1 - Al termine di questa celebrazione (7.12, 18:30), all'uscita della chiesa troverete i ragazzi dell'oratorio disponibili per farvi partecipare alla Lotteria di Natale. L'estrazione si terrà domenica 18 dicembre. I biglietti saranno in vendita anche domani (8.12) dopo le messe della giornata. Il ricavato della Lotteria permetterà ai nostri ragazzi di finanziare il viaggio per la Giornata Mondiale della Gioventù con Papa Francesco, che si terrà a Lisbona ad agosto prossimo.
2 - Giovedì 8 dicembre al termine della messa delle 10:00, l'oratorio vi aspetta con i Mercatini di Natale. I mercatini saranno presenti anche domenica 11 dicembre dalle 11 alle 12:3O.
3 - Sabato 17 e domenica 18 dicembre, l'oratorio invita tutta la comunità a partecipare a due giorni di festa, per vivere insieme in parrocchia lo spirito del Natale. I dettagli del programma dei due giorni, li trovate nelle bacheche in chiesa e in oratorio.
4 – E’ salito al cielo, il 7 dicembre verso le ore 19;30, il nostro confratello P. JONES NEAL, l’americano che seguiva la comunità filippina che si raduna nella sala Gabbiano ogni domenica.
Il funerale di P. Neil si celebrerà il 9 dicembre, venerdì, alle ore 14:30 nella chiesa Parrocchiale. La comunità è invitata ad essere partecipe.
Preghiamo per lui e per il suo riposo eterno.
Celebriamo oggi, la solennità dell’Immacolata Concezione della beata Vergine Maria, il cui dogma fu promulgato da Pio IX nel 1854, ma già nel IX secolo si celebrava in Inghilterra e Normandia una festa della Concezione di Maria e il Concilio di Basilea (1439) sancì questo evento come verità di fede. Si afferma che Maria è nata senza colpa originale, concepita senza peccato: colei che doveva dare alla luce il Figlio di Dio fu preservata da ogni macchia di peccato per essere la degna dimora di Gesù.
Celebrare l’Immacolata Concezione nel tempo di Avvento è quanto mai rilevante perché ci prepara a rivivere il “mistero della Redenzione” in avvenimenti dove la grazia fa irruzione in modo sovrabbondante sull’umanità.
Nella prima lettura, tratta dal libro della Genesi al primo peccato, dovuto alla disobbedienza di Adamo ed Eva, Dio non rimane indifferente e nella pienezza dei tempi manda la nuova Eva, Maria, che schiaccerà la testa al serpente.
Nella seconda lettura, tratta dalla lettera di S. Paolo agli Efesini, possiamo comprendere che ciò che si è realizzato in Maria attende oggi di realizzarsi in ciascuno di noi, anche se non come lei al momento del concepimento, ma a quello del battesimo. E’ un dono e una chiamata che ci proietta nella meravigliosa avventura della costruzione prima di noi stessi e poi del mondo, secondo il progetto di Dio e quindi nella direzione dell’amore che non conosce tramonto.
Nel Vangelo di Luca troviamo il racconto dell’annunciazione dell’Angelo Gabriele a Maria, che obbedì totalmente all’annunzio della sua maternità divina.
In questa giornata che celebra la sua concezione, e quindi tutta la sua esistenza immacolata e gradita a Dio, la liturgia ci conduce nelle stradine di questa cittadina della Galilea, alla ricerca delle tracce di Maria e di quel grande giorno in cui ha pronunciato il suo sì e nella onniscienza di Dio tutti noi eravamo presenti.
Dal Libro della Genesi
Dopo che l'uomo ebbe mangiato del frutto dell'albero, il Signore Dio lo chiamò e gli disse: «Dove sei?». Rispose: «Ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto». Riprese: «Chi ti ha fatto sapere che sei nudo? Hai forse mangiato dell'albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?». Rispose l'uomo: «La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell'albero e io ne ho mangiato». Il Signore Dio disse alla donna: «Che hai fatto?». Rispose la donna: «Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato».
Allora il Signore Dio disse al serpente: «Poiché hai fatto questo, maledetto tu fra tutto il bestiame e fra tutti gli animali selvatici! Sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita. Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno».
L’uomo chiamò sua moglie Eva, perché ella fu la madre di tutti i viventi.
Gen 3,9-15.20
Il Libro della Genesi (che significa: "nascita", "creazione", "origine"), è il primo libro della Torah ebraica e della Bibbia cristiana. E’ stato scritto in ebraico, e secondo molti studiosi, la sua redazione definitiva, ad opera di autori ignoti, è collocata intorno al VI-V secolo a.C. in Giudea, sulla base di precedenti tradizioni orali e scritte. Nei primi 11 dei suoi 50 capitoli, descrive la cosiddetta "preistoria biblica" (creazione, peccato originale, diluvio universale), e nei rimanenti la storia dei patriarchi Abramo, Isacco, Giacobbe-Israele e di Giuseppe, le cui vite si collocano nel vicino oriente (soprattutto in Palestina) del II millennio a.C. (la datazione dei patriarchi, tradizionale ma ipotetica, è attorno al 1800-1700).
Il libro della Genesi è suddiviso in due grandi sezioni. La prima, corrispondente ai capitoli 1-11, comprende il racconto della creazione e la storia del genere umano. La seconda sezione, dal capitolo 12 al capitolo 50, narra la storia del popolo eletto, mediante i racconti sui patriarchi.
Questo brano tratto dal Capitolo 3 descrive la convinzione d’Israele che la condizione umana (quale appariva allora) fosse una partecipazione alla punizione meritata dalla prima trasgressione.
La scena inizia subito dopo che «Adamo ebbe mangiato dell’albero», quando Dio scende nel giardino e l'uomo e la donna si nascondono per non farsi vedere. La venuta di Dio evidenzia l'intimità, ormai distrutta, che univa Dio ai nostri progenitori! Dio chiama l'uomo come se non sapesse cosa fosse successo e gli chiede persino “Dove sei?”. L'uomo risponde di aver avuto paura e di essersi nascosto perché era nudo. Più che la paura del castigo, possiamo anche pensare che ciò che lo trattiene dal presentarsi a Dio è anche il timore reverenziale, lo stesso che in Israele impediva di esporre il proprio corpo in un luogo sacro (v. Es 20,26).
Dio allora gli chiede: “Chi ti ha fatto sapere che sei nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?”. L'uomo però non si assume la responsabilità di ciò che ha fatto e risponde: “La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato”, quasi per evidenziare che il vero colpevole è Dio stesso, che gliel'ha data come compagna. Il peccato, invece di provocare solidarietà fra coloro che lo commettono, li pone inevitabilmente l'uno contro l'altro.
Anche la donna non assume la sua responsabilità quando risponde: “Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato” gettando la colpa sul serpente.
Dio emettendo la sentenza comincia col condannare il serpente, anche se non era stato neppure interrogato, che viene maledetto con una sentenza irrevocabile: “Sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita”. Poi Dio continua affermando: “Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno”,
Leggendo questo brano nel contesto di tutta la Bibbia, che narra la storia della salvezza, il testo diventa un annunzio di speranza per l'umanità peccatrice. Il racconto termina riportando alcuni dettagli complementari.: “L’’uomo chiamò sua moglie Eva, perché ella fu la madre di tutti i viventi”.
La donna è chiamata Eva (vita), poiché è destinata a diventare la madre di tutti i viventi: nonostante il peccato continua dunque la vita, che è il più grande dono di Dio!
Leggiamo nei versetti successivi che l'uomo e la donna sono rivestiti da Dio con tuniche di pelle, e ciò vuol dire che l’amore di Dio per loro non è venuto meno. Infine, perché l'uomo non abbia accesso all'albero della vita, Dio lo scaccia dal giardino e lo manda a coltivare la terra “perché lavorasse il suolo da dove era stato tratto” (3,23)
I cherubini posti a custodia del giardino e dell'albero della vita sono figure mitologiche reminiscenza delle figure babilonesi, mentre la fiamma della spada folgorante rappresenta il fulmine (vv. 22-24). L'allontanamento dal giardino si ispira al tema della rottura dell'alleanza, che comportava per Israele l'abbandono della terra donatagli da Dio (Vv. Dt 11,17; 28,15-68).
L’autore con questo racconto ha voluto dirci qualcosa riguardo l’uomo di tutti i tempi e di tutte le culture, e cioè ha voluto spiegare la sua situazione di sofferenza e di morte. A tale scopo egli ha immaginato che all’inizio della storia l’uomo si trovasse in una situazione ideale, dalla quale è decaduto a causa di un suo peccato. Così facendo egli vuol far vedere che la presenza del male, in tutti i suoi aspetti, non deriva da Dio, ma dall’uomo stesso, il quale si è precluso quella felicità che Dio gli aveva concesso all’inizio.
Questo modo di raccontare, tendente in qualche modo a scagionare Dio, ha uno scopo ben preciso: mostrare come Dio, non essendo responsabile del male presente in questo mondo, continua ad offrire all’uomo la possibilità di superare i suoi limiti e di raggiungere una condizione di vita adeguata alla sua dignità.
