La liturgia di questa seconda domenica di Avvento ci invita con la voce di Giovanni il Battista a “preparare la via al Signore”, annunciandone la venuta imminente.
Nella prima lettura, tratta dal Libro del profeta Isaia, troviamo una delle più belle pagine poetiche divenuta poi uno dei più celebri canti messianici. Il profeta sembra disegnare simbolicamente la fisionomia di un erede di Davide e per farlo ricorre ad un immagine agricola: da un tronco tagliato e inaridito, spunta un germoglio, un inizio inaspettato di vita.
Nella seconda lettura, l’apostolo Paolo, nella sua lettera ai Romani, ci esorta ad accogliere la Parola di Dio per essere uomini e donne pieni di speranza che è dono dello Spirito Santo.
Il Vangelo di Matteo, ci presenta il Battista che in tono severo, minacciando anche castighi tremendi, invita alla conversione per preparare la strada al Messia. Giovanni Battista è colui che riassume in sé tutto l’Antico Testamento e lo unisce al Nuovo, è il precursore del Messia Gesù nella vita come nella morte, e Gesù stesso lo definisce “il più grande tra i nati di donna”.
Dal libro del profeta Isaia
In quel giorno, un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici. Su di lui si poserà lo spirito del Signore, spirito di sapienza e di intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore.
Si compiacerà del timore del Signore. Non giudicherà secondo le apparenze e non prenderà decisioni per sentito dire; ma giudicherà con giustizia i miseri e prenderà decisioni eque per gli umili della terra. Percuoterà il violento con la verga della sua bocca, con il soffio delle sue labbra ucciderà l'empio. La giustizia sarà fascia dei suoi lombi e la fedeltà cintura dei suoi fianchi.
Il lupo dimorerà insieme con l'agnello, il leopardo si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un piccolo fanciullo li guiderà. La mucca e l'orsa pascoleranno insieme; i loro piccoli si sdraieranno insieme. Il leone si ciberà di paglia, come il bue. Il lattante si trastullerà sulla buca della vipera; il bambino metterà la mano nel covo del serpente velenoso. Non agiranno più iniquamente né saccheggeranno in tutto il mio santo monte, perché la conoscenza del Signore riempirà la terra come le acque ricoprono il mare.
In quel giorno avverrà che la radice di Iesse si leverà a vessillo per i popoli. Le nazioni la cercheranno con ansia. La sua dimora sarà gloriosa.
Is 11,1-10
Questo brano tratto dal Libro del profeta Isaia, è una delle più celebri pagine poetiche del profeta, divenuta poi uno dei più noti canti messianici, in cui il ruolo del messia è ancora maggiormente esaltato. Il profeta con il suo oracolo, sembra disegnare simbolicamente la fisionomia di un erede di Davide, un erede diverso da quei personaggi piuttosto squallidi che fino ad allora si erano succeduti sul trono di Gerusalemme: «un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici» un nuovo germoglio spunta dal tronco di Iesse, un germoglio, un inizio assolutamente inatteso di vita: il virgulto, che è grazia e dono di Dio perché da quelle radici secche non sarebbero mai riuscite a farlo sbocciare. Nasce, così, quella definizione del re-Messia come germoglio che sarà cara anche ai profeti Geremia e Zaccaria.
Questa immagine potrebbe far pensare che il re promesso venga dopo una interruzione della dinastia regale e qui gli esegeti fanno notare che la ripresa avviene a partire dalla “radice di Iesse”, e non da quella di Davide: ciò significa che il nuovo re non si colloca sulla linea di quelli che si sono succeduti storicamente sul trono davidico, ma rappresenta una realtà totalmente nuova, con la quale viene portato a compimento il progetto divino espresso nella vocazione di Davide.
La figura del nuovo re viene tratteggiata mediante prerogative che ne caratterizzano il comportamento: “Su di lui si poserà lo spirito del Signore, spirito di sapienza e di intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore” Il re promesso ha dunque le prerogative del re ideale, a cui già alludeva l'oracolo precedente (V.9,5). È importante il fatto che tali qualità siano frutto dell'azione dello Spirito, il quale, diversamente da quanto avveniva per i giudici, si posa in modo stabile su di lui, come già era avvenuto per Davide (V. 1Sam 16,13).
