Le letture che la Liturgia di questa domenica ci porta a meditare, hanno come filo conduttore la legge e come applicarla : Gesù non è venuto ad abolire la legge antica , ma a portarla a compimento, per farla poi accettare come scelta interiore.
Nella prima lettura tratta dal libro del Siracide, davanti a noi Dio ha posto la via della vita e della morte. Il Signore lascia alla libertà dell’uomo la scelta tra il bene e il male, tra l’obbedienza alla sua legge e il suo rifiuto.
Nella seconda lettura, l’apostolo Paolo continuando la sua lettera ai Corinzi, li esorta a non confondere la sapienza degli uomini con la sapienza di Dio, e afferma che lo Spirito conosce le profondità di Dio e ce le rivela, consentendoci di contemplare qualche barlume della sua Sapienza e di lasciarci guidare sai suoi criteri
Nel Vangelo di Matteo troviamo ancora un altro brano tratto dal “Discorso della Montagna” e sulla scia della precedente domenica, si completa la serie delle antitesi, che Gesù stabilisce tra la vecchia interpretazione riduttiva della legge biblica e la novità della sua proposta. Le antitesi che oggi troviamo hanno un identico tema: la relazione col prossimo. Gesù anche qui vuole mostrare la sua fedeltà alla Legge, ma anche la trasformazione dell’antico precetto nella “pienezza” che esso conteneva solo in seme: “Non sono venuto per abolire ma per portare a compimento”. Gesù anche qui propone una scelta sorprendente che spezza i cerchi rigidi dei legami convenzionali, spingendoci a considerare prossimo tutti li uomini, compresi i nemici.
Dal libro del Siracide
Se vuoi osservare i suoi comandamenti;
essi ti custodiranno;
se hai fiducia in lui, anche tu vivrai.
Egli ti ha posto davanti fuoco e acqua:
là dove vuoi tendi la tua mano.
Davanti agli uomini stanno la vita e la morte:
a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà.
Grande infatti è la sapienza del Signore;
forte e potente, egli vede ogni cosa.
I suoi occhi sono su coloro che lo temono,
egli conosce ogni opera degli uomini.
A nessuno ha comandato di essere empio
e a nessuno ha dato il permesso di peccare.
Sir 15,16-21
Il libro del Siracide è un libro un po’ particolare perché fa parte della Bibbia cristiana, ma non figura nel canone ebraico. Si tratta di un testo deuterocanonico che, assieme ai libri di Rut, Tobia, Maccabei I e II, Giuditta, Sapienza e le parti greche del libro di Ester e di Daniele, è considerato ispirato nella tradizione cattolica e ortodossa, per cui è stato accolto dalla Chiesa Cattolica, mentre la tradizione protestante lo considera apocrifo.
È stato scritto originariamente in ebraico a Gerusalemme attorno al 196-175 a.C. da Yehoshua ben Sira (tradotto "Gesù figlio di Sirach", da qui il nome del libro "Siracide"), un giudeo di Gerusalemme, in seguito fu tradotto in greco dal nipote poco dopo il 132 a.C. .
È composto da 51 capitoli con vari detti di genere sapienziale, sintesi della religione ebraica tradizionale e della sapienza comune. Benché non sia stato accolto nel canone ebraico, il Siracide è citato frequentemente negli scritti rabbinici; nel Nuovo Testamento la lettera di Giacomo vi attinge molte espressioni, ed anche la saggezza popolare fa proprie alcune massime.
Nel prologo l'anonimo nipote dell'autore spiega che tradusse il libro quando si trovava a soggiornare ad Alessandria d’Egitto, nel 38° anno del regno Tolomeo VIII, che regnò in Egitto a più riprese a partire dal 132 a.C..
Questo brano anche dal versetto precedente non riportato dalla liturgia:“Egli da principio creò l’uomo e lo lasciò in balìa del suo proprio volere”costituisce una solenne affermazione della libertà umana, che ci ricorda che Dio ci ha creati liberi: "Egli ti ha posto davanti fuoco e acqua: là dove vuoi tendi la tua mano. Davanti agli uomini stanno la vita e la morte: a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà.
Per la comprensione di questo brano occorre aver presente una formula teologica e un dato di fede, che gli scritti dell'Antico testamento usano ribadire con preferenza: Dio ha fatto l'uomo alla maniera con cui il vasaio lavora la creta. Con essa possono essere riprodotti vasi destinati ad uso differente, nobile o vogare. Qui si ribadisce che di fronte al bene o al male - "al fuoco o all'acqua, alla vita o alla morte" - l'uomo è chiamato a scegliere responsabilmente .
“Grande infatti è la sapienza del Signore; forte e potente, egli vede ogni cosa.
I suoi occhi sono su coloro che lo temono,egli conosce ogni opera degli uomini.
A nessuno ha comandato di essere empio e a nessuno ha dato il permesso di peccare.”
Orientarsi verso il bene è aprirsi a Dio, scoprendone il volto e cercando Lui, la Sua sapienza e onnipotenza.
Si percepisce in tutto il brano sempre una terza presenza: Dio non si impone, ma è interessato all'uomo e alle scelte positive che egli fa. La scelta dei vari idoli è una scelta che si ritorce sempre e inevitabilmente in una sottomissione amara. L’uomo può stendere la sua mano su ciò che più gli piace, ma solo se possiede la "sapienza del Signore" potrà scegliere quello che è il "bene" per tutta la sua vita.
Dio infatti non ha mai comandato a nessuno di essere "empio" e non ha mai detto a nessuno di "peccare".
Dal Salmo 118 Beato chi cammina nella legge del Signore.
Beato chi è integro nella sua via
e cammina nella legge del Signore.
Beato chi custodisce i suoi insegnamenti
e lo cerca con tutto il cuore.
Tu hai promulgato i tuoi precetti
perché siano osservati interamente.
Siano stabili le mie vie
nel custodire i tuoi decreti.
Sii benevolo con il tuo servo e avrò vita,
osserverò la tua parola.
Aprimi gli occhi perché io consideri
le meraviglie della tua legge.
Insegnami, Signore, la via dei tuoi decreti
e la custodirò sino alla fine.
Dammi intelligenza, perché io custodisca la tua legge
e la osservi con tutto il cuore.
Questo salmo è il più lungo di tutto il salterio. E' un salmo alfabetico; ogni otto distici comincia con una delle 22 lettere dell'alfabeto, risultando così un totale di 176 distici. Come procedimento usa il metodo della variazione concettuale, cioè vengono usati diversi termini per designare la medesima cosa: la legge divina.
La legge per il salmista non sono solo i dieci comandamenti, ma tutte le grandi azioni di Dio per la liberazione del popolo dall'Egitto, la conquista della terra promessa, la liberazione da Babilonia ecc.: “i tuoi giudizi sono giusti".
Il salmo è stato probabilmente scritto poco prima della deportazione a Babilonia.
Vi compare un giovane, che si trova esposto alla pressione di coloro che in Israele hanno aderito agli idoli e sono capeggiati dal re. Il pio giovane è combattuto per la sua fedeltà alla legge; viene calunniato ingiustamente, fatto oggetto di umiliazioni, di stenti, di insulti: “Gli orgogliosi mi insultano aspramente,ma io non mi allontano dalla tua legge.”; “Si vergognino gli orgogliosi che mi opprimono con menzogne”; “E' tempo che tu agisca, Signore, hanno infranto la tua legge”; “Uno zelo ardente mi consuma, perché i miei avversari dimenticano le tue parole”. I suoi persecutori sono giunti fin quasi ad eliminarlo: “Per poco non mi hanno fatto sparire dalla terra”. “Mi hanno scavato fosse gli orgogliosi” Egli, nel suo disagio continuo, si ritiene un forestiero, un pellegrino: “Forestiero sono qui sulla terra”; “nella dimora del mio esilio”. Tuttavia il giovane forte dell'osservanza della legge, che gli dà luce, sapienza, saggezza, non teme e spera che il Signore lo aiuterà: “Quelli che ti temono al vedermi avranno gioia”; “Davanti ai re parlerò dei tuoi insegnamenti e non dovrò vergognarmi”. I re sono, oltre il re di Gerusalemme, quelli dei popoli vicini, e in particolare quelli di Assiria e Babilonia, nonché del faraone. Tutto ciò fa intendere che il giovane doveva avere una certa autorità, e si potrebbe formulare un'identificazione con un sacerdote del tempio legato al movimento profetico.
