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S.Messe (settimana)
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Elena Tasso

Elena Tasso

1. Domenica prossima 28 novembre avrà inizio il tempo d’avvento, in preparazione al Santo Natale.

In ogni ultima domenica dell’Anno liturgico, la Chiesa celebra Cristo Re dell'Universo.
La storia di questa festa parte dal 1899 con papa Leone XIII, ma fu PIO XI che la confermò come festa con l'enciclica “Quas Primas” dell'11 dicembre 1925.
Gesù Cristo è re, perché è l'unico mediatore della salvezza di tutta la creazione, a Lui appartengono la gloria e il potere. Solo in Lui, tutte le cose trovano il loro compimento, la loro vera consistenza secondo il disegno creatore di Dio.
Nella prima lettura, il profeta Daniele in una visione prefetica contempla il Figlio dell’uomo, cioè il Messia, che viene sulle nubi del cielo per instaurare nel mondo un regno universale ed eterno.
Nella seconda lettura, tratta dal libro dell’Apocalisse, l’apostolo Giovanni, per incoraggiare le comunità cristiane perseguitate, annuncia la venuta gloriosa del Cristo giudice per compiere il giudizio sul mondo. La Sua gloria regale è passata attragerso l’immolazione e l’ignominia della croce.
Nel Vangelo di Giovanni, Gesù, dinanzi a Pilato, afferma con decisione la Sua regalità. Un regno, però, il Suo, che non è di questo mondo: solo la fede può intenderne la portata, testimoniare la verità e attuarne nella vita le sue esigenze di giustizia, di amore e di pace.
Il Cristo che oggi adoriamo non è un Cristo lontano dalle tempeste della vita umana; anzi è colui che spinge in avanti l’umanità senza armate o potenze politiche ed econom,iche, eppure riesce a seminare paura in mezzo alle file del male. Guardando alle vicende drammatiche di questi anni, il vero credente deve stringersi ancora di più a Cristo, roccia viva. Certo la storia sembra un groviglio di contraddizioni e un gioco scandaloso di potenze e corse sfrenate al potere, eppure è dotata segretamente di una logica misteriosa, quella del regno di Dio.
I primi cristiani si definivano come stranieri-residenti, impegnati in fondo in questo mondo, ma consapevoli della loro appartenenza al cielo. Solo i nostri fratelli perseguitati, e chiunque cerca di vivere la fede e la verità nella vita quotidiana, sono testimoni credibili della regalità di Cristo.

Dal libro del profeta Daniele
Guardando nelle visioni notturne,
ecco venire con le nubi del cielo
uno simile a un figlio d’uomo;
giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui.
Gli furono dati potere, gloria e regno;
tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano:
il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai,
e il suo regno non sarà mai distrutto.
Dn 7,13-14

Nel Libro del profeta Daniele si cerca di intravedere il senso della storia come si presenta ai credenti nel Dio d'Israele, nel II secolo a.C.. Il capitolo 7, da dove è tratto il brano liturgico, inizia con la visione apocalittica di quattro bestie che sorgono dall'oceano, il luogo del caos e del male. Le bestie rappresentano il dominio e il potere di quattro regni che si sono succeduti nel Medio Oriente e di cui è stato testimone il popolo d'Israele nel suo cammino faticoso: il leone che rappresenta Babilonia, l'orso che rappresenta il popolo della Media, il leopardo con quattro teste che è simbolo dei Persiani che scrutano in ogni direzione in cerca della preda, la quarta bestia, un mostro terribile, che richiama il regno di Alessandro Magno e dei suoi successori. Israele sta vivendo un tempo angoscioso in cui si ribella e tenta di conquistarsi una libertà, combattendo l'oppressione culturale e religiosa di Antioco IV Epifane (175-164 a.C.).
Nella visione, Daniele intravede il giudizio finale come un grande processo da parte di Dio, un vegliardo, che pronuncia la sentenza contro le bestie che opprimono il mondo con la violenza e continua:
“Guardando ancora nelle visioni notturne,ecco venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d’uomo; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui. Gli furono dati potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano: il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto.
All'orizzonte, appare “uno simile a figlio d'uomo" che scende dalle nubi, ossia dal cielo, ed è portatore di speranza e di accoglienza, e che prenderà il posto rimasto vacante dalla caduta degli imperi. Porterà finalmente la pace ed il benessere. Egli, che ha ricevuto i poteri da Dio, sottometterà tutti i popoli. e regnerà indisturbato e giusto poiché il Signore gli avrà riconosciuto potenza e forza su tutti i regni della terra. Sull’interpretazione di questa visione ebbe inizio la guerra partigiana dei Maccabei e si sviluppò con vicende sempre più incoraggianti, fino a far pensare che si potesse arrivare, non solo alla indipendenza ma anche al dominio del mondo come, d'altronde lo fu per altre nazioni.
Purtroppo la storia ci ha riportato che anche i vincitori ebrei non seppero mantenere ferma l'alleanza con Dio ed anche loro mantennero il potere con violenza, oppressione, intrighi e crudeltà.
In alcune correnti del giudaismo “uno simile a un figlio d’uomo” è identificato con il Messia davidico, e numerosi studiosi vedono in questo “figlio dell'uomo” un essere celeste o angelico, con sfumature diverse, che potrebbe essere identificato con Michele, il leader dell'esercito celeste, oppure con Gabriele.
Il Nuovo Testamento riconosce la sua piena realizzazione in Gesù Cristo, che come “Figlio dell’uomo”, dopo essere passato attraverso la passione, si presenterà sulle nubi del cielo e sarà investito di ogni potere.
L’evangelista Matteo infatti interpreta questo passo facendo dire a Gesù davanti al Sinedrio “…io vi dico: d’ora innanzi vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra di Dio, e venire sulle nubi del cielo ”Mt 26,64 e prima di salire in cielo . “Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra… Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.Mt28,18


Salmo 92 - Il Signore regna, si riveste di splendore.

Il Signore regna, si riveste di maestà:
si riveste il Signore, si cinge di forza.

