La liturgia ci propone per questa celebrazione, nella prima lettura, un brano tratto dal Libro della Genesi, in cui incontriamo la figura di Melchisedek, che molto tempo prima della venuta di Cristo, offrì a Dio del pane e del vino, segno misterioso e anticipatore dell’Eucaristia.
Nella seconda lettura, tratta dalla prima lettera ai Corinzi, San Paolo, facendo memoria dell’ultima Cena, presenta il racconto dell’istituzione dell’Eucaristia.
Nel Vangelo di San Luca troviamo il racconto del famoso miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Anche oggi la Chiesa, come già al tempo degli apostoli, legge il miracolo del pane in chiave eucaristica e fa compiere a Gesù i gesti dell’ultima cena: prende...benedice...spezza...dona . Come nell’ultima Cena, Gesù comanda agli apostoli di preparare da mangiare, ma è Lui in realtà che dona. L’uomo, nel suo cammino terreno, non è mai sazio perché la sua fame non è di solo pane, ma è fame di Dio.
Dal Libro della Genesi
In quei giorni, Melchìsedek, re di Salem, offrì pane e vino: era sacerdote del Dio altissimo e benedisse Abram con queste parole: «Sia benedetto Abram dal Dio altissimo, creatore del cielo e della terra, e benedetto sia il Dio altissimo, che ti ha messo in mano i tuoi nemici».
E [Abramo] diede a lui la decima di tutto.
Gen 14,18-20
Il Libro della Genesi è il primo libro del Pentateuco (cinque libri; in origine tutti in un unico rotolo: la Torà) e tratta delle origini dell’universo, del genere umano, del peccato originale, della storia dei patriarchi prediluviani, della chiamata di Abramo fino alla morte di Giacobbe. È stato scritto in ebraico e, secondo gli esperti, la sua redazione definitiva, ad opera di autori ignoti, è collocata al VI-V secolo a.C. in Giudea, sulla base di precedenti tradizioni orali e scritte. Nei primi 11, dei suoi 50 capitoli, descrive la cosiddetta "preistoria biblica" (creazione, peccato originale, diluvio universale), e nei rimanenti la storia dei patriarchi, Abramo, Isacco,Giacobbe-Israele e di Giuseppe, le cui vite si collocano nel vicino oriente del II millennio a.C. (attorno al 1800-1700 a.C).
Per capire il brano liturgico è importante conoscere l’antefatto.
Dopo il racconto della vocazione di Abram, al quale Dio promette di conferire una speciale benedizione e di far sorgere da lui un grande popolo, segue quello del suo arrivo a Sichem, presso la Quercia di More, ma nel paese si trovavano allora i cananei. E’ solo in questo momento che Dio fa ad Abram anche la promessa di dare proprio quella terra alla sua discendenza.
Subito dopo l'arrivo nella terra di Canaan, Abram è costretto da una carestia ad andare in Egitto, in cui vediamo che in certi frangenti Abram manifesta anche la sua mediocrità e la sua poca fede. Ma Dio interviene sempre per riparare gli errori umani e fare in modo che la Sua promessa si attui.
Poi c’è il racconto della separazione di Lot da Abram e la generosità del patriarca di far scegliere a Lot il luogo in cui abitare, per cui ad Abram resta la zona montagnosa della Palestina. E subito Dio gli appare per dirgli che tutta quella regione apparterrà un giorno ai suoi discendenti. Si narra anche un incidente increscioso: in seguito all'incursione di quattro re orientali Lot viene fatto prigioniero. Abram allora raccoglie i suoi uomini, insegue le truppe dei quattro re e libera suo nipote (Gen 14,1-17).
Al suo ritorno da questa spedizione ha luogo nella Valle del re, vicino a Gerusalemme, l'incontro con Melchisedek.
Il brano che la liturgia ci propone è solo la parte iniziale di questo racconto. Melchisedek appare improvvisamente, senza alcun rapporto con Abram e il suo seguito. Egli è il re di Salem, (dopo il Sal 76,3, tutta la tradizione giudaica e molti Padri hanno identificato Salem con Gerusalemme) e benedice Abram con queste parole: “Sia benedetto Abram dal Dio altissimo, creatore del cielo e della terra, e benedetto sia il Dio altissimo, che ti ha messo in mano i tuoi nemici”.
La benedizione è una parola efficace e irrevocabile che, anche pronunziata da un uomo, trasmette l’effetto che vi si esprime, poiché è Dio che benedice, ma anche l’uomo, a sua volta, benedice Dio, loda la sua grandezza e la sua bontà nello stesso tempo in cui augura di vederle affermarsi ed estendersi. Qui le due benedizioni sono associate. Abram dimostra di gradire questa benedizione di Melchisedek dando “a lui la decima di tutto”
Il Salmo 110(109), vedrà in lui una figura del Messia, re e sacerdote, e l’autore della lettera agli Ebrei, l’applicherà a Cristo. La tradizione patristica arricchirà questa esegesi allegorica vedendo nel pane e nel vino offerti da Melchisedek ad Abramo non solo un tipo di Eucaristia, ma anche un vero sacrificio, tipo del sacrificio eucaristico, fissando questa interpretazione nella preghiera eucaristica della Messa… “oblazione pura e santa di Melchisedeck, tuo sommo sacerdote” .