Il brano prosegue mettendo in luce l'esercizio da parte del re dei doni conferitigli dallo Spirito. Anzitutto viene ripreso l'ultimo di essi, “il timore del Signore”. Il timore non corrisponde certo alla paura, ma a un senso di profonda sottomissione che porta a ricercare in ogni cosa la volontà divina. Sono poi descritti gli effetti della sapienza e dell'intelligenza nella pratica dell'attività giudiziale del re: «Non giudicherà secondo le apparenze e non prenderà decisioni per sentito dire; ma giudicherà con giustizia i miseri e prenderà decisioni eque per gli umili della terra. Percuoterà il violento con la verga della sua bocca, con il soffio delle sue labbra ucciderà l'empio. La giustizia sarà fascia dei suoi lombi e la fedeltà cintura dei suoi fianchi.»
Il re si comporterà dunque come il difensore dei miseri e degli oppressi contro i violenti e gli empi, mostrando così tutta la sua giustizia e la sua fedeltà verso il Signore.
Queste due virtù diventano così parte costituiva del suo modo di essere e di agire. Egli porta a termine la lotta contro i malvagi senza ricorrere alla violenza ma solo con la potenza della sua parola.
L'ultima parte dell'oracolo descrive invece gli effetti della sua azione politica:
«Il lupo dimorerà insieme con l'agnello, il leopardo si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un piccolo fanciullo li guiderà. La mucca e l'orsa pascoleranno insieme; i loro piccoli si sdraieranno insieme. Il leone si ciberà di paglia, come il bue. Il lattante si trastullerà sulla buca della vipera; il bambino metterà la mano nel covo del serpente velenoso.»
Come conseguenza della sua condotta ispirata dal consiglio e dalla fortezza, si realizza una pace di dimensioni universali: gli animali si riconciliano tra loro e con l'uomo e i serpenti velenosi non morsicano la mano che il bambinetto mette nel loro covo. Tutto fa dunque pensare a un nuovo paradiso terrestre.
Infine viene descritto un cambiamento radicale nel comportamento della gente:
«Non agiranno più iniquamente né saccheggeranno in tutto il mio santo monte, perché la conoscenza del Signore riempirà la terra come le acque ricoprono il mare.»
In un mondo rinnovato si attua una diffusione universale della “conoscenza del Signore”, la penultima delle prerogative regali, che indica ancora la totale sottomissione ai comandamenti divini.
L’oracolo termina con queste parole:. «In quel giorno avverrà che la radice di Iesse si leverà a vessillo per i popoli. Le nazioni la cercheranno con ansia. La sua dimora sarà gloriosa.»
La concezione esclusivista del re escatologico viene nettamente superata: il discendente di Iesse diventerà un punto di riferimento non solo per gli israeliti, ma anche per le altre nazioni.
Come cristiani pensiamo a Gesù che nella sinagoga di Nazareth, citando un altro passo di Isaia, esclamò: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio… « (Lc 4-18-19).
Tra la predicazione di Isaia e quella di Gesù c'è uno stacco netto: c’è l’oggi! Ciò che in Isaia era un annuncio, in Gesù diventa realtà, diventa il presente, l'"oggi" della salvezza.
Il lieto annuncio che Gesù propone a chi lo ascolta non è una dottrina, ma è Lui stesso. Egli è la salvezza e la via per conseguirla.
Salmo 71- Vieni, Signore, re di giustizia e di pace.
O Dio, affida al re il tuo diritto,
al figlio del re la tua giustizia;
Egli giudichi il tuo popolo secondo giustizia
e i tuoi poveri secondo il diritto.
Nei suoi giorni fiorisca il giusto
e abbondi la pace,
finché non si spenga la luna.
E domini da mare a mare,
dal fiume sino ai confini della terra.
