro lavoro: anche per loro è possibile salvarsi, ma solo per un dono speciale di Dio, che consente loro di usufruire dei loro beni con cuore distaccato (S.Paolo approfondirà questo tema in 1Cor 7,29-31).
Nell’ultima parte del brano si fa avanti Pietro, per chiedere chiarimenti e osserva: “Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito”..Egli parla a nome di quelle persone che si sentono a posto con le richieste di Gesù e pongono la domanda circa la ricompensa che ne otterranno. Gesù risponde con un principio generale: “non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà”.
Le parole di Gesù sono una risposta a quelle che potevano essere le aspettative dei suoi primi discepoli.
Si può notare che Pietro usa l’espressione “lasciare-seguire” alludendo alla loro vocazione sulle sponde del lago di Tiberiade. Gesù nella Sua risposta corregge la frase di Pietro con un accostamento positivo “lasciare-ricevere”. La donazione dei pochi possedimenti terreni a Cristo non significa la loro perdita, ma la loro moltiplicazione all’infinito. Ciò che si dona, lo si trova ancora aumentato, ampliato, e trasformato. Una gioia profonda, un benessere interiore, una sicurezza e una pace inaspettata diventano “già al presente” l’eredità gioiosa di chi si è svuotato da ogni attaccamento per far irrompere in sé Gesù Cristo e il Suo Vangelo.

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“La seconda Lettura ci ha detto che «la parola di Dio è viva, efficace e tagliente» (Eb 4,12). È proprio così: la Parola di Dio non è solo un insieme di verità o un edificante racconto spirituale, no, è Parola viva, che tocca la vita, che la trasforma. Lì Gesù in persona, Lui che è la Parola vivente di Dio, parla ai nostri cuori.
Il Vangelo, in particolare, ci invita all’incontro con il Signore, sull’esempio di quel «tale» che «gli corse incontro» (cfr Mc 10,17). Possiamo immedesimarci in quell’uomo, di cui il testo non dice il nome, quasi a suggerire che possa rappresentare ciascuno di noi. Egli domanda a Gesù come «avere in eredità la vita eterna» . Chiede la vita per sempre, la vita in pienezza: chi di noi non la vorrebbe? Ma, notiamo, la chiede come un’eredità da avere, come un bene da ottenere, da conquistare con le sue forze. Infatti, per possedere questo bene ha osservato i comandamenti fin dall’infanzia e per raggiungere lo scopo è disposto a osservarne altri; per questo chiede: «Che cosa devo fare per avere?».
La risposta di Gesù lo spiazza. Il Signore fissa lo sguardo su di lui e lo ama. Gesù cambia prospettiva: dai precetti osservati per ottenere ricompense all’amore gratuito e totale. Quel tale parlava nei termini di domanda e offerta, Gesù gli propone una storia di amore. Gli chiede di passare dall’osservanza delle leggi al dono di sé, dal fare per sé all’essere con Lui. E gli fa una proposta di vita “tagliente”: «Vendi quello che hai e dallo ai poveri […] e vieni! Seguimi!». Anche a te Gesù dice: “vieni, seguimi!”. Vieni: non stare fermo, perché non basta non fare nulla di male per essere di Gesù. Seguimi: non andare dietro a Gesù solo quando ti va, ma cercalo ogni giorno; non accontentarti di osservare dei precetti, di fare un po’ di elemosina e dire qualche preghiera: trova in Lui il Dio che ti ama sempre, il senso della tua vita, la forza di donarti.
Ancora Gesù dice: «Vendi quello che hai e dallo ai poveri». Il Signore non fa teorie su povertà e ricchezza, ma va diretto alla vita. Ti chiede di lasciare quello che appesantisce il cuore, di svuotarti di beni per fare posto a Lui, unico bene. Non si può seguire veramente Gesù quando si è zavorrati dalle cose. Perché, se il cuore è affollato di beni, non ci sarà spazio per il Signore, che diventerà una cosa tra le altre. Per questo la ricchezza è pericolosa e – dice Gesù – rende difficile persino salvarsi. Non perché Dio sia severo, no! Il problema è dalla nostra parte: il nostro troppo avere, il nostro troppo volere ci soffocano, ci soffocano il cuore e ci rendono incapaci di amare. Perciò San Paolo ricorda che «l’avidità del denaro è la radice di tutti i mali» (1 Tm 6,10). Lo vediamo: dove si mettono al centro i soldi non c’è posto per Dio e non c’è posto neanche per l’uomo.
Gesù è radicale. Egli dà tutto e chiede tutto: dà un amore totale e chiede un cuore indiviso.
Anche oggi si dà a noi come Pane vivo; possiamo dargli in cambio le briciole? A Lui, fattosi nostro servo fino ad andare in croce per noi, non possiamo rispondere solo con l’osservanza di qualche precetto. A Lui, che ci offre la vita eterna, non possiamo dare qualche ritaglio di tempo. Gesù non si accontenta di una “percentuale di amore”: non possiamo amarlo al venti, al cinquanta o al sessanta per cento. O tutto o niente.”
Papa Francesco Omelia del 14 ottobre 2018

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(Papa Giovanni XXIII)

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