I profeti annunzieranno una salvezza piena che si attuerà in un futuro imprecisato (vv. Is 11,6-9) e quello che per l’autore della Genesi era un paradiso perduto, per i profeti diventa un paradiso che Dio donerà un giorno al Suo popolo e a tutta l’umanità: agli esseri umani non resta che prepararsi a questo evento finale. Mediante questi due modi simbolici di esprimersi gli autori biblici vogliono semplicemente far comprendere che l’uomo è chiamato alla felicità, ma la raggiunge solo se saprà distaccarsi da tutta una serie di pesanti condizionamenti, che provengono dal suo intimo e dalla società in cui vive.
Il rapporto con Dio ha quindi significato e deve essere vissuto in questa prospettiva: il “paradiso terrestre” è sempre disponibile a tutta l’umanità, pur in mezzo a tante difficoltà e sofferenze, a patto però che sia fedele a quei principi di amore e di giustizia che Dio ha scritto nel cuore di ogni uomo.
Salmo 98 (97) Cantate al Signore un canto nuovo, perché ha compiuto meraviglie.
Cantate al Signore un canto nuovo,
perché ha compiuto meraviglie.
Gli ha dato vittoria la sua destra
e il suo braccio santo.
Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza,
agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia.
Egli si è ricordato del suo amore,
della sua fedeltà alla casa d’Israele.
Tutti i confini della terra hanno veduto
la vittoria del nostro Dio.
Acclami il Signore tutta la terra,
gridate, esultate, cantate inni!
Il tempo della composizione di questo salmo è probabilmente quello del postesilio. Il motivo del suo invito ad un “canto nuovo” non è però ristretto al solo ritorno dall'esilio, ma nasce da tutti gli interventi di Dio per la liberazione di Israele dagli oppressori e dai nemici.
E' Dio stesso che, come prode guerriero, ha vinto i suoi nemici, che sono gli stessi nemici di Israele: “Gli ha dato vittoria la sua destra”.
Il “canto nuovo” celebra le “meraviglie” di Dio, tuttavia è aperto al futuro messianico, che abbraccerà tutti i popoli.
“La sua salvezza”, mostrata ai popoli per mezzo di Israele, ridonda già su di loro: “Tutti i confini della terra hanno veduto la vittoria del nostro Dio”. Il Signore è colui che viene, che viene costantemente a giudicare la terra; e che verrà nel futuro per mezzo dell'azione del Messia, al quale darà il potere di giudicare nell'ultimo giorno la terra: “Giudicherà il mondo con giustizia e i popoli con rettitudine”.
Ogni episodio di liberazione il salmo lo vede come preparazione della diffusione a tutte le genti della salvezza del Signore. E' una salvezza universale che tocca anche il creato, che deve fremere di fronte agli eventi finali che lo sconvolgeranno: “Frema il mare...”; ma anche esultare, perché sarà sottratto dalla caducità introdotta da Adamo (Cf. Rm 8,19): “I fiumi battano le mani, esultino insieme le montagne”.
Noi, in Cristo, recitiamo il salmo nell'avvento messianico. La salvezza di Dio, quella che ci libera dal peccato - male supremo - è quella donataci per mezzo di Cristo.
La giustizia che si è mostrata a noi è Cristo, che per noi è morto e ci ha resi giusti davanti al Padre per mezzo del lavacro del suo sangue. Dio, è il Dio che viene (Cf. Ap 1,7; 4,8) per mezzo dell'azione dello Spirito Santo, che presenta Cristo, nostra salvezza e giustizia.
Commento tratto da Perfetta Letizia
Dalla lettera di S.Paolo apostolo agli Efesini
Benedetto Dio,
Padre del Signore nostro Gesù Cristo,
che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo.
In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati
di fronte a lui nella carità,
predestinandoci a essere per lui figli adottivi
mediante Gesù Cristo,
secondo il disegno d’amore della sua volontà,
a lode dello splendore della sua grazia,
di cui ci ha gratificati nel Figlio amato.
In lui siamo stati fatti anche eredi,
predestinati – secondo il progetto di colui
che tutto opera secondo la sua volontà –
a essere lode della sua gloria,
noi, che già prima abbiamo sperato nel Cristo.
Ef 1,3-6.11-12
La Lettera agli Efesini è una delle lettere che la tradizione cristiana attribuisce a S.Paolo, che l'avrebbe scritta durante la sua prigionia a Roma intorno all'anno 62. Gli studiosi moderni però sono divisi su questa attribuzione e la maggioranza ritiene più probabile che la lettera sia stata composta da un altro autore appartenente alla scuola paolina, forse basandosi sulla lettera ai Colossesi, ma in questo caso la datazione della composizione può oscillare, tra l'anno 80 e il 100. La lettera agli Efesini si può dire che è la” lettera della Chiesa” del suo mistero e vita, tanto che anche il Concilio Vaticano II se ne è ampiamente ispirato
Il brano che abbiamo, è uno dei tre grandi inni Cristologici, che preghiamo anche durante i Vespri ogni settimana e che ci fa riflettere sul ruolo di Gesù nel progetto di amore del Padre. In particolare questo inno ci parla della predestinazione dei credenti. E' il Padre che sin dall'inizio dei tempi aveva pensato a noi, per renderci santi, per renderci suoi figli. Questo inno si adatta bene in particolare a Maria che nel piano della creazione-redenzione del mondo ha avuto un ruolo molto importante perché Dio Padre l‘ha scelta per essere santa e immacolata sin dal concepimento.
Il brano inizia con una invocazione benedicente: “Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo.”
La benedizione di Dio significa comunicazione di vita, e trova il suo compimento quando torna a Dio sotto forma di benedizione da parte dell'uomo. Il movimento della benedizione è prima discendente, poi ascendente: il dono è infatti completo solo quando è riconosciuto come tale, e il segno del riconoscimento è la lode. La comunicazione di vita, la benedizione, consiste nella chiamata alla santità. C’è un invito a contemplare in Maria la primizia, colei in cui il sogno di Dio ha trovato piena attuazione.
“In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità”,
Paolo ci spiega ora in cosa consista questa benedizione: Dio ci ha scelti, ci ha eletto, per essere santi e immacolati nella carità, come aveva scelto il popolo di Israele. C'è un'iniziativa gratuita di Dio che previene ogni pretesa umana. E' una gratuità che parte dal Padre e ha avuto inizio prima della creazione del mondo!
“predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato”.
Il progetto di Dio si attua per mezzo di Gesù Cristo e consiste nel far partecipare tutti i credenti alla sua condizione di figlio unico e amato. Se si parla di adozione, non è per sminuire la realtà dell'essere figli ma per sottolineare la differenza con la figliolanza di Gesù, che è modello e fonte di quella di tutti gli altri figli. C'è un amore gratuito che si espande in tutta la sua pienezza!
“In lui siamo stati fatti anche eredi,predestinati – secondo il progetto di colui che tutto opera secondo la sua volontà – a essere lode della sua gloria, noi, che già prima abbiamo sperato nel Cristo”
Non sono riportati i vv 7-10, che parlano del perdono dei peccati che abbiamo ricevuto grazie a Cristo. Con il v. 11 torniamo all'argomento dell'adozione e dell'eredità che riceviamo in quanto figli di Dio.
L’essere preservata immacolata fin dal concepimento non ha esonerato Maria dall’impegno di corrispondere alla grazia. Se l’onda che aveva preso a scorrere in lei ha potuto diventare torrente e traboccare benefica su tutta l’umanità, è stato per il suo incondizionato abbandonarsi allo Spirito. Questo è il potere di un “Sì” che eleva a collaboratori di Dio, non solo nel tessere la nostra santità, ma anche nel portare avanti il Suo disegno di salvezza a favore dell’umanità intera.
Ciò che si è realizzato in Maria attende oggi di realizzarsi in ciascuno di noi, anche se non come lei al momento del concepimento, ma a quello del battesimo.
Ognuno di noi è chiamato a questa via di santità, cioè a quella relazione di amore forte e incondizionato che ha legato Maria con il Signore. Riflettendo su di lei, sulla sua esperienza di vita e di fede riusciremo a camminare nelle vie che portano alla nostra pienezza e felicità.
Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Sato scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.
Lc 1,26-38
L’evangelista Luca inizia così il suo racconto:“l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazareth, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria.” L’angelo Gabriele, il cui nome derivante dall’ebraico significa “la forza di Dio” “Dio è forte”, viene mandato da Dio a Nazareth, che era in realtà un piccolo villaggio rurale della Galilea, ad una vergine , e al tempo stesso promessa sposa.
L’angelo apparendo a Maria si rivolge a lei con l’usuale saluto greco: kaire, che significa “Rallègrati” e aggiunge un elogio inusuale, unico “piena di grazia: il Signore è con te”. Le parole che l’angelo le rivolge, provocano il turbamento di Maria, per cui l’angelo la invita a non temere, sottolineando che ha “trovato grazia presso Dio” per cui Dio vuole stabilire un rapporto speciale con lei per assegnarle un compito unico e straordinario nel Suo progetto di salvezza.
L’angelo glielo annunzia con queste parole: “concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine”
Queste parole alludono all’oracolo di Isaia 7,14: Maria è dunque la vergine di cui parla il profeta e suo figlio, non è un semplice discendente della casa davidica, ma il Messia atteso per gli ultimi tempi. In sintonia poi con il testo ebraico dell’oracolo e in forza del ruolo di madre che le è assegnato, sarà lei che gli darà il nome.
All’annunzio messianico dell’angelo, Maria risponde con una domanda: “Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?”