Perché Egli libererà il misero che invoca
e il povero che non trova aiuto,
Abbia pietà del debole e del misero
e salvi la vita dei miseri.
Il suo nome duri in eterno,
davanti al sole germogli il suo nome.
In lui siano benedette tutte le stirpi della terra
e tutte le genti lo dicano beato.
Un re giusto è fonte di pace per questo il salmista invoca per il futuro re - “il figlio del re” - giustizia e rettitudine. Il salmo ha un’indubbia tensione messianica poiché non si possono che applicare al Messia alcuni passi fondamentali: “Ti faccia durare quanto il sole, come la luna, di generazione in generazione”; “Nei suoi giorni fiorisca il giusto e abbondi la pace, finché non si spenga la luna. E domini da mare a mare, dal fiume sino ai confini della terra”; “A lui si pieghino le tribù del deserto, mordano la polvere i suoi nemici ”; “In lui siano benedette tutte le stirpi della terra e tutte le genti lo dicano beato”.
Il re è indubbiamente Davide, e il figlio del re è Salomone, ma la figura del re e i risultati del suo governo sono tanto alti e ampi da tratteggiare il futuro Messia, il figlio del re per eccellenza; certo, secondo la carne (Rm 1,3;Gal 3,16). …
Egli Principe della pace, farà fiorire la pace finché “non si spenga la luna”; questo perché la sua pace, presente nella Chiesa e trasmessa dalla Chiesa, rimarrà sempre, La pace, poi, è l’essere riconciliati con Dio e con i fratelli.
Il suo regno sarà immenso. Non ha precedenti nei regni già esistiti, poiché :”E domini da mare a mare, dal fiume (ndr. l’Eufrate, il fiume per eccellenza) sino ai confini della terra”.
Il salmista passa ad un’invocazione a Dio per la grandezza del “figlio di re” su tutta la terra; ciò significa che l’estendersi del regno del Messia sarà dovuto anche all’azione, completamente subordinata alla salvezza operata da Cristo e con la forza data da lui, di coloro che lo amano: “Il suo nome duri in eterno, davanti al sole germogli il suo nome”.
Di nuovo il salmista passa al futuro: “In lui siano benedette tutte le stirpi della terra”. Cioè per mezzo del suo sacrificio riconciliatore il Padre benedirà tutte le genti della terra. “Tutte le genti lo dicano beato”, perché otterrà dal Padre onore e gloria per la sua obbedienza a lui, fino alla morte di croce.
Commento tratto da “Perfetta Letizia»
Dalla lettera di S.Paolo apostolo ai Romani
Fratelli, tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione, perché, in virtù della perseveranza e della consolazione che provengono dalle Scritture, teniamo viva la speranza. E il Dio della perseveranza e della consolazione vi conceda di avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti, sull’esempio di Cristo Gesù, perché con un solo animo e una voce sola rendiate gloria a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo.
Accoglietevi perciò gli uni gli altri come anche Cristo accolse voi, per la gloria di Dio. Dico infatti che Cristo e diventato servitore dei circoncisi per mostrare la fedeltà di Dio nel compiere le promesse dei padri; le genti invece glorificano Dio per la sua misericordia, come sta scritto: "Per questo ti loderò fra le genti e canterò inni al tuo nome“
Rm 15,4-9
Nella sua lettera ai Romani, nella seconda parte Paolo affronta un problema specifico della comunità romana, quello cioè della contrapposizione tra “deboli” e “forti”.
Il brano inizia riprendendo il tema dell’amore, a cui aveva dedicato i due capitoli precedenti, in cui aveva esortato i cristiani di Roma all’unità, mettendo così a fuoco il problema che divide la comunità (14,1-12);
aveva poi suggerito i criteri a cui devono ispirarsi per dirimere le controversie (14,13-21). Dopo aver indicato nel rispetto della fede altrui il criterio a cui i forti devono ispirarsi, a imitazione di Cristo, nei confronti dei deboli (15,1-3), Paolo fa una breve digressione circa l’attualità delle Scritture: “tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione, perché, in virtù della perseveranza e della consolazione che provengono dalle Scritture, teniamo viva la speranza”, e conclude la sua esortazione con una preghiera che riguarda non più soltanto i forti, ma tutti i membri della comunità: E il Dio della perseveranza e della consolazione vi conceda di avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti, sull’esempio di Cristo Gesù, perché con un solo animo e una voce sola rendiate gloria a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo” Quel Dio che, mediante le Scritture, dona perseveranza e consolazione possa conferire a tutti i credenti, sull’esempio di Cristo, una profonda sintonia di pensieri perché in modo unanime possano rendere gloria a Dio, Padre del nostro Signore Gesù Cristo.