È stabile il mondo, non potrà vacillare.
Stabile è il tuo trono da sempre,
dall’eternità tu sei

Davvero degni di fede i tuoi insegnamenti!
La santità si addice alla tua casa
per la durata dei giorni, Signore.

Questo salmo celebra la sovranità di Dio su tutto il mondo. Nulla sfugge a Dio; il suo disegno salvifico nel mondo è saldo e per esso tiene saldo il mondo. Il Signore di fronte all'agitarsi degli uomini afferma la sua sovranità. Egli nell'agitarsi degli imperi contro Israele interviene con la sua potenza; l'immagine che il salmo presenta è quella di un re guerriero che si riveste di armature lucenti: “Si riveste di maestà: si riveste il Signore, si cinge di forza".
Nessuno mai ha potuto annullare la sovranità di Dio, e nessuno lo potrà: “Stabile è il tuo trono da sempre, dall'eternità tu sei”.
Le acque dei fiumi e dei mari non possono più sommergere la terra, perché l'ordine cosmico fissato da Dio non è alterabile (Gn 1,9; 9,11), così pure i popoli non possono annullare il disegno salvifico di Dio nella storia.
I fiumi a cui il salmo fa riferimento sono il Nilo e l'Eufrate, entrambi producevano grandi alluvioni. Essi sono presi a simboli dell'Egitto e dell'Assiria che dilagavano con i loro eserciti nella Palestina. “I fiumi” alzano la loro voce, il loro fragore, ma nulla possono contro Dio. Gli Assiri si sono impadroniti di Tiro, grande potenza del mare, e così da Tiro, tradizionalmente vicino a Gerusalemme, parte la minaccia “dei flutti del mare”. Gli Egiziani, poi, si sono alleati con gli Assiri (2Re 23,29). Queste “acque impetuose” vogliono sommergere, travolgere il disegno di Dio, che ha come punto stabile Israele ricco degli insegnamenti di Dio e religiosamente organizzato attorno al tempio, vincolo di santità.
Il salmo è stato probabilmente composto dopo le grandi incursioni Egiziane e Assire nella Palestina, prima dell'affermarsi dell'impero Babilonese nel 612 con la distruzione di Ninive capitale dell'Assiria.
Il disegno salvifico di Dio, che è Cristo e la sua Chiesa non potrà mai essere abbattuto dalle “acque impetuose” dei popoli in agitazione (Cf. Ap 17,15).
Commento tratto da Perfetta Letizia

Dal libro dell’Apocalisse di S.Giovanni Apostolo
Gesù Cristo è il testimone fedele, il primogenito dei morti e il sovrano dei re della terra.
A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen.
Ecco, viene con le nubi e ogni occhio lo vedrà, anche quelli che lo trafissero, e per lui tutte le tribù della terra si batteranno il petto. Sì, Amen!
Dice il Signore Dio: Io sono l’Alfa e l’Omèga, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente!
Ap 1,5-8

L‘Apocalisse di Giovanni, è l’ultimo libro del Nuovo Testamento, si compone di 22 capitoli, ed è uno dei testi più controversi e difficili da interpretare. Appartiene al gruppo di scritti neotestamentari noto come “letteratura giovannea“, in quanto redatta, intorno all’anno 95, verso la fine dell'impero di Domiziano, dai discepoli dell’apostolo che si sono ispirati al suo insegnamento.
I libri che hanno di più influenzato l'Apocalisse sono i libri dei Profeti, principalmente Daniele, Ezechiele, Isaia, Zaccaria e poi anche il Libro dei Salmi.
L'autore presenta sé stesso come Giovanni, esiliato a Patmos, isola dell‘Egeo, a circa 70 km da Efeso, a causa della Parola di Dio. Secondo alcuni studiosi, la stesura definitiva del libro, anche se iniziata durante l'esilio dell’autore, sarebbe avvenuta ad Efeso.
Questo brano è il prologo dell’Apocalisse che si apre come una specie di lettera inviata dall'apostolo Giovanni alle sette chiese che sono nell'Asia (cioè nell'attuale Turchia), e questi versetti presentano i motivi per cui Gesù deve essere considerato il sovrano dei re della terra.
Giovanni fa la presentazione in una sfolgorante liturgia celeste dicendo: “Gesù Cristo è il testimone fedele, il primogenito dei morti e il sovrano dei re della terra”.
In poche parole sono ricordati i motivi della sua grandezza e della nostra fede in Lui. Gesù è il testimone fedele della promessa fatta un tempo a Davide (2Sam 7,1) e realizzata in Lui. E' primogenito dei morti, poiché è il primo ad essere risorto. E dopo la distruzione dei suoi nemici diventerà sovrano dei re della terra, un titolo con cui si fregiava ufficialmente l'imperatore romano.
“A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen.”
Gesù ha fatto tutto questo per amore e grazie alla Sua morte in croce ci ha liberati dai nostri peccati. Questa liberazione ha un altro effetto: ci ha resi un regno, un popolo di sacerdoti che rendono culto a Dio. La professione di fede sfocia nell'adorazione, a Gesù Cristo si tributa gloria e potenza nei secoli. L'amen pone il sigillo a questa professione di fede. (Gli amen sono molto diffusi nell'Apocalisse, sono ripetizioni di inni liturgici che sono stati inseriti nel testo.)
“Ecco, viene con le nubi e ogni occhio lo vedrà, anche quelli che lo trafissero, e per lui tutte le tribù della terra si batteranno il petto. Sì, Amen! “
In questo versetto si ritrovano le profezie riguardanti il Messia. Il Cristo doveva ritornare nella gloria sulle nubi, come il figlio dell'uomo di Dn 7,13. Davanti a lui si batteranno il petto (Zc 12,10.14), tutti quelli che lo trafissero.
“Dice il Signore Dio: Io sono l’Alfa e l’Omèga, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente! “
L'alfa è la prima lettera del’alfabeto greco e Omega è l’ultima lettera. Allora, questa dichiarazione vuol dire che Gesù è attribuisce a sé una qualità di Dio, l'essere principio e fine di ogni cosa.

Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?».
Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù».
Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».
Gv 18, 33b-37

Per la solennità di Cristo re, è dal Vangelo di Giovanni che viene preso questo racconto della passione. Mentre per i vangeli sinottici il tema del regno è centrale nella parole di Gesù, per Giovanni acquista più rilievo alla fine dell’esistenza terrena di Gesù, ove la regalità di Cristo appare molte volte. Giovanni, dopo il racconto dell’arresto nell’orto degli Ulivi, riporta che Gesù viene condotto prima da Anna, che era stato precedentemente sommo sacerdote e aveva conservato un grande potere, il quale lo interroga, ma senza ottenere da lui una risposta; e poi che viene inviato da Caifa, che era invece il sommo sacerdote in carica, il quale, senza darsi cura neppure di interrogarlo, lo fa condurre nel pretorio, dove risiedeva il procuratore romano, Pilato. Ha qui inizio la seconda parte del processo tutto incentrato sul colloquio tra il rappresentante dell’impero romano e Gesù.
Il brano liturgico inizia con le domande di Pilato che rientrato nel pretorio, dopo aver conosciuto le accuse dei giudei contro Gesù, si rivolge a lui con questa domanda: “Sei tu il re dei Giudei?”.
Gesù allora gli chiede se dice ciò di sua iniziativa oppure perché altri gliel’hanno detto sul suo conto, al che Pilato risponde: “Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?”
Gesù era stato consegnato a Pilato con l’accusa di essere un malfattore, ma il procuratore aveva capito subito che si trattava di un’accusa di tipo religioso, e di conseguenza li aveva invitati a giudicarlo secondo la loro legge. Ma i giudei avevano rifiutato con la scusa di non poter mettere a morte nessuno: essi dunque avevano già deciso che Gesù doveva essere condannato a morte, ma questa pena poteva essere decretata solo dall’autorità romana, perciò non era in loro potere emettere sentenze.
Sulla base di questo dialogo tra i giudei e Pilato, appare chiaro che, secondo Giovanni, il crimine di cui Gesù era accusato consisteva nella pretesa di essere re. Ma siccome si era rifiutato di giudicarlo come un ribelle, è chiaro che Pilato parla di regalità non sul piano politico, ma su quello religioso, in cui si riteneva incompetente. Pilato sottolinea che a consegnare a lui Gesù non sono stati solo i sommi sacerdoti, ma tutta la nazione giudaica.
Una volta chiarito che l’iniziativa processuale è partita non da Pilato ma dai giudei, l’interrogatorio si trasforma in un dialogo intorno al significato che Gesù dà alla regalità che, secondo i suoi accusatori, egli si sarebbe attribuita.
Alla domanda di Pilato “che cosa hai fatto?” Gesù risponde: “Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù”.
Con queste parole Gesù riconosce implicitamente la propria regalità, ma sottolinea che essa si differenzia totalmente dalla regalità di questo mondo. Il Suo regno anche se si realizza in questo mondo, non appartiene a questo mondo, in quanto non ne segue la logica. Siccome la regalità di quaggiù viene ottenuta e si mantiene con l’uso della forza, di conseguenza il regno di Gesù deve essere totalmente privo di ogni violenza.
Alla domanda ironica e provocatoria di Pilano, “Dunque tu sei re?”, Gesù, riconosce questa volta apertamente: “Tu lo dici: io sono re”. Solo l’evangelista Giovanni riporta non solo la risposta ma un dialogo e una definizione precisa del regno di Cristo: “Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce”. E’ a questo punto che appare la dimensione della regalità di Cristo che si fonda sulla testimonianza resa alla verità. E “verità “, nel linguaggio biblico, è un termine dalle molteplici risonanze, evoca infatti la rivelazione della bontà del Padre, è espressione della fedeltà di Dio alle sue promesse di salvezza, è l’annunzio del regno divino, è il Vangelo, è Cristo stesso!
Il confronto tra Cristo e Pilato è, quindi, la definizione di due regni contrastanti. Da un lato c’è quello imperiale che continua a incombere in forme diverse nelle varie fasi della storia umana, ed è un regno che, per dominare, non si fa scrupolo di usare i mezzi più brutali fino ad arrivare a spargimenti di sangue. Dall’altra parte c’è il “regno della verità”, che ha la sua radice nella solidarietà tra Dio e l’uomo, che ha bisogno di essere amato e compreso, e trova la sua attuazione, non nel sangue degli altri, ma nel sangue versato dal Suo re e Signore.
Il Cristo re dell’universo, che oggi adoriamo, non è un re assente dalla tempeste della vita umana, anzi è Colui che spinge in avanti l’umanità senza armate, o potenze politiche ed economiche. Guida la storia del mondo, come un nocchiero una nave in tempesta. Gesù Cristo è Colui che agisce pazientemente, ma con mano ferma, e il cristiano vero deve avere fiducia in Lui, “stella radiosa del mattino”, e seguirlo proprio nei momenti più tenebrosi e dolorosi.

