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S.Messe (settimana)
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KRZYZ

Elena Tasso

Elena Tasso

Le letture che la liturgia di questa domenica ci presenta richiamano la missionarietà di tutta la Chiesa e non solo di alcuni suoi membri. L’invio in missione dei discepoli da parte di Gesù coinvolge oggi la Chiesa intera, non solo alcuni suoi membri:tutti possono essere missionari, tutti possono sentire quella chiamata di Gesù e andare avanti e annunciare il Regno!
Nella prima lettura, il profeta Isaia dopo il ritorno dall’esilio, ricorda agli sfiduciati la promessa divina: Gerusalemme sarà una città di prosperità e di gioia; in essa Dio si presenterà come consolatore del suo popolo. La pace, cioè la prosperità, la benedizione, è per coloro che l’aspettano e accolgono il vangelo.
Nella seconda lettura, San Paolo concludendo la sua lettera ai Galati, parla ancora di coloro che annunciano un altro vangelo e afferma che per lui non c’è altro vanto che la croce di Cristo. Solo la croce infatti, e chi la vive nella propria vita, può abbattere ciò che è vecchio e donare al mondo una nuova vita, che è fatta di unità e di pace.
Nel Vangelo, Luca ci racconta che Gesù sceglie settantadue collaboratori e li manda davanti a sé. Spiega prima loro che nel campo di Dio c’è crisi di operai, non di lavoro. E comanda di pregare “il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! “ Questi discepoli dovranno avere la mitezza dell’agnello, essere liberi da ogni peso, e legami terreni, portare pace e annunciare la venuta del Regno di Dio.
Il risultato è sorprendente e i discepoli pieni di gioia al ritorno riferiscono che anche i demòni sono sottomessi. Gesù partecipa alla loro gioia perchè vede che il potere di Satana sta per incrinarsi, ma li esorta a rallegrarsi soprattutto perchè i loro nomi sono scritti nei cieli».

Dal libro del profeta Isaìa
Rallegratevi con Gerusalemme,
esultate per essa tutti voi che l’amate.
Sfavillate con essa di gioia
tutti voi che per essa eravate in lutto.
Così sarete allattati e vi sazierete
al seno delle sue consolazioni;
succhierete e vi delizierete
al petto della sua gloria.
Perché così dice il Signore:
«Ecco, io farò scorrere verso di essa,
come un fiume, la pace;
come un torrente in piena, la gloria delle genti.
Voi sarete allattati e portati in braccio,
e sulle ginocchia sarete accarezzati.
Come una madre consola un figlio,
così io vi consolerò;
a Gerusalemme sarete consolati.
Voi lo vedrete e gioirà il vostro cuore,
le vostre ossa saranno rigogliose come l’erba.
La mano del Signore si farà conoscere ai suoi servi»
Is 66,10-14c

