Questa domenica, 2 febbraio, la Chiesa celebra la presentazione al Tempio di Gesù, popolarmente conosciuta come festa della Candelora, perché in questo giorno si benedicono le candele, simbolo di Cristo "luce per illuminare le genti", come il bambino Gesù venne chiamato dal vecchio Simeone al momento della presentazione al Tempio di Gerusalemme. Si può affermare che la presentazione di Gesù al Tempio è più un mistero doloroso che gaudioso perchè per Maria inizia il mistero della sofferenza, che raggiungerà il culmine ai piedi della croce.
Nella prima lettura il Profeta Malachia annuncia l’entrata messianica del Signore nel Suo tempio per purificare il popolo dalle sue infedeltà e offrire un’oblazione a Dio gradita.
Nella seconda lettura, l’autore della Lettera agli Ebrei presenta Gesù che, resosi in tutto simile ai fratelli, è il sacerdote sommo che inaugura il nuovo culto della nuova alleanza.
Nel Vangelo di Luca leggiamo che Maria e Giuseppe, per osservare la legge ebraica, presentano Gesù al tempio. Lì trovano due anziani, Anna e Simeone il quale riconosce nel Bambino il Messia. Lo prende tra le braccia e, colmo di pace e serenità, intona il suo canto di congedo da questo mondo.
Dal libro del profeta Malachia
Così dice il Signore Dio:
«Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate; e l'angelo dell'alleanza, che voi sospirate, eccolo venire, dice il Signore degli eserciti.
Chi sopporterà il giorno della sua venuta? Chi resisterà al suo apparire? Egli è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai.
Siederà per fondere e purificare l'argento; purificherà i figli di Levi, li affinerà come oro e argento, perché possano offrire al Signore un'offerta secondo giustizia.
Allora l'offerta di Giuda e di Gerusalemme sarà gradita al Signore come nei giorni antichi, come negli anni lontani».
Ml 3, 1-4 .
Malachia , il cui nome significa "messaggero di Javhè“,è l’ultimo dei profeti minori dell’A.T., che gli ebrei chiamano per questo “Sigillo dei profeti” .
Si sa poco della sua vita, era della tribù di Zabulon e nacque a Sofa; visse certamente dopo l’esilio babilonese in un periodo di grande decadenza religiosa e morale (intono agli anni 450 a.C) . Non si può determinare con certezza se le sue profezie siano anteriori, contemporanee o posteriori al ritorno di Esdra in Palestina (sommo sacerdote ebreo, codificatore del giudaismo, V-IV secolo a.C.).
Il libro di Malachia tratta dei problemi morali relativi alla comunità ebraica, reduce dalla prigionia babilonese e a cui rimprovera le lamentele contro la Provvidenza di Dio, stimolandola a pentirsi. Egli mette in evidenza “l’elezione” d’Israele, che non è solo un privilegio onorifico di Dio, ma comporta degli obblighi, come ogni dono divino; rimprovera i sacerdoti che trascurano e offendono la dignità di JHWH e del culto a Lui dovuto.
Nella requisitoria contro il malcostume egli è intransigente e condanna i matrimoni misti, difende la indissolubilità del matrimonio, ecc. Il libro termina con una visione escatologica (cioè quello che seguirà alla vita terrena e alla fine del mondo), annunciante la venuta del messaggero di Dio, che farà una cernita dei buoni nel suo popolo; in questa profezia si può prefigurare la venuta di Giovanni Battista.
I Padri sono concordi nel vedere in Malachia il preannunzio profetico del sacrificio della Messa, con Gerusalemme che perde il titolo di “luogo dove bisogna adorare”, e Gesù che istituisce il rito eucaristico per tutta l’umanità.
In questo brano il profeta Malachia ricorda le parole del Signore: “Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate…” il Suo "messaggero" sotto forma di "angelo dell’alleanza” entrerà nel tempio santo, e chiede se i popoli siano pronti ad accoglierlo. Esso infatti li aiuterà, li purificherà, sarà come "fuoco e lisciva" che forgiano e purificano, e così le popolazioni di Giuda e di Gerusalemme trovato il Dio che attendevano, potranno fare offerte al Signore secondo giustizia ed esse stesse potranno ritornare agli antichi splendori".