Il giovane riconosce di essere stato lontano per il passato dalla parola di Dio: “Prima di essere umiliato andavo errando, ma ora osservo la tua promessa”.
Il giovane Giudeo intende, di fronte alla pressione di coloro che hanno abbandonato la legge e lo deridono, confermarsi saldamente nell'obbedienza alla legge, e intende testimoniarlo davanti a tutti; per questo chiede aiuto a Dio: “Mai dimenticherò i tuoi precetti, perché con essi tu mi fai vivere.”; “Ho giurato e lo confermo, di osservare i tuoi giusti giudizi”; “Rendi saldi i miei passi secondo la tua promessa”; “Mi venga in aiuto la tua mano, perché ho scelto i tuoi precetti". "Mi sono perso come pecora smarrita; cerca il tuo servo: non ho dimenticato i tuoi comandi”.
Il salmista presenta la ricchezza della parola di Dio, della sua legge, dei suoi precetti.
Il salmo nella Liturgia delle ore è presentato spezzato seguendo le lettere alfabetiche.
Il salmo è ricchissimo di sfaccettature luminose sul tema dell'osservanza della parola di Dio.
La recitazione cristiana vede la legge nel compimento attuato da Cristo (Mt 5,17).
Commento di P.Paolo Berti
Dalla 1^ lettera di S.Paolo aspostolo ai Corinzi
Fratelli, tra coloro che sono perfetti parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo, che vengono ridotti al nulla. Parliamo invece della sapienza di Dio, che è nel mistero, che è rimasta nascosta e che Dio ha stabilito prima dei secoli per la nostra gloria. Nessuno dei dominatori di questo mondo l’ha conosciuta; se l’avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria. Ma, come sta scritto:
Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì,
né mai entrarono in cuore di uomo,
Dio le ha preparate per coloro che lo amano.
Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito;
lo Spirito infatti conosce bene ogni cosa, anche le profondità di Dio.
1Cor 2,6-10
Continuando la sua prima lettera ai Corinzi, Paolo dopo aver affrontato il problema delle divisioni che si sono verificate nella comunità di Corinto, riprende il tema della sapienza,
In questo brano l’Apostolo indica prima di tutto che cosa non è questa sapienza: “tra coloro che sono perfetti parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo, che vengono ridotti al nulla”. Se i corinzi non si sono resi conto della sapienza di cui Paolo è maestro, ciò si deve al fatto che egli ne parla in termini conformi solo tra coloro che sono “perfetti” ossia maturi nella fede e sono in grado perciò di capire. Non servirebbe a niente illustrare questa sapienza a persone che non sono preparate a coglierne il significato profondo. La sapienza annunziata da Paolo non è di questo “mondo” e questo termine indica la realtà creata in quanto si oppone a Dio e rifiuta la salvezza portata da Cristo. Essa non è capita neppure dai “dominatori di questo mondo” ossia da coloro che detengono il potere, di qualunque tipo esso sia.
Paolo passa poi a definire la sapienza che egli annunzia: Parliamo invece della sapienza di Dio, che è nel mistero, che è rimasta nascosta e che Dio ha stabilito prima dei secoli per la nostra gloria. Questa sapienza appartiene a Dio e in quanto tale è “misteriosa”, e Dio l’ha stabilita prima dei secoli e l’ha tenuta nascosta per rivelarla proprio ora “per la nostra gloria”.
Paolo sottolinea ulteriormente il carattere nascosto di questa sapienza affermando che:
“Nessuno dei dominatori di questo mondo l’ha conosciuta; se l’avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria.
”Dominatori di questo mondo” si intendono i detentori del potere politico ed anche religioso, tra i quali sono annoverate le autorità giudaiche e romane responsabili della morte di Gesù. La sapienza che Paolo insegna si identifica quindi con la persona di Gesù. Tutti i dominatori di questo mondo sono dunque quelli che hanno rifiutato la sapienza che Paolo comunica ai perfetti, perché attraverso la politica o la religione cercano la propria realizzazione umana, chiudendosi al dono di sé che Dio intende fare mediante la persona umiliata e sconfitta del Figlio.
Paolo caratterizza poi ulteriormente la sapienza da lui annunziata con una citazione biblica presa da diversi testi: “sta scritto: Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo,Dio le ha preparate per coloro che lo amano”.
Paolo poi conclude: “Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito;” ed è solo per mezzo di una rivelazione che Paolo stesso è venuto a conoscenza delle cose di Dio, e questa rivelazione è opera dello Spirito. Lo Spirito non è una realtà estranea a Dio: “lo Spirito infatti conosce bene ogni cosa, anche le profondità di Dio”.
L’apostolo prosegue poi (nei versetti non riportati dal brano) attribuendo allo Spirito una conoscenza di Dio analoga alla conoscenza di sé che è propria dello spirito umano: nessuno può conoscere le cose di Dio senza un intervento speciale dello Spirito, che ai credenti è stato conferito mediante Gesù Cristo,
Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli.
Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.
Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna. Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono.
Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!
Avete inteso che fu detto: Non commetterai adulterio. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore.
Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geènna. E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna.
Fu pure detto: “Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto del ripudio”. Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all’adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio.
Avete anche inteso che fu detto agli antichi: “Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti”. Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio, né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme, perché è la città del grande Re. Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare: “Sì, sì”, “No, no”; il di più viene dal Maligno.
Mt 5,17-37.
Anche questo brano del Vangelo segue il discorso della montagna che è il primo dei cinque grandi discorsi che formano la struttura del Vangelo di Matteo. E’ il discorso che si può definire delle sei antitesi che si apre con una piccola raccolta di detti dei quali almeno i primi due sono antichi, e sono anche riportati da Luca. L’evangelista, unificando questi detti li ha riformulati in modo tale da far loro esprimere l’atteggiamento di Gesù nei confronti della legge.
Il primo detto è così formulato: “Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento”. Si può avere l’impressione che con questa frase Gesù voglia imporre ai discepoli una rigida osservanza della legge mosaica, ma qui si indica non tanto l’osservanza letterale della legge, quanto piuttosto quel nuovo modo di intendere e di praticare la legge che è conforme alla buona novella proclamata da Gesù.
Nel secondo detto riportato, Gesù dice: “In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto”. L’Antico Testamento resta parola di Dio anche per Gesù; il suo valore rimane inalterato, anche nel minimo dettaglio come può essere un iota” (la lettera più minuscola dell’alfabeto ebraico).
Il terzo detto è il seguente: “Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli.” In questo versetto si affronta più direttamente il problema riguardante l’osservanza dei precetti contenuti nella legge: alcuni di essi sono considerati “grandi”, mentre altri, come le varie prescrizioni rituali e alimentari, sono chiaramente secondari ossia “minimi””
L’ultimo detto è : “Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.” Nel linguaggio biblico la giustizia, già nominata da Matteo nelle beatitudini, indica la fedeltà a Dio che si esprime nell’obbedienza ai Suoi comandamenti. Per l’evangelista la giustizia del discepolo deve superare quella degli scribi e dei farisei non perché egli sia tenuto ad osservare precetti più rigidi di quelli insegnati da costoro (Mt 23,3), ma perché egli deve farlo con una mentalità e uno spirito nuovi.
Nell’introduzione alle antitesi Matteo ricompone dunque alcuni antichi detti di Gesù, dai quali fa emergere l’idea secondo cui la legge, mantiene sempre tutta la sua validità, a patto però che essa sia interpretata nell’ottica del compimento portato da Gesù.