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“La solennità di Gesù Cristo Re dell’universo, che celebriamo oggi, è posta al termine dell’anno liturgico e ricorda che la vita del creato non avanza a caso, ma procede verso una meta finale: la manifestazione definitiva di Cristo, Signore della storia e di tutto il creato. La conclusione della storia sarà il suo regno eterno.
L’odierno brano evangelico ci parla di questo regno, il regno di Cristo, il regno di Gesù, raccontando la situazione umiliante in cui si è trovato Gesù dopo essere stato arrestato nel Getsemani: legato, insultato, accusato e condotto dinanzi alle autorità di Gerusalemme. E poi, viene presentato al procuratore romano, come uno che attenta al potere politico, a diventare il re dei giudei. Pilato allora fa la sua inchiesta e in un interrogatorio drammatico gli chiede per ben due volte se Egli sia un re.
E Gesù dapprima risponde che il suo regno «non è di questo mondo». Poi afferma: «Tu lo dici: io sono re».
È evidente da tutta la sua vita che Gesù non ha ambizioni politiche. Ricordiamo che dopo la moltiplicazione dei pani, la gente, entusiasta del miracolo, avrebbe voluto proclamarlo re, per rovesciare il potere romano e ristabilire il regno d’Israele. Ma per Gesù il regno è un’altra cosa, e non si realizza certo con la rivolta, la violenza e la forza delle armi. Perciò si era ritirato da solo sul monte a pregare. Adesso, rispondendo a Pilato, gli fa notare che i suoi discepoli non hanno combattuto per difenderlo. Dice: «Se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei».
Gesù vuole far capire che al di sopra del potere politico ce n’è un altro molto più grande, che non si consegue con mezzi umani. Lui è venuto sulla terra per esercitare questo potere, che è l’amore, rendendo testimonianza alla verità. Si tratta della verità divina che in definitiva è il messaggio essenziale del Vangelo: «Dio è amore» (1Gv 4,8) e vuole stabilire nel mondo il suo regno di amore, di giustizia e di pace. E questo è il regno di cui Gesù è il re, e che si estende fino alla fine dei tempi. La storia ci insegna che i regni fondati sul potere delle armi e sulla prevaricazione sono fragili e prima o poi crollano. Ma il regno di Dio è fondato sul suo amore e si radica nei cuori – il regno di Dio si radica nei cuori –, conferendo a chi lo accoglie pace, libertà e pienezza di vita. Tutti noi vogliamo pace, tutti noi vogliamo libertà e vogliamo pienezza. E come si fa? Lascia che l’amore di Dio, il regno di Dio, l’amore di Gesù si radichi nel tuo cuore e avrai pace, avrai libertà e avrai pienezza.
Gesù oggi ci chiede di lasciare che Lui diventi il nostro re. Un re che con la sua parola, il suo esempio e la sua vita immolata sulla croce ci ha salvato dalla morte, e indica – questo re – la strada all’uomo smarrito, dà luce nuova alla nostra esistenza segnata dal dubbio, dalla paura e dalle prove di ogni giorno. Ma non dobbiamo dimenticare che il regno di Gesù non è di questo mondo. Egli potrà dare un senso nuovo alla nostra vita, a volte messa a dura prova anche dai nostri sbagli e dai nostri peccati, soltanto a condizione che noi non seguiamo le logiche del mondo e dei suoi “re”.
La Vergine Maria ci aiuti ad accogliere Gesù come re della nostra vita e a diffondere il suo regno, dando testimonianza alla verità che è l’amore.”
Papa Francesco Parte dell’Angelus del 25 novembre 2018

1 Oggi si celebra la V GIORNATA MONDIALE DEI POVERI.
Un grazie particolare rivolgo ai volontari delle associazioni il servizio "Per la strada" ed " Amistad" e la Caritas Parrocchiale che con grande zelo sostengono diverse forme di povertà.
Grazie anche a tutti coloro che in modo silenzioso sostengono queste iniziative.

2 Sono aperte le iscrizioni per il corso prematrimoniale.

3. Domenica prossima, ultima domenica del tempo ordinario, si celebra la Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo.

In questa domenica ricorre la Quinta giornata mondiale dei Poveri e il tema scelto dal Papa per quest’anno riprende l’evangelista Marco: “I poveri li avete sempre con voi” (14,7)-
Le letture che la Liturgia ci propone ci invitano a riflettere su come viviamo il tempo, e a prestare più attenzione ai segni che si presentano puntuali sul nostro cammino. Lungo l’anno liturgico, che ora volge al termine, abbiamo celebrato le tappe del mistero di salvezza, e con queste letture consideriamo la conclusione trionfale.
Nella prima lettura, tratta dal libro del Profeta Daniele, il libro apocalittico dell’Antico Testamento, il profeta non vede la fine dei tempi come una catastrofe, ma come il giorno della salvezza per tutte le genti, che sono sotto l’oppressione. E’ uno dei testi in cui si afferma con chiarezza la resurrezione dei morti che “si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna.”.
Nella seconda lettura, l’autore della lettera agli Ebrei, afferma che a differenza dei sacerdoti dell’Antica Alleanza, Cristo ha offerto se stesso una volta per sempre per espiare i peccati ed è nella gloria, dove attende coloro che egli ha santificati.
Nel Vangelo di Marco, troviamo un brano difficile e complesso, con la sua collezione di immagini apocalittiche: le eclissi di sole e di luna, gli sconvolgimenti cosmici che sono però immagini da interpretare non letteralmente, ma simbolicamente. L’unica certezza per noi credenti è che alla fine dei tempi, Cristo verrà nella gloria per riunire tutti gli uomini nel Suo regno. Attento ai segni dei tempi, il credente vive con intensità e serenità il suo presente, la sua “generazione”, guidato dalla parola di Gesù che non passa, in attesa di quella parola decisiva e definitiva che sarà pronunziata da Dio nel momento opportuno e a Lui solo noto.

Dal libro del profeta Daniele
In quel tempo, sorgerà Michele, il gran principe, che vigila sui figli del tuo popolo.
Sarà un tempo di angoscia, come non c’era stata mai dal sorgere delle nazioni fino a quel tempo; in quel tempo sarà salvato il tuo popolo, chiunque si troverà scritto nel libro.
Molti di quelli che dormono nella regione della polvere si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna.
I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre.
Dn 12,1-3