In risposta alla domanda di Maria, l’angelo dà i chiarimenti che, solo chi è immerso completamente nel mistero di Dio, può accettare senza comprendere pienamente: “Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio”. Dopo aver indicato nel nascituro il Figlio dell’Altissimo, l’angelo spiega che questo appellativo è dovuto al fatto che lo Spirito santo interverrà in modo speciale nel momento stesso del suo concepimento.
Al termine del suo annunzio l’angelo rivela a Maria la gravidanza di Elisabetta, sua parente. Questo evento, tenuto gelosamente segreto dai diretti interessati, diventa il segno visibile che conferma l’autenticità della rivelazione dell’angelo. Esso infatti mostra nel modo più convincente che ”nulla è impossibile a Dio” (Gen 18,14).
Alle parole dell’angelo Maria risponde: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola”.
Maria si rende così disponibile al progetto di Dio e ne diventa partecipe fino in fondo.
Il termine “serva” con cui Maria si autodefinisce non deve far pensare ad esortazioni sull’umiltà, la modestia, o il nascondimento. Maria ha la coscienza che in lei donna semplice e comune, Dio ha realizzato l’intervento definitivo e grandioso del suo progetto di salvezza “atteso da tutte le generazioni”.
Nella sua preghiera, il “Magnificat” che pronuncerà nell’incontro con Elisabetta, Maria intuisce di essere il terreno ideale in cui Dio celebrerà i trionfi e offrirà la salvezza del Suo Regno: “Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente …” L’immacolata concezione è, allora, la storia di una donazione totale ad un piano tracciato da Dio, è la storia di una grazia e di una vocazione eccezionale.
Alla luce di questo modello di “serva del Signore”, oggi l’Adamo-Eva che è in ognuno di noi è invitato a ritornare allo splendore del paradiso terrestre, cioè alla grazia. Là potrà incontrare Dio in un dialogo familiare, intimo, di amore, là potrà vivere in armonia con il creato e con il suo prossimo.
*****
“Il Vangelo della Liturgia di oggi, Solennità dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, ci fa entrare nella sua casa di Nazareth, dove riceve l’annuncio dell’angelo . Tra le mura di casa una persona si rivela meglio che altrove. E proprio in quella intimità domestica il Vangelo ci dona un particolare, che rivela la bellezza del cuore di Maria.
L’angelo la chiama «piena di grazia». Se è piena di grazia, vuol dire che la Madonna è vuota di male, è senza peccato, Immacolata. Ora, a questo saluto Maria – dice il testo – rimane «molto turbata» . Non è solo sorpresa, ma turbata. Ricevere grandi saluti, onori e complimenti a volte rischia di suscitare vanto e presunzione. Ricordiamo che Gesù non è tenero con chi va alla ricerca dei saluti nelle piazze, dell’adulazione, della visibilità (cfr Lc 20,46). Maria invece non si esalta, ma si turba; anziché provare piacere, prova stupore. Il saluto dell’angelo le sembra più grande di lei. Perché? Perché si sente piccola dentro, e questa piccolezza, questa umiltà attira lo sguardo di Dio.
Tra le mura della casa di Nazareth vediamo così un tratto meraviglioso. Com’è il cuore di Maria? Ricevuto il più alto dei complimenti, si turba perché sente rivolto a sé quanto non attribuiva a sé stessa. Maria, infatti, non si attribuisce prerogative, non rivendica qualcosa, non ascrive nulla a suo merito. Non si autocompiace, non si esalta. Perché nella sua umiltà sa di ricevere tutto da Dio. È dunque libera da sé stessa, tutta rivolta a Dio e agli altri. Maria Immacolata non ha occhi per sé. Ecco l’umiltà vera: non avere occhi per sé, ma per Dio e per gli altri.
Ricordiamoci che questa perfezione di Maria, la piena di grazia, viene dichiarata dall’angelo tra le mura di casa sua: non nella piazza principale di Nazareth, ma lì, nel nascondimento, nella più grande umiltà. In quella casetta a Nazareth palpitava il cuore più grande che una creatura abbia mai avuto.
Cari fratelli e sorelle, è una notizia straordinaria per noi! Perché ci dice che il Signore, per compiere meraviglie, non ha bisogno di grandi mezzi e delle nostre capacità eccelse, ma della nostra umiltà, del nostro sguardo aperto a Lui e anche aperto agli altri. Con quell’annuncio, tra le povere mura di una piccola casa, Dio ha cambiato la storia. Anche oggi desidera fare grandi cose con noi nella quotidianità: cioè in famiglia, al lavoro, negli ambienti di ogni giorno. Lì, più che nei grandi eventi della storia, la grazia di Dio ama operare. Ma, mi domando, ci crediamo? Oppure pensiamo che la santità sia un’utopia, qualcosa per gli addetti ai lavori, una pia illusione incompatibile con la vita ordinaria?
Chiediamo alla Madonna una grazia: che ci liberi dall’idea fuorviante che una cosa è il Vangelo e un’altra la vita; che ci accenda di entusiasmo per l’ideale della santità, che non è questione di santini e immaginette, ma di vivere ogni giorno quello che ci capita umili e gioiosi, come la Madonna, liberi da noi stessi, con gli occhi rivolti a Dio e al prossimo che incontriamo. Per favore, non perdiamoci di coraggio: a tutti il Signore ha dato una stoffa buona per tessere la santità nella vita quotidiana! E quando ci assale il dubbio di non farcela, o la tristezza di essere inadeguati, lasciamoci guardare dagli “occhi misericordiosi” della Madonna, perché nessuno che abbia chiesto il suo soccorso è stato mai abbandonato!”
Papa Francesco Parte Angelus dell’’8 dicembre 2021
Madre Immacolata,
nel giorno della tua festa, tanto cara al popolo cristiano,
vengo a renderti omaggio nel cuore di Roma.
Nel mio animo porto i fedeli di questa Chiesa tutti coloro che vivono in questa città, specialmente i malati e quanti per diverse situazioni fanno più fatica ad andare avanti.
Prima di tutto vogliamo ringraziarti per la premura materna con cui accompagni il nostro cammino: quante volte sentiamo raccontare con le lacrime agli occhi da chi ha sperimentato la tua intercessione,
le grazie che chiedi per noi al tuo Figlio Gesù!
Penso anche a una grazia ordinaria che fai alla gente che vive a Roma:quella di affrontare con pazienza i disagi della vita quotidiana.
Ma per questo ti chiediamo la forza di non rassegnarci, anzi,di fare ogni giorno ciascuno la propria parte per migliorare le cose,perché la cura di ognuno renda Roma più bella e vivibile per tutti;
perché il dovere ben fatto da ognuno assicuri i diritti di tutti.
E pensando al bene comune di questa città,ti preghiamo per coloro che rivestono ruoli di maggiore responsabilità:ottieni per loro saggezza, lungimiranza, spirito di servizio e di collaborazione.
Vergine Santa, desidero affidarti in modo particolare i sacerdoti di questa Diocesi:
i parroci, i viceparroci, i preti anziani che col cuore di pastori continuano a lavorare al servizio del popolo di Dio,
i tanti sacerdoti studenti di ogni parte del mondo che collaborano nelle parrocchie.
Per tutti loro ti chiedo la dolce gioia di evangelizzare
e il dono di essere padri, vicini alla gente, misericordiosi.
A te, Donna tutta consacrata a Dio, affido le donne consacrate nella vita religiosa e in quella secolare,che grazie a Dio a Roma sono tante, più che in ogni altra città del mondo,
e formano un mosaico stupendo di nazionalità e culture.
Per loro ti chiedo la gioia di essere, come te, spose e madri,
feconde nella preghiera, nella carità, nella compassione.
O Madre di Gesù,
un’ultima cosa ti chiedo, in questo tempo di Avvento,
pensando ai giorni in cui tu e Giuseppe eravate in ansia
per la nascita ormai imminente del vostro bambino,
preoccupati perché c’era il censimento e anche voi dovevate lasciare il vostro paese, Nazareth, e andare a Betlemme…
Tu sai, Madre, cosa vuol dire portare in grembo la vita
e sentire intorno l’indifferenza, il rifiuto, a volte il disprezzo.
Per questo ti chiedo di stare vicina alle famiglie che oggi
a Roma, in Italia, nel mondo intero vivono situazioni simili,
perché non siano abbandonate a sé stesse, ma tutelate nei loro diritti,
diritti umani che vengono prima di ogni pur legittima esigenza.
O Maria Immacolata,
aurora di speranza all’orizzonte dell’umanità,veglia su questa città,
sulle case, sulle scuole, sugli uffici, sui negozi,sulle fabbriche, sugli ospedali, sulle carceri;
in nessun luogo manchi quello che Roma ha di più prezioso,e che conserva per il mondo intero,
il testamento di Gesù:“Amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi” (cfr Gv 13,34).
Amen.
preghiera che Papa Francesco ha recitato l’8 dicembre 2018
all’Immacolata a Piazza di Spagna
La liturgia di questa seconda domenica di Avvento ci invita con la voce di Giovanni il Battista a “preparare la via al Signore”, annunciandone la venuta imminente.
Nella prima lettura, tratta dal Libro del profeta Isaia, troviamo una delle più belle pagine poetiche divenuta poi uno dei più celebri canti messianici. Il profeta sembra disegnare simbolicamente la fisionomia di un erede di Davide e per farlo ricorre ad un immagine agricola: da un tronco tagliato e inaridito, spunta un germoglio, un inizio inaspettato di vita.