Negli ultimi versetti Paolo riprende il tema dell’accoglienza, con il quale aveva aperto la sezione. Ma qui ne parla in chiave cristologica, presentando Gesù come il modello a cui tutti i membri della comunità devono rifarsi: Cristo ha accolto tutti i membri della comunità, senza discriminazione “Accoglietevi perciò gli uni gli altri come anche Cristo accolse voi, per la gloria di Dio. “ Egli dunque non è solo un modello a cui riferirsi, ma anche Colui che, stabilendo un rapporto personale con ciascuno di essi, ha reso possibile il loro rapporto di comunione vicendevole. Egli ha fatto ciò “per la gloria di Dio”, cioè per attuare quella salvezza nella quale Dio si manifesta in tutta la Sua potenza.
Poi Paolo aggiunge: “Dico infatti che Cristo e diventato servitore dei circoncisi per mostrare la fedeltà di Dio nel compiere le promesse dei padri”. Accogliendo i pagani, Cristo ha procurato la gloria di Dio, ma limitandosi, durante la sua vita terrena, all’evangelizzazione di Israele, Egli ha testimoniato soprattutto la fedeltà di Dio alle promesse, lasciando, per così dire, ai pagani convertiti il compito di essere testimoni vivi della misericordia divina. “le genti invece glorificano Dio per la sua misericordia, come sta scritto: "Per questo ti loderò fra le genti e canterò inni al tuo nome. “ Questa citazione è ricavata dal salmo 18,50 in cui il salmista afferma di celebrare il Signore tra le nazioni, ciò significa per Paolo che anche le nazioni sono state accettate da Dio e fatte partecipi della salvezza finale. Paolo prosegue poi con altre due citazioni bibliche (non riportate nel brano liturgico) e termina esortando i destinatari a elevare una preghiera al Dio della speranza, affinché ottengano gioia e pace nella fede e siano pieni di quella speranza che è dono dello Spirito Santo.
Dal vangelo secondo Matteo
In quei giorni venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea, dicendo: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!”.
Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaìa quando disse:
"Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!".
E lui, Giovanni portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico.
Allora Gerusalemme,tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.
Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: “Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all'ira imminente? Fate dunque un frutto degno della conversione, e non crediate di poter dire dentro di voi: “Abbiamo Abramo per padre”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. Io vi battezzo nell’acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile”.
Mt 3, 1-12
L’evangelista Matteo, dopo il racconto dell’infanzia di Gesù presenta tre eventi che hanno preceduto gli inizi del ministero pubblico di Gesù: la comparsa di Giovanni il Battista, il battesimo di Gesù, e le tentazioni. Il brano liturgico inizia così: “In quei giorni venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea, dicendo: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!”.
È questa la prima volta in cui si nomina il Battista e lo si presenta mentre svolge la sua attività nel deserto. Nella Bibbia il deserto evoca l'esperienza dell'esodo e suscita la speranza in un intervento decisivo di Dio per la liberazione del suo popolo (V. Os 2,16; Ger 2,2-3). L’appello alla conversione non riportato nel Vangelo di Marco, è la stessa con cui Matteo caratterizza la predicazione di Gesù, è evidente perciò che l’evangelista intende collegare strettamente l'attività del Battista con quella di Gesù. L’evangelista riporta poi la profezia che si trova anche in Marco: "Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!“. A questo punto Matteo descrive l’abbigliamento del Battista:”Giovanni portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico.” Questa annotazione ha due scopi: sottolineare la vita austera del Battista e al tempo stesso annoverarlo tra i profeti, che adottavano questo stesso stile di vita (2Re 1,8). A questo punto Matteo accenna alle folle che andavano a lui da Gerusalemme, da tutta la Giudea e dalla regione intorno al Giordano, e poi accenna al rito del battesimo, dicendo che quanti accorrevano da Giovanni si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.