Questo brano appartiene al "Terzo Isaia" (TritoIsaia) (capitoli 56-66), il profeta della situazione successiva al ritorno dall'esilio babilonese. Dopo l’editto di Ciro che autorizzava il ritorno dall’esilio e la ricostruzione di Gerusalemme, il profeta vede di nuovo la città della storia della salvezza avvolta dall’amore di Dio e rivolge il suo messaggio agli israeliti impegnati a ricostruire la comunità religiosa di Gerusalemme.
Il profeta si presenta come l’inviato dello Spirito del Signore per annunciare la buona notizia ai poveri e a prendersi cura dei disperati (61,1). Davanti al problema del rifiuto e del disprezzo nei confronti degli stranieri, alcuni suoi scritti rivelano un atteggiamento eccezionalmente aperto verso di loro, accetta addirittura che partecipino al culto insieme alla comunità (56,3-7). In altri invece annuncia un giudizio tremendo contro le nazioni straniere (63,1-6; 66,14-16; 66,24). A partire dal c. 60, emerge una svolta impressionante: se prima abbondavano gli oracoli di giudizio e di castigo, ora sono le promesse di salvezza a caratterizzare i suoi interventi. I cc. 63-64 sono una meditazione sulla storia come luogo della rivelazione di Dio, e nei cc. 65-66 (da cui è preso il nostro brano liturgico) si avverte un clima pieno di speranza e gioia. Israele ha un valido motivo per sperare in un futuro migliore: Dio non abbandonerà il suo popolo. Alla fine del libro, la prospettiva si universalizza come mai in precedenza: tutti i popoli formano con Israele una grande comunità cultuale e liturgica: “Io verrò a radunare tutti i popoli e tutte le lingue; essi verranno e vedranno la mia gloria”
I versetti del brano liturgico sono un vero inno di gioia per la rinascita di Gerusalemme. Anzitutto il profeta invita coloro che amano la città santa a rallegrarsi con lei. L’invito è rivolto a tutti gli abitanti di Gerusalemme, soprattutto quelli che erano desolati e depressi per la situazione di rovina in cui era caduta la città. Ora tutto è cambiato, la città è risorta, ed essi devono rallegrarsi. Gerusalemme è immaginata come una madre che allatta i suoi figli, li riempie di consolazione e li inonda della sua gloria.
L’abbondanza di cui gode la città non è frutto del lavoro dei suoi abitanti, ma il segno di una benevolenza divina che raggiunge abbondantemente tutti i suoi abitanti. Infatti essa deriva direttamente da Dio, il quale farà scorrere verso di essa, come un fiume ricco d’acqua, la pace, e con questa la gloria delle genti
Viene qui ripreso un tema tipico del Terzo Isaia che descrive il futuro radioso di Gerusalemme come l’arrivo dei gentili che, in pellegrinaggio, si recano al tempio per adorare il Dio di Israele portando con sé in dono tutti i loro beni (Is 60,1-22). Ritorna poi nuovamente l’immagine della madre che allatta i suoi figli, li porta in braccio, li fa sedere sulle sue ginocchia e li accarezza. Questa volta il soggetto non è più direttamente la città, ma Dio stesso che ha profuso in essa i suoi doni. Nei confronti degli abitanti di Gerusalemme, Dio è come una madre che consola i suoi figli, e lo fa proprio nella città in cui vivono. Infine Dio fa' una solenne promessa: “Voi lo vedrete e gioirà il vostro cuore,le vostre ossa saranno rigogliose come l’erba. La mano del Signore si farà conoscere ai suoi servi”.
Si può notare come in un momento nel quale in primo piano si trova la preoccupazione per la ricostruzione del tempio, questo brano va veramente contro corrente. In esso l’accento viene posto non sull’edificio materiale, ma sulla nascita di un popolo fedele a Dio. Senza di esso il tempio non ha ragione di esistere. Non si tratta però dell’effetto di un’iniziativa umana, ma di un’opera compiuta direttamente da Dio. Solo Dio infatti può dare vita a un popolo. Si tratta quindi di un dono straordinario, di fronte al quale non c’è altro da fare che rallegrarsi con animo grato perchè la nascita di una comunità giusta e santa, prospera e pacifica, è un vero miracolo di Dio. La nascita di una tale comunità è una cosa meravigliosa e inattesa, è questa la speranza che il Terzo Isaia coltiva e mantiene viva tra i giudei rimpatriati a Gerusalemme.

Salmo 65 - Acclamate Dio, voi tutti della terra.
Acclamate Dio, voi tutti della terra,
cantate la gloria del suo nome,
dategli gloria con la lode.
Dite a Dio: «Terribili sono le tue opere!».
«A te si prostri tutta la terra,
a te canti inni, canti al tuo nome».
Venite e vedete le opere di Dio,
terribile nel suo agire sugli uomini.

Egli cambiò il mare in terraferma;
passarono a piedi il fiume:
per questo in lui esultiamo di gioia.
Con la sua forza domina in eterno.

Venite, ascoltate, voi tutti che temete Dio,
e narrerò quanto per me ha fatto.
Sia benedetto Dio, che non ha respinto
la mia preghiera,
non mi ha negato la sua misericordia.

