FESTA PARROCCHIALE 2021
Queste sono le foto degli eventi accaduti giovedì e sabato:
- la mostra sensoriale "L'eredità de La Salette per i giovani oggi"
- il mercatino solidale per i progetti dell’oratorio 2021/22
- l'inaugurazione dell'oratorio, aperitivo e karaoke
Altre foto qui sotto in galleria
Le letture liturgiche di questa domenica affrontano il tema del matrimonio, l’unione dell’uomo con la donna, che affonda le radici nel mistero dell’amore di Dio Creatore e Redentore.
Nella prima lettura, tratta dal Libro della Genesi, l’autore sacro insegna con un linguaggio simbolico che Dio ha creato l’uomo e la donna parchè costituiscano nel matrimonio un’unione indissolubile, con uguali diritti e doveri.
Nella seconda lettura, l’autore della lettera agli Ebrei, afferma che Cristo Gesù “coronato di gloria e di onore” è insieme Figlio di Dio e vero uomo, nostro fratello. Egli ci ha salvato con la sua morte in croce per renderci tutti partecipi della Sua gloria.
Nel Vangelo di Marco, le frasi forti di Gesù risuonano più come appelli che come comando. Non annunciano solo un codice morale di comportamento in cui non è ammesso il divorzio, ma vogliono evidenziare i segni del tempo ultimo, del Regno di Dio che è proclamato da uno stile di fedeltà, di purezza, di accoglienza. E’ come se Gesù proponesse un superamento delle norme del tempo, per vivere già con lo spirito dell’eternità. Infatti, la elegge di Mosè ammetteva il ripudio, ma Gesù oppone a questa norma umana il piano eterno di Dio, citando il racconto della Genesi in cui l’unione di Cristo con la Chiesa, e in esso emerge la somiglianza dell’umanità con Dio che l’ha creata a Sua immagine: l’immagine dell’amore e dell’unità.
Dal libro della Genesi
Dio disse: «Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda». Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di animali selvatici e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli animali selvatici, ma per l’uomo non trovò un aiuto che gli corrispondesse. Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. Allora l’uomo disse: «Questa volta è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne. La si chiamerà donna, perché dall’uomo è stata tolta». Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne.
Gn 2,18-24
Il libro della Genesi è il primo libro della Bibbia e il primo del Pentateuco (i cinque libri raccolti in un unico rotolo: La Torà). E’ stato scritto in ebraico e si pensa composto nell'arco di tempo che intercorre tra Salomone ed Ezechia (950-680 a.C) sebbene la tradizione ebraica e varie confessioni religiose cristiane, ritengono persino che sarebbe stato scritto da Mosè in persona nel deserto, ma è solo pura immaginazione. Nei primi 11, dei suoi 50 capitoli, descrive la cosiddetta "preistoria biblica"(creazione, peccato originale, diluvio universale), e nei rimanenti la storia dei patriarchi Abramo, Isacco, Giacobbe-Israele e di Giuseppe), le cui vite si collocano nel vicino oriente (soprattutto in Palestina) del II millennio a.C. (la datazione dei patriarchi, tradizionale ma ipotetica, è attorno al 1800-1700 a.C.). Il libro della Genesi è suddiviso in due grandi sezioni. La prima, corrispondente ai capitoli 1-11, comprende il racconto della creazione e la storia del genere umano. La seconda sezione, dal capitolo 12 al capitolo 50, narra la storia del popolo eletto, mediante i racconti sui patriarchi.
Questo brano, l’autore di tradizione jahvista, lo apre con il bellissimo brano della creazione della donna: il creato, meraviglioso e perfetto nella sua creazione è stato donato da Dio all'uomo per la sua felicità, ma l'uomo non riusciva ad essere felice. Dio allora rivede quello che aveva fatto e disse: “«Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda». Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo”. E quando l'uomo la vide finalmente poté esclamare: “«Questa volta è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne. La si chiamerà donna, perché dall’uomo è stata tolta».”
Il racconto termina con la frase: “Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne.” Infatti l'uomo e la donna lasciano i propri genitori per aderire l'uno all'altra perché Dio ha voluto partner uguali e complementari, chiamati a formare una cosa sola.
Il simbolismo della costola, la figura insostituibile della donna, la complementarietà dei due sessi, qui celebrate con lo stupore dell’uomo innamorato che eleva al cielo il primo ed eterno canto d’amore: “Questa volta è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne” hanno come scopo di sottolineare l’uguaglianza tra i due esseri e il fine per cui Dio li ha creati: l’amore. E’ per amore che essi abbandoneranno la loro casa per formare una sola carne, cioè un solo essere, e per donare, con Dio, la vita.
Nota: Nel Pentateuco si rilevano tre tradizioni compositive: quella jahvista, quella elohista e quella sacerdotale. La tradizione jahvista ebbe origine nella Giudea, mentre quella elohista nel nord della Palestina. Le due tradizioni convergono sostanzialmente sulla stessa storia, della tradizione jahvista ed elohista fanno parte del disegno divino di giungere al testo biblico e vanno considerate come ispirate. Le due tradizioni cominciarono a confluire in un unico patrimonio al tempo della costruzione del tempio di Salomone, centro religioso fondamentale sia del regno di Giuda che del regno di Israele (il regno del Nord). L’unificazione delle tradizioni jahvista ed elohista fu opera della tradizione sacerdotale.
Salmo 127 Ci benedica il Signore tutti i giorni della nostra vita.
Beato chi teme il Signore
e cammina nelle sue vie.
della fatica delle tue mani ti nutrirai,
sarai felice e avrai ogni bene.