Gesù in Mt 11,10 applicherà “Ecco, io mando davanti a te il mio messaggero che preparerà la tua via davanti a te.” a Giovanni Battista
Salmo 23 - Vieni, Signore, nel tuo tempio santo
Alzate, o porte, la vostra fronte,
alzatevi, soglie antiche,
ed entri il re della gloria.
Chi è questo re della gloria?
Il Signore forte e valoroso,
il Signore valoroso in battaglia.
Alzate, o porte, la vostra fronte,
alzatevi, soglie antiche,
ed entri il re della gloria.
Chi è mai questo re della gloria?
Il Signore degli eserciti è il re della gloria.
Il salmo presenta il momento in cui Israele ritorna dell’esilio. Ora è consapevole, dopo la distruzione di Gerusalemme e del tempio, che per salire al tempio e per abitare alla sua ombra bisogna essere puri di cuore; il tempio non salva nessuno se non c’è la fedeltà alla legge.
Il Signore è di maestà infinita, e sua “è la terra e quanto contiene: il mondo, con i suoi abitanti”.
Dalla considerazione della grandezza e potenza di Dio parte l’esame delle qualità di chi andrà ad abitare all’ombra del tempio del Signore.
Il tempio è stato distrutto e un coro dice alle porte di ristabilire se stesse. Esse sono state distrutte, ma sono pure “eterne” (traduzione letterale), e perciò saranno rifatte.
Dalle porte del tempio, comprese quelle dell’atrio degli olocausti, entrerà il re della gloria a prendere dimora con la sua gloria nel tempio, nel santo dei santi.
E’ il Signore potente in battaglia, che vince i suoi nemici. “Il Signore degli eserciti” è il Signore delle schiere dei valorosi nella fede.
Il “sensus plenior" del salmo è per salire il monte santo, cioè giungere alla mensa Eucaristica, salire in un cammino d’iniziazione, alla partecipazione piena all’altare, e dimorare nella fede e nell’amore nella casa del Signore richiede rettitudine di vita. Occorre cercare colui che già si è fatto trovare; cercarlo per più conoscerlo e amarlo, in un tendere all’infinito a lui.
E i cieli sono aperti. Le porte del cielo ostruitesi per il peccato dell’uomo ora si sono riaperte. I cori angeli hanno proclamato: “Alzate, o porte, la vostra fronte, alzatevi soglie antiche, ed entri il re della gloria…”. Entri il “Signore valoroso in battaglia”, quella che ha condotto contro le tenebre lanciategli da Satana e i dolori della croce. “E’ il Signore degli eserciti il re della gloria”, il Signore delle schiere apostoliche della Chiesa,
Commento di P. Paolo Berti
Dalla lettera agli Ebrei
Poiché i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Cristo allo stesso modo ne è divenuto partecipe, per ridurre all'impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che, per timore della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita.
Egli infatti non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo si prende cura. Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e degno di fede nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo.
Infatti, proprio per essere stato messo alla prova e avere sofferto personalmente, egli è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova.
Eb 2, 14-18
L’autore della Lettera agli Ebrei è rimasto anonimo, anche se nei primi tempi si è pensato a Paolo di Tarzo, ma sia la critica antica che moderna, ha escluso concordemente questa attribuzione.
L’autore è certamente di origine giudaica, perchè conosce perfettamente la Bibbia, ha una fede integra e profonda, una grande cultura, ma tutte le congetture fatte sul suo nome rimangono congetture, si può solo dedurre che nel cristianesimo primitivo ci furono notevoli personalità oltre agli apostoli, anche se rimaste sconosciute. Quanto ai destinatari – ebrei – è certo che l’autore non si rivolge agli ebrei per invitarli a credere in Cristo, il suo scopo è invece quello di ravviare la fede e il coraggio ai convertiti di antica data, con tutta probabilità di origine giudaica. Infatti per discutere con essi, l’autore cita in continuazione la Scrittura e richiama incessantemente le idee e le realtà più importanti della religione giudaica .