Il salmo è stato scritto nel postesilio, come è facile ricavare dalla menzione di grandi prove nazionali:
“Ci hai purificati come si purifica l’argento (…). Hai fatto cavalcare uomini sopra le nostre teste (…), poi ci hai fatto uscire verso l'abbondanza”. L’universalismo del salmo è espresso nell’invito a tutta la terra a dare gloria a Dio. Il salmista anima poi il gruppo orante che lo attornia a presentare a Dio il desiderio che sia celebrato in tutta la terra: “Dite a Dio: ”. Il salmista riprende il suo invito a tutte le genti, invitandole ad avvicinarsi ad Israele per udire le grandi opere che Dio ha compiuto per il suo popolo, compresa la liberazione da Babilonia: “Venite e vedete le opere di Dio, terribile nel suo agire sugli uomini. Egli cambiò il mare in terra ferma…”. Dio ha piegato i nemici del suo popolo, compresi i babilonesi: “contro di lui non si sollevino i ribelli”. Il salmista ancora invita i popoli a lodare Dio: “Popoli, benedite il nostro Dio, fate risuonare la voce della sua lode…”. Poi il salmista si rivolge direttamente a Dio facendo memoria della catastrofe della deportazione a Babilonia: “O Dio, tu ci hai messi alla prova; ci hai purificati come si purifica l’argento (…). Hai fatto cavalcare uomini sopra le nostre teste (…), poi ci hai fatto uscire verso l'abbondanza”. Il cavalcare uomini sopra le teste era una efferatezza egizia, assira, babilonese e poi anche persiana. I vinti venivano legati e calpestati dai carri dei vincitori. Il salmista, dopo essersi rivolto a Dio nella memoria dei grandi avvenimenti della nazione, che sente suoi per appartenenza, si riferisce a Dio come persona singola, che ha una sua storia di dolore, e che nell’angoscia ha pronunciato voti. Questi voti li assolverà perché è stato beneficato da Dio secondo il suo desiderio espresso nella preghiera, ma anche secondo la giustizia di Dio: “Se nel mio cuore avessi cercato il male, il Signore non mi avrebbe ascoltato”.
Il salmo, che noi recitiamo in Cristo, ci collega alla grande storia di Israele, alla quale siamo stati innestati per mezzo di Cristo (Cf. Rm 11,24), il quale è la ragione di ogni liberazione, di ogni grazia che viene dal Padre. Noi entriamo nelle sue chiese non offrendo sacrifici di montoni, capri e tori, ma il sacrificio di noi stessi, in unione al sacrificio del Cristo presente sugli altari (Cf. Ps 39,7). Perfettamente nostra è l’invocazione a tutte le genti a venire e vedere. A vedere in noi, nella Chiesa, la grande opera della redenzione.
commento di P.Paolo Berti

Dalla lettera di S.Paolo Apostolo ai Galati
Fratelli, quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo.
Non è infatti la circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma l’essere nuova creatura. E su quanti seguiranno questa norma sia pace e misericordia, come su tutto l’Israele di Dio.
D’ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: io porto le stigmate di Gesù sul mio corpo.
La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con il vostro spirito, fratelli. Amen.
Gal 6,14-18

Il brano liturgico è tratto dall’epilogo della lettera ai Galati nella quale Paolo traduce in termini esortativi le sue riflessioni sulla giustificazione per mezzo della fede e non delle opere. L’Apostolo inizia l’epilogo facendo notare che esso è scritto di sua mano, forse per sottolineare quanto lui tenga a quanto dice. Poi Paolo si lascia andare e torna ad accusare coloro che vogliono imporre ai Galati la circoncisione e questo per vari motivi di interesse personale, e il brano inizia sottolineando che, diversamente da quanto facevano i suoi avversari, il suo vanto consiste:
“nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo”. In altre parole, aderendo pienamente alla fede a Gesù crocifisso, egli ha rotto radicalmente con il mondo e con tutti i suoi desideri accettandone tutte le conseguenze in termini di sofferenze e di persecuzioni.
Paolo poi prosegue sottolineando che “Non è infatti la circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma l’essere nuova creatura”. Con questa espressione, egli indica il nuovo rapporto con Dio, proprio dei tempi escatologici, che si consegue in forza della fede in Cristo (v. 2Cor 5,17). Paolo ribadisce dunque ciò che già prima aveva affermato: quello che importa non è la circoncisione, ma “la fede che opera per mezzo dell’amore” (Gal 5,6). A tutti coloro che condividono questo principio egli assicura quella pace e quella misericordia che saranno le prerogative dell’ “Israele di Dio”.
Egli conclude con una severa ammonizione:
“D’ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: io porto le stigmate di Gesù sul mio corpo”.
Le “stigmate di Gesù” non sono certo le ferite dei chiodi nelle mani e nei piedi, che sono state prerogativa di alcuni santi della storia cristiana, come S.Francesco d’Assisi e S.Pio, ma le conseguenze, visibili sul suo corpo, delle sofferenze e delle persecuzioni subite a causa di Cristo. Sono queste stigmate che per lui prendono il posto del marchio impresso nella carne dalla circoncisione (Gal 5,11). Nessuno dunque ha il diritto di porre ostacoli alla sua opera apostolica, accusandolo e denigrandolo presso le comunità da lui fondate.
Dopo aver così fortemente riaffermato l’autenticità delle sue scelte, Paolo giunge ai saluti: La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con il vostro spirito, fratelli. Amen.
In questa formula, si può facilmente intravedere l’affetto che l’apostolo conserva ai Galati essi restano per lui fratelli, con i quali vuole condividere fino in fondo la grazia di Gesù Cristo.