Salmo 109/110 «Tu sei sacerdote per sempre, Cristo Signore.»
Oràcolo del Signore al mio Signore:
«Siedi alla mia destra,
finché io ponga i tuoi nemici
a sgabello dei tuoi piedi».
Lo scettro del tuo potere
stende il Signore da Sion:
«Domina in mezzo ai tuoi nemici.
A te il principato nel giorno della tua potenza
tra santi splendori;
dal seno dell'aurora,
come rugiada, io ti ho generato».
Il Signore ha giurato
e non si pente:
«Tu sei sacerdote per sempre
al modo di Melchisedek».
Il Vangelo (Mt 22,44) afferma che questo salmo è stato scritto da Davide.
Davide presenta il Messia come il Signore, il che vuol dire che lo riconosce superiore a lui.
“”; Dio presenta al Messia l'evento della sua intronizzazione in cielo. Egli sedendo alla destra del Padre è il suo plenipotenziario (Cf. At 2,33s; Eb 1,13; 10,12; 1Pt 3,22).
Davide dice che il suo potere regale si è affermato a Sion: ”Lo scettro del tuo potere stende il Signore da Sion”. La regalità di Cristo si è affermata con la conquista del genere umano operata sulla croce.
“Domina in mezzo ai tuoi nemici”; nessuno, dunque, potrà mai scalzare il suo dominio; ed egli è il giudice di tutti. Il “regno della terra” gli viene dato nel giorno della sua potenza, cioè della manifestazione della sua vittoria, che si avrà con la sua morte e risurrezione e l'ingresso trionfale in cielo. Trionfo avvenuto “tra santi splendori”, cioè nell'osanna delle schiere angeliche.
“Dal seno dell'aurora, come rugiada, io ti ho generato”; la risurrezione è unita alla glorificazione dell'umanità del Cristo. La glorificazione è presentata poeticamente come un nascere “dal seno dell'aurora”. Egli risorto e glorioso non cessa di essere in relazione con la terra, anzi la sua risurrezione lo costituisce come “rugiada” per la terra.
Egli è re per sempre e sacerdote per sempre. Non possiede un sacerdozio per via di nascita dalla tribù di Levi come era quello Aronitico, ma per elezione di Dio, come era quello di Melchisedek (Eb 5,6).
Dio sarà alla sua destra nel senso che la battaglia escatologica (il dies irae) contro i suoi nemici la condurrà su comando del Padre, il quale ne deciderà il momento (At 1,7): “Il Signore è alla tua destra! Egli abbatterà i re nel giorno della sua ira”.
Il Messia si disseterà “al torrente”, cioè vivrà lontano dagli agi di una corte terrena, e solleverà “alta la testa”, perché non avrà cedimenti col mondo.
Commento tratto da “Cantico dei Cantici” di P.Paolo Berti
Dalla 1^ lettera di S.Paolo apostolo ai Corinzi
Fratelli, io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me».
Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me».
Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga.
1Cor 11,23-26
Paolo scrivendo ai Corinzi, poco più di 20 anni dalla morte e resurrezione di Cristo, ci offre una preziosa descrizione della celebrazione eucaristica. Questo testo, il primo e il più antico sulla celebrazione eucaristica, si inserisce in un contesto di rimprovero per gli abusi contro la carità che venivano fatti nei riguardi dei più piccoli e poveri. Infatti, l’Apostolo (nei versetti precedenti 11,17-22)non riportati dalla liturgia odierna) rimprovera i Corinzi perchè era venuto a sapere che nelle loro assemblee c’erano divisioni.
In una situazione del genere le riunioni dovevano essere piuttosto fredde, ogni gruppo si isolava dall’altro e non vi era quindi condivisione, come dimostra il fatto che alcuni prendevano il pasto portato da casa, prima della cena del Signore, finendo poi per ubriacarsi, mentre altri, non avendo nulla, continuavano a rimanere nella fame.
Paolo propone allora un salutare ritorno alle origini della fede: se i Corinzi si sono dimenticati la ragione del loro riunirsi è bene ricordarglielo, per questo in tono solenne Paolo fa memoria dell’evento della Cena Eucaristica, iniziando dalla notte del tradimento. A consegnare Gesù non è solo "Giuda il traditore" né solo i sommi sacerdoti, gli anziani del popolo e Pilato. In quella notte è Gesù stesso che si consegna alla morte per amore: ed è il Padre che lo consegna "per tutti noi". La Messa dunque fa memoria e attualizza questo evento che è il fulcro della storia. Veste della Messa è il rito, la celebrazione, e indipendentemente dal valore del celebrante e della fede e partecipazione dei fedeli presenti, quel che conta è il significato di quello che avviene sull'altare. Gesù stesso, al momento della Consacrazione, si rende presente, in modo sacramentale, e con il Suo sacrificio d'amore si fa cibo per ognuno di noi.