Nella seconda lettura, l’apostolo Paolo, nella sua lettera ai Romani, ci esorta ad accogliere la Parola di Dio per essere uomini e donne pieni di speranza che è dono dello Spirito Santo.
Il Vangelo di Matteo, ci presenta il Battista che in tono severo, minacciando anche castighi tremendi, invita alla conversione per preparare la strada al Messia. Giovanni Battista è colui che riassume in sé tutto l’Antico Testamento e lo unisce al Nuovo, è il precursore del Messia Gesù nella vita come nella morte, e Gesù stesso lo definisce “il più grande tra i nati di donna”.
Dal libro del profeta Isaia
In quel giorno, un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici. Su di lui si poserà lo spirito del Signore, spirito di sapienza e di intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore.
Si compiacerà del timore del Signore. Non giudicherà secondo le apparenze e non prenderà decisioni per sentito dire; ma giudicherà con giustizia i miseri e prenderà decisioni eque per gli umili della terra. Percuoterà il violento con la verga della sua bocca, con il soffio delle sue labbra ucciderà l'empio. La giustizia sarà fascia dei suoi lombi e la fedeltà cintura dei suoi fianchi.
Il lupo dimorerà insieme con l'agnello, il leopardo si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un piccolo fanciullo li guiderà. La mucca e l'orsa pascoleranno insieme; i loro piccoli si sdraieranno insieme. Il leone si ciberà di paglia, come il bue. Il lattante si trastullerà sulla buca della vipera; il bambino metterà la mano nel covo del serpente velenoso. Non agiranno più iniquamente né saccheggeranno in tutto il mio santo monte, perché la conoscenza del Signore riempirà la terra come le acque ricoprono il mare.
In quel giorno avverrà che la radice di Iesse si leverà a vessillo per i popoli. Le nazioni la cercheranno con ansia. La sua dimora sarà gloriosa.
Is 11,1-10
Questo brano tratto dal Libro del profeta Isaia, è una delle più celebri pagine poetiche del profeta, divenuta poi uno dei più noti canti messianici, in cui il ruolo del messia è ancora maggiormente esaltato. Il profeta con il suo oracolo, sembra disegnare simbolicamente la fisionomia di un erede di Davide, un erede diverso da quei personaggi piuttosto squallidi che fino ad allora si erano succeduti sul trono di Gerusalemme: «un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici» un nuovo germoglio spunta dal tronco di Iesse, un germoglio, un inizio assolutamente inatteso di vita: il virgulto, che è grazia e dono di Dio perché da quelle radici secche non sarebbero mai riuscite a farlo sbocciare. Nasce, così, quella definizione del re-Messia come germoglio che sarà cara anche ai profeti Geremia e Zaccaria.
Questa immagine potrebbe far pensare che il re promesso venga dopo una interruzione della dinastia regale e qui gli esegeti fanno notare che la ripresa avviene a partire dalla “radice di Iesse”, e non da quella di Davide: ciò significa che il nuovo re non si colloca sulla linea di quelli che si sono succeduti storicamente sul trono davidico, ma rappresenta una realtà totalmente nuova, con la quale viene portato a compimento il progetto divino espresso nella vocazione di Davide.
La figura del nuovo re viene tratteggiata mediante prerogative che ne caratterizzano il comportamento: “Su di lui si poserà lo spirito del Signore, spirito di sapienza e di intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore” Il re promesso ha dunque le prerogative del re ideale, a cui già alludeva l'oracolo precedente (V.9,5). È importante il fatto che tali qualità siano frutto dell'azione dello Spirito, il quale, diversamente da quanto avveniva per i giudici, si posa in modo stabile su di lui, come già era avvenuto per Davide (V. 1Sam 16,13).
Il brano prosegue mettendo in luce l'esercizio da parte del re dei doni conferitigli dallo Spirito. Anzitutto viene ripreso l'ultimo di essi, “il timore del Signore”. Il timore non corrisponde certo alla paura, ma a un senso di profonda sottomissione che porta a ricercare in ogni cosa la volontà divina. Sono poi descritti gli effetti della sapienza e dell'intelligenza nella pratica dell'attività giudiziale del re: «Non giudicherà secondo le apparenze e non prenderà decisioni per sentito dire; ma giudicherà con giustizia i miseri e prenderà decisioni eque per gli umili della terra. Percuoterà il violento con la verga della sua bocca, con il soffio delle sue labbra ucciderà l'empio. La giustizia sarà fascia dei suoi lombi e la fedeltà cintura dei suoi fianchi.»
Il re si comporterà dunque come il difensore dei miseri e degli oppressi contro i violenti e gli empi, mostrando così tutta la sua giustizia e la sua fedeltà verso il Signore.
Queste due virtù diventano così parte costituiva del suo modo di essere e di agire. Egli porta a termine la lotta contro i malvagi senza ricorrere alla violenza ma solo con la potenza della sua parola.
L'ultima parte dell'oracolo descrive invece gli effetti della sua azione politica:
«Il lupo dimorerà insieme con l'agnello, il leopardo si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un piccolo fanciullo li guiderà. La mucca e l'orsa pascoleranno insieme; i loro piccoli si sdraieranno insieme. Il leone si ciberà di paglia, come il bue. Il lattante si trastullerà sulla buca della vipera; il bambino metterà la mano nel covo del serpente velenoso.»
Come conseguenza della sua condotta ispirata dal consiglio e dalla fortezza, si realizza una pace di dimensioni universali: gli animali si riconciliano tra loro e con l'uomo e i serpenti velenosi non morsicano la mano che il bambinetto mette nel loro covo. Tutto fa dunque pensare a un nuovo paradiso terrestre.
Infine viene descritto un cambiamento radicale nel comportamento della gente:
«Non agiranno più iniquamente né saccheggeranno in tutto il mio santo monte, perché la conoscenza del Signore riempirà la terra come le acque ricoprono il mare.»
In un mondo rinnovato si attua una diffusione universale della “conoscenza del Signore”, la penultima delle prerogative regali, che indica ancora la totale sottomissione ai comandamenti divini.
L’oracolo termina con queste parole:. «In quel giorno avverrà che la radice di Iesse si leverà a vessillo per i popoli. Le nazioni la cercheranno con ansia. La sua dimora sarà gloriosa.»
La concezione esclusivista del re escatologico viene nettamente superata: il discendente di Iesse diventerà un punto di riferimento non solo per gli israeliti, ma anche per le altre nazioni.
Come cristiani pensiamo a Gesù che nella sinagoga di Nazareth, citando un altro passo di Isaia, esclamò: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio… « (Lc 4-18-19).
Tra la predicazione di Isaia e quella di Gesù c'è uno stacco netto: c’è l’oggi! Ciò che in Isaia era un annuncio, in Gesù diventa realtà, diventa il presente, l'"oggi" della salvezza.
Il lieto annuncio che Gesù propone a chi lo ascolta non è una dottrina, ma è Lui stesso. Egli è la salvezza e la via per conseguirla.
Salmo 71- Vieni, Signore, re di giustizia e di pace.
O Dio, affida al re il tuo diritto,
al figlio del re la tua giustizia;
Egli giudichi il tuo popolo secondo giustizia
e i tuoi poveri secondo il diritto.
Nei suoi giorni fiorisca il giusto
e abbondi la pace,
finché non si spenga la luna.
E domini da mare a mare,
dal fiume sino ai confini della terra.
Perché Egli libererà il misero che invoca
e il povero che non trova aiuto,
Abbia pietà del debole e del misero
e salvi la vita dei miseri.
Il suo nome duri in eterno,
davanti al sole germogli il suo nome.
In lui siano benedette tutte le stirpi della terra
e tutte le genti lo dicano beato.
Un re giusto è fonte di pace per questo il salmista invoca per il futuro re - “il figlio del re” - giustizia e rettitudine. Il salmo ha un’indubbia tensione messianica poiché non si possono che applicare al Messia alcuni passi fondamentali: “Ti faccia durare quanto il sole, come la luna, di generazione in generazione”; “Nei suoi giorni fiorisca il giusto e abbondi la pace, finché non si spenga la luna. E domini da mare a mare, dal fiume sino ai confini della terra”; “A lui si pieghino le tribù del deserto, mordano la polvere i suoi nemici ”; “In lui siano benedette tutte le stirpi della terra e tutte le genti lo dicano beato”.
Il re è indubbiamente Davide, e il figlio del re è Salomone, ma la figura del re e i risultati del suo governo sono tanto alti e ampi da tratteggiare il futuro Messia, il figlio del re per eccellenza; certo, secondo la carne (Rm 1,3;Gal 3,16). …
Egli Principe della pace, farà fiorire la pace finché “non si spenga la luna”; questo perché la sua pace, presente nella Chiesa e trasmessa dalla Chiesa, rimarrà sempre, La pace, poi, è l’essere riconciliati con Dio e con i fratelli.
Il suo regno sarà immenso. Non ha precedenti nei regni già esistiti, poiché :”E domini da mare a mare, dal fiume (ndr. l’Eufrate, il fiume per eccellenza) sino ai confini della terra”.
Il salmista passa ad un’invocazione a Dio per la grandezza del “figlio di re” su tutta la terra; ciò significa che l’estendersi del regno del Messia sarà dovuto anche all’azione, completamente subordinata alla salvezza operata da Cristo e con la forza data da lui, di coloro che lo amano: “Il suo nome duri in eterno, davanti al sole germogli il suo nome”.