La prima antitesi si apre con la citazione del precetto, contenuto nel decalogo, che vieta di uccidere: “Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio.” In contrasto con questa prescrizione, intesa naturalmente in senso restrittivo, Gesù afferma: “Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna.” In questo detto sono equiparati all’omicidio altri tre comportamenti: l’adirarsi con il proprio fratello, il dirgli “stupido”, e il dirgli “pazzo”. È chiaro che non si tratta qui solamente di reazioni naturali emotive, ma di un odio che reca molto male al fratello. Le sanzioni previste per questi peccati consistono nell’essere sottoposti al giudizio, al sinedrio e al fuoco della geenna: da questo crescendo appare che si tratta di peccati gravissimi, che alla fine portano alla rottura con Dio.
Seguono poi due esempi pratici coi quali si spiega in modo positivo quale deve essere il comportamento abituale del discepolo. Nel primo di essi Gesù afferma che, se uno sta facendo la sua offerta nel tempio e si ricorda di avere un contrasto con un suo fratello, deve interrompere la sua azione e riprenderla solo dopo essersi riconciliato con lui.
La seconda antitesi riguarda il sesto comandamento: “Avete inteso che fu detto: Non commetterai adulterio. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore”. Anche qui Gesù si contrappone non al precetto in se stesso, ma a una sua interpretazione riduttiva, sottolineando come anche un semplice sguardo di desiderio rivolto a una donna debba già considerarsi come un adulterio: Dio vuole che l’obbedienza non si limiti agli atti esterni, ma parta dal cuore. A questa antitesi fa seguito un brano formulato anch’esso in forma antitetica:
“Fu pure detto: “Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto del ripudio”. Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all’adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio.” In contrasto con la norma che permette a un uomo di ripudiare la propria moglie scrivendo per lei un libello di ripudio (V. Dt 24,1), Gesù rifiuta il ripudio in se stesso, in quanto è occasione di adulterio: infatti egli considera come adultera non solo la donna ripudiata che contrae un nuovo matrimonio, ma anche l’uomo che la sposa.
Un’idea così radicale deve avere creato difficoltà notevoli alle coppie cristiane: perciò la tradizione successiva sottolinea come, in caso di separazione, ciascuno dei due coniugi commetta adulterio solo se si risposa (Lc 16,18; Mc 10,10-11; Mt 19,9).
Matteo però ritocca anche la direttiva originaria, in quanto afferma che essa non si applica nei casi di “unione illegittima” (V. clausola matteana).
La terza antitesi riguarda l’uso di chiamare Dio a testimone delle proprie affermazioni: Avete anche inteso che fu detto agli antichi: “Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti”. Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio, né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme, perché è la città del grande Re. Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare: “Sì, sì”, “No, no”; il di più viene dal Maligno. ”
Il precetto che proibisce di giurare il falso è preso dal decalogo (Lv 19,12), mentre l’obbligo di adempiere i propri giuramenti si ispira ad altri passi dell’AT (Nm 30,3; Dt 23,22; Sal 50,14). Gesù invece proibisce qualsiasi forma di giuramento e ricorda infine che il sì e il no sono più che sufficienti per dar valore alla propria parola.
Per concludere Gesù condanna l’interpretazione riduttiva ed ipocrita fatta dagli scribi e dai farisei, è il loro atteggiamento che Gesù condanna, lo stesso che può avere anche il fedele cristiano oggi.
Questo atteggiamento purtroppo anche oggi nasce da una lettura presa alla lettera della parola di Dio, ma Gesù spezza questo schema che riguarda anche noi cristiani, che ci accontentiamo di confessare: Non ho ammazzato nessuno (senza pensare che abortire o procurare aborto vuol dire uccidere) , non ho rubato, non ho commesso adulterio, non ho ingannato nessuno. Gesù ci ripresenta il Decalogo nel suo vero significato: i comandamenti sono solo segni essenziali di un atteggiamento interiore, totale, che deve coinvolgere però tutte le scelte quotidiane. Non si è giusti solo in alcuni atteggiamenti superficiali, e magari in alcune ore del giorno, ma lo si è sempre e totalmente quando ci si consacra all’amore del prossimo rispettandolo e aiutandolo, all’amore matrimoniale in una piena donazione, e soprattutto all’amore per la verità e la giustizia anche nelle piccole cose, quelle che solo Dio conosce. In questa luce si comprende cosa Gesù vuol dire quando dice che è venuto a dare pieno compimento alla Legge e a tutto ciò che i profeti avevano annunciato.
Contro i 613 precetti della Legge numerati dai rabbini, Gesù ci ricorda che il comandamento è uno solo eppure abbraccia ogni atto e ogni istante della nostra vita: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. … Amerai il prossimo tuo come te stesso. E’ da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti”.
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“L’odierna liturgia ci presenta un’altra pagina del Discorso della montagna, che troviamo nel Vangelo di Matteo. In questo brano, Gesù vuole aiutare i suoi ascoltatori a compiere una rilettura della legge mosaica. Quello che fu detto nell’antica alleanza era vero, ma non era tutto: Gesù è venuto per dare compimento e per promulgare in modo definitivo la legge di Dio, fino all’ultimo iota . Egli ne manifesta le finalità originarie e ne adempie gli aspetti autentici, e fa tutto questo mediante la sua predicazione e più ancora con l’offerta di sé stesso sulla croce. Così Gesù insegna come fare pienamente la volontà di Dio e usa questa parola: con una “giustizia superiore” rispetto a quella degli scribi e dei farisei. Una giustizia animata dall’amore, dalla carità, dalla misericordia, e pertanto capace di realizzare la sostanza dei comandamenti, evitando il rischio del formalismo. Il formalismo: questo posso, questo non posso; fino a qui posso, fino a qui non posso … No: di più, di più.
In particolare, nel Vangelo di oggi Gesù prende in esame tre aspetti, tre comandamenti: l’omicidio, l’adulterio e il giuramento.
Riguardo al comandamento “non uccidere”, Egli afferma che viene violato non solo dall’omicidio effettivo, ma anche da quei comportamenti che offendono la dignità della persona umana, comprese le parole ingiuriose. Certo, queste parole ingiuriose non hanno la stessa gravità e colpevolezza dell’uccisione, ma si pongono sulla stessa linea, perché ne sono le premesse e rivelano la stessa malevolenza. Gesù ci invita a non stabilire una graduatoria delle offese, ma a considerarle tutte dannose, in quanto mosse dall’intento di fare del male al prossimo.
E Gesù dà l’esempio. Insultare: noi siamo abituati a insultare, è come dire “buongiorno”. E quello è sulla stessa linea dell’uccisione. Chi insulta il fratello, uccide nel proprio cuore il fratello. Per favore, non insultare! Non guadagniamo niente…
Un altro compimento è apportato alla legge matrimoniale. L’adulterio era considerato una violazione del diritto di proprietà dell’uomo sulla donna. Gesù invece va alla radice del male. Come si arriva all’omicidio attraverso le ingiurie, le offese e gli insulti, così si giunge all’adulterio attraverso le intenzioni di possesso nei riguardi di una donna diversa dalla propria moglie. L’adulterio, come il furto, la corruzione e tutti gli altri peccati, vengono prima concepiti nel nostro intimo e, una volta compiuta nel cuore la scelta sbagliata, si attuano nel comportamento concreto. E Gesù dice: chi guarda una donna che non è la propria con animo di possesso è un adultero nel suo cuore, ha incominciato la strada verso l’adulterio. Pensiamo un po’ su questo: sui pensieri cattivi che vengono in questa linea.
Gesù, poi, dice ai suoi discepoli di non giurare, in quanto il giuramento è segno dell’insicurezza e della doppiezza con cui si svolgono le relazioni umane. Si strumentalizza l’autorità di Dio per dare garanzia alle nostre vicende umane. Piuttosto siamo chiamati ad instaurare tra di noi, nelle nostre famiglie e nelle nostre comunità un clima di limpidezza e di fiducia reciproca, così che possiamo essere ritenuti sinceri senza ricorrere a interventi superiori per essere creduti. La diffidenza e il sospetto reciproco minacciano sempre la serenità!
La Vergine Maria, donna dell’ascolto docile e dell’obbedienza gioiosa, ci aiuti ad accostarci sempre più al Vangelo, per essere cristiani non “di facciata”, ma di sostanza! E questo è possibile con la grazia dello Spirito Santo, che ci permette di fare tutto con amore, e così di compiere pienamente la volontà di Dio.”