Giovanni “Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, chiama i farisei e i sadducei “razza di vipere” e chiede chi ha suggerito loro di sfuggire dall’ira imminente. Dando loro il titolo di “vipere”, che contiene forse un’allusione al serpente tentatore nell'Eden, egli qualifica i suoi interlocutori come una realtà diabolica. Essi pensano di sfuggire all'ira imminente, cioè al giudizio divino di condanna. Ma ciò non è possibile senza una conversione che dimostri il loro ravvedimento, non certo mediante le osservanze minuziose della legge, ma con opere conformi alla volontà di Dio.
La gravità del momento viene espressa con l'immagine della scure posta alla radice degli alberi (v Ger 22,7; 46,22-24). Contrariamente alle loro pretese, l'appartenenza al popolo eletto, stirpe di Abramo, non è sufficiente per sottrarli all'ira punitrice di Dio perché questi può suscitare figli ad Abramo dalle innumerevoli pietre sparse all’intorno. Dio resta fedele alle promesse, ma si aspetta analoga fedeltà dal Suo popolo, altrimenti il giorno del giudizio diventerà per essi non una benedizione, ma una manifestazione di collera e di castigo.
Giovanni passa poi ad annunziare direttamente la venuta del Messia: «Io vi battezzo nell’acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco».
Matteo come Luca riferisce che il Battista affermava prima di tutto che egli battezzava con acqua per la conversione, poi che colui che veniva dopo di lui era “più forte” di lui ed egli non era degno di portargli i sandali, e infine che egli avrebbe battezzato “in Spirito Santo e fuoco”.
Matteo prosegue affermando ancora che (egli) : “ Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile”.
Quest’ultima frase si rifà all’usanza palestinese di completare la trebbiatura gettando per aria il grano tritato, facendo vento con una pala, in modo che l’aria lo separasse dalla pula e dalla polvere; il grano veniva poi raccolto a parte e la pula bruciata. In sintonia con la sua predicazione è chiaro che Giovanni pensava al Messia come l’inviato divino che avrebbe compiuto il giudizio escatologico, attuando sì un’azione salvifica, ma anche punitiva.
Giovanni è il primo grande testimone di Gesù, del quale condivide il messaggio e il destino di sofferenza: per questo viene presentato in sintonia con Lui. A Giovanni spetta il compito di mettere in risalto la superiorità di Gesù presentando se stesso non come il Messia, bensì come colui che gli prepara la strada. Per svolgere il suo ruolo Giovanni amministra il battesimo, ma il racconto non vuole risaltare questo rito, ma la sua predicazione.
Matteo, a differenza di Marco mette però in rilievo il fatto che Giovanni, come un autentico profeta, non si limita ad annunziare la venuta di Gesù, ma mette in crisi la religiosità delle classi dominanti; egli mostra loro che Dio non si accontenta di pratiche rituali, ma esige che tutta la persona umana si apra sinceramente al suo amore e alla sua grazia, senza doppiezza e ipocrisia.
Nota: Il rito d’immersione, simbolo di purificazione o di rinnovamento, era conosciuto dalle religioni antiche e dal giudaismo (battesimo dei proseliti, esseni). Pur ispirandosi a questi precedenti, il battesimo di Giovanni se ne distingue per tre aspetti principali: mira a una purificazione non più rituale, ma morale, non si ripete e riveste perciò l’aspetto di una iniziazione, ha un valore escatologico per il fatto che introduce nel gruppo di coloro che attendono l’arrivo del Messia e che costituiscono in anticipo la sua comunità. La sua efficacia è reale, ma non sacramentale, dal momento che dipende dal giudizio di Dio che deve ancora venire nella persona del Suo Messia. Solo il Messia battezzerà nello “Spirito santo”!