Dal vangelo secondo Luca
[In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi.
Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada.
In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra.
Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”.] Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: “Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino”. Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città».
I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». Egli disse loro: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli».
Lc 10, 1-12, 17-20

In questo brano del Vangelo, Luca ci racconta che Gesù, in cammino verso Gerusalemme, chiama a condividere la sua predicazione, altri settantadue discepoli, e il testo precisa:, " designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi” . Il n.72 è sicuramente simbolico e in questo caso viene preso per sottolineare l’aspetto universale della missione dato che la tradizione giudaica contemplava nel n. 72 tutte le nazioni pagane sparse per il mondo.
Poi Gesù fa le sue raccomandazioni e dice: “La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! “ L’immagine della messe ormai matura richiama il giorno del giudizio finale e la prospettiva è dunque escatologica: la fine è ormai vicina e Gesù cerca dei collaboratori che lo aiutino a raccogliere il popolo di Israele e condurlo incontro al suo Dio. Poi Gesù dà istruzioni sull’equipaggiamento dei discepoli missionari e prospetta loro anche l’eventualità del rifiuto: Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: “Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino”. Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città».
Al rifiuto da parte di una città i discepoli devono reagire scuotendo sui responsabili la polvere dei loro piedi. L’atto di scuotere la polvere dei piedi equivale a un gesto profetico che indica l’esclusione dalla salvezza escatologica e la minaccia della condanna nel giudizio. La mancata adesione al vangelo comporta nel giorno del giudizio finale una sorte peggiore di quella toccata alla città di Sodoma, prototipo nell’A.T. della città maledetta da Dio per i suoi peccati.
Luca descrive il ritorno dei settantadue discepoli che tornarono pieni di gioia e dicevano: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». E’ evidente che ciò che più rallegra gli inviati è la sottomissione dei demoni.
Luca vede la missione essenzialmente come una liberazione dell’uomo dalle forze sataniche del male che secondo la mentalità corrente si rendevano palesi nelle malattie. In risposta a quanto riferiscono i discepoli Gesù commenta: “Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli”.
La visione della caduta di satana risente del linguaggio apocalittico del tempo: in Is 14,12 la sconfitta del re di Babilonia viene immaginata come la caduta di Lucifero, la stella del mattino.
Con questa immagine Gesù dichiara che, con la venuta del regno di Dio, che ha iniziato a esercitare la sua azione mediante la sua opera, le potenze del male sono private del loro dominio sull’umanità. Egli aggiunge: “Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi” Il potere conferito da Gesù si esercita su serpenti e scorpioni, che rappresentano le forze del male che si oppongono a loro e su ogni potenza del nemico senza esserne danneggiati.
Questa espressione è ricavata dal Salmo 91,13 che era stato citato esplicitamente da satana in occasione della tentazione di Gesù nel deserto (Lc 4,10-11).
Pur avendo ricevuto tale potere, i discepoli non devono rallegrarsi per questo, ma piuttosto perché i loro nomi sono scritti nei cieli cioè perché ad essi è riservato come ricompensa il regno di Dio.
Ciò che conta non è il risultato dell’azione evangelizzatrice, ma lo spirito con cui è portata a termine.
Alla fine di ogni esperienza missionaria c’è la celebrazione universale della gloria di Dio e della salvezza del mondo: ma il cammino di questa esperienza (che si identifica con la nostra esperienza quotidiana di testimoni cristiani) è un cammino complesso e difficile. Gesù continua a ricordarci che: “La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai” … sono parole che oggi, in tempi di scarse vocazioni e di crescente egoismo e individualismo, risultano chiarissime e allarmanti. Quando poi Gesù dice: “ vi mando come agnelli in mezzo a lupi” ricorda a tutti che il cristiano sta dalla parte della mansuetudine, e deve farsi messaggero di pace in una società che non smette di esaltare i conflitti e il proprio tornaconto.