Papa Francesco Angelus del 12 febbraio 2017
1. Questa domenica, 9 febbraio, si celebra la XXVIll Giornata Diocesana del Malato e del Pellegrino.
2. Martedì 11 febbraio si celebra la memoria liturgica della Madonna di N.S. di Lourdes.
3. Sabato 15 e domenica 16 febbraio nella Parrocchia di S. Damaso si svolge il ritiro del corso "Vita Nuova" per i fidanzati e per tutti coloro che vogliono approfondire la propria fede.
4. Mercoledì 12 febbraio alle ore 19,00 nella sala P. Luciano ci sarà l'incontro con i genitori dei ragazzi che quest'anno riceveranno il sacramento della cresima.
5. Venerdì 14 febbraio si celebra !a festa liturgica dei Ss. Cirillo e Metodio patroni d'Europa e la memoria di S. Valentino.
Le letture che la Liturgia di questa domenica ci porta a meditare, sono impostate sulla luce, ma questa luce è quella dell’uomo: il giusto inondato dalla luce divina diventa a sua volta fiaccola che risplende e riscalda.
Nella prima lettura il Profeta Isaia, reagendo contro una religione fatta di puro formalismo spiega quali siano le pratiche religiose gradite a Dio. Solo in questo caso la gloria del Signore sarà con il suo fedele e questi sarà come luce nelle tenebre.
Nella seconda lettura, l’apostolo Paolo continuando la sua lettera ai Corinzi, ricorda loro che la sua predicazione si ispira alla sapienza del Signore, che è la sola capace di condurre l’uomo alla conversione e alla salvezza. .
Il Vangelo di Matteo ci propone un brano tratto dal “Discorso della Montagna” in cui Gesù dice ai suoi discepoli, ed anche a noi oggi: “Voi siete il sale della terra…e luce del mondo”. E’ un invito, quello di Gesù, a non essere cristiani mascherati, in incognito, che passano la vita in mezzo agli altri senza farsi apostoli del suo credo. Che sale della terra sono se non hanno sapore? Che razza di lucerna sono se non illuminano? Senza nascondersi, senza mimetizzarsi, senza impigrirsi il cristiano deve essere esposto al sole di Dio come la città posta sui monti. E la luce ricevuta non deve racchiuderla nel “moggio” del suo gruppo, della sua famiglia , della sua parrocchia, ma disseminarla su tutti i fratelli e su tutte le creature di Dio.
Dal libro del profeta Isaìa
Così dice il Signore:
«Non consiste forse [il digiuno che voglio]
nel dividere il pane con l’affamato,
nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto,
nel vestire uno che vedi nudo,
senza trascurare i tuoi parenti?
Allora la tua luce sorgerà come l’aurora,
la tua ferita si rimarginerà presto.
Davanti a te camminerà la tua giustizia,
la gloria del Signore ti seguirà.
Allora invocherai e il Signore ti risponderà,
implorerai aiuto ed egli dirà: “Eccomi!”.
Se toglierai di mezzo a te l’oppressione,
il puntare il dito e il parlare empio,
se aprirai il tuo cuore all’affamato,
se sazierai l’afflitto di cuore,
allora brillerà fra le tenebre la tua luce,
la tua tenebra sarà come il meriggio».
Is 58,7-10
La terza parte del libro di Isaia (Is 56-66) contiene una raccolta di oracoli che, per lo stile e lo sfondo storico, sono attribuiti ad un anonimo profeta del postesilio, al quale perciò è stato dato il nome di Trito (Terzo) Isaia. Alcuni hanno ritenuto che egli fosse un discepolo del Deuteroisaia, mentre altri hanno pensato a un profeta vissuto più di un secolo dopo di lui. Il profeta si rivolge non più agli esiliati, ma ai giudei ritornati da Babilonia a Gerusalemme; il suo centro di interesse non è più il nuovo esodo, ma il ristabilimento delle istituzioni teocratiche, le quali sono minacciate non da agenti esterni, ma dalla infedeltà del popolo.
Il capitolo, da dove è tratto questo brano, si apre con un’aspra critica del digiuno così come veniva praticato in modo ipocrita dalla gente, il vero digiuno, gradito a Dio, consiste invece nell’impegno efficace per la giustizia.
Il capitolo continua con il brano riportato dalla liturgia:
“«Non consiste forse [il digiuno che voglio] nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto,nel vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti?” Queste regole si comprendono nel contesto del postesilio, nel quale non si erano verificate le speranze di un mondo rinnovato, ma invece erano ritornate tutte le discriminazioni che erano state condannate prima dai profeti. Il vero digiuno implica, oltre che l’eliminazione delle pesanti restrizioni imposte dai ricchi alle classi più povere, una solidarietà attiva, che porta a condividere quanto si ha con gli affamati, con tutti coloro che sono privi del necessario per condurre una vita dignitosa.
Il profeta sottolinea comunque che ciò non deve avvenire a discapito dei propri familiari perché hanno un maggiore diritto ad essere aiutati.
Il testo prosegue poi con le beatitudini che derivano dal vero digiuno:
“Allora la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà presto. Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà.”
Il profeta immagina che da un comportamento giusto emani una grande luce, che si accompagna con la guarigione di tutte le piaghe da cui è afflitto il popolo. La pratica della giustizia infatti va di pari passo con la manifestazione della gloria di Dio. In altre parole la gloria di Dio, cioè la Sua presenza salvifica, si manifesta appunto nella giustizia sociale praticata dal popolo.
Solo la pratica della giustizia sarà per il popolo una garanzia che la sua preghiera sarà ascoltata da Dio: «Allora invocherai e il Signore ti risponderà, implorerai aiuto ed egli dirà: “Eccomi!”».
Ritornando poi sul comportamento richiesto in tempo di digiuno, il profeta soggiunge: «Se toglierai di mezzo a te l’oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, se aprirai il tuo cuore all’affamato, se sazierai l’afflitto di cuore, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio» .
Un comportamento improntato al rispetto dei diritti della persona e alla solidarietà, farà del popolo il portatore di una luce che le tenebre di questo mondo non potranno soffocare.
Il tema della luce è molto caro al Terzo Isaia, che vede in essa la manifestazione della presenza di Dio in mezzo al suo popolo. Seguendo questa luce, il popolo stesso diventa luce del mondo, cioè può testimoniare a tutta l’umanità la vera religione, basata non sul culto ma sulla giustizia sociale.
Salmo 111 - Il giusto risplende come luce.
Spunta nelle tenebre,
luce per gli uomini retti:
misericordioso, pietoso e giusto.
Felice l’uomo pietoso che dà in prestito,
amministra i suoi beni con giustizia.
Egli non vacillerà in eterno:
eterno sarà il ricordo del giusto.
Cattive notizie non avrà da temere,
saldo è il suo cuore, confida nel Signore.
Sicuro è il suo cuore, non teme,
egli dona largamente ai poveri,
la sua giustizia rimane per sempre,
la sua fronte s’innalza nella gloria.
E' un salmo stilisticamente gemello del 110. Tratta del giusto il quale è beato perché “teme il Signore”. Questo timore non gli dà paura, ma lo zelo nell'osservanza dei comandamenti, i quali donano pace e gioia: “nei suoi precetti trova grande gioia”.
Il giusto è gradito a Dio e “la discendenza dei giusti sarà benedetta”.
“La sua giustizia rimane per sempre”, perché deriva dall'osservanza della parola di Dio, la quale non guida l'uomo a passi falsi. Il giusto, per il suo esempio e la sua parola, è riconosciuto dai giusti come luce che fuga le tenebre: “Spunta nelle tenebre, luce per gli uomini retti”.
L' uomo che dà in prestito applica l'amore verso il prossimo e perciò “amministra i suoi beni con giustizia”, senza avarizia, senza egoismo; tuttavia non bisogna lasciarsi raggirare poiché (Sir 12,4): “Fà doni all'uomo pio e non dare aiuto al peccatore”.
“Eterno sarà il ricordo del giusto" perché è stato di esempio, di luce, e la sua memoria è dolce e ricca di stimoli al bene: “La sua giustizia rimane per sempre”.