Di nuovo il salmista passa al futuro: “In lui siano benedette tutte le stirpi della terra”. Cioè per mezzo del suo sacrificio riconciliatore il Padre benedirà tutte le genti della terra. “Tutte le genti lo dicano beato”, perché otterrà dal Padre onore e gloria per la sua obbedienza a lui, fino alla morte di croce.
Commento tratto da “Perfetta Letizia»
Dalla lettera di S.Paolo apostolo ai Romani
Fratelli, tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione, perché, in virtù della perseveranza e della consolazione che provengono dalle Scritture, teniamo viva la speranza. E il Dio della perseveranza e della consolazione vi conceda di avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti, sull’esempio di Cristo Gesù, perché con un solo animo e una voce sola rendiate gloria a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo.
Accoglietevi perciò gli uni gli altri come anche Cristo accolse voi, per la gloria di Dio. Dico infatti che Cristo e diventato servitore dei circoncisi per mostrare la fedeltà di Dio nel compiere le promesse dei padri; le genti invece glorificano Dio per la sua misericordia, come sta scritto: "Per questo ti loderò fra le genti e canterò inni al tuo nome“
Rm 15,4-9
Nella sua lettera ai Romani, nella seconda parte Paolo affronta un problema specifico della comunità romana, quello cioè della contrapposizione tra “deboli” e “forti”.
Il brano inizia riprendendo il tema dell’amore, a cui aveva dedicato i due capitoli precedenti, in cui aveva esortato i cristiani di Roma all’unità, mettendo così a fuoco il problema che divide la comunità (14,1-12);
aveva poi suggerito i criteri a cui devono ispirarsi per dirimere le controversie (14,13-21). Dopo aver indicato nel rispetto della fede altrui il criterio a cui i forti devono ispirarsi, a imitazione di Cristo, nei confronti dei deboli (15,1-3), Paolo fa una breve digressione circa l’attualità delle Scritture: “tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione, perché, in virtù della perseveranza e della consolazione che provengono dalle Scritture, teniamo viva la speranza”, e conclude la sua esortazione con una preghiera che riguarda non più soltanto i forti, ma tutti i membri della comunità: E il Dio della perseveranza e della consolazione vi conceda di avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti, sull’esempio di Cristo Gesù, perché con un solo animo e una voce sola rendiate gloria a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo” Quel Dio che, mediante le Scritture, dona perseveranza e consolazione possa conferire a tutti i credenti, sull’esempio di Cristo, una profonda sintonia di pensieri perché in modo unanime possano rendere gloria a Dio, Padre del nostro Signore Gesù Cristo.
Negli ultimi versetti Paolo riprende il tema dell’accoglienza, con il quale aveva aperto la sezione. Ma qui ne parla in chiave cristologica, presentando Gesù come il modello a cui tutti i membri della comunità devono rifarsi: Cristo ha accolto tutti i membri della comunità, senza discriminazione “Accoglietevi perciò gli uni gli altri come anche Cristo accolse voi, per la gloria di Dio. “ Egli dunque non è solo un modello a cui riferirsi, ma anche Colui che, stabilendo un rapporto personale con ciascuno di essi, ha reso possibile il loro rapporto di comunione vicendevole. Egli ha fatto ciò “per la gloria di Dio”, cioè per attuare quella salvezza nella quale Dio si manifesta in tutta la Sua potenza.
Poi Paolo aggiunge: “Dico infatti che Cristo e diventato servitore dei circoncisi per mostrare la fedeltà di Dio nel compiere le promesse dei padri”. Accogliendo i pagani, Cristo ha procurato la gloria di Dio, ma limitandosi, durante la sua vita terrena, all’evangelizzazione di Israele, Egli ha testimoniato soprattutto la fedeltà di Dio alle promesse, lasciando, per così dire, ai pagani convertiti il compito di essere testimoni vivi della misericordia divina. “le genti invece glorificano Dio per la sua misericordia, come sta scritto: "Per questo ti loderò fra le genti e canterò inni al tuo nome. “ Questa citazione è ricavata dal salmo 18,50 in cui il salmista afferma di celebrare il Signore tra le nazioni, ciò significa per Paolo che anche le nazioni sono state accettate da Dio e fatte partecipi della salvezza finale. Paolo prosegue poi con altre due citazioni bibliche (non riportate nel brano liturgico) e termina esortando i destinatari a elevare una preghiera al Dio della speranza, affinché ottengano gioia e pace nella fede e siano pieni di quella speranza che è dono dello Spirito Santo.
Dal vangelo secondo Matteo
In quei giorni venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea, dicendo: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!”.
Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaìa quando disse:
"Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!".
E lui, Giovanni portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico.
Allora Gerusalemme,tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.
Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: “Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all'ira imminente? Fate dunque un frutto degno della conversione, e non crediate di poter dire dentro di voi: “Abbiamo Abramo per padre”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. Io vi battezzo nell’acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile”.
Mt 3, 1-12
L’evangelista Matteo, dopo il racconto dell’infanzia di Gesù presenta tre eventi che hanno preceduto gli inizi del ministero pubblico di Gesù: la comparsa di Giovanni il Battista, il battesimo di Gesù, e le tentazioni. Il brano liturgico inizia così: “In quei giorni venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea, dicendo: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!”.
È questa la prima volta in cui si nomina il Battista e lo si presenta mentre svolge la sua attività nel deserto. Nella Bibbia il deserto evoca l'esperienza dell'esodo e suscita la speranza in un intervento decisivo di Dio per la liberazione del suo popolo (V. Os 2,16; Ger 2,2-3). L’appello alla conversione non riportato nel Vangelo di Marco, è la stessa con cui Matteo caratterizza la predicazione di Gesù, è evidente perciò che l’evangelista intende collegare strettamente l'attività del Battista con quella di Gesù. L’evangelista riporta poi la profezia che si trova anche in Marco: "Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!“. A questo punto Matteo descrive l’abbigliamento del Battista:”Giovanni portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico.” Questa annotazione ha due scopi: sottolineare la vita austera del Battista e al tempo stesso annoverarlo tra i profeti, che adottavano questo stesso stile di vita (2Re 1,8). A questo punto Matteo accenna alle folle che andavano a lui da Gerusalemme, da tutta la Giudea e dalla regione intorno al Giordano, e poi accenna al rito del battesimo, dicendo che quanti accorrevano da Giovanni si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.
Giovanni “Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, chiama i farisei e i sadducei “razza di vipere” e chiede chi ha suggerito loro di sfuggire dall’ira imminente. Dando loro il titolo di “vipere”, che contiene forse un’allusione al serpente tentatore nell'Eden, egli qualifica i suoi interlocutori come una realtà diabolica. Essi pensano di sfuggire all'ira imminente, cioè al giudizio divino di condanna. Ma ciò non è possibile senza una conversione che dimostri il loro ravvedimento, non certo mediante le osservanze minuziose della legge, ma con opere conformi alla volontà di Dio.
La gravità del momento viene espressa con l'immagine della scure posta alla radice degli alberi (v Ger 22,7; 46,22-24). Contrariamente alle loro pretese, l'appartenenza al popolo eletto, stirpe di Abramo, non è sufficiente per sottrarli all'ira punitrice di Dio perché questi può suscitare figli ad Abramo dalle innumerevoli pietre sparse all’intorno. Dio resta fedele alle promesse, ma si aspetta analoga fedeltà dal Suo popolo, altrimenti il giorno del giudizio diventerà per essi non una benedizione, ma una manifestazione di collera e di castigo.
Giovanni passa poi ad annunziare direttamente la venuta del Messia: «Io vi battezzo nell’acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco».
Matteo come Luca riferisce che il Battista affermava prima di tutto che egli battezzava con acqua per la conversione, poi che colui che veniva dopo di lui era “più forte” di lui ed egli non era degno di portargli i sandali, e infine che egli avrebbe battezzato “in Spirito Santo e fuoco”.
Matteo prosegue affermando ancora che (egli) : “ Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile”.
Quest’ultima frase si rifà all’usanza palestinese di completare la trebbiatura gettando per aria il grano tritato, facendo vento con una pala, in modo che l’aria lo separasse dalla pula e dalla polvere; il grano veniva poi raccolto a parte e la pula bruciata. In sintonia con la sua predicazione è chiaro che Giovanni pensava al Messia come l’inviato divino che avrebbe compiuto il giudizio escatologico, attuando sì un’azione salvifica, ma anche punitiva.
Giovanni è il primo grande testimone di Gesù, del quale condivide il messaggio e il destino di sofferenza: per questo viene presentato in sintonia con Lui. A Giovanni spetta il compito di mettere in risalto la superiorità di Gesù presentando se stesso non come il Messia, bensì come colui che gli prepara la strada. Per svolgere il suo ruolo Giovanni amministra il battesimo, ma il racconto non vuole risaltare questo rito, ma la sua predicazione.
Matteo, a differenza di Marco mette però in rilievo il fatto che Giovanni, come un autentico profeta, non si limita ad annunziare la venuta di Gesù, ma mette in crisi la religiosità delle classi dominanti; egli mostra loro che Dio non si accontenta di pratiche rituali, ma esige che tutta la persona umana si apra sinceramente al suo amore e alla sua grazia, senza doppiezza e ipocrisia.