La tua sposa come vite feconda
nell’intimità della tua casa;
i tuoi figli come virgulti d’ulivo
intorno alla tua mensa.
Ecco com’è benedetto
l’uomo che teme il Signore.
Ti benedica il Signore da Sion.
Il salmo ammonisce che senza il Signore non è possibile la sicurezza e il benessere: “Se il Signore non costruisce...”.
Si costruiscono case, le mura delle città sono custodite da armati, ferve il lavoro nei campi, ma manca un vivo orientamento a Dio.
Si lavora intensamente, con affanno, per avere ricchezza, ma Dio ne darebbe senza tutto quell'affannarsi, se si fosse uniti a lui: “Al suo prediletto egli lo darà nel sonno”.
L'affanno per la ricchezza porta a diminuire il tempo dato ai figli per formarli. Essi sono dono di Dio, e perciò dono che va amato, rispettato, accudito, fatto fiorire. “I figli avuti in giovinezza” il padre li può formare, unitamente alla madre, con tutto se stesso, con la piena vivacità delle sue forze, e si troverà ad essere giovane coi figli giovani, senza pesante salto d'età.
L'avara soluzione di diminuirne il numero dei figli non solo va contro l'interesse di una comunità (Il salmo guarda alla ripopolazione della Palestina dopo il ritorno dall'esilio a Babilonia), ma anche contro quello individuale; infatti i numerosi figli avuti nella giovinezza sono poi la sicurezza del padre: “Non dovrà vergognarsi quando verrà alla porta a trattare con i propri nemici”. I “propri nemici” non potranno sgretolarne il morale facendolo sentire solo, senza appoggio, e chi lo attacca non potrà rimproveralo di non avere saputo dare vigore, forza, ideale, ai propri figli.
Il salmo a noi uomini del terzo millennio ci dice che i figli sono dono di Dio, sono un talento che va fatto fruttificare con ogni cura. I figli non basta vestirli, scaldarli, nutrirli e mandarli a scuola, per poi parcheggiarli davanti al televisore e ai giochi. E non ci si può sentire a posto di fonte ai figli adolescenti per aver dato loro una buona cifretta da spendere con gli amici, secondo disegni liberamente elaborati tra di loro.
Commento tratto da Perfetta Letizia
Dalla lettera agli Ebrei
Fratelli, quel Gesù, che fu fatto di poco inferiore agli angeli, lo vediamo coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto, perché per la grazia di Dio egli provasse la morte a vantaggio di tutti.
Conveniva infatti che Dio – per il quale e mediante il quale esistono tutte le cose, lui che conduce molti figli alla gloria – rendesse perfetto per mezzo delle sofferenze il capo che guida alla salvezza. Infatti, colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli.
Eb 2,9-11
L’ autore della Lettera agli Ebrei è rimasto anonimo, anche se nei primi tempi si è pensato a Paolo di Tarzo, ma sia la critica antica che moderna, ha escluso quasi concordemente questa attribuzione.
L’autore è certamente di origine giudaica, perchè conosce perfettamente la Sacra Scrittura, ha una fede integra e profonda, una grande cultura, ma tutte le congetture fatte sul suo nome rimangono congetture, si può solo dedurre che nel cristianesimo primitivo ci furono notevoli personalità oltre agli apostoli, anche se sono rimaste sconosciute.
Quanto ai destinatari – ebrei – è certo che l’autore non si rivolge agli ebrei per invitarli a credere in Cristo, il suo scopo è invece quello di ravvivare la fede e il coraggio ai convertiti di antica data, con tutta probabilità di origine giudaica. Infatti per discutere con essi, l’autore cita in continuazione la Scrittura e richiama incessantemente le idee e le realtà più importanti della religione giudaica.
Questo brano, tratto dalla prima parte della lettera, inizia affermando: “quel Gesù, che fu fatto di poco inferiore agli angeli, lo vediamo coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto, perché per la grazia di Dio egli provasse la morte a vantaggio di tutti”.
Gesù in quanto uomo rispetto agli angeli è di poco inferiore, ma in quanto uomo, realizza la vera vocazione dell'uomo, superandone i limiti e il peccato. Lo vediamo coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto, perché per la grazia di Dio egli provasse la morte a vantaggio di tutti. L'amore di Gesù si afferma in tutta la sua potenza nella sofferenza. Cristo scelse l'obbedienza a Dio attraverso l'amore per gli uomini, conquistandoli
“Conveniva infatti che Dio – per il quale e mediante il quale esistono tutte le cose, lui che conduce molti figli alla gloria – rendesse perfetto per mezzo delle sofferenze il capo che guida alla salvezza”.
Conveniva, ossia era proprio necessario, che Dio facesse passare attraverso la sofferenza il proprio Figlio, e questa sofferenza lo ha portato ad essere perfetto. La perfezione che l'uomo non ha potuto raggiungere con le sue forze, la raggiunge Cristo. Non si tratta solo di una perfezione morale, bensì di tutto il Suo essere, e proviene da una forte comunione con il Padre. Gesù è stato capace di compiere fino in fondo la Sua missione ed è diventato il capo che guida l'umanità alla salvezza.
“Infatti, colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli”.
Dio conduce molti figli alla gloria. Il primo è Gesù, ma poi seguono tutti gli altri sulla via da Lui tracciata. Tutti provengono da Dio e a Dio ritornano. Ecco perché veniamo chiamati fratelli. Nonostante le nostre infedeltà, le nostre imperfezioni abbiamo un futuro, una meta di santità verso cui guardare.
Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, domandavano a Gesù se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma egli rispose loro:«Che cosa vi ha ordinato Mosè?».
Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla».
Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall’inizio della creazione [Dio] li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto».
A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio».
Gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono.
Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso». E, prendendoli tra le braccia, li benediceva,imponendo le mani su di loro.
Mc 10,2-16
In questo brano l'evangelista Marco ci presenta Gesù mentre si reca nel territorio della Giudea oltre il Giordano, fuori perciò dalla Palestina, nella regione ad oriente del Giordano ( La Perea). E’ circondato da una grande folla composta da gente comune, ma anche da quei farisei che, non certo per trarre beneficio dal Suo insegnamento, vogliono solo fargli domande-trabocchetto nel tentativo di coglierlo in fallo.
I farisei si presentano dunque a Gesù con il chiaro intento di metterlo alla prova e gli “domandavamo se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie”.
Secondo la legislazione mosaica era lecito al marito (e a lui soltanto) allontanare la propria moglie nel caso avesse trovato in lei “qualcosa di vergognoso”; egli però doveva darle un documento di divorzio (Dt 24,1-4), in modo che lei poteva unirsi a un altro uomo senza essere considerata adultera.
Per tutta risposta Gesù chiede: “Che cosa vi ha ordinato Mosè?”. Ed essi rispondono: “Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla”.
Chiaramente la loro risposta si basa su quanto prescrive il Deuteronomio sul divorzio (c.24) . Gesù allora soggiunge: “Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma”.
Questa disposizione non è dunque da Dio, ma da Mosè, il quale ha permesso ciò non per sua libera decisione, ma “per la durezza del loro cuore” cioè per adattarsi alla mancanza di amore in cui l’uomo è venuto a trovarsi a causa del peccato (v. Ez 36,26). Poi dà la sua spiegazione: “Ma dall’inizio della creazione [Dio] li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola”.
Dio ha creato l’uomo e la donna come due esseri uguali e complementari e li ha chiamati ad unirsi in modo talmente completo da formare quasi un’unica persona (carne) (Gen 2,24).
Da queste citazioni della Torah Gesù dà questa conclusione: “Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto”. In tal modo Egli sottolinea che, in realtà, secondo il piano originario di Dio, l’uomo e la donna sono chiamati a raggiungere nel matrimonio un’unione totale. Perciò conclude che l’uomo non può separare ciò che Dio ha unito in un modo così perfetto. Secondo il piano divino il matrimonio è dunque indissolubile, e nessuno può separare coloro che sono stati uniti in questo modo.
L’evangelista poi nota che “A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento”, e Gesù precisa: “Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio”.
Vengono così sottolineate due cose: anzitutto l’uomo commette adulterio verso la propria moglie solo se, dopo averla ripudiata, si risposa. Dal quanto scritto possiamo dedurre che non è tanto la separazione che conta, quanto piuttosto un secondo matrimonio della persona divorziata: solo facendo questo passo uno reca offesa al vincolo precedente; quindi se da una parte si riafferma la legalità del vincolo, dall’altra si accetta, in contrasto con quanto era stato detto prima, che due coniugi possono separarsi se la loro unione per un grave motivo non funziona. Si afferma anche che la stessa regola vale sia per l’uomo che per la donna. Uomo e donna sono su un piano di parità: questa precisazione era opportuna in una società, come quella romana, in cui anche le donne avevano la facoltà di divorziare.
Dopo la discussione sul divorzio l’evangelista racconta che a Gesù “presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono”. Ma Gesù interviene affinché i discepoli non impediscano ai bambini di andare da lui e afferma “Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso”
L’episodio dei bambini – a proposito dei quali è solo Marco ad annotare l’affetto umano di Gesù:”Lasciate che i bambini vengano a me…” evidenzia una completa divergenza tra Gesù e i discepoli nell'idea che si erano fatti della Sua missione.
I Suoi discepoli devono ancora imparare che il regno di Dio non è in mano alle persone che contano, che le preferenze di Dio sono rivolte a coloro che sono considerati insignificanti, che non hanno cioè valore giuridico, come i bambini, a coloro che sanno attendere e accogliere tutto da Lui, senza pretese, alla maniera dei piccoli. La reazione severa di Gesù, dà ragione alla spontaneità dei bambini e dei loro genitori e torto alla limitatezza dei discepoli.
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“Il Vangelo di questa domenica ci offre la parola di Gesù sul matrimonio.
Il racconto si apre con la provocazione dei farisei che chiedono a Gesù se sia lecito a un marito ripudiare la propria moglie, così come prevedeva la legge di Mosè. Gesù anzitutto, con la sapienza e l’autorità che gli vengono dal Padre, ridimensiona la prescrizione mosaica dicendo: «Per la durezza del vostro cuore egli – cioè l’antico legislatore – scrisse per voi questa norma» . Si tratta cioè di una concessione che serve a tamponare le falle prodotte dal nostro egoismo, ma non corrisponde all’intenzione originaria del Creatore.
E qui Gesù riprende il Libro della Genesi: «Dall’inizio della creazione (Dio) li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola» . E conclude: «Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto».
Nel progetto originario del Creatore, non c’è l’uomo che sposa una donna e, se le cose non vanno, la ripudia. No. Ci sono invece l’uomo e la donna chiamati a riconoscersi, a completarsi, ad aiutarsi a vicenda nel matrimonio.