“Saldo è il suo cuore, confida nel Signore”; la saldezza del cuore deriva non da durezza interiore, ma dalla confidenza in Dio, che non lascia mai il giusto senza aiuto di fronte all'empio: “Sicuro è il suo cuore, non teme, finché non vedrà la rovina dei suoi nemici”.
Non solo il giusto dà in prestito a chi è leale, ma “dona largamente ai poveri”.
“La sua fronte si innalza nella gloria”, cioè la sua capacità nella preghiera lo pone nella vittoria, nella gloria che accompagna la vittoria nelle aspre battaglie della vita. Ma di fronte alle vittorie sui suoi nemici egli rimane umile, “misericordioso, pietoso e giusto”. L'empio che lo invidia e lo insidia “digrigna i denti”, ma nulla può, e “si consuma” nella sua impotenza contro il giusto, poiché “il desiderio dei malvagi va in rovina”, anche se può prevalere sul giusto fino ad ucciderlo; ma non potrà vincerlo nel cuore (Cf. Mt 10,28).
Commento di P.Paolo Berti
Dalla 1^ lettera di S.Paolo aspostolo ai Corinzi
Io, fratelli, quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l’eccellenza della parola o della sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso.
Mi presentai a voi nella debolezza e con molto timore e trepidazione. La mia parola e la mia predicazione non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio.
1Cor 2,1-5
Continuando la sua prima lettera ai Corinzi, Paolo dopo aver rimproverato i Corinzi di essere divisi tra di loro, li esorta a non cercare la sapienza della parola, che si contrappone alla follia della croce. Egli pone due esempi della diversa logica dell'agire di Dio. Il primo (1,26-31), è che nonostante la povertà materiale e culturale dei cristiani di Corinto, essi erano stati scelti per partecipare alla salvezza di Cristo, realizzata mediante la croce. Il secondo esempio, che troviamo nel brano di oggi, Paolo pone se stesso nell’attività da lui svolta a Corinto. :
Il brano inizia con il ricordo di Paolo:
“Io, fratelli, quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l’eccellenza della parola o della sapienza”.
Paolo ha annunziato questo mistero senza far leva su espedienti che, come l’eloquenza o i ragionamenti filosofici, che sono espressione della sapienza umana, servono anche a determinare il successo personale. Egli ricorda il momento in cui si presentò a Corinto. Era reduce dal fallimento che aveva subito ad Atene, proprio quando aveva cercato di parlare di Cristo utilizzando parole arricchite di sapienza e filosofia (At 17,16-34). Egli stesso aveva sperimentato che non doveva più utilizzare questo sistema, che è espressione della sapienza umana, all’insito scopo di determinare anche il proprio successo personale..
Egli prosegue poi indicando quale è stato l’oggetto del suo annunzio:” Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso”
In altre parole, Paolo non usò più il fascino dell’eloquenza, ma presentò ai Corinzi il nucleo centrale del Vangelo, ossia la persona di Cristo crocifisso, proprio nel culmine della Sua debolezza.. C’è da tener presente che ai tempi di Paolo la crocifissione era ancora il metodo utilizzato dai romani per la condanna a morte dei malfattori. Quindi predicare un "crocifisso" era contro ogni logica umana di accettazione.
“Mi presentai a voi nella debolezza e con molto timore e trepidazione”.
Paolo quando arrivò a Corinto era reduce dunque della sconfitta di Atene, si sentiva perciò debole, demoralizzato: come avrebbe potuto presentare il messaggio di un crocifisso portato da un uomo segnato dalla debolezza e dal timore?.
“La mia parola e la mia predicazione non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza”,
Paolo in altre parole, non ha voluto imporsi sfoggiando doti personali, ma ha lasciato che fosse lo Spirito stesso a convincere i suoi ascoltatori. L’opera dello Spirito infatti non si manifesta in azioni straordinarie o miracoli, ma nella capacità che il vangelo possiede di convincere chi lo ascolta e di coinvolgerlo nel cammino fatto da Gesù.
Infine l’Apostolo indica lo scopo per cui si è comportato in questo modo: “perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio”.
Egli non ha dunque voluto mettere se stesso in primo piano, perché la fede dei corinzi non fosse basata su di lui, ma unicamente su Dio e sulla Sua potenza.
Il fatto che, nonostante la totale assenza di mezzi umani, i corinzi abbiano creduto in Cristo dimostra che l’azione di Dio è stata efficace e ci fa comprendere, almeno in parte, quale sia la forza che sprigiona per poter trasformare la vita di ognuno.
Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato?
A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente. Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli».
Mt 5,13-16
Questo brano del Vangelo di Matteo fa parte del discorso della montagna, in cui Gesù presenta le nove Beatitudini. Ora vengono riportate due piccole similitudini. La prima viene presa dal campo alimentare e comincia con un’affermazione:”Voi siete il sale della terra”, poi Gesù pone una domanda :ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato?” E conclude: “A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente”. Il sale ha una grande importanza nella preparazione dei cibi ed è usato per dare loro sapore, rendendoli così commestibili.
Nell’Antico Testamento il sale, con il quale venivano cosparse le vittime sacrificali, era considerato come simbolo dell’alleanza (Lv 2,13; Col 4,6), e di conseguenza come sorgente di pace, non solo con Dio, ma anche fra tutti i membri del popolo.
Matteo, identificando i discepoli con il sale e mettendo questo in rapporto con la terra, trasforma il detto in una direttiva riguardante i loro rapporti con quelli che si trovano all’esterno della comunità: verso di essi i discepoli devono essere testimoni credibili del messaggio di Gesù.
La seconda similitudine inizia con un’affermazione: Voi siete la luce del mondo; seguono poi due frasi dimostrative: “non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa”.
Infine termina con un’applicazione: “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli.”
La similitudine della lampada sul candeliere viene presa dalla vita quotidiana, in cui specialmente di notte è indispensabile scacciare le tenebre con una lucerna. Naturalmente la lucerna è utile solo se è messa sul lucerniere e non viene nascosta, per esempio sotto un moggio (recipiente per misurare i cereali) o sotto un letto.
Nell’Antico Testamento la luce simboleggia Dio, in quanto salvatore del Suo popolo (Is 9,1; Sal 27,1), e la Sua legge (Sal 119,105); in modo particolare il Servo del Signore è chiamato “luce del mondo” (Is 42,6; 49,6).
Il cristiano autentico, senza nascondersi, senza mimetizzarsi, senza impigrirsi si deve esporre al sole di Dio come la città posta sui monti. E la luce ricevuta non deve racchiuderla sotto il moggio del suo gruppo, della sua famiglia, della sua parrocchia, ma diffonderla su tutti i fratelli e su tutte le creature di Dio.
Nietzsche, il famoso filosofo ateo tedesco, riprendeva così i cristiani: “Se la buona novella della vostra Bibbia fosse anche scritta sul vostro volto, voi non avreste bisogno di insistere perché si creda all’autorità della Bibbia: le vostre opere dovrebbero rendere quasi superflua la Bibbia, perché voi stessi dovreste costituire la Bibbia viva”.
*****
“In queste domeniche la liturgia ci propone il cosiddetto Discorso della montagna, nel Vangelo di Matteo. Dopo aver presentato domenica scorsa le Beatitudini, oggi mette in risalto le parole di Gesù che descrivono la missione dei suoi discepoli nel mondo .
Egli utilizza le metafore del sale e della luce e le sue parole sono dirette ai discepoli di ogni tempo, quindi anche a noi.
Gesù ci invita ad essere un riflesso della sua luce, attraverso la testimonianza delle opere buone.
E dice: «Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli» . Queste parole sottolineano che noi siamo riconoscibili come veri discepoli di Colui che è la Luce del mondo, non nelle parole, ma dalle nostre opere. Infatti, è soprattutto il nostro comportamento che – nel bene e nel male – lascia un segno negli altri. Abbiamo quindi un compito e una responsabilità per il dono ricevuto: la luce della fede, che è in noi per mezzo di Cristo e dell’azione dello Spirito Santo, non dobbiamo trattenerla come se fosse nostra proprietà. Siamo invece chiamati a farla risplendere nel mondo, a donarla agli altri mediante le opere buone. E quanto ha bisogno il mondo della luce del Vangelo che trasforma, guarisce e garantisce la salvezza a chi lo accoglie! Questa luce noi dobbiamo portarla con le nostre opere buone.