Nella prima parte della lettera si descrive il ruolo di Cristo nel piano di Dio (1,5 - 2,18) e nella seconda parte si presenta Gesù come sommo sacerdote (3,1 - 5,10). La salvezza da lui portata è delineata nella parte centrale della lettera (5,11 - 10,39) e dopo (11,1 - 12,13), l’autore affronta il tema della risposta che la comunità deve dare a questa salvezza. Questa risposta consiste essenzialmente nella fede perseverante, mediante la quale si ha accesso ai beni che il sacrificio di Cristo ha acquistati.
In questo brano, tratto dal 2 capitolo, l’autore dopo aver iniziato con una esortazione afferma che la redenzione è realizzata dal Cristo, non dagli angeli e continua dicendo:
“Poiché i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Cristo allo stesso modo ne è divenuto partecipe, per ridurre all'impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo”.
Con la Sua incarnazione Gesù è divenuto partecipe del sangue e della carne dell'uomo, cioè della sostanziale debolezza della condizione umana, per questo soggetto alla morte. La morte però è stata per Lui il mezzo per sconfiggere colui che traeva potere dalla morte stessa cioè il diavolo, colui che divide dal bene, da Dio.
“e liberare così quelli che, per timore della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita”.
L'uomo vede la morte come fallimento, separazione dai propri cari, da Dio. Su questo stato di angoscia, che paralizza, che rende l'uomo estremamente debole e facilmente ricattabile, il diavolo esercita la sua influenza rendendo ancora più schiavi gli uomini, proprio in forza della paura della morte. La solidarietà di Gesù con la storia dei Suoi fratelli cambia completamente il senso della morte. Egli la vive in assoluta fedeltà a Dio ed espressione della massima comunione o condivisione con gli uomini. Perciò la morte viene privata della sua forza ricattatoria e schiavizzante per l'uomo.
“Egli infatti non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo si prende cura.”
Questa liberazione non ha senso per il mondo spirituale degli angeli, ma per quelli che hanno in comune "la carne e il sangue", che caratterizza i rapporti umani. Non solo, si parla della stirpe di Abramo, cioè di coloro che sono la realizzazione della promessa fatta da Dio stesso al padre della fede, ma alla stirpe di Abramo si associa ormai tutta l'umanità.
“Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e degno di fede nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo”.
Quindi in forza della Sua morte, Gesù diventa il vero sommo sacerdote. E' questo il punto chiave di tutta la lettera agli Ebrei e l'autore lo esprimerà meglio più avanti. Qui si limita a ricordare che poiché ha impegnato tutto se stesso con la Sua morte e vincendola è un sommo sacerdote, il cui sacrificio è quantomai efficace. E' un sacerdote misericordioso, cioè prova compassione per tutti ed è degno di fede poiché ha pagato di persona l'espiazione dei peccati di tutto il popolo.
“Infatti, proprio per essere stato messo alla prova e avere sofferto personalmente, egli è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova”.
Egli non poteva che essere misericordioso, perché essendo passato attraverso la sofferenza, può capire, meglio di chiunque altro, coloro che sono nella sofferenza e nella morte e grazie alla Sua vittoria sulla morte può essere di aiuto a coloro che subiscono le stesse prove.
Nota: La verità dell’Incarnazione, fondamentale nella fede cristiana, ha creato non poche difficoltà agli albori del cristianesimo. I primi cristiani, che tentavano di “spiegare” chi fosse veramente Gesù, hanno talmente sottolineato la Sua umanità da negarne la divinità o comunque “diminuirla” rispetto a quella del Padre; altri invece hanno talmente sottolineato la divinità di Cristo da parlare della Sua umanità nei termini di apparenza o comunque di una umanità non “carnale” (debole) come la nostra. Ci sono voluti secoli e tutti i primi Concili della Chiesa per trovare il modo efficace e appropriato per esprimere la fede in modo compiuto.
Dal Vangelo secondo Luca
Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.
Ora a Gerusalemme c'era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d'Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore.
Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch'egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:
«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo
vada in pace, secondo la tua parola,
perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli:
luce per rivelarti alle genti
e gloria del tuo popolo, Israele».
Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione e anche a te una spada trafiggerà l'anima , affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».
C'era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.