Questo insegnamento di Gesù è molto chiaro e difende la dignità del matrimonio, come unione di amore che implica la fedeltà. Ciò che consente agli sposi di rimanere uniti nel matrimonio è un amore di donazione reciproca sostenuto dalla grazia di Cristo. Se invece prevale nei coniugi l’interesse individuale, la propria soddisfazione, allora la loro unione non potrà resistere.
Ed è la stessa pagina evangelica a ricordarci, con grande realismo, che l’uomo e la donna, chiamati a vivere l’esperienza della relazione e dell’amore, possono dolorosamente porre gesti che la mettono in crisi. Gesù non ammette tutto ciò che può portare al naufragio della relazione. Lo fa per confermare il disegno di Dio, in cui spiccano la forza e la bellezza della relazione umana.
La Chiesa, da una parte non si stanca di confermare la bellezza della famiglia come ci è stata consegnata dalla Scrittura e dalla Tradizione; nello stesso tempo, si sforza di far sentire concretamente la sua vicinanza materna a quanti vivono l’esperienza di relazioni infrante o portate avanti in maniera sofferta e faticosa.
Il modo di agire di Dio stesso con il suo popolo infedele – cioè con noi – ci insegna che l’amore ferito può essere sanato da Dio attraverso la misericordia e il perdono. Perciò alla Chiesa, in queste situazioni, non è chiesta subito e solo la condanna. Al contrario, di fronte a tanti dolorosi fallimenti coniugali, essa si sente chiamata a vivere la sua presenza di amore, di carità e di misericordia, per ricondurre a Dio i cuori feriti e smarriti.
Invochiamo la Vergine Maria, perché aiuti i coniugi a vivere e rinnovare sempre la loro unione a partire dal dono originario di Dio.”
Papa Francesco Parte dell’Angelus del 7 ottobre 2018
QUEST'ANNO È IL 175° ANNIVERSARIO DEL MESSAGGIO DELLA MADONNA A LA SALETTE E NOI SIAMO UN FIUME DI MISERICORDIA CHE SCORRE NELLE STRADE, RIFLESSO VIVENTE DEI PASTORELLI VISITATI DA MARIA SS.MA! Lei ci tiene per mano indicandoci la strada per trasmettere la tradizione cristiana e dare testimonianza dell'amore riversato nelle relazioni della comunità come discepola di Gesù Cristo!
Accogliamo ogni persona, rivestiamola della sua dignità, spronati dal messaggio di richiamo alla conversione della Madonna a La Salette!
Facciamo festa tutti insieme, gioiamo, il Signore e Maria SS.ma ci hanno donato il loro amore e di essere fratelli e sorelle!
Insieme mano nella mano con Maria Ss.ma lungo la strada di ogni giorno!
GRAZIE SIGNORE
PER TUTTI I DONI RICEVUTI e che ci doni,
per la trasmissione della fede nella parrocchia,
per tutte le persone che hanno contribuito
affinché con l'aiuto dello Spirito Santo
la parrocchia arrivasse fino ai nostri giorni
e noi potessimo attingere dei benefici,
dell'amore ricevuto per donarlo agli altri,
GRAZIE SIGNORE
per il nostro parroco P. Stanislao,
per P. Pietro, P. Adriano, P. Bruno, P. Gian Matteo,
P. Martin e P. Silvano,
per proteggere e vegliare sui sacerdoti,
sui parrocchiani, sulle loro famiglie,
donaci di annunciare il vangelo,
di essere veri testimoni di vicinanza, comunione reciproca,
servizio amorevole e carità
attraverso l'intercessione e la protezione di Maria SS.ma,
amen!
GRAZIE MARIA
PER IL 175° ANNIVERSARIO DELLA TUA APPARIZIONE A LA SALETTE,
per essere sempre con noi,
come mamma che ci conduce per mano
lungo il cammino della vita,
per spronarci alla conversione
e all’annuncio del vangelo al mondo,
amen!
VIENI SPIRITO SANTO!
"Il mio pensiero va a quanti sono radunati al Santuario di La Salette, in Francia, nel ricordo del 175° anniversario dell’apparizione della Madonna, che si mostrò in lacrime a due ragazzi. Le lacrime di Maria fanno pensare a quelle di Gesù su Gerusalemme e alla sua angoscia nel Getsemani. Sono un riflesso del dolore di Cristo per i nostri peccati e un appello sempre attuale ad affidarsi alla misericordia di Dio." (Papa Francesco Angelus 19 9 2021)
Dio ci benedica!
Maria Ss.ma vegli su di noi!
Elena T.
Le letture liturgiche di questa domenica ci aiutano a farci comprendere che Dio è essenzialmente libero nel concedere i Suoi doni, Egli agisce al di fuori dei nostri schemi mentali (altrimenti non sarebbe Dio) e delle strutture consacrate, concedendo i suoi doni a chi vuole e come vuole.
Nella prima lettura, tratta dal libro dei Numeri, Giosuè va da Mosè per informarlo che due uomini, che non appartengono alla classe sacra dei 70 responsabili d’Israele, si sono messi a profetizzare, pervasi dallo spirito di Dio. Ma Mosè, nel commentare “Fossero tutti profeti nel popolo del Signore….” riconosce l’importanza della docilità allo Spirito di Dio, che soffia dove vuole, come vuole e su chi vuole…”
Nella seconda lettura, l’Apostolo Giacomo avverte con fermezza i ricchi che dovranno subire il giudizio di Dio, in modo speciale se i beni sono ottenuti dallo sfruttamento dei lavoratori.