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“L ’odierna pagina evangelica, tratta dal capitolo decimo del Vangelo di Luca , ci fa capire quanto è necessario invocare Dio, «il signore della messe, perché mandi operai per la sua messe». Gli “operai” di cui parla Gesù sono i missionari del Regno di Dio, che Egli stesso chiamava e inviava «a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Loro compito è annunciare un messaggio di salvezza rivolto a tutti. I missionari annunziano sempre un messaggio di salvezza a tutti; non solo i missionari che vanno lontano, anche noi, missionari cristiani che diciamo una buona parola di salvezza. E questo è il dono che ci dà Gesù con lo Spirito Santo. Questo annuncio è dire: «E’ vicino a voi il Regno di Dio» , perché Gesù ha “avvicinato” Dio a noi; Dio si è fatto uno di noi; in Gesù, Dio regna in mezzo a noi, il suo amore misericordioso vince il peccato e la miseria umana.
E questa è la Buona Notizia che gli “operai” devono portare a tutti: un messaggio di speranza e di consolazione, di pace e di carità. Gesù, quando manda i discepoli davanti a sé nei villaggi, raccomanda loro: «Prima dite: “Pace a questa casa!”. […] Guarite i malati che vi si trovano» . Tutto questo significa che il Regno di Dio si costruisce giorno per giorno e offre già su questa terra i suoi frutti di conversione, di purificazione, di amore e di consolazione tra gli uomini. È una cosa bella! Costruire giorno per giorno questo Regno di Dio che si va facendo. Non distruggere, costruire!
Con quale spirito il discepolo di Gesù dovrà svolgere questa missione? Anzitutto dovrà essere consapevole della realtà difficile e talvolta ostile che lo attende. Gesù non risparmia parole su questo! Gesù dice: «Vi mando come agnelli in mezzo a lupi». Chiarissimo. L’ostilità è sempre all’inizio delle persecuzioni dei cristiani; perché Gesù sa che la missione è ostacolata dall’opera del maligno. Per questo, l’operaio del Vangelo si sforzerà di essere libero da condizionamenti umani di ogni genere, non portando borsa, né sacca, né sandali, come ha raccomandato Gesù, per fare affidamento soltanto sulla potenza della Croce di Cristo. Questo significa abbandonare ogni motivo di vanto personale, di carrierismo o fame di potere, e farsi umilmente strumenti della salvezza operata dal sacrificio di Gesù.
Quella del cristiano nel mondo è una missione stupenda, è una missione destinata a tutti, è una missione di servizio, nessuno escluso; essa richiede tanta generosità e soprattutto lo sguardo e il cuore rivolti in alto, per invocare l’aiuto del Signore. C’è tanto bisogno di cristiani che testimoniano con gioia il Vangelo nella vita di ogni giorno. I discepoli, inviati da Gesù, «tornarono pieni di gioia».
Quando noi facciamo questo, il cuore si riempie di gioia. E questa espressione mi fa pensare a quanto la Chiesa gioisce, si rallegra quando i suoi figli ricevono la Buona Notizia grazie alla dedizione di tanti uomini e donne che quotidianamente annunciano il Vangelo: sacerdoti - quei bravi parroci che tutti conosciamo -, suore, consacrate, missionarie, missionari… E mi domando - sentite la domanda -: quanti di voi giovani che adesso siete presenti oggi nella piazza, sentono la chiamata del Signore a seguirlo? Non abbiate paura! Siate coraggiosi e portare agli altri questa fiaccola dello zelo apostolico che ci è stata data da questi esemplari discepoli.”
Papa Francesco Parte dell’ Angelus del 3 luglio 2016