Nota: Il rito d’immersione, simbolo di purificazione o di rinnovamento, era conosciuto dalle religioni antiche e dal giudaismo (battesimo dei proseliti, esseni). Pur ispirandosi a questi precedenti, il battesimo di Giovanni se ne distingue per tre aspetti principali: mira a una purificazione non più rituale, ma morale, non si ripete e riveste perciò l’aspetto di una iniziazione, ha un valore escatologico per il fatto che introduce nel gruppo di coloro che attendono l’arrivo del Messia e che costituiscono in anticipo la sua comunità. La sua efficacia è reale, ma non sacramentale, dal momento che dipende dal giudizio di Dio che deve ancora venire nella persona del Suo Messia. Solo il Messia battezzerà nello “Spirito santo”!
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“Nel Vangelo di questa seconda domenica di Avvento risuona l’invito di Giovanni Battista: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!» . Con queste stesse parole Gesù darà inizio alla sua missione in Galilea (cfr Mt 4,17); e tale sarà anche l’annuncio che dovranno portare i discepoli nella loro prima esperienza missionaria (cfr Mt 10,7). L’evangelista Matteo vuole così presentare Giovanni come colui che prepara la strada al Cristo che viene, e i discepoli come i continuatori della predicazione di Gesù. Si tratta dello stesso gioioso annuncio: viene il regno di Dio, anzi, è vicino, è in mezzo a noi! Questa parola è molto importante: “Il regno di Dio è in mezzo a voi”, dice Gesù. E Giovanni annuncia quello che Gesù dopo dirà: “Il regno di Dio è venuto, è arrivato, è in mezzo a voi”. Questo è il messaggio centrale di ogni missione cristiana. Quando un missionario va, un cristiano va ad annunciare Gesù, non va a fare proselitismo, come se fosse un tifoso che cerca per la sua squadra più aderenti. No, va semplicemente ad annunciare: “Il regno di Dio è in mezzo a voi!”. E così il missionario prepara la strada a Gesù, che incontra il suo popolo.
Ma che cos’è questo regno di Dio, questo regno dei cieli? Sono sinonimi. Noi pensiamo subito a qualcosa che riguarda l’aldilà: la vita eterna. Certo, questo è vero, il regno di Dio si estenderà senza fine oltre la vita terrena, ma la bella notizia che Gesù ci porta – e che Giovanni anticipa – è che il regno di Dio non dobbiamo attenderlo nel futuro: si è avvicinato, in qualche modo è già presente e possiamo sperimentarne fin da ora la potenza spirituale. “Il regno di Dio è in mezzo a voi!”, dirà Gesù. Dio viene a stabilire la sua signoria nella nostra storia, nell’oggi di ogni giorno, nella nostra vita; e là dove essa viene accolta con fede e umiltà germogliano l’amore, la gioia e la pace.
La condizione per entrare a far parte di questo regno è compiere un cambiamento nella nostra vita, cioè convertirci, convertirci ogni giorno, un passo avanti ogni giorno… Si tratta di lasciare le strade, comode ma fuorvianti, degli idoli di questo mondo: il successo a tutti i costi, il potere a scapito dei più deboli, la sete di ricchezze, il piacere a qualsiasi prezzo. E di aprire invece la strada al Signore che viene: Egli non toglie la nostra libertà, ma ci dona la vera felicità. Con la nascita di Gesù a Betlemme, è Dio stesso che prende dimora in mezzo a noi per liberarci dall’egoismo, dal peccato e dalla corruzione, da questi atteggiamenti che sono del diavolo: cercare il successo a tutti i costi; cercare il potere a scapito dei più deboli; avere la sete di ricchezze e cercare il piacere a qualsiasi prezzo.
Il Natale è un giorno di grande gioia anche esteriore, ma è soprattutto un avvenimento religioso per cui è necessaria una preparazione spirituale. In questo tempo di Avvento, lasciamoci guidare dall’esortazione del Battista: «Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!», ci dice (v. 3). Noi prepariamo la via del Signore e raddrizziamo i suoi sentieri, quando esaminiamo la nostra coscienza, quando scrutiamo i nostri atteggiamenti, per cacciare via questi atteggiamenti peccaminosi che ho menzionato, che non sono da Dio: il successo a tutti i costi; il potere a scapito dei più deboli; la sete di ricchezze; il piacere a qualsiasi prezzo.
Ci aiuti la Vergine Maria a prepararci all’incontro con questo Amore-sempre-più-grande, che è quello che porta Gesù, e che nella notte di Natale si è fatto piccolo piccolo, come un seme caduto nella terra. E Gesù è questo seme: il seme del Regno di Dio.”
Papa Francesco Parte dell’Angelus del 4 dicembre 2016
1. I Laici Salettini avranno il loro incontro mensile lunedì 5 alle 17 nella sala dei battesimali e sarà guidato da Padre Silvano. Come sempre l'incontro è aperto a tutti.
2. Da domenica 4 dicembre, l’oratorio dà il via ad una Lotteria di Natale. I ticket per partecipare sono acquistabili dal 4 al 18 dicembre. Trovate maggiori informazioni nelle bacheche in fondo alla chiesa e un banchetto all’uscita dalle messe dove poter acquistare i ticket. Il ricavato permetterà ai nostri ragazzi di finanziare il viaggio per la Giornata Mondiale della Gioventù con Papa Francesco, che si terrà a Lisbona ad agosto prossimo.
3. Sul tema Essere catechista in una chiesa sinodale, la nostra parrocchia realizza, Lunedì, 05 dicembre, dalle ore 19;00 alle 20;00, nella sala P. Luciano, una sessione di formazione rivolta ai catechisti ma che si estende a tutti i parrocchiani. Il relatore sarà Don Dario Vitali, professore cattedratico della Gregoriana.
4. Giovedì 8 dicembre la Chiesa celebra la Solennità dell’Immacolata Concezione. Il catechismo in tale giorno e nel giorno precedente (Mercoledì) è sospeso e sostituito dalla celebrazione eucaristica delle ore 10:00. Sono attesi a tale messa, tutti i gruppi di catechismo. Al termine, ci sarà animazione in oratorio. Tutti i bambini e ragazzi sono invitati a portare un fiore a Maria, che verrà consegnato all’altare della Madonna in quella stessa celebrazione.
Programma settimanale
Nella penultima domenica dell’anno liturgico, le letture che abbiamo ci portano ad orientare il nostro sguardo verso il futuro, sulla fine del mondo e sul destino dell’uomo oltre la morte. Questo non per spaventarci, ma per mostrarci come vivere bene il presente illuminato dalla speranza che alla fine il bene vincerà sul male.
Nella prima lettura, il profeta Malachìa, annuncia, a nome di Dio, che il fuoco distruggerà “i superbi e tutti coloro che commettono ingiustizia” ma subito dopo assicura che “sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia” per coloro che temono il suo nome.
Nella seconda lettura, l’apostolo Paolo, continuando la sua seconda lettera ai Tessalonicesi, mette sotto accusa gli oziosi che vivono disordinatamente “senza far nulla e in continua agitazione”. In modo perentorio l’apostolo sentenzia: “Chi non vuole lavorare neppure mangi”. L’uomo di fede deve prepararsi alla vita ultraterrena “lavorando in pace” operando con buona volontà e carità in vita, interpretando la giustizia tra gli uomini per meritare la giustizia salvifica di Dio.
Nel Vangelo di Luca, Gesù prefigura la distruzione di Gerusalemme e la persecuzione dei cristiani, ma contemporaneamente rassicura sul fatto che il bene prevarrà sul male.
Quella di oggi è una liturgia di tensione, destinata a scuotere le coscienze, ma non a terrorizzarle. Cristo, diversamente da quanto predicano certe sètte apocalittiche contemporanee, come i Testimoni di Geova, non si è particolarmente interessato alla fine del mondo, che resta un mistero nascosto nella mente di Dio: “Quanto poi a quel giorno o a quell’ora, nessuno li conosce, neanche gli angeli nel cielo, e neppure il Figlio, ma solo il Padre”.(Mc 13,32) Nei momenti di oscurità e di tribolazione ci devono sostenere le parole di Gesù: “nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita”
Dal libro del profeta Malachia
“Ecco, sta per venire il giorno rovente come un forno. Allora tutti i superbi e tutti coloro che commettono ingiustizia saranno come paglia;
quel giorno venendo,li brucerà - dice il Signore degli eserciti – fino a non lasciar loro né radice né germoglio. Per voi, che avete timore del mio nome, sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia”.
Mal 3,19-20
Malachìa è l’ultimo dei profeti minori dell’A.T., che gli ebrei chiamano per questo “Sigillo dei profeti”. Del profeta Malachìa, il cui nome o pseudonimo in ebraico è tutto un programma, “messaggero del Signore”, si sa solo che era della tribù di Zabulon e nacque a Sofa, in Palestina. Visse certamente dopo l’esilio babilonese (538 a.C.), durante la dominazione persiana, tuttavia non si può determinare con certezza se le sue profezie siano anteriori, contemporanee o posteriori al ritorno di Esdra in Palestina (sommo sacerdote ebreo, codificatore del giudaismo, V-IV secolo a.C.).