Nel Vangelo di Marco, Gesù replica a Giovanni, che gli riferiva che qualcuno a suo nome scacciava i demoni, di non impedirglielo… perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi. Ciò vuol dire che tutti coloro che non scelgono il male, ma si consacrano al bene e alla promozione umana e spirituale dell’uomo, qualunque sia la loro sigla o la loro bandiera, sono già al fianco di Cristo. Gesù dà poi una serie di istruzioni sulla fedeltà del discepolo, pronto a tagliare via tutto ciò che può impedirgli di essere un vero cristiano. Ci sono espressioni volutamente forti, proprio per indicare la decisione unica per Cristo, davanti al quale tutto perde di importanza.
L’autentico apostolo deve provare sentimenti di gioia per il bene che è seminato in ogni uomo, in ogni cultura e razza, perchè è convinto del valore del pluralismo e del dialogo. La tentazione settaria che vuole monopolizzare Dio, in un gruppo è anche una degenerazione della fede, anche se si illude di conservarne la purezza.
Dal libro dei Numeri
In quei giorni, il Signore scese nella nube e parlò a Mosè: tolse parte dello spirito che era su di lui e lo pose sopra i settanta uomini anziani; quando lo spirito si fu posato su di loro, quelli profetizzarono, ma non lo fecero più in seguito. Ma erano rimasti due uomini nell’accampamento, uno chiamato Eldad e l’altro Medad. E lo spirito si posò su di loro; erano fra gli iscritti, ma non erano usciti per andare alla tenda. Si misero a profetizzare nell’accampamento.
Un giovane corse ad annunciarlo a Mosè e disse: «Eldad e Medad profetizzano nell’accampamento». Giosuè, figlio di Nun, servitore di Mosè fin dalla sua adolescenza, prese la parola e disse: «Mosè, mio signore, impediscili!». Ma Mosè gli disse: «Sei tu geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore porre su di loro il suo spirito!».
Nm 11,25-29
Il libro dei Numeri, il quarto libro della Bibbia, è stato scritto in ebraico e, secondo molti studiosi, la sua redazione definitiva, ad opera di autori ignoti, è collocata al VI-V secolo a.C. in Giudea, sulla base di precedenti tradizioni orali e scritte. La tradizione ebraica e varie confessioni religiose cristiane, ritengono persino che sarebbe stato scritto da Mosè in persona, ma la maggioranza degli esegeti moderni ritiene che tutto il Pentateuco sia in realtà una raccolta, formatasi in epoca post-esilica, di vari scritti di epoche diverse. “Numeri” è il titolo che l'antica traduzione greca ha dato a questo libro perchè contiene elenchi e censimenti degli Israeliti in cammino verso la "Terra promessa". È composto da 36 capitoli descriventi la storia degli Ebrei durante il loro soggiorno nel deserto del Sinai (circa 1200 a.C.). Infatti molti eventi del Libro avvengono nel deserto, principalmente tra il secondo ed il quarantesimo anno del vagabondare degli Israeliti. I primi 25 capitoli riportano le esperienze della prima generazione d’Israele nel deserto, mentre il resto del libro descrive le esperienze della seconda generazione.
Il brano inizia narrando che il Signore scese nella nube e ancora una volta parla a Mosè “tolse parte dello spirito che era su di lui e lo pose sopra i settanta uomini anziani; quando lo spirito si fu posato su di loro, quelli profetizzarono, ma non lo fecero più in seguito.” Lo spirito qui è visto come un’azione più o meno permanente di Dio sul soggetto scelto; un’azione che trasforma l’uomo in profeta, anche se in tempo limitato. Lo spirito che è su Mosè passa sui settanta; essi dunque partecipano del dono di Mosè, ma in grado subordinato perché “non lo fecero più in seguito”. Il testo prosegue precisando: “Ma erano rimasti due uomini nell’accampamento, uno chiamato Eldad e l’altro Medad. E lo spirito si posò su di loro; erano fra gli iscritti, ma non erano usciti per andare alla tenda. Si misero a profetizzare nell’accampamento.”
I due uomini che non erano andati alla tenda del convegno, ma erano scritti nella lista, si misero dunque anch’essi a profetare. Giosuè viene informato da un giovane che due uomini qualsiasi, senza appartenere alla classe sacra dei 70 responsabili d’Israele e senza avere investiture ufficiali si sono messi a profetizzare, pervasi dallo Spirito di Dio.
Giosuè preoccupato, chiede «Mosè, mio signore, impediscili!». La risposta di Mosè centra subito la “gelosia” e il potere egoistico che è tipico di tutte le sètte e i movimenti integralistici : “Sei tu geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore porre su di loro il suo spirito!». Nessuna istituzione, benché di origine divina, può impedire dunque allo Spirito di soffiare dove vuole e come vuole.
Riferendosi a questo episodio la Chiesa definisce locuzione interiore il rapporto che nasce tra il cuore dell'uomo e l'ascolto della parola di Dio. È di fondamentale importanza il silenzio interiore per arrivare a questa realtà.
Il teologo A.Tanquerey definisce il fenomeno cosi: "la locuzione interiore è una manifestazione divina sotto forma di parola intesa dai sensi esterni ed interni o direttamente dall'intelletto umano. Esse sono parole o di Gesù o della Madonna o dello Spirito Santo chiarissime, avvertite dalla persona che le riceve come se nascessero dal cuore, e che, collegate fra loro, formano un messaggio“.
Salmo 18 - I precetti del Signore fanno gioire il cuore.
La legge del Signore è perfetta,
rinfranca l’anima;
la testimonianza del Signore è stabile,
rende saggio il semplice.