Le letture liturgiche di questa domenica ci aiutano a porre la nostra attenzione sulla sequela di Gesù: seguire il Signore è percorrere la sua stessa strada.
La prima lettura, tratta dal primo dei Re, il profeta Elia gettando il suo mantello sulle spalle del discepolo Eliseo, lo invita a seguirlo e lo riveste del suo stesso ministero profetico. Eliseo accetta e per lui si aprirà per sempre l’orizzonte nuovo, luminoso, ma anche tormentato della missione profetica.
Nella seconda lettura, tratta dalla lettera ai Galati, San Paolo afferma che con Cristo siamo stati chiamati a libertà, e la libertà del cristiano dà la capacità di portare a compimento la legge e di mettersi al servizio del prossimo. Tutta la Legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: «Amerai il tuo prossimo come te stesso».
Nel Vangelo, San Luca ci fa comprendere che chi intende mettersi alla sequela di Gesù non deve più guardare al passato, ma è chiamato ad occuparsi di nuova vita. Deve perciò tagliare i legami con le idee vecchie e con gli interessi individuali, essere disposto a tutto, e avere il coraggio, di andare anche controcorrente.

Dal primo libro dei Re
In quei giorni, il Signore disse a Elìa: «Ungerai Eliseo, figlio di Safat, di Abel-Mecolà, come profeta al tuo posto».
Partito di lì, Elìa trovò Eliseo, figlio di Safat. Costui arava con dodici paia di buoi davanti a sé, mentre egli stesso guidava il dodicesimo. Elìa, passandogli vicino, gli gettò addosso il suo mantello. Quello lasciò i buoi e corse dietro a Elìa, dicendogli: «Andrò a baciare mio padre e mia madre, poi ti seguirò». Elìa disse: «Va’ e torna, perché sai che cosa ho fatto per te». Allontanatosi da lui, Eliseo prese un paio di buoi e li uccise; con la legna del giogo dei buoi fece cuocere la carne e la diede al popolo, perché la mangiasse. Quindi si alzò e seguì Elìa, entrando al suo servizio.
1Re19,16b, 19-21

Il primo libro dei re, come il secondo, è un testo contenuto sia nella Bibbia ebraica (Tanakh, dove sono contati come un testo unico) che in quella cristiana. Sono stati scritti entrambi in ebraico e secondo molti esperti, la loro redazione definitiva, ad opera di autori ignoti, è collocata al VI-V secolo a.C. in Giudea, sulla base di precedenti tradizioni orali e scritte, in particolare della cosiddetta fonte deuteronomista del VII secolo a.C., integrata da tradizioni successive. E’ composto da 22 capitoli descriventi la morte di Davide, Salomone, la scissione del Regno di Israele dal Regno di Giuda, il ministero del Profeta Elia (nel nord) e i vari re di Israele e Giuda, eventi datati attorno al 970-850 a.C..
Il ciclo di Elia (1Re 17,1 - 22,54; 2Re 1) rappresenta, insieme a quello di Eliseo, il nucleo centrale dei due libri dei Re, di cui mette chiaramente in luce il carattere profetico.
Riepilogando l’antefatto del brano che la liturgia ci propone, sappiamo che dopo il sacrificio del Carmelo (1Re 18,16-46), il profeta Elia, perseguitato da Gezabele, moglie di Acab, si reca al monte Oreb. Durante il cammino nel deserto è sostenuto da Dio, come Israele al tempo dell’esodo, con un pane e un’acqua miracolosi (1Re 19,1-8). Dopo aver camminato quaranta giorni e quaranta notti nel deserto, egli giunge al monte della rivelazione, dove Dio gli appare non nell’uragano, nel terremoto o nei lampi, ma “nel mormorio di un vento leggero” e questo significa che anche Elia, come Mosè, riceve la parola di Dio, non però mediante i fenomeni esterni della teofania, bensì nell’intimo del suo cuore, “pieno di zelo per il Signore”.
Sul monte Oreb Dio affida ad Elia tre compiti il cui scopo è quello di preparare le persone che scateneranno il castigo divino sul popolo peccatore (1Re 19,15-16). Per prima cosa dovrà consacrare Cazael come re di Damasco (2Re 8,7-15); in seguito dovrà ungere Ieu come re di Israele (2Re 9,1-13); infine dovrà ungere come suo successore Eliseo figlio di Safat (1Re 19,19-21). Elia non sarà dunque solo nella sua adesione incondizionata a DIO! Di ritorno dall’Oreb, Elia adempie per primo il terzo dei compiti che gli erano stati affidato, la chiamata di Eliseo.
Il testo liturgico si apre con l’ordine dato da DIO ad sull’Oreb: “Ungerai Eliseo, figlio di Safat, di Abel-Mecolà, come profeta al tuo posto”. La scena dell’incontro di Elia con Eliseo si svolge probabilmente nel villaggio stesso in cui viveva Eliseo, Abel-Mecola. Eliseo è intento a un impegnativo lavoro agricolo, infatti: “arava con dodici paia di buoi davanti a sé, mentre egli stesso guidava il dodicesimo”. Al vederlo, “Elìa, gli gettò addosso il suo mantello”.
La sacralità del mantello di Elia apparirà in seguito, nella scena del congedo di Elia da Eliseo (2Re 2,8.l3-14), dove sono attribuite a esso proprietà miracolose. Il gesto di Elia però non ha un carattere miracoloso, e neppure indica un passaggio di poteri da Elia al nuovo discepolo. Questi due significati del mantello appariranno in occasione della dipartita di Elia. Qui invece si tratta di un segno di appropriazione, con il quale Dio prende possesso di un uomo per conferirgli una missione. Eliseo comprende immediatamente il significato del gesto di Elia infatti lascia subito i buoi e corre dietro a Elìa, dicendogli: «Andrò a baciare mio padre e mia madre, poi ti seguirò». Elìa gli risponde: «Va’ e torna, perché sai che cosa ho fatto per te».
Da quel momento la vita di Eliseo, contadino di Abel-Mecolà, villaggio della Transgiordania, è stravolta. Gli è stato consentito solo il congedo ufficiale dal suo nucleo familiare attraverso un pasto d’addio cotto proprio con gli attrezzi dell’aratro, che erano il simbolo della sua antica professione. Poi per Eliseo, si aprirà per sempre l’orizzonte nuovo, luminoso, ma anche tormentato della missione profetica
La chiamata di Eliseo dà un’idea dell’origine e della radicalità della vocazione profetica. Infatti non è Eliseo che si mette a disposizione di Dio e neppure Elia che decide di chiamarlo al suo servizio, ma è Dio stesso che dà a Elia il compito di andarlo a cercare e di coinvolgerlo nella missione di guida spirituale del popolo.