La Chiesa vive di questo Pane e di questo Vino che sono il Corpo e il Sangue di Cristo immolato. Vive e cresce, purificata, santificata da Gesù che ancora "si dà per la vita di tutti". Paolo lo ribadisce dicendo: Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga.
Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure.
Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta».
Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare».
Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». C’erano infatti circa cinquemila uomini.
Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». Fecero così e li fecero sedere tutti quanti.
Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla.
Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.
Lc 9, 11b-17
Gesù con i suoi discepoli si era ritirato presso Betsàida, fuori dal territorio giudaico perché voleva parlare con più tranquillità ai suoi, ma a quanto pare le folle vennero a saperlo e lo seguirono. In questo brano leggiamo che Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure. Gesù non si stanca mai di parlare ed istruire la gente, ma qui si precisa che non parla del regno di Israele, ma del Regno di Dio, cioè il regno universale dell’amore di Dio, che è destinato a tutta l’umanità.
“E i Dodici …”, numero con cui si identificano i discepoli (ma anche le dodici tribù di Israele) gli si avvicinarono per dirgli di congedare la folla affinché vada a trovarsi da mangiare nei villaggi vicini. Ma Gesù dice loro, letteralmente: «Voi stessi date loro da mangiare», e qui il significato non è solo materiale ma ben più profondo, è quello eucaristico: non è soltanto offrire un qualcosa, ma è offrire se stessi all’altro.
I discepoli però obiettano dicendo: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». Vediamo in questo episodio tanti numeri e i numeri nella Bibbia vanno quasi sempre interpretati in senso figurato (il numero cinque per esempio lievita: da cinque si passa al cinquanta, poi perfino cinquemila). C’erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa.
A questo punto l’evangelista anticipa i gesti di Gesù sul pane e sul vino nell’Eucaristia:“Prese i cinque pani, alzò gli occhi al cielo”, in segno di comunione piena con il Padre, “recitò su di essi la benedizione, li spezzò”, sono le stesse parole dell’Eucaristia, quindi in questo episodio l’evangelista tratteggia il suo significato profondo. E’ interessante anche il particolare della presenza dei pesci, infatti nella parola greca con cui si identifica il pesce “ichtùs”, si leggeva l’ideogramma Iesùs Christòs Theòu Uiòs Sotèr,: Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore
L’evangelista infine sottolinea “Tutti ne mangiarono a sazietà” facendo riferimento alla realizzazione della profezia di Dio fatta nell’A.T. al profeta Eliseo, “così dice il Signore: Ne mangeranno e ne avanzerà anche” 2Re4,43. , e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste. Dodici come il numero delle tribù d’Israele. La condivisione del pane, la condivisione di quello che si ha e che si è, riesce a sfamare tutto il popolo di Israele.
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Questa sera, ancora una volta, il Signore distribuisce per noi il pane che è il suo Corpo, Lui si fa dono. E anche noi sperimentiamo la “solidarietà di Dio” con l’uomo, una solidarietà che mai si esaurisce, una solidarietà che non finisce di stupirci: Dio si fa vicino a noi, nel sacrificio della Croce si abbassa entrando nel buio della morte per darci la sua vita, che vince il male, l’egoismo e la morte. Gesù anche questa sera si dona a noi nell’Eucaristia, condivide il nostro stesso cammino, anzi si fa cibo, il vero cibo che sostiene la nostra vita anche nei momenti in cui la strada si fa dura, gli ostacoli rallentano i nostri passi. E nell’Eucaristia il Signore ci fa percorrere la sua strada, quella del servizio, della condivisione, del dono, e quel poco che abbiamo, quel poco che siamo, se condiviso, diventa ricchezza, perché la potenza di Dio, che è quella dell’amore, scende nella nostra povertà per trasformarla.
Chiediamoci allora questa sera, adorando il Cristo presente realmente nell’Eucaristia: mi lascio trasformare da Lui? Lascio che il Signore che si dona a me, mi guidi a uscire sempre di più dal mio piccolo recinto, a uscire e non aver paura di donare, di condividere, di amare Lui e gli altri?
Fratelli e sorelle: sequela, comunione, condivisione.
Preghiamo perché la partecipazione all’Eucaristia ci provochi sempre: a seguire il Signore ogni giorno, ad essere strumenti di comunione, a condividere con Lui e con il nostro prossimo quello che siamo. Allora la nostra esistenza sarà veramente feconda. Amen.
Parte finale dell’omelia che Papa Francesco
ha pronunciato nella Basilica di S.Giovanni in Laterano il 30 maggio 2013