La luce della nostra fede, donandosi, non si spegne ma si rafforza. Invece può venir meno se non la alimentiamo con l’amore e con le opere di carità. Così l’immagine della luce s’incontra con quella del sale.
La pagina evangelica, infatti, ci dice che, come discepoli di Cristo, siamo anche «il sale della terra». Il sale è un elemento che, mentre dà sapore, preserva il cibo dall’alterazione e dalla corruzione – al tempo di Gesù non c’erano i frigoriferi! –. Pertanto, la missione dei cristiani nella società è quella di dare “sapore” alla vita con la fede e l’amore che Cristo ci ha donato, e nello stesso tempo di tenere lontani i germi inquinanti dell’egoismo, dell’invidia, della maldicenza, e così via. Questi germi rovinano il tessuto delle nostre comunità, che devono invece risplendere come luoghi di accoglienza, di solidarietà, di riconciliazione.
Per adempiere a questa missione, bisogna che noi stessi per primi siamo liberati dalla degenerazione corruttrice degli influssi mondani, contrari a Cristo e al Vangelo; e questa purificazione non finisce mai, va fatta continuamente, va fatta tutti i giorni!
Ognuno di noi è chiamato ad essere luce e sale nel proprio ambiente di vita quotidiana, perseverando nel compito di rigenerare la realtà umana nello spirito del Vangelo e nella prospettiva del regno di Dio. Ci sia sempre di aiuto la protezione di Maria Santissima, prima discepola di Gesù e modello dei credenti che vivono ogni giorno nella storia la loro vocazione e missione.
La nostra Madre ci aiuti a lasciarci sempre purificare e illuminare dal Signore, per diventare a nostra volta “sale della terra” e “luce del mondo”.”
Papa Francesco Angelus del 5 febbraio 2017
Questa domenica, 2 febbraio, la Chiesa celebra la presentazione al Tempio di Gesù, popolarmente conosciuta come festa della Candelora, perché in questo giorno si benedicono le candele, simbolo di Cristo "luce per illuminare le genti", come il bambino Gesù venne chiamato dal vecchio Simeone al momento della presentazione al Tempio di Gerusalemme. Si può affermare che la presentazione di Gesù al Tempio è più un mistero doloroso che gaudioso perchè per Maria inizia il mistero della sofferenza, che raggiungerà il culmine ai piedi della croce.
Nella prima lettura il Profeta Malachia annuncia l’entrata messianica del Signore nel Suo tempio per purificare il popolo dalle sue infedeltà e offrire un’oblazione a Dio gradita.
Nella seconda lettura, l’autore della Lettera agli Ebrei presenta Gesù che, resosi in tutto simile ai fratelli, è il sacerdote sommo che inaugura il nuovo culto della nuova alleanza.
Nel Vangelo di Luca leggiamo che Maria e Giuseppe, per osservare la legge ebraica, presentano Gesù al tempio. Lì trovano due anziani, Anna e Simeone il quale riconosce nel Bambino il Messia. Lo prende tra le braccia e, colmo di pace e serenità, intona il suo canto di congedo da questo mondo.
Dal libro del profeta Malachia
Così dice il Signore Dio:
«Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate; e l'angelo dell'alleanza, che voi sospirate, eccolo venire, dice il Signore degli eserciti.
Chi sopporterà il giorno della sua venuta? Chi resisterà al suo apparire? Egli è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai.
Siederà per fondere e purificare l'argento; purificherà i figli di Levi, li affinerà come oro e argento, perché possano offrire al Signore un'offerta secondo giustizia.
Allora l'offerta di Giuda e di Gerusalemme sarà gradita al Signore come nei giorni antichi, come negli anni lontani».
Ml 3, 1-4 .
Malachia , il cui nome significa "messaggero di Javhè“,è l’ultimo dei profeti minori dell’A.T., che gli ebrei chiamano per questo “Sigillo dei profeti” .
Si sa poco della sua vita, era della tribù di Zabulon e nacque a Sofa; visse certamente dopo l’esilio babilonese in un periodo di grande decadenza religiosa e morale (intono agli anni 450 a.C) . Non si può determinare con certezza se le sue profezie siano anteriori, contemporanee o posteriori al ritorno di Esdra in Palestina (sommo sacerdote ebreo, codificatore del giudaismo, V-IV secolo a.C.).
Il libro di Malachia tratta dei problemi morali relativi alla comunità ebraica, reduce dalla prigionia babilonese e a cui rimprovera le lamentele contro la Provvidenza di Dio, stimolandola a pentirsi. Egli mette in evidenza “l’elezione” d’Israele, che non è solo un privilegio onorifico di Dio, ma comporta degli obblighi, come ogni dono divino; rimprovera i sacerdoti che trascurano e offendono la dignità di JHWH e del culto a Lui dovuto.
Nella requisitoria contro il malcostume egli è intransigente e condanna i matrimoni misti, difende la indissolubilità del matrimonio, ecc. Il libro termina con una visione escatologica (cioè quello che seguirà alla vita terrena e alla fine del mondo), annunciante la venuta del messaggero di Dio, che farà una cernita dei buoni nel suo popolo; in questa profezia si può prefigurare la venuta di Giovanni Battista.
I Padri sono concordi nel vedere in Malachia il preannunzio profetico del sacrificio della Messa, con Gerusalemme che perde il titolo di “luogo dove bisogna adorare”, e Gesù che istituisce il rito eucaristico per tutta l’umanità.
In questo brano il profeta Malachia ricorda le parole del Signore: “Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate…” il Suo "messaggero" sotto forma di "angelo dell’alleanza” entrerà nel tempio santo, e chiede se i popoli siano pronti ad accoglierlo. Esso infatti li aiuterà, li purificherà, sarà come "fuoco e lisciva" che forgiano e purificano, e così le popolazioni di Giuda e di Gerusalemme trovato il Dio che attendevano, potranno fare offerte al Signore secondo giustizia ed esse stesse potranno ritornare agli antichi splendori".
Gesù in Mt 11,10 applicherà “Ecco, io mando davanti a te il mio messaggero che preparerà la tua via davanti a te.” a Giovanni Battista
Salmo 23 - Vieni, Signore, nel tuo tempio santo
Alzate, o porte, la vostra fronte,
alzatevi, soglie antiche,
ed entri il re della gloria.
Chi è questo re della gloria?
Il Signore forte e valoroso,
il Signore valoroso in battaglia.
Alzate, o porte, la vostra fronte,
alzatevi, soglie antiche,
ed entri il re della gloria.
Chi è mai questo re della gloria?
Il Signore degli eserciti è il re della gloria.
Il salmo presenta il momento in cui Israele ritorna dell’esilio. Ora è consapevole, dopo la distruzione di Gerusalemme e del tempio, che per salire al tempio e per abitare alla sua ombra bisogna essere puri di cuore; il tempio non salva nessuno se non c’è la fedeltà alla legge.
Il Signore è di maestà infinita, e sua “è la terra e quanto contiene: il mondo, con i suoi abitanti”.
Dalla considerazione della grandezza e potenza di Dio parte l’esame delle qualità di chi andrà ad abitare all’ombra del tempio del Signore.
Il tempio è stato distrutto e un coro dice alle porte di ristabilire se stesse. Esse sono state distrutte, ma sono pure “eterne” (traduzione letterale), e perciò saranno rifatte.
Dalle porte del tempio, comprese quelle dell’atrio degli olocausti, entrerà il re della gloria a prendere dimora con la sua gloria nel tempio, nel santo dei santi.
E’ il Signore potente in battaglia, che vince i suoi nemici. “Il Signore degli eserciti” è il Signore delle schiere dei valorosi nella fede.