Nel libro di Malachìa, è notevolmente diffuso il senso dell’immutabile giustizia di Dio e dell’universalità della vera religione. Tratta dei problemi morali relativi alla comunità ebraica dopo la prigionia babilonese e mette in evidenza che “l’elezione” d’Israele non è solo un privilegio onorifico di Dio, ma comporta degli obblighi, come ogni dono divino. Per questo il suo tono è molto intransigente nei confronti dei sacerdoti che trascurano e offendono la dignità di Iahweh e del culto a Lui dovuto. Malachìa condanna il malcostume, i matrimoni misti, difende la indissolubilità del matrimonio e termina con una visione escatologica che anticipa la venuta del messaggero di Dio, che farà una cernita dei buoni nel suo popolo. I Padri della Chiesa sono concordi nel vedere in Malachìa il preannunzio profetico del sacrificio della Messa, con Gerusalemme che perde il titolo di “luogo dove bisogna adorare”, e Gesù che istituisce il rito eucaristico per tutta l’umanità.
Questo brano, che è la parte conclusiva del libro, ed anche la pagina che chiude l'Antico Testamento, ci invita a fissare lo sguardo in quel giorno, il giorno del Signore. Malachìa propone due immagini, la prima negativo
“Ecco, sta per venire il giorno rovente come un forno. Allora tutti i superbi e tutti coloro che commettono ingiustizia saranno come paglia; quel giorno venendo, li brucerà - dice il Signore degli eserciti – fino a non lasciar loro né radice né germoglio” il giorno del giudizio, è richiamato dall'immagine del fuoco, che purifica e consuma. Di tale sorte saranno condannati gli empi, i presuntuosi, come "paglia nel fuoco" senza speranza perché non lascerà loro «né radice né germoglio".
La seconda positiva «Per voi, che avete timore del mio nome, sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia”.
Il giorno del Signore qui viene presentato come evento di salvezza, nonostante le molte tribolazioni da affrontare, e paragonato a "un sole di giustizia che sorge con raggi benefici", espressione ripresa nel cantico di Zaccaria, riferito a Cristo come salvatore degli uomini.
La profezia di Malachìa risulta anche oggi più che mai attuale. Viviamo in tempi in cui quello che più conta sembra essere l'emergere, avere il potere, il successo. La parola del profeta invita Israele e noi oggi, a ritrovare la speranza perché Dio è il Signore della storia e il Suo intervento è sicuro, ma non è secondo i nostri schemi, perché dobbiamo tenere sempre in mente che le vie del Signore non sono le nostre vie, i Suoi pensieri non sono i nostri pensieri (Is.55). Occorre perciò che noi facciamo la nostra parte, tenendo sempre viva la fiducia in Dio.
L’immagine del «giorno del Signore» era stata immortalata dal profeta Amos, nell'VIII secolo a.C, che l’aveva sceneggiata in un quadretto di estrema densità e tensione «Che sarà per voi il giorno del Signore? Sarà tenebre e non luce. Come quando uno fugge davanti al leone e s’imbatte in un orso; entra in casa, appoggia la mano sul muro e un serpente lo morde. (5,18-20). Il giorno del Signore è quindi inevitabile; è il punto della storia in cui Dio entra in scena in modo decisivo e inaugura il suo regno di giustizia e di pace. In quel ”giorno” le strutture attuali che vedono vincenti i ricchi, i gaudenti, i prepotenti e gli ingiusti saranno ribaltate e sorgerà un’alba di speranza e di liberazione per gli oppressi, i sofferenti e i perseguitati.
Salmo 97 - Il Signore giudicherà il mondo con giustizia.
Cantate inni al Signore con la cetra,
con la cetra e al suono di strumenti a corde;
con le trombe e al suono del corno
acclamate davanti al re, il Signore.
Risuoni il mare e quanto racchiude,
il mondo e i suoi abitanti.
I fiumi battano le mani,
esultino insieme le montagne
davanti al Signore che viene
a giudicare la terra.
Giudicherà il mondo con giustizia
e i popoli con rettitudine.
Il tempo della composizione di questo salmo è probabilmente quello del postesilio. Il motivo del suo invito ad un “canto nuovo” non è però ristretto al solo ritorno dall'esilio, ma nasce da tutti gli interventi di Dio per la liberazione di Israele dagli oppressori e dai nemici.
E' Dio stesso che, come prode guerriero, ha vinto i suoi nemici, che sono gli stessi nemici di Israele: “Gli ha dato vittoria la sua destra”.
Il “canto nuovo” celebra le “meraviglie” di Dio, tuttavia è aperto al futuro messianico, che abbraccerà tutti i popoli.
“La sua salvezza”, mostrata ai popoli per mezzo di Israele, ridonda già su di loro: “Tutti i confini della terra hanno veduto la vittoria del nostro Dio”. Il Signore è colui che viene, che viene costantemente a giudicare la terra; e che verrà nel futuro per mezzo dell'azione del Messia, al quale darà il potere di giudicare nell'ultimo giorno la terra: “Giudicherà il mondo con giustizia e i popoli con rettitudine”.
Ogni episodio di liberazione il salmo lo vede come preparazione della diffusione a tutte le genti della salvezza del Signore. E' una salvezza universale che tocca anche il creato, che deve fremere di fronte agli eventi finali che lo sconvolgeranno: “Frema il mare...”; ma anche esultare, perché sarà sottratto dalla caducità introdotta da Adamo (Cf. Rm 8,19): “I fiumi battano le mani, esultino insieme le montagne”.
Noi, in Cristo, recitiamo il salmo nell'avvento messianico. La salvezza di Dio, quella che ci libera dal peccato - male supremo - è quella donataci per mezzo di Cristo. La giustizia che si è mostrata a noi è Cristo, che per noi è morto e ci ha resi giusti davanti al Padre per mezzo del lavacro del suo sangue. Dio, è il Dio che viene (Cf. Ap 1,7; 4,8) per mezzo dell'azione dello Spirito Santo, che presenta Cristo, nostra salvezza e giustizia.
Commento tratto da “Perfetta Letizia”
Dalla seconda lettera di S.Paolo apostolo ai Tessalonicesi
Fratelli,sapete in che modo dovete prenderci a modello: noi infatti non siamo rimasti oziosi in mezzo a voi, né abbiamo mangiato gratuitamente il pane di alcuno, ma abbiamo lavorato duramente, notte e giorno, per non essere di peso ad alcuno di voi.
Non che non ne avessimo diritto, ma per darci a voi come modello da imitare. E infatti quando eravamo presso di voi, vi abbiamo sempre dato questa regola: chi non vuole lavorare, neppure mangi.
Sentiamo infatti che alcuni fra voi vivono una vita disordinata, senza far nulla e sempre in agitazione. A questi tali, esortandoli nel Signore Gesù Cristo, ordiniamo di guadagnarsi il pane lavorando con tranquillità.
2Ts 3:7-12
Paolo quasi al termine della sua seconda lettera ai Tessalonicesi, dà spazio a un’ultima raccomandazione. Egli inizia portando se stesso come modello da imitare: “non siamo rimasti oziosi in mezzo a voi, né abbiamo mangiato gratuitamente il pane di alcuno, ma abbiamo lavorato duramente, notte e giorno, per non essere di peso ad alcuno di voi.”
Commenta poi che ha lavorato non perché non fosse suo diritto farsi sostenere dalla comunità, ma perché voleva dar loro un esempio da imitare. Dopo questa premessa ricorda la regola che aveva dato: “chi non vuole lavorare, neppure mangi” e continua dicendo: “Sentiamo infatti che alcuni fra voi vivono una vita disordinata, senza far nulla e sempre in agitazione.”
Probabilmente il comportamento di queste persone era il risultato di quella tensione determinata dal fatto che il Signore non era ritornato e non si pensava più che ciò avvenisse a breve scadenza, per cui non si trattava di un semplice ozio, ma di un atteggiamento basato su una motivazione religiosa.
A coloro che hanno ceduto a questa tentazione egli ordina: “esortandoli nel Signore Gesù Cristo, di guadagnarsi il pane lavorando con tranquillità”.
L’esempio di Paolo e la sua parola autorevole vengono fatti valere per affermare che nessuno deve farsi mantenere a spese della comunità.
Nei versetti seguenti, che non sono riportati nel brano, l’esortazione ha un ulteriore sviluppo. Se qualcuno non obbedisce a questa direttiva bisogna intervenire, interrompendo i rapporti con lui, cioè non provvedendogli più l’assistenza che esige dagli altri, non si deve comunque trattarlo come un nemico, ma ammonirlo come un fratello. Tutta la comunità quindi è coinvolta nel compito di aiutare i singoli membri a vivere in modo conforme all’insegnamento di Paolo.
Ogni comunità deve difendersi dal male, e come sempre capita ed è capitato, il male peggiore non è quello che viene dall’esterno, ma quello che corrode la comunità dall’interno. L’insegnamento che Paolo ci lascia è che il cristiano deve vivere serenamente, non deve mangiare gratuitamente il pane, non deve vivere alle spalle degli altri, ma cercare di adempiere con coscienza retta tutti i doveri terreni personali e sociali.
Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: “Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta”. Gli domandarono: “Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere? “.
Rispose: “Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: "Sono io " e: "Il tempo è vicino"; non andate dietro a loro!. Quando sentirete parlare di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine”. Poi diceva loro: “Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo. Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagòghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e a governatori, a causa del mio nome.
Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicchè tutti i vostri avversari non potranno resistere, né controbattere. Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita”.