Il timore del Signore è puro,
rimane per sempre;
i giudizi del Signore sono fedeli,
sono tutti giusti.
Anche dall’orgoglio salva il tuo servo
perché su di me non abbia potere;
allora sarò irreprensibile,
sarò puro da grave peccato.
Il salmista si esprime considerando, in stato di riflessione laudante, la grandezza, la potenza, la bellezza dei cieli, della volta stellata……..
Il Creatore dell’universo ha stretto alleanza con il suo popolo dando una legge che è perfetta, perché non può ricevere appunti, e che rinfranca il cuore liberandolo dalle tenebre dell’ingiustizia. Questa legge d’amore è portata al suo vertice dal Cristo che la stampa nel cuore dei suoi dando loro lo Spirito Santo.
La legge, portata a compimento da Cristo, è la testimonianza dell’amore di Dio per gli uomini. Tale testimonianza, che è stata sigillata dal sangue di Cristo, non delude. Essa è verace, luminosa, e rende saggio colui che non si presenta a Dio col vizio di pensieri oscuri.
Il salmista ha sperimentato nella sua vita quanto sia giusta la legge del Signore, tanto che fa gioire il cuore.
La legge, i suoi comandi, sono limpidi, perché non oscurano gli occhi portandoli a veder in modo malvagio le cose, ma li liberano dalle oscurità per dare loro la capacità di un luminoso vedere la bellezza delle cose,che inneggiano al Creatore e servono l’uomo.
“Il timore del Signore è puro”, perché non è come quello di chi teme la punizione perché colpevole, ma è il timore puro di chi teme di giungere a rattristare Dio con la disobbedienza alla legge d’amore verso lui e verso gli altri.
Il salmista comincia a focalizzarsi sull’effetto della legge su di lui; di lui che è piccolo, ma che è istruito dai giudizi di Dio, che sono contenuti nella legge, poiché Dio giudica gli uomini con quella legge.
Il salmista è consapevole di avere tante mancanze di cui non si rende pienamente conto: le “inavvertenze”. Di queste chiede a Dio perdono. Egli, infatti, anche se osserva la legge non reputa per niente di osservarla perfettamente e sa che sta nell’orgoglio la ragione di una scarsa osservanza. Orgoglio che se non dominato conduce l’uomo al grande peccato, cioè al peccato di una grande e palese disobbedienza alla legge.
Commento tratto da “Perfetta Letizia”i
Dalla lettera di S.Giacomo apostolo
Ora a voi, ricchi: piangete e gridate per le sciagure che cadranno su di voi! Le vostre ricchezze sono marce, i vostri vestiti sono mangiati dalle tarme. Il vostro oro e il vostro argento sono consumati dalla ruggine, la loro ruggine si alzerà ad accusarvi e divorerà le vostre carni come un fuoco. Avete accumulato tesori per gli ultimi giorni
Ecco il salario dei lavoratori che hanno mietuto sulle vostre terre, che voi non avete pagato, grida, e le proteste dei mietitori sono giunte alle orecchie del Signore onnipotente. Sulla terra avete vissuto in mezzo a piaceri e delizie, e vi siete ingrassati per il giorno della strage. Avete condannato e ucciso il giusto ed egli non vi ha opposto resistenza.
Gc 5,1-6
Questo brano tratto dal capitolo 5 della lettera di Giacomo ci stupisce perchè ha espressioni violente, che troviamo sin dal primo versetto: “Ora a voi, ricchi: piangete e gridate per le sciagure che cadranno su di voi! Le vostre ricchezze sono marce, i vostri vestiti sono mangiati dalle tarme. Il vostro oro e il vostro argento sono consumati dalla ruggine, la loro ruggine si alzerà ad accusarvi e divorerà le vostre carni come un fuoco….“
Il linguaggio che viene usato ricorda quello degli antichi profeti, quando si scagliavano contro i misfatti della classe dirigente e benestante che angariavano e calpestavano i poveri.
Questa invettiva che Giacomo scaglia contro i ricchi, si riferisce ai loro beni a cui hanno consacrato la loro vita. E’ un linguaggio palesemente metaforico per indicare l’inutilità di questi beni e tutta la loro inconsistenza, poiché tutto ciò che è posto in questa nostra dimensione di spazio-tempo è soggetto ad essere inevitabilmente consumato e distrutto.
Giacomo rimprovera poi il loro comportamento improntato alla più profonda malvagità e superficialità del vivere defraudando i lavoratori del loro giusto salario, condannando e uccidendo così il giusto, che non è nella condizione di opporre loro resistenza.
Possiamo però anche dire che i destinatari non sono solo i cosiddetti ricchi, perché se ci pensiamo bene, tutti noi, quando siamo smaniosi di “avere”, di “possedere”, teniamo in gran conto le nostre ricchezze (tante o poche che siano) come il bene principale, il tesoro della nostra vita: un tesoro che ci costa fatica volerlo condividere con gli altri. La linea di confine tra ricchi e poveri non passa attraverso le differenze sociologiche, perché ci sono (e ci sono sempre stati, anche ai tempi di Gesù) ricchi dal cuore aperto a condividere tutto, veramente poveri nello spirito, ma anche poveri sulla carta, che sono smaniosi di possesso e che, ottenuto qualche bene di fortuna, o qualche eredità, sono del tutto recalcitranti ad aiutare gli altri.