Il “sensus plenior" del salmo è per salire il monte santo, cioè giungere alla mensa Eucaristica, salire in un cammino d’iniziazione, alla partecipazione piena all’altare, e dimorare nella fede e nell’amore nella casa del Signore richiede rettitudine di vita. Occorre cercare colui che già si è fatto trovare; cercarlo per più conoscerlo e amarlo, in un tendere all’infinito a lui.
E i cieli sono aperti. Le porte del cielo ostruitesi per il peccato dell’uomo ora si sono riaperte. I cori angeli hanno proclamato: “Alzate, o porte, la vostra fronte, alzatevi soglie antiche, ed entri il re della gloria…”. Entri il “Signore valoroso in battaglia”, quella che ha condotto contro le tenebre lanciategli da Satana e i dolori della croce. “E’ il Signore degli eserciti il re della gloria”, il Signore delle schiere apostoliche della Chiesa,
Commento di P. Paolo Berti
Dalla lettera agli Ebrei
Poiché i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Cristo allo stesso modo ne è divenuto partecipe, per ridurre all'impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che, per timore della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita.
Egli infatti non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo si prende cura. Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e degno di fede nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo.
Infatti, proprio per essere stato messo alla prova e avere sofferto personalmente, egli è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova.
Eb 2, 14-18
L’autore della Lettera agli Ebrei è rimasto anonimo, anche se nei primi tempi si è pensato a Paolo di Tarzo, ma sia la critica antica che moderna, ha escluso concordemente questa attribuzione.
L’autore è certamente di origine giudaica, perchè conosce perfettamente la Bibbia, ha una fede integra e profonda, una grande cultura, ma tutte le congetture fatte sul suo nome rimangono congetture, si può solo dedurre che nel cristianesimo primitivo ci furono notevoli personalità oltre agli apostoli, anche se rimaste sconosciute. Quanto ai destinatari – ebrei – è certo che l’autore non si rivolge agli ebrei per invitarli a credere in Cristo, il suo scopo è invece quello di ravviare la fede e il coraggio ai convertiti di antica data, con tutta probabilità di origine giudaica. Infatti per discutere con essi, l’autore cita in continuazione la Scrittura e richiama incessantemente le idee e le realtà più importanti della religione giudaica .
Nella prima parte della lettera si descrive il ruolo di Cristo nel piano di Dio (1,5 - 2,18) e nella seconda parte si presenta Gesù come sommo sacerdote (3,1 - 5,10). La salvezza da lui portata è delineata nella parte centrale della lettera (5,11 - 10,39) e dopo (11,1 - 12,13), l’autore affronta il tema della risposta che la comunità deve dare a questa salvezza. Questa risposta consiste essenzialmente nella fede perseverante, mediante la quale si ha accesso ai beni che il sacrificio di Cristo ha acquistati.
In questo brano, tratto dal 2 capitolo, l’autore dopo aver iniziato con una esortazione afferma che la redenzione è realizzata dal Cristo, non dagli angeli e continua dicendo:
“Poiché i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Cristo allo stesso modo ne è divenuto partecipe, per ridurre all'impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo”.
Con la Sua incarnazione Gesù è divenuto partecipe del sangue e della carne dell'uomo, cioè della sostanziale debolezza della condizione umana, per questo soggetto alla morte. La morte però è stata per Lui il mezzo per sconfiggere colui che traeva potere dalla morte stessa cioè il diavolo, colui che divide dal bene, da Dio.
“e liberare così quelli che, per timore della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita”.
L'uomo vede la morte come fallimento, separazione dai propri cari, da Dio. Su questo stato di angoscia, che paralizza, che rende l'uomo estremamente debole e facilmente ricattabile, il diavolo esercita la sua influenza rendendo ancora più schiavi gli uomini, proprio in forza della paura della morte. La solidarietà di Gesù con la storia dei Suoi fratelli cambia completamente il senso della morte. Egli la vive in assoluta fedeltà a Dio ed espressione della massima comunione o condivisione con gli uomini. Perciò la morte viene privata della sua forza ricattatoria e schiavizzante per l'uomo.
“Egli infatti non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo si prende cura.”
Questa liberazione non ha senso per il mondo spirituale degli angeli, ma per quelli che hanno in comune "la carne e il sangue", che caratterizza i rapporti umani. Non solo, si parla della stirpe di Abramo, cioè di coloro che sono la realizzazione della promessa fatta da Dio stesso al padre della fede, ma alla stirpe di Abramo si associa ormai tutta l'umanità.
“Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e degno di fede nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo”.
Quindi in forza della Sua morte, Gesù diventa il vero sommo sacerdote. E' questo il punto chiave di tutta la lettera agli Ebrei e l'autore lo esprimerà meglio più avanti. Qui si limita a ricordare che poiché ha impegnato tutto se stesso con la Sua morte e vincendola è un sommo sacerdote, il cui sacrificio è quantomai efficace. E' un sacerdote misericordioso, cioè prova compassione per tutti ed è degno di fede poiché ha pagato di persona l'espiazione dei peccati di tutto il popolo.
“Infatti, proprio per essere stato messo alla prova e avere sofferto personalmente, egli è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova”.
Egli non poteva che essere misericordioso, perché essendo passato attraverso la sofferenza, può capire, meglio di chiunque altro, coloro che sono nella sofferenza e nella morte e grazie alla Sua vittoria sulla morte può essere di aiuto a coloro che subiscono le stesse prove.
Nota: La verità dell’Incarnazione, fondamentale nella fede cristiana, ha creato non poche difficoltà agli albori del cristianesimo. I primi cristiani, che tentavano di “spiegare” chi fosse veramente Gesù, hanno talmente sottolineato la Sua umanità da negarne la divinità o comunque “diminuirla” rispetto a quella del Padre; altri invece hanno talmente sottolineato la divinità di Cristo da parlare della Sua umanità nei termini di apparenza o comunque di una umanità non “carnale” (debole) come la nostra. Ci sono voluti secoli e tutti i primi Concili della Chiesa per trovare il modo efficace e appropriato per esprimere la fede in modo compiuto.
Dal Vangelo secondo Luca
Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.
Ora a Gerusalemme c'era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d'Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore.
Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch'egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:
«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo
vada in pace, secondo la tua parola,
perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli:
luce per rivelarti alle genti
e gloria del tuo popolo, Israele».
Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione e anche a te una spada trafiggerà l'anima , affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».
C'era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.
Lc 2, 22-40
Nel suo Vangelo, Luca ci presenta la vita di Gesù anche all'interno delle pratiche religiose giudaiche, e in questo brano porta la nostra attenzione sulla presentazione al Tempio al quarantesimo giorno dalla Sua nascita. E’ un quadro pieno di personaggi in cui si intravedono tutti i misteri contemplati nell'Incarnazione e nella Natività.
Il brano inizia riportando che:
“Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore»”
Anche la famiglia di Gesù si sottopone alla Legge in tutte le sue prescrizioni. La legge consisteva anzitutto nella circoncisione del primogenito, che prevedeva il rito del "riscatto" del bambino e dell’imposizione del nome (Gen 17,9-14;). Il nome è importante perché indica il mistero irripetibile della persona umana. Rivelare il nome, imporre il nome, chiamare per nome, afferma la relazione con l’altro, così Gesù entra anche giuridicamente nella comunità degli uomini,.
“e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore”
Per le famiglie benestanti questa offerta imponeva il sacrificio di un grosso animale, mentre per le famiglie povere, l’offerta poteva consistere in colombi o tortore (Lv 12,1-8). Luca qui precisa che Giuseppe e Maria offrirono il sacrificio dei poveri e con questo gesto vengono annoverati tra i poveri di Israele.
“Ora a Gerusalemme c'era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d'Israele, e lo Spirito Santo era su di lui”.
Simeone viene presentato con tre qualità: giusto, pio e paziente e “che aspettava la consolazione d'Israele”. Simeone dunque è un uomo dall’attesa speranzosa e in questi suoi atteggiamenti troviamo in lui il dono dello Spirito Santo.
“Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch'egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio”,
E’ lo Spirito Santo stesso che agisce in Simeone perché lo spinge a recarsi al tempio e nel gesto di prendere tra le braccia il bambino e benedire Dio, accoglie il mistero del Dio incarnato. Esprime poi la gioia di questo incontro preannunciando una straordinaria profezia su Gesù e Maria.
«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele». Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui.
L’esultanza di Simeone è paragonabile a quella di Maria e di Zaccaria; egli percepisce di aver finalmente realizzato l’incontro della sua vita! Simeone si pone dinanzi a Dio in rapporto di servo in totale dipendenza dal Signore, Creatore del mondo al quale Simeone è stato fedele durante tutta la sua esistenza. Ora egli non dovrà più attendere: i suoi occhi hanno potuto vedere la salvezza, la luce e la gloria, nella estrema debolezza di un bambino! Soltanto colui che ha saputo attendere nella fede, ora può esultare nella lode!
Simeone poi, sempre spinto dallo Spirito Santo, preannuncia la Passione e la Resurrezione di Gesù, e dice rivolgendosi a Maria: “egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione e anche a te una spada trafiggerà l'anima, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».”
Nel mondo giudaico l'immagine della spada veniva usata per indicare la Parola di Dio. Paolo userà spesso questo termine e nella lettera agli Ebrei il suo autore affermerà “la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio”(Eb 4,12). Gesù sarà quella spada che dividerà quanti l'accolgono da coloro che lo rifiutano.
“C'era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme”
Luca introducendo questa parte fa uscire di scena Simeone per sostituirlo con un'altra figura profetica:, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser, citata subito col raro titolo di profetessa come Debora (Gdc 4,4) . L’evangelista ci dice che Anna era vissuta con il marito per 7 anni e poi rimasta vedova aveva 84 anni. Non è un caso che citi proprio questo numero perché nella simbologia dei numeri il 7 significa compiutezza e perfezione, richiamandosi ai giorni che ha impiegato Dio per creare il mondo, la cui importanza simbolica deriva dal fatto che il 7 è la somma di tre e 4, che rappresentano rispettivamente il cielo e la terra. Perciò il 7 è il risultato dell’unione del mondo spirituale con quello materiale. Come per il 7 l’importanza simbolica del 12 deriva dal 3 moltiplicato per 4 che danno per risultato appunto 12 che sta ad indicare la fusione della sfera spirituale e materiale (12 è anche il numero delle tribù di Israele e del numero degli apostoli). Non è ardito pensare che questo numero sia stato messo per la sua forte valenza simbolica per confermare due eventi importanti e simultanei: il primo ingresso di Gesù nel tempio e il suo riconoscimento come salvatore di Israele, il Messia..
“Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.
In quest’ultima espressione di Luca, c’è la conclusione in cui possiamo intravedere l'umanità di Gesù, che cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, l'umanità di Maria, che meditando le parole del vecchio Simeone, vive la sua maternità, in vista della Passione redentrice del Figlio Gesù, che è anche la sua passione dolorosa di corredentrice del genere umano, l'umanità di Giuseppe che provvede a formare con Gesù e Maria una famiglia terrena alla luce della grazia di Dio.
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“Oggi celebriamo la festa della Presentazione di Gesù al tempio. In questa data ricorre anche la Giornata della vita consacrata, che richiama l’importanza per la Chiesa di quanti hanno accolto la vocazione a seguire Gesù da vicino sulla via dei consigli evangelici.
Il Vangelo odierno racconta che, quaranta giorni dopo la nascita di Gesù, Maria e Giuseppe portarono il Bambino al tempio per offrirlo e consacrarlo a Dio, come prescritto dalla Legge ebraica. Questo episodio evangelico costituisce anche un’icona della donazione della propria vita da parte di coloro che, per un dono di Dio, assumono i tratti tipici di Gesù vergine, povero e obbediente.
Questa offerta di sé stessi a Dio riguarda ogni cristiano, perché tutti siamo consacrati a Lui mediante il Battesimo. Tutti siamo chiamati ad offrirci al Padre con Gesù e come Gesù, facendo della nostra vita un dono generoso, nella famiglia, nel lavoro, nel servizio alla Chiesa, nelle opere di misericordia. Tuttavia, tale consacrazione è vissuta in modo particolare dai religiosi, dai monaci, dai laici consacrati, che con la professione dei voti appartengono a Dio in modo pieno ed esclusivo. Questa appartenenza al Signore permette a quanti la vivono in modo autentico di offrire una testimonianza speciale al Vangelo del Regno di Dio. Totalmente consacrati a Dio, sono totalmente consegnati ai fratelli, per portare la luce di Cristo là dove più fitte sono le tenebre e per diffondere la sua speranza nei cuori sfiduciati.
Le persone consacrate sono segno di Dio nei diversi ambienti di vita, sono lievito per la crescita di una società più giusta e fraterna, sono profezia di condivisione con i piccoli e i poveri. Così intesa e vissuta, la vita consacrata ci appare proprio come essa è realmente: è un dono di Dio, un dono di Dio alla Chiesa, un dono di Dio al suo Popolo! Ogni persona consacrata è un dono per il Popolo di Dio in cammino. C’è tanto bisogno di queste presenze, che rafforzano e rinnovano l’impegno della diffusione del Vangelo, dell’educazione cristiana, della carità verso i più bisognosi, della preghiera contemplativa; l’impegno della formazione umana, della formazione spirituale dei giovani, delle famiglie; l’impegno per la giustizia e la pace nella famiglia umana. Ma pensiamo un po’ cosa succederebbe se non ci fossero le suore negli ospedali, le suore nelle missioni, le suore nelle scuole. Ma pensate una Chiesa senza le suore! Non si può pensare: esse sono questo dono, questo lievito che porta avanti il Popolo di Dio. Sono grandi queste donne che consacrano la loro vita a Dio, che portano avanti il messaggio di Gesù.
La Chiesa e il mondo hanno bisogno di questa testimonianza dell’amore e della misericordia di Dio. I consacrati, i religiosi, le religiose sono la testimonianza che Dio è buono e misericordioso. Perciò è necessario valorizzare con gratitudine le esperienze di vita consacrata e approfondire la conoscenza dei diversi carismi e spiritualità. Occorre pregare perché tanti giovani rispondano “sì” al Signore che li chiama a consacrarsi totalmente a Lui per un servizio disinteressato ai fratelli; consacrare la vita per servire Dio e i fratelli.
Per tutti questi motivi, come è stato già annunciato, l’anno prossimo sarà dedicato in modo speciale alla vita consacrata. Affidiamo fin da ora questa iniziativa all’intercessione della Vergine Maria e di san Giuseppe, che, come genitori di Gesù, sono stati i primi ad essere consacrati da Lui e a consacrare la loro vita a Lui.”
Papa Francesco Angelus del 2 febbraio 2014
1. Oggi si celebra la 42° Giornata Nazionale per la Vita, con il titolo "Aprite le porte alla Vita". Oggi è anche la Giornata della Vita Consacrata.
2. Lunedì 3 febbraio si celebra la memoria liturgica di S. Biagio - vescovo e martire. Dopo le Ss. Messe alle ore 9,00 e 18,30 ci sarà la tradizionale benedizione della gola.
3. Venerdì 7 febbraio alle ore 20,30 S.E. Mons. Paolo Selvadagi celebrerà la s. messa per i gruppi del Rinnovamento nello Spirito della Diocesi di Roma.
L'incontro inizia già alle ore 19,00 con l'accoglienza e la preghiera comunitaria. Dopo la s. messa ci sarà l'adorazione eucaristica con 40 gruppi del RnS della Diocesi di Roma.
4. Lunedì 3 febbraio alle ore 20,30 nella Parrocchia di S. Damaso ci sarà il 1° incontro del corso prematrimoniale per i fidanzati e tutti gli animatori del corso.
5. In questa settimana ricorre il 1° giovedì e il 1° venerdì del mese.
6. Domenica prossima 9 febbraio si celebra la XXVIII Giornata Diocesana del Malato e del Pellegrino.
L'umanità è una grande e immensa famiglia ... Troviamo la dimostrazione di ciò da quello che ci sentiamo nei nostri cuori a Natale.
(Papa Giovanni XXIII)