Il Libro del profeta Daniele è un testo contenuto nella Bibbia ebraica e cristiana. È stato scritto in ebraico e una parte in aramaico e secondo molti studiosi, la redazione definitiva del libro è avvenuta in Giudea attorno al 164 a.C..
È composto da 12 capitoli che descrivono le vicende ambientate nell'esilio di Babilonia (587-538 a.C.) del profeta Daniele, saggio ebreo che rimase fedele a Dio, e visioni apocalittiche preannuncianti il Figlio dell’Uomo-Messia e il regno di Dio. Inserito tra i cosiddetti profeti maggiori, il libro di Daniele sarebbe in realtà uno scritto tardivo, assai posteriore a quelli di Isaia, Geremia ed Ezechiele. Si pensa che sia stato scritto durante la persecuzione di Antioco IV Epifane di Siria (215-164 a.C) , per infondere coraggio agli Ebrei a cui era stato vietato di praticare la propria religione.
Il libro si divide in due parti:
La prima parte, dal cap. 1 al cap. 6, narra la storia di Daniele e dei suoi compagni in esilio alla corte di Babilonia. Suggestivi sono il racconto del superamento della prova della fornace, dalla quale Daniele ed i suoi tre compagni vengono miracolosamente salvati, e quello di quando Daniele viene gettato nella fossa dei leoni ed anche in questa circostanza per la fede e la preghiera, Daniele è salvato miracolosamente.La seconda parte, dai cap. 7 al cap. 12, contiene quattro visioni, narrate in prima persona, e interpretate dall’angelo Gabriele.
In questo brano si parla degli ultimi tempi, argomento che riguarda tutti i popoli di tutte le religioni. Il profeta inizia il suo messaggio affermando: “In quel tempo, sorgerà Michele, il gran principe, che vigila sui figli del tuo popolo”. Michele, che dall’ebraico significa “Chi è come Dio?” è spesso associato nella tradizione Ebraica-Cristiana-Musulmana alla battaglia spirituale (Cfr Daniele 10,13,21 Giuda1,9 e Apocalisse 12,7). Michele, che è l’avversario di Satana, ossia del male, quindi identificato come il grande principe, dimostra la sua forza vegliando sui figli del popolo di Dio, coloro che credono. Oltre al suo ruolo di guerriero spirituale, Michele ha un compito speciale nel proteggere Israele (il popolo di Dio) come custode spirituale di chi ha fede.
E prosegue dicendo: “Sarà un tempo di angoscia, come non c’era stata mai dal sorgere delle nazioni fino a quel tempo; in quel tempo sarà salvato il tuo popolo, chiunque si troverà scritto nel libro.”
Il tempo di angoscia si riferisce al tempo della persecuzione per Israele e della calamità mondiale conosciuta come la Grande Tribolazione, questo periodo è anche chiamato da Geremia il tempo dei guai di Giacobbe (30,7).
Il popolo ebraico ha conosciuto molti momenti davvero oscuri di tribolazione nella sua storia: dagli orrori della caduta di Samaria e di Gerusalemme ai terrori provocati da Antioco Epifane, alla distruzione di Gerusalemme da parte dei Romani, alle persecuzioni della chiesa durante il Medioevo, ai pogrommi dell’Europa, alla Shoah del XX secolo. Ma questo momento di difficoltà profetizzato da Daniele sarà diverso e peggiore di quanto Israele abbia mai visto prima.
Anche Gesù nel Vangelo di Matteo (24,21) cita questo passaggio “vi sarà allora una tribolazione grande, quale mai avvenne dall’inizio del mondo fino a ora, né mai più ci sarà” Le Scritture insegnano che il peggio deve ancora venire per Israele e per il popolo di Dio, ma questo tempo non sarà assolutamente una fine, ma un nuovo e migliore. Non importa quanto sia grande l’attacco contro il popolo di Dio, il Signore ha promesso di preservarlo, la Sua promessa ad Abramo non verrà mai meno: “Stabilirò la mia alleanza con te e con la tua discendenza dopo di te di generazione in generazione, come alleanza perenne, per essere il Dio tuo e della tua discendenza dopo di te” (Gn 17,7) Questa promessa di liberazione non è rivolta per ogni persona di origine ebraica, ma per tutti coloro che si trovano iscritti “nel libro” che simboleggia il “resoconto” di tutte le azioni compiute durante la vita di ogni uomo e di ogni donna. Non è concepibile per un DIO , che è bontà assoluta, escludere dalla salvezza le persone che non hanno avuto modo di conoscere la fede ebraica, cristiana o musulmana, perché a salvarsi sarà chiunque in Israele (nelle Nazioni del Mondo) indistintamente avrà compiuto il bene e avrà sfuggito il male.
Il testo prosegue facendo riferimento alla resurrezione del corpo e dello Spirito:
“Molti di quelli che dormono nella regione della polvere si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna”.
L'espressione “quelli che dormono nella regione della polvere” è una perifrasi per indicare i morti, e “si risveglieranno” è un'espressione che troviamo anche in Is 26, 19 per indicare la certezza di un ritorno alla vita, in contrasto con l'affermazione che i morti non si risvegliano dal loro sonno, come si lamentava Giobbe al cap. 14, 12. Una parte di coloro che si risveglieranno, saranno risvegliati per la vita eterna, cioè per sempre. Questa tema della risurrezione dei giusti a vita eterna lo troviamo affermato e sviluppato nei due libri dei Maccabei e nel libro della Sapienza. Se alcuni saranno risvegliati a vita eterna altri invece, non essendo scritti nel libro della vita, si risveglieranno alla vergogna e per l’infamia eterna.
Il Nuovo Testamento afferma che ci sono due risurrezioni, una per coloro che saranno salvati e una per i dannati (Giovanni 5,29 ; Apocalisse 20, 4-6 e 11-15).
“I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre”.
Questo versetto con termini escatologici cerca di precisare quale sarà il senso della vita eterna per coloro che sono scritti nel libro della vita e che si risveglieranno per vivere per sempre. Dicendo che essi saranno “come lo splendore del firmamento” si vuole indicare che essi parteciperanno alla condizione stessa di Dio che viene indicato come vero sole di giustizia e come vero splendore del firmamento.
Due sono dunque le categorie che beneficeranno in modo particolare di questa resurrezione a vita eterna: i sapienti e coloro che avranno “condotto molti alla giustizia”. Questi ultimi risplenderanno come le stelle per sempre,
Certamente il testo è ricco di interpretazioni, ma l'elemento centrale è di fondamentale importanza: la giustizia di Dio non permette che chi perde la vita per Lui, la perda definitivamente perché Dio ricompensa in modo particolare chi insegna che la comunione con Dio vale più della vita: “Poiché la tua grazia vale più della vita,le mie labbra diranno la tua lode. (Sal 63,4).