Come deve comportarsi il vero cristiano? La parabola dell’uomo ricco che Gesù aveva raccontato è quanto mai efficace. Questo uomo ricco, aveva fatto un raccolto così grande che la sua preoccupazione era solo di ingrandire i magazzini per poterci raccogliere meglio tutti i suoi beni “Ma Dio gli disse: Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà? Così è di chi accumula tesori per sé, e non arricchisce davanti a Dio” Lc 12,20
Ricordiamoci che siamo solo amministratori dei nostri beni e non possessori, che tutto ci è stato dato in prestito, anche la vita, che dobbiamo restituire al nostro Creatore, con i talenti che ci ha dato, messi a frutto.
Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, Giovanni disse a Gesù: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva». Ma Gesù disse: «Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi.
Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa.
Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare. Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geènna, nel fuoco inestinguibile. E se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo: è meglio per te entrare nella vita con un piede solo, anziché con i due piedi essere gettato nella Geènna.
E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geènna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue».
Mc 9.38-43,45,47-48
Anche questo brano del Vangelo di Marco, fa parte della raccolta che l’Evangelista ha inserito dopo il secondo dei tre annunzi di Gesù della Sua morte e risurrezione.
Ci troviamo a Cafarnao, nella casa in cui Gesù è giunto con i suoi discepoli, e Giovanni riferisce a Gesù un fatto capitato poco prima: “Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva”. Giovanni è il figlio di Zebedeo, uno dei primi quattro che Gesù ha scelto (V. Mc 1,19). Con suo fratello Giacomo si distingue dagli altri per la sua ambizione e per la sua passione, che gli ha guadagnato il titolo di “figlio del tuono” (3,17; cfr. Lc 9,54-55). Questa è l’unica volta in cui egli parla a nome di tutto il gruppo dei discepoli.
La pratica di scacciare i demòni nel nome di un personaggio particolarmente autorevole era consueto nel giudaismo. Non sorprende quindi il fatto che certi esorcisti, pur non essendo della cerchia di Gesù, si servissero del suo nome per le loro pratiche: un episodio simile capitò anche a Paolo mentre si trovava a Efeso (V. At 19,13).
Giovanni dunque intende impedire l’attività dell’uomo perché, dice, “non ci seguiva” cioè non era membro del loro gruppo. Questo è l’unico punto nel N.T. in cui si parla di seguire non Gesù, ma il gruppo dei discepoli, per cui è possibile che questa espressione faccia parte del linguaggio della prima comunità cristiana, nella quale era forte la tendenza a sentirsi depositaria esclusiva del nome di Gesù e dei Suoi poteri soprannaturali.
Il racconto è collegato al noto episodio riportato dal Libro dei Numeri, che la Liturgia ce lo propone nella prima lettura, e come Mosè, anche Gesù respinge la richiesta che gli è stata fatta: “Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi”.
Gesù ridimensiona le pretese di Giovanni e dei suoi discepoli. Compiere i miracoli nel nome di Gesù è come aver riconosciuto la Sua autorità, è già essere stati illuminati dallo Spirito Santo (lo dirà anche Paolo:"Nessuno può dire Gesù è il Signore se non sotto l'azione dello Spirito Santo”, 1Cor 12,3). La comunità dei credenti in Cristo è molto più grande del ristretto gruppo dei discepoli e Gesù invita i Suoi a non rinchiudersi in una mentalità chiusa e settaria.
Viene poi riportato un detto che si colloca sulla stessa linea: “Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa” perciò anche senza appartenere al gruppo dei discepoli, è sufficiente un gesto di amicizia e di solidarietà nei loro confronti per ottenere la “ricompensa” a loro riservata. I discepoli non possono quindi pretendere di avere l’esclusiva della salvezza portata dal loro Maestro!.
Poi viene riportata un piccola raccolta di detti incentrata sul tema dello scandalo e delle sue conseguenze.
Nel primo detto Gesù afferma:
“Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare.”.Queste parole sono riferite ad una comunità divisa, in cui i piccoli, cioè i cristiani più deboli e impreparati, possono essere indotti da altri, più liberi, progressisti e intellettuali, a commettere azioni contrarie alla loro coscienza e quindi a peccare . La frase, chiaramente esagerata, mette in luce la gravità di gesti sconsiderati, che possono portare il prossimo a comportarsi in modo contrario alla volontà di Dio.
Nei detti successivi viene ripreso il tema dello scandalo, mediante tre esempi:
”Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geènna, nel fuoco inestinguibile.
E se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo: è meglio per te entrare nella vita con un piede solo, anziché con i due piedi essere gettato nella Geènna.
E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geènna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue”.
Si può intendere questo discorso in due modi: o lo scandalo che viene dato da un membro della comunità, oppure le azioni o le situazioni della vita di una singola persona che la possono scandalizzare, ossia farla rinunciare alla fede.
Nel primo caso la persona che dà scandalo alla comunità deve esserne allontanata decisamente. La stessa decisione deve essere utilizzata da ogni singola persona davanti a ciò che può far vacillare la propria fede. Il vero scandalo nasce dalle nostre azioni, dai nostri desideri, ecco perché Gesù parla di mano, piede ed occhio.
Secondo la mentalità ebraica le parti del corpo sono la sede dei diversi istinti umani. La mano in particolare è la sede delle azioni, molto spesso la mano viene descritta nel versare sangue innocente (Sir 6,18). La Geenna era la valle di Hinnon, a sud di Gerusalemme, di cui si parla già in Giosuè (15,8). All'epoca dei re Ahas e Manasse, la zona cadde in discredito poiché vi si sacrificavano figli e figlie agli dei, "facendoli passare per il fuoco" (2Re 23,10). Poiché la contaminazione veniva considerata troppo grande, la zona fu poi adibita a inceneritore per i rifiuti e le carogne degli animali. Era opinione comune che in questa "fossa maledetta" ci sarebbe stato il castigo finale. Quindi era meglio perdere una parte sola del corpo piuttosto che perdere tutto il corpo e tutta l'anima nel fuoco del giudizio finale.