Lc 2, 22-40
Nel suo Vangelo, Luca ci presenta la vita di Gesù anche all'interno delle pratiche religiose giudaiche, e in questo brano porta la nostra attenzione sulla presentazione al Tempio al quarantesimo giorno dalla Sua nascita. E’ un quadro pieno di personaggi in cui si intravedono tutti i misteri contemplati nell'Incarnazione e nella Natività.
Il brano inizia riportando che:
“Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore»”
Anche la famiglia di Gesù si sottopone alla Legge in tutte le sue prescrizioni. La legge consisteva anzitutto nella circoncisione del primogenito, che prevedeva il rito del "riscatto" del bambino e dell’imposizione del nome (Gen 17,9-14;). Il nome è importante perché indica il mistero irripetibile della persona umana. Rivelare il nome, imporre il nome, chiamare per nome, afferma la relazione con l’altro, così Gesù entra anche giuridicamente nella comunità degli uomini,.
“e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore”
Per le famiglie benestanti questa offerta imponeva il sacrificio di un grosso animale, mentre per le famiglie povere, l’offerta poteva consistere in colombi o tortore (Lv 12,1-8). Luca qui precisa che Giuseppe e Maria offrirono il sacrificio dei poveri e con questo gesto vengono annoverati tra i poveri di Israele.
“Ora a Gerusalemme c'era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d'Israele, e lo Spirito Santo era su di lui”.
Simeone viene presentato con tre qualità: giusto, pio e paziente e “che aspettava la consolazione d'Israele”. Simeone dunque è un uomo dall’attesa speranzosa e in questi suoi atteggiamenti troviamo in lui il dono dello Spirito Santo.
“Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch'egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio”,
E’ lo Spirito Santo stesso che agisce in Simeone perché lo spinge a recarsi al tempio e nel gesto di prendere tra le braccia il bambino e benedire Dio, accoglie il mistero del Dio incarnato. Esprime poi la gioia di questo incontro preannunciando una straordinaria profezia su Gesù e Maria.
«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele». Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui.
L’esultanza di Simeone è paragonabile a quella di Maria e di Zaccaria; egli percepisce di aver finalmente realizzato l’incontro della sua vita! Simeone si pone dinanzi a Dio in rapporto di servo in totale dipendenza dal Signore, Creatore del mondo al quale Simeone è stato fedele durante tutta la sua esistenza. Ora egli non dovrà più attendere: i suoi occhi hanno potuto vedere la salvezza, la luce e la gloria, nella estrema debolezza di un bambino! Soltanto colui che ha saputo attendere nella fede, ora può esultare nella lode!
Simeone poi, sempre spinto dallo Spirito Santo, preannuncia la Passione e la Resurrezione di Gesù, e dice rivolgendosi a Maria: “egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione e anche a te una spada trafiggerà l'anima, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».”
Nel mondo giudaico l'immagine della spada veniva usata per indicare la Parola di Dio. Paolo userà spesso questo termine e nella lettera agli Ebrei il suo autore affermerà “la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio”(Eb 4,12). Gesù sarà quella spada che dividerà quanti l'accolgono da coloro che lo rifiutano.
“C'era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme”
Luca introducendo questa parte fa uscire di scena Simeone per sostituirlo con un'altra figura profetica:, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser, citata subito col raro titolo di profetessa come Debora (Gdc 4,4) . L’evangelista ci dice che Anna era vissuta con il marito per 7 anni e poi rimasta vedova aveva 84 anni. Non è un caso che citi proprio questo numero perché nella simbologia dei numeri il 7 significa compiutezza e perfezione, richiamandosi ai giorni che ha impiegato Dio per creare il mondo, la cui importanza simbolica deriva dal fatto che il 7 è la somma di tre e 4, che rappresentano rispettivamente il cielo e la terra. Perciò il 7 è il risultato dell’unione del mondo spirituale con quello materiale. Come per il 7 l’importanza simbolica del 12 deriva dal 3 moltiplicato per 4 che danno per risultato appunto 12 che sta ad indicare la fusione della sfera spirituale e materiale (12 è anche il numero delle tribù di Israele e del numero degli apostoli). Non è ardito pensare che questo numero sia stato messo per la sua forte valenza simbolica per confermare due eventi importanti e simultanei: il primo ingresso di Gesù nel tempio e il suo riconoscimento come salvatore di Israele, il Messia..
“Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.
In quest’ultima espressione di Luca, c’è la conclusione in cui possiamo intravedere l'umanità di Gesù, che cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, l'umanità di Maria, che meditando le parole del vecchio Simeone, vive la sua maternità, in vista della Passione redentrice del Figlio Gesù, che è anche la sua passione dolorosa di corredentrice del genere umano, l'umanità di Giuseppe che provvede a formare con Gesù e Maria una famiglia terrena alla luce della grazia di Dio.
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“Oggi celebriamo la festa della Presentazione di Gesù al tempio. In questa data ricorre anche la Giornata della vita consacrata, che richiama l’importanza per la Chiesa di quanti hanno accolto la vocazione a seguire Gesù da vicino sulla via dei consigli evangelici.
Il Vangelo odierno racconta che, quaranta giorni dopo la nascita di Gesù, Maria e Giuseppe portarono il Bambino al tempio per offrirlo e consacrarlo a Dio, come prescritto dalla Legge ebraica. Questo episodio evangelico costituisce anche un’icona della donazione della propria vita da parte di coloro che, per un dono di Dio, assumono i tratti tipici di Gesù vergine, povero e obbediente.
Questa offerta di sé stessi a Dio riguarda ogni cristiano, perché tutti siamo consacrati a Lui mediante il Battesimo. Tutti siamo chiamati ad offrirci al Padre con Gesù e come Gesù, facendo della nostra vita un dono generoso, nella famiglia, nel lavoro, nel servizio alla Chiesa, nelle opere di misericordia. Tuttavia, tale consacrazione è vissuta in modo particolare dai religiosi, dai monaci, dai laici consacrati, che con la professione dei voti appartengono a Dio in modo pieno ed esclusivo. Questa appartenenza al Signore permette a quanti la vivono in modo autentico di offrire una testimonianza speciale al Vangelo del Regno di Dio. Totalmente consacrati a Dio, sono totalmente consegnati ai fratelli, per portare la luce di Cristo là dove più fitte sono le tenebre e per diffondere la sua speranza nei cuori sfiduciati.
Le persone consacrate sono segno di Dio nei diversi ambienti di vita, sono lievito per la crescita di una società più giusta e fraterna, sono profezia di condivisione con i piccoli e i poveri. Così intesa e vissuta, la vita consacrata ci appare proprio come essa è realmente: è un dono di Dio, un dono di Dio alla Chiesa, un dono di Dio al suo Popolo! Ogni persona consacrata è un dono per il Popolo di Dio in cammino. C’è tanto bisogno di queste presenze, che rafforzano e rinnovano l’impegno della diffusione del Vangelo, dell’educazione cristiana, della carità verso i più bisognosi, della preghiera contemplativa; l’impegno della formazione umana, della formazione spirituale dei giovani, delle famiglie; l’impegno per la giustizia e la pace nella famiglia umana. Ma pensiamo un po’ cosa succederebbe se non ci fossero le suore negli ospedali, le suore nelle missioni, le suore nelle scuole. Ma pensate una Chiesa senza le suore! Non si può pensare: esse sono questo dono, questo lievito che porta avanti il Popolo di Dio. Sono grandi queste donne che consacrano la loro vita a Dio, che portano avanti il messaggio di Gesù.
La Chiesa e il mondo hanno bisogno di questa testimonianza dell’amore e della misericordia di Dio. I consacrati, i religiosi, le religiose sono la testimonianza che Dio è buono e misericordioso. Perciò è necessario valorizzare con gratitudine le esperienze di vita consacrata e approfondire la conoscenza dei diversi carismi e spiritualità. Occorre pregare perché tanti giovani rispondano “sì” al Signore che li chiama a consacrarsi totalmente a Lui per un servizio disinteressato ai fratelli; consacrare la vita per servire Dio e i fratelli.
Per tutti questi motivi, come è stato già annunciato, l’anno prossimo sarà dedicato in modo speciale alla vita consacrata. Affidiamo fin da ora questa iniziativa all’intercessione della Vergine Maria e di san Giuseppe, che, come genitori di Gesù, sono stati i primi ad essere consacrati da Lui e a consacrare la loro vita a Lui.”
Papa Francesco Angelus del 2 febbraio 2014