Salmo 15 - Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio.
Il Signore è mia parte di eredità e mio calice:
nelle tue mani è la mia vita.
Io pongo sempre davanti a me il Signore,
sta alla mia destra, non potrò vacillare.

Per questo gioisce il mio cuore
ed esulta la mia anima;
anche il mio corpo riposa al sicuro,
perché non abbandonerai la mia vita negli inferi,
né lascerai che il tuo fedele veda la fossa.

Mi indicherai il sentiero della vita,
gioia piena alla tua presenza,
dolcezza senza fine alla tua destra.

Il salmista si rivolge a Dio con pace avendo eletto il Signore, quale suo rifugio. Non mancano a lui le difficoltà, gli avversari violenti. Senza l’unione con lui ogni cosa non sarebbe più per lui un bene. Egli ama i santi, i giusti; nel compimento messianico che è la Chiesa, i fratelli in Cristo. Egli si sente in forte comunione con loro, e trova forza da questo. Gli empi, che incalzano costruendo e affermando idoli, non lo sgomentano perché la sua vita è nelle mani di Dio, e niente per lui sarebbe sulla terra un bene senza il sommo bene, che è Dio: “Il mio Signore sei tu, solo in te è il mio bene”. L’orante considera come Dio lo aiuta e conforta e come per lui questo sia tutto. La sorte (il sorteggio) (Cf. Gd 17,1; Nm 26,55; ecc.) che assegnò un tempo i vari territori ai casati di Israele, ora è violata dall’ingiustizia dei dominatori idolatri, ma questo fa comprendere meglio all’orante che la vera sua sorte la sua vera sicurezza e forza è proprio il Signore, che gli dà pace e letizia: “Signore è mia parte di eredità e mio calice”. L’orante non tiene per se tutto questo, ma lo partecipa ai fratelli per un nutrirsi reciproco di luce. Non ha odio per gli empi e non li esclude dalla volontà salvifica di Dio: sono essi stessi ad escludersi da questa volontà con “le loro libagioni di sangue”, cioè i loro crimini, vero culto del male. Il salmista è certo che Dio non lo abbandonerà negli inferi una volta lasciata la terra: “non abbandonerai la mia vita negli inferi”. Ed egli sa che “il tuo Santo”, cioè il Cristo (Cf. At 13,35), avrà - ha avuto - vittoria sulla corruzione della tomba. Il salmista sa che percorrendo giorno dopo giorno “il sentiero della vita”, giungerà all’eterna dolcezza del cielo, alla destra di Dio, che è espressione letteraria indicante il glorioso essere con Dio. In assoluta eccellenza è Cristo che nella gloria è alla destra del Padre.
Commento tratto da Perfetta Letizia

Dalla lettera agli Ebrei
Ogni sacerdote si presenta giorno per giorno a celebrare il culto e a offrire molte volte gli stessi sacrifici, che non possono mai eliminare i peccati.
Cristo, invece, avendo offerto un solo sacrificio per i peccati, si è assiso per sempre alla destra di Dio, aspettando ormai che i suoi nemici vengano posti a sgabello dei suoi piedi. Infatti, con un’unica offerta egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati.
Ora, dove c’è il perdono di queste cose, non c’è più offerta per il peccato.
Eb 10,11-14, 18

Anche questo brano della Lettera agli Ebrei continua a trattare il sacerdozio di Cristo e la sua superiorità rispetto al sacerdozio dell'antica alleanza. In particolare il versetto precedente a questo brano recita così: “per quella volontà (la volontà di Dio che Gesù è venuto a compiere) noi siamo stati santificati, per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre”.
Il discorso continua nel brano odierno spiegandoci in che senso siamo stati santificati:
“Ogni sacerdote si presenta giorno per giorno a celebrare il culto e a offrire molte volte gli stessi sacrifici, che non possono mai eliminare i peccati”.
E’ nello stile dell’autore fare i paragoni tra Gesù e i sacerdoti del tempio. Egli li vede indaffarati ad offrire sacrifici che non sono per niente utili, poiché non possono eliminare i peccati con un sacrificio purificatore che ha una breve durata.
“Cristo, invece, avendo offerto un solo sacrificio per i peccati, si è assiso per sempre alla destra di Dio, aspettando ormai che i suoi nemici vengano posti a sgabello dei suoi piedi”
Cristo invece ha presentato la sua offerta una sola volta e ora può sedersi alla destra di Dio. C’è sempre il riferimento al salmo 110: “Oracolo del Signore al mio signore: siedi alla mia destra, finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi”. Grazie all'offerta di Cristo, anche i nemici saranno sconfitti e Gesù deve solo aspettare che gli vengano sottomessi.
“Infatti, con un’unica offerta egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati.”
Solidale con i fratelli con cui ha condiviso la condizione mortale, Cristo li ha portati con sé rendendoli partecipi della sua condizione di “consacrato”. Quindi, non solo li ha strappati dalla condizione di peccato, ma li ha resi perfetti, li ha santificati, li ha totalmente consacrati a Dio realizzando le meta ultima della salvezza.
“Ora, dove c’è il perdono di queste cose, non c’è più offerta per il peccato”.
Il brano non riporta i versetti 15-17 in cui è citato Geremia (1,33-34), in cui Dio per mezzo del profeta promette di porre la propria legge nel cuore dei suoi fedeli, in modo che possano conoscere il Signore senza più istruirsi l'un l'altro e termina con il perdono di Dio: non mi ricorderò più dei loro peccati e delle loro iniquità.. Conoscendo questi versetti mancanti possiamo comprendere meglio la conclusione di questo brano: se il peccato è stato perdonato non esiste più e non è più necessario presentare offerte per il perdono dei peccati.
Il peccato nella vita del cristiano dunque è perdonato in Cristo. Certo il peccato esiste ancora, i cristiani non sono indenni da errori e da cadute, ma hanno una via di uscita. Attraverso il sacramento della Riconciliazione ricevono il perdono, la cancellazione dei peccati, in forza del sacrificio di Cristo, che resta valido per tutti i luoghi e tutti i tempi.