Lo stesso discorso vale per il piede, inteso nel senso delle vie sbagliate che una persona può intraprendere.
Infine viene preso in considerazione l'occhio. Nella Bibbia si parla di occhi superbi e insaziabili (Sir. 6,17; 27,22). L'occhio esprime il desiderio della persona, quando guarda una cosa o una persona insistentemente per farla propria. Anche per l'occhio perciò vale lo stesso discorso,
Infine l’affermazione finale “dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue” trova riscontro nel versetto che chiude il Libro di Isaia (66,24), che contiene una profezia per l'avvenire , in cui Isaia prevede nuovi cieli e nuova terra, in cui tutti i popoli aderiranno al Signore, saliranno al tempio del Signore (a Gerusalemme) e lo adoreranno. Uscendo dal tempio vedranno coloro che si sono ribellati a Dio soffrire il supplizio continuo del verme e del fuoco..
Le due immagini del verme e del fuoco sono molto usate nell'Antico Testamento per indicare il castigo di chi non accetta il Signore e come simbolo di dissoluzione. Il verme è l'agente di decomposizione del corpo umano e il fuoco veniva utilizzato spesso per la distruzione dei cadaveri.
Questi detti, che Matteo riporta con sfumature diverse, nel contesto del discorso della Montagna (V. Mt 5,29-30), sono molto antichi e mettono bene in luce la radicalità delle scelte che Gesù richiedeva ai suoi discepoli.
Chiaramente Gesù non esige dai suoi che siano perfetti, ma piuttosto che sappiano ritornare sempre a ciò che costituisce il fulcro del suo messaggio, senza scendere a compromessi con la mentalità di questo mondo.
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“Il Vangelo di questa domenica ci presenta uno di quei particolari molto istruttivi della vita di Gesù con i suoi discepoli. Questi avevano visto che un uomo, il quale non faceva parte del gruppo dei seguaci di Gesù, scacciava i demoni nel nome di Gesù, e perciò volevano proibirglielo. Giovanni, con l’entusiasmo zelante tipico dei giovani, riferisce la cosa al Maestro cercando il suo appoggio; ma Gesù, al contrario, risponde: «Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi».
Giovanni e gli altri discepoli manifestano un atteggiamento di chiusura davanti a un avvenimento che non rientra nei loro schemi, in questo caso l’azione, pur buona, di una persona “esterna” alla cerchia dei seguaci. Invece Gesù appare molto libero, pienamente aperto alla libertà dello Spirito di Dio, che nella sua azione non è limitato da alcun confine e da alcun recinto. Gesù vuole educare i suoi discepoli, anche noi oggi, a questa libertà interiore.
Ci fa bene riflettere su questo episodio, e fare un po’ di esame di coscienza. L’atteggiamento dei discepoli di Gesù è molto umano, molto comune, e lo possiamo riscontrare nelle comunità cristiane di tutti i tempi, probabilmente anche in noi stessi. In buona fede, anzi, con zelo, si vorrebbe proteggere l’autenticità di una certa esperienza, tutelando il fondatore o il leader dai falsi imitatori. Ma al tempo stesso c’è come il timore della “concorrenza” – e questo è brutto: il timore della concorrenza –, che qualcuno possa sottrarre nuovi seguaci, e allora non si riesce ad apprezzare il bene che gli altri fanno: non va bene perché “non è dei nostri”, si dice. E’ una forma di autoreferenzialità. Anzi, qui c’è la radice del proselitismo. E la Chiesa – diceva Papa Benedetto - non cresce per proselitismo, cresce per attrazione, cioè cresce per la testimonianza data agli altri con la forza dello Spirito Santo.
La grande libertà di Dio nel donarsi a noi costituisce una sfida e una esortazione a modificare i nostri atteggiamenti e i nostri rapporti. È l’invito che ci rivolge Gesù oggi. Egli ci chiama a non pensare secondo le categorie di “amico/nemico”, “noi/loro”, “chi è dentro/chi è fuori”, “mio/tuo”, ma ad andare oltre, ad aprire il cuore per poter riconoscere la sua presenza e l’azione di Dio anche in ambiti insoliti e imprevedibili e in persone che non fanno parte della nostra cerchia. Si tratta di essere attenti più alla genuinità del bene, del bello e del vero che viene compiuto, che non al nome e alla provenienza di chi lo compie. E – come ci suggerisce la restante parte del Vangelo di oggi – invece di giudicare gli altri, dobbiamo esaminare noi stessi, e “tagliare” senza compromessi tutto ciò che può scandalizzare le persone più deboli nella fede.
La Vergine Maria, modello di docile accoglienza delle sorprese di Dio, ci aiuti a riconoscere i segni della presenza del Signore in mezzo a noi, scoprendolo dovunque Egli si manifesti, anche nelle situazioni più impensabili e inconsuete. Ci insegni ad amare la nostra comunità senza gelosie e chiusure, sempre aperti all’orizzonte vasto dell’azione dello Spirito Santo.”
Papa Francesco Parte dell’Angelus del 30 settembre 2018
L'umanità è una grande e immensa famiglia ... Troviamo la dimostrazione di ciò da quello che ci sentiamo nei nostri cuori a Natale.
(Papa Giovanni XXIII)