Lc 21, 5-19
Luca riporta questo ultimo discorso di Gesù, che secondo i sinottici, tiene alla vigilia della Sua morte. Poco prima c’era stato l’episodio della vedova che davanti al tempio, dona i suoi spiccioli, e Gesù dice di lei che nella sua miseria ha dato tutto quanto aveva per vivere.
Questo discorso di Gesù viene chiamato escatologico e come in Marco, c’è un riferimento alla distruzione di Gerusalemme, avvenuta nel 70 d.C., con la descrizione della fine dei tempi.
Nel brano leggiamo che Gesù si trovava ancora nel tempio, dove si erano svolte le dispute con i diversi gruppi dei giudei, e sentendo che alcuni di mezzo al popolo ammiravano la bellezza della costruzione del tempio così caro al cuore di ogni ebreo, Gesù fa una dichiarazione sconcertante e scandalosa : "Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta”. Questa affermazione deve aver procurato una certa impressione perché alcuni dei presenti gli chiedono: “Maestro, quando accadranno queste cose e quale sarà il segno che ciò sta per avvenire?” Essi sono preoccupati del “quando “ e del “come“, quasi per riuscire a sottrarsi con uno stratagemma dell’intelligenza e dell’astuzia umana dal giudizio divino. Ma la banalità di questa curiosità è subito liquidata da Gesù a cui non interessa fare previsioni sul futuro quanto piuttosto orientare chi lo ascolta verso un atteggiamento esistenziale di impegno e di speranza. Come in Marco, anche in Luca, Gesù passa a indicare i segni premonitori della distruzione di Gerusalemme. Anzitutto parla di avvenimenti riguardanti la comunità dei discepoli: “Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: "Sono io " e: "Il tempo è vicino"; non andate dietro a loro!”.
“Non lasciatevi ingannare,” ecco la prima esortazione di Gesù, Egli non intende parlare dei segni, ma esortare alla fiducia. Sicuramente questi falsi profeti, dai quali Gesù mette in guardia, saranno stati coloro che all'interno delle prime comunità cristiane si erano messi ad annunciare una fine del mondo imminente. Il periodo storico immediatamente precedente la caduta di Gerusalemme, sia per la comunità cristiana sia in Palestina, era segnato da una forte tensione e Luca vuole scoraggiare una visione errata degli avvenimenti.
Poi Gesù prosegue: “Quando sentirete parlare di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine”. Qui c’è una seconda esortazione, relativa al tema classico della guerra e in questa Luca inserisce una prospettiva storica (con l'utilizzo di espressioni temporali: “prima …e non è subito la fine”) per riaffermare quanto appena detto. Le guerre, i disordini, le rivoluzioni appartengono alla storia e non sono segni della prossimità della fine del mondo, per questo dice: ”non è subito la fine”. In quegli anni infatti, mentre la Palestina era sconvolta dalla guerra giudaica e dai disordini civili che la accompagnavano, anche Roma era segnata da disordini con Galba, Otone e Vitellio (68-69 d.C.).
Poi Gesù continua dicendo : “Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo”.
Luca sembra voglia distinguere i fatti storici ricorrenti che vivono i suoi lettori, dai segni politici, naturali e cosmici che preludono la parusia e ricorre ad espressioni apocalittici, eventi catastrofici come la guerra, la carestia, la peste. (Come è attuale questo profezia, potremo anche riconoscerla in questi ultimi eventi che stiamo vivendo) Inserisce poi il tema della testimonianza e il testo si trasforma in una profezia circa le persecuzioni cui saranno sottoposti i credenti: “Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e a governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza”.
Le persecuzioni che ci furono, sia da parte dei Giudei che dei pagani, non sono segni premonitori della fine dei tempi, ma appartengono alla storia della Chiesa di tutti i tempi e di tutti i luoghi. Di questo Luca ne parla anche negli Atti (4,3; 5,18; 6,12; ecc.), perché la persecuzione fa parte della sequela e un invito a portare la propria croce, come Gesù aveva già detto in un'altra occasione.
Di fronte ai loro persecutori i cristiani non dovranno però preoccuparsi perché Gesù su questo dice : “Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere, né controbattere” perché sarà Gesù stesso a dar loro una sapienza a cui i loro avversari non potranno ribattere.
Alla persecuzione da parte di estranei si aggiungerà l’opposizione dei propri cari, ed anche questo Gesù lo dice: “Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome”. C’è così da mettere in conto anche il tradimento da parte dei propri parenti, genitori e fratelli, magari persone che condividono la stessa fede. La persecuzione sarà accompagnata da sentimenti di odio generalizzato, di cui è causa il nome di Gesù.
Il brano termina con due detti di incoraggiamento e di conforto: “Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto.” La “perseveranza” è un termine che evoca tutta la forza necessaria per affrontare le prove quotidiane che si incontrano sempre nella vita, ma nello stesso tempo fa pensare alla speranza in Colui che ti conta anche i capelli in capo.
“Con la vostra perseveranza salverete le vostra vita”, ed è come dire “salverete la vostra anima”. La vita si salva non nel disimpegno ma nel tenace, umile, quotidiano lavoro che si prende cura della terra e delle sue ferite, senza cedere né allo scoraggiamento né alle seduzioni dei falsi profeti. Questo è importante perché Gesù nel vangelo sembra riconoscere alla perseveranza che noi avremo tenuto, non una salvezza avuta come pacco dono, ma una salvezza di cui Lui ci rende partecipi e protagonisti.
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Signore Gesù nei momenti della prova
quando sentimenti di angoscia,
spavento, insicurezza, sfiducia,
prevalgono in me, aiutami a leggere la
storia della mia vita alla luce di Te,
mio Dio, mio Amore, e mio Salvatore.
Ripetimi, quando la sofferenza
quotidiana sembra prevalere:
Io sono con te tutti i giorni fino alla
fine dei tempi!
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“Il Vangelo di questa penultima domenica dell’anno liturgico, ci presenta il discorso di Gesù sulla fine dei tempi.
Gesù lo pronuncia davanti al tempio di Gerusalemme, edificio ammirato dalla gente a motivo della sua imponenza e del suo splendore. Ma Egli profetizza che di tutta quella bellezza del tempio, quella grandiosità «non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta» . La distruzione del tempio preannunciata da Gesù è figura non tanto della fine della storia, quanto del fine della storia. Infatti, di fronte agli ascoltatori che vogliono sapere come e quando accadranno questi segni, Gesù risponde con il tipico linguaggio apocalittico della Bibbia.
Usa due immagini apparentemente contrastanti: la prima è una serie di eventi paurosi: catastrofi, guerre, carestie, sommosse e persecuzioni (vv. 9-12); l’altra è rassicurante: «Nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto» . Dapprima c’è uno sguardo realistico sulla storia, segnata da calamità e anche da violenze, da traumi che feriscono il creato, nostra casa comune, e anche la famiglia umana che vi abita, e la stessa comunità cristiana. Pensiamo a tante guerre di oggi, a tante calamità di oggi. La seconda immagine – racchiusa nella rassicurazione di Gesù – ci dice l’atteggiamento che deve assumere il cristiano nel vivere questa storia, caratterizzata da violenza e avversità.
E qual è l’atteggiamento del cristiano? È l’atteggiamento della speranza in Dio, che consente di non lasciarsi abbattere dai tragici eventi. Anzi, essi sono «occasione di dare testimonianza» (v. 13). I discepoli di Cristo non possono restare schiavi di paure e angosce; sono chiamati invece ad abitare la storia, ad arginare la forza distruttrice del male, con la certezza che ad accompagnare la sua azione di bene c’è sempre la provvida e rassicurante tenerezza del Signore. Questo è il segno eloquente che il Regno di Dio viene a noi, cioè che si sta avvicinando la realizzazione del mondo come Dio lo vuole. È Lui, il Signore, che conduce la nostra esistenza e conosce il fine ultimo delle cose e degli eventi.
Il Signore ci chiama a collaborare alla costruzione della storia, diventando, insieme a Lui, operatori di pace e testimoni della speranza in un futuro di salvezza e di risurrezione. La fede ci fa camminare con Gesù sulle strade tante volte tortuose di questo mondo, nella certezza che la forza del suo Spirito piegherà le forze del male, sottoponendole al potere dell’amore di Dio. L’amore è superiore, l’amore è più potente, perché è Dio: Dio è amore. Ci sono di esempio i martiri cristiani – i nostri martiri, anche dei nostri tempi, che sono di più di quelli degli inizi – i quali, nonostante le persecuzioni, sono uomini e donne di pace. Essi ci consegnano una eredità da custodire e imitare: il Vangelo dell’amore e della misericordia. Questo è il tesoro più prezioso che ci è stato donato e la testimonianza più efficace che possiamo dare ai nostri contemporanei, rispondendo all’odio con l’amore, all’offesa con il perdono. Anche nella vita quotidiana: quando noi riceviamo un’offesa, sentiamo dolore; ma bisogna perdonare di cuore. Quando noi ci sentiamo odiati, pregare con amore per la persona che ci odia.
La Vergine Maria sostenga, con la sua materna intercessione, il nostro cammino di fede quotidiano, alla sequela del Signore che guida la storia.”
Papa Francesco Parte dell’Angelus del 17 novembre 2019
L'umanità è una grande e immensa famiglia ... Troviamo la dimostrazione di ciò da quello che ci sentiamo nei nostri cuori a Natale.
(Papa Giovanni XXIII)