Dal vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo.
Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte. In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre».
Mc 13, 24-32

L’evangelista Marco a conclusione del ministero di Gesù a Gerusalemme inserisce un lungo discorso che Gesù tiene poco prima dell’arresto e in cui si sovrappongono e s’intrecciano, tra note di sgomento e toni di promessa, due annunzi diversi: quello della prossima fine di Gerusalemme e quello della fine dei tempi, col ritorno del Figlio dell’uomo
Il capitolo 13, da dove è tratto il brano liturgico, dopo che Gesù preannunzia la distruzione del tempio, e Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea gli chiedono quale sarà il segno che tutte queste cose staranno per compiersi , Gesù continua preannunciando i segni premonitori e le persecuzioni future, a cui seguiranno l'annuncio dell’abominio della desolazione e dei falsi profeti.
A questo punto inizia il brano liturgico con l’annuncio della venuta del Figlio dell'uomo e la parabola del fico, e come conclusione un pressante invito alla vigilanza.
“In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte”.
L'inizio del versetto mostra un legame con la menzione dell'anticristo citato nel brano precedente (vv. 21-23), e contemporaneamente indica la fine di un tempo (quello della tribolazione e dell'abomino del v. 14) e l'irrompere di qualcosa di nuovo. E’ da notare che i verbi in questi versetti sono tutti al futuro e i segni cosmologici indicati da Gesù sono quelli classici dell'apocalittica (V. Is 13,10; 34,4) per indicare il giorno del giudizio divino. In questi versetti l'orizzonte si allarga sul cosmo intero, ma queste immagini più che l'aspetto spaventoso e di condanna della fine del mondo servono ad introdurre l'avvenimento centrale indicato subito dopo.
“Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria”.
L'apparizione del Figlio dell'uomo è il fulcro centrale del discorso. Egli è descritto come il giudice del mondo (la presenza delle nubi, l'indicazione della grande potenza e gloria trovano riferimento in Dn 7,13, ma anche Is 19,1)
“Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo.”
La visione si completa con la riunione degli eletti (che sono i membri della comunità credente); dietro questa immagine c'è l'idea della dispersione del popolo di Dio e del giudizio come momento di salvezza universale.
Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina.
La breve parabola del fico riprende il tema del “quando”, l'albero di fico infatti nella breve primavera palestinese era indicativo per avvertire l'inizio della stagione estiva, essendo l'unico in quella regione a perdere le foglie nella stagione invernale.
“Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte”
Dunque quando accadranno le cose descritte fin qui (persecuzioni, l'abominio, l'apparsa dell'anticristo, segni celesti) il tempo sta per compiersi. Sembra che l'apparire dell'anticristo annunci definitivamente la fine, ma il discorso vuole più che altro indicare quale siano gli elementi che avvertiranno l'avvicinarsi dell'evento finale.
“In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga”.
Questa frase presa da sola testimonia un'attesa intensa, in quanto il termine “questa generazione”,espressione spesso usata nella bibbia, va intesa come riferita ai contemporanei di Gesù, ma più che un senso cronologico questa frase ha un contenuto Cristologico, perché la salvezza si attua nella pasqua di Cristo Gesù. La chiesa primitiva ha sempre insistito sull'incertezza del momento preciso del suo ritorno alla fine dei tempi.
“Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”.
Questo versetto sottolinea in senso ampio il costante valore delle parole di Gesù, e non solo il riferimento al discorso escatologico. Queste parole sono il punto di riferimento su cui si compirà anche il giudizio finale, per cui la cosa importante non è sapere quando sarà il momento della fine, ma aderire alla parola di Gesù in cui si fonda la nostra speranza, .
“Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre”.
Questo versetto ha suscitato nel tempo molte discussioni sulla possibile ignoranza del Figlio; però esso mette in luce che non compete all’intelligenza e alla volontà determinare il tempo giusto per l’evento finale. Neanche gli angeli hanno questa competenza e questo potere neanche il Figlio. Qualche esperto riterrebbe che in questo caso il Figlio non conosce quel giorno e quell’ora in ragione della sua natura umana. E’ lecito però pensare che nelle parole di Gesù si rivela in modo meraviglioso la profondità del mistero che Egli vive e comunica ai discepoli. Egli mostra loro il suo rapporto figliare verso il Padre, il suo affidamento totale alla suprema volontà e sapienza paterna, al fine di chiarire che tra lui, il Figlio, e Dio, il Padre, sussiste un vincolo intenso di essere, di pensare e di agire.
Per concludere possiamo dire che la data della venuta e della pienezza del Regno è scritta solo nella mente di Dio e nel Suo progetto di salvezza. E’ inutile proporre oroscopi e agitarsi in ipotesi fantascientifiche come usano ancor oggi certe sètte apocalittiche. Attento ai segni dei tempi, il vero credente deve vivere con intensità e serenità il suo presente, la sua generazione, guidato dalla Parola di Gesù che non passa, in attesa di quella parola decisiva e definitiva che sarà pronunziata da Dio nel momento opportuno e a Lui solo noto.