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“Nel Vangelo di questa seconda domenica di Avvento risuona l’invito di Giovanni Battista: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!» . Con queste stesse parole Gesù darà inizio alla sua missione in Galilea (cfr Mt 4,17); e tale sarà anche l’annuncio che dovranno portare i discepoli nella loro prima esperienza missionaria (cfr Mt 10,7). L’evangelista Matteo vuole così presentare Giovanni come colui che prepara la strada al Cristo che viene, e i discepoli come i continuatori della predicazione di Gesù. Si tratta dello stesso gioioso annuncio: viene il regno di Dio, anzi, è vicino, è in mezzo a noi! Questa parola è molto importante: “Il regno di Dio è in mezzo a voi”, dice Gesù. E Giovanni annuncia quello che Gesù dopo dirà: “Il regno di Dio è venuto, è arrivato, è in mezzo a voi”. Questo è il messaggio centrale di ogni missione cristiana. Quando un missionario va, un cristiano va ad annunciare Gesù, non va a fare proselitismo, come se fosse un tifoso che cerca per la sua squadra più aderenti. No, va semplicemente ad annunciare: “Il regno di Dio è in mezzo a voi!”. E così il missionario prepara la strada a Gesù, che incontra il suo popolo.
Ma che cos’è questo regno di Dio, questo regno dei cieli? Sono sinonimi. Noi pensiamo subito a qualcosa che riguarda l’aldilà: la vita eterna. Certo, questo è vero, il regno di Dio si estenderà senza fine oltre la vita terrena, ma la bella notizia che Gesù ci porta – e che Giovanni anticipa – è che il regno di Dio non dobbiamo attenderlo nel futuro: si è avvicinato, in qualche modo è già presente e possiamo sperimentarne fin da ora la potenza spirituale. “Il regno di Dio è in mezzo a voi!”, dirà Gesù. Dio viene a stabilire la sua signoria nella nostra storia, nell’oggi di ogni giorno, nella nostra vita; e là dove essa viene accolta con fede e umiltà germogliano l’amore, la gioia e la pace.
La condizione per entrare a far parte di questo regno è compiere un cambiamento nella nostra vita, cioè convertirci, convertirci ogni giorno, un passo avanti ogni giorno… Si tratta di lasciare le strade, comode ma fuorvianti, degli idoli di questo mondo: il successo a tutti i costi, il potere a scapito dei più deboli, la sete di ricchezze, il piacere a qualsiasi prezzo. E di aprire invece la strada al Signore che viene: Egli non toglie la nostra libertà, ma ci dona la vera felicità. Con la nascita di Gesù a Betlemme, è Dio stesso che prende dimora in mezzo a noi per liberarci dall’egoismo, dal peccato e dalla corruzione, da questi atteggiamenti che sono del diavolo: cercare il successo a tutti i costi; cercare il potere a scapito dei più deboli; avere la sete di ricchezze e cercare il piacere a qualsiasi prezzo.
Il Natale è un giorno di grande gioia anche esteriore, ma è soprattutto un avvenimento religioso per cui è necessaria una preparazione spirituale. In questo tempo di Avvento, lasciamoci guidare dall’esortazione del Battista: «Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!», ci dice (v. 3). Noi prepariamo la via del Signore e raddrizziamo i suoi sentieri, quando esaminiamo la nostra coscienza, quando scrutiamo i nostri atteggiamenti, per cacciare via questi atteggiamenti peccaminosi che ho menzionato, che non sono da Dio: il successo a tutti i costi; il potere a scapito dei più deboli; la sete di ricchezze; il piacere a qualsiasi prezzo.
Ci aiuti la Vergine Maria a prepararci all’incontro con questo Amore-sempre-più-grande, che è quello che porta Gesù, e che nella notte di Natale si è fatto piccolo piccolo, come un seme caduto nella terra. E Gesù è questo seme: il seme del Regno di Dio.”
Papa Francesco Parte dell’Angelus del 4 dicembre 2016