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“Il Vangelo di questa penultima domenica dell’anno liturgico propone una parte del discorso di Gesù sugli avvenimenti ultimi della storia umana, orientata verso il pieno compimento del regno di Dio. E’ un discorso che Gesù fece a Gerusalemme, prima della sua ultima Pasqua. Esso contiene alcuni elementi apocalittici, come guerre, carestie, catastrofi cosmiche: «Il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli verranno sconvolte»
Tuttavia questi elementi non sono la cosa essenziale del messaggio. Il nucleo centrale attorno a cui ruota il discorso di Gesù è Lui stesso, il mistero della sua persona e della sua morte e risurrezione, e il suo ritorno alla fine dei tempi.
La nostra meta finale è l’incontro con il Signore risorto. E io vorrei domandarvi: quanti di voi pensano a questo? Ci sarà un giorno in cui io incontrerò faccia a faccia il Signore. E’ questa la nostra meta: questo incontro. Noi non attendiamo un tempo o un luogo, ma andiamo incontro a una persona: Gesù. Pertanto, il problema non è “quando” accadranno i segni premonitori degli ultimi tempi, ma il farsi trovare pronti all’incontro.
E non si tratta nemmeno di sapere “come” avverranno queste cose, ma “come” dobbiamo comportarci, oggi, nell’attesa di esse. Siamo chiamati a vivere il presente, costruendo il nostro futuro con serenità e fiducia in Dio.
La parabola del fico che germoglia, come segno dell’estate ormai vicina, dice che la prospettiva della fine non ci distoglie dalla vita presente, ma ci fa guardare ai nostri giorni in un’ottica di speranza. E’ quella virtù tanto difficile da vivere: la speranza, la più piccola delle virtù, ma la più forte. E la nostra speranza ha un volto: il volto del Signore risorto, che viene «con grande potenza e gloria», che cioè manifesta il suo amore crocifisso trasfigurato nella risurrezione.
Il trionfo di Gesù alla fine dei tempi sarà il trionfo della Croce, la dimostrazione che il sacrificio di sé stessi per amore del prossimo, ad imitazione di Cristo, è l’unica potenza vittoriosa e l’unico punto fermo in mezzo agli sconvolgimenti e alle tragedie del mondo.
Il Signore Gesù non è solo il punto di arrivo del pellegrinaggio terreno, ma è una presenza costante nella nostra vita: è sempre accanto a noi, ci accompagna sempre; per questo quando parla del futuro, e ci proietta verso di esso, è sempre per ricondurci al presente. Egli si pone contro i falsi profeti, contro i veggenti che prevedono vicina la fine del mondo, e contro il fatalismo. Lui è accanto, cammina con noi, ci vuole bene. Vuole sottrarre i suoi discepoli di ogni epoca alla curiosità per le date, le previsioni, gli oroscopi, e concentra la nostra attenzione sull’oggi della storia.
Io avrei voglia di domandarvi - ma non rispondete, ognuno risponda dentro -: quanti di voi leggono l’oroscopo del giorno? Ognuno risponda. E quando ti viene voglia di leggere l’oroscopo, guarda a Gesù, che è con te. E’ meglio, ti farà meglio. Questa presenza di Gesù ci richiama all’attesa e alla vigilanza, che escludono tanto l’impazienza quanto l’assopimento, tanto le fughe in avanti quanto il rimanere imprigionati nel tempo attuale e nella mondanità.
Anche ai nostri giorni non mancano calamità naturali e morali, e nemmeno avversità e traversie di ogni genere. Tutto passa – ci ricorda il Signore –; soltanto Lui, la sua Parola rimane come luce che guida, rinfranca i nostri passi e ci perdona sempre, perché è accanto a noi. Soltanto è necessario guardarlo e ci cambia il cuore. La Vergine Maria ci aiuti a confidare in Gesù, il saldo fondamento della nostra vita, e a perseverare con gioia nel suo amore.”
Papa Francesco Parte dell’Angelus del 15 novembre 2015

1. V° GIORNATA MONDIALE DEI POVERI si celebra domenica prossima 14 novembre 2021
«I poveri li avete sempre con voi» (Mc 14,7). Gesù pronunciò queste parole nel contesto di un pranzo, a Betania, nella casa di un certo Simone detto “il lebbroso”, alcuni giorni prima della Pasqua. Come racconta l’evangelista, una donna era entrata con un vaso di alabastro pieno di profumo molto prezioso e l’aveva versato sul capo di Gesù. I poveri di ogni condizione e ogni latitudine ci evangelizzano, perché permettono di riscoprire in modo sempre nuovo i tratti più genuini del volto del Padre. «Essi hanno molto da insegnarci. Siamo chiamati a scoprire Cristo in loro, a prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause, ma anche ad essere loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro. È un invito a non perdere mai di vista l’opportunità che viene offerta per fare del bene. È importante capire come si sentono, cosa provano e quali desideri hanno nel cuore. Facciamo nostre le parole accorate di Don Primo Mazzolari: «Vorrei pregarvi di non chiedermi se ci sono dei poveri, chi sono e quanti sono, perché temo che simili domande rappresentino una distrazione o il pretesto per scantonare da una precisa indicazione della coscienza e del cuore. […] Io non li ho mai contati i poveri, perché non si possono contare: i poveri si abbracciano, non si contano»(“Adesso” n. 7 – 15 aprile 1949). I poveri sono in mezzo noi. Come sarebbe evangelico se potessimo dire con tutta verità: anche noi siamo poveri, perché solo così riusciremmo a riconoscerli realmente e farli diventare parte della nostra vita e strumento di salvezza. Un grazie particolare rivolgo ai volontari delle associazioni il servizio “ Per la strada” ed “ Amistad” e la Caritas Parrocchiale che con grande zelo sostengono diverse forme di povertà. Grazie anche a tutti coloro che in modo silenzioso sostengono queste iniziative. Sabato e domenica prossima possiamo portare i viveri per sostenere queste iniziative.

2. Sono aperte le iscrizioni per il corso prematrimoniale.

3. Mercoledì 10 novembre alle ore 18,45 ci sarà la riunione dell’equipe pastorale e consiglio pastorale parrocchiale.

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Pro Memoria

L'umanità è una grande e  immensa famiglia ... Troviamo la dimostrazione di ciò da quello che ci sentiamo nei nostri cuori a Natale.
(Papa Giovanni XXIII)

Parrocchia Nostra Signora de La Salette
Piazza Madonna de La Salette 1 - 00152 ROMA
tel. e fax 06-58.20.94.23
e-mail: email
Settore Ovest - Prefettura XXX - Quartiere Gianicolense - 12º Municipio
Titolo presbiterale: Card. Polycarp PENGO
Affidata a: Missionari di Nostra Signora di «La Salette» (M.S.)
 

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