Salmo 15 - Sei tu, Signore, l’ unico mio bene.
Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio.
Ho detto al Signore: «Il mio Signore sei tu».
Il Signore è mia parte di eredità e mio calice:
nelle tue mani è la mia vita.

Benedico il Signore che mi ha dato consiglio;
anche di notte il mio animo mi istruisce.
Io pongo sempre davanti a me il Signore,
sta alla mia destra, non potrò vacillare.

Per questo gioisce il mio cuore
ed esulta la mia anima;
anche il mio corpo riposa al sicuro,
perché non abbandonerai la mia vita negli inferi,
né lascerai che il tuo fedele veda la fossa.

Mi indicherai il sentiero della vita,
gioia piena alla tua presenza,
dolcezza senza fine alla tua destra.

Il salmista si rivolge a Dio con pace avendo eletto il Signore, quale suo rifugio. Non mancano a lui le difficoltà, gli avversari violenti. Senza l’unione con lui ogni cosa non sarebbe più per lui un bene. Egli ama i santi, i giusti; nel compimento messianico che è la Chiesa, i fratelli in Cristo. Egli si sente in forte comunione con loro, e trova forza da questo. Gli empi, che incalzano costruendo e affermando idoli, non lo sgomentano perché la sua vita è nelle mani di Dio, e niente per lui sarebbe sulla terra un bene senza il sommo bene, che è Dio: “Il mio Signore sei tu, solo in te è il mio bene”. L’orante considera come Dio lo aiuta e conforta e come per lui questo sia tutto. La sorte (il sorteggio) (Cf. Gd 17,1; Nm 26,55; ecc.) che assegnò un tempo i vari territori ai casati di Israele, ora è violata dall’ingiustizia dei dominatori idolatri, ma questo fa comprendere meglio all’orante che la vera sua sorte la sua vera sicurezza e forza è proprio il Signore, che gli dà pace e letizia: “Signore è mia parte di eredità e mio calice”. L’orante non tiene per se tutto questo, ma lo partecipa ai fratelli per un nutrirsi reciproco di luce. Non ha odio per gli empi e non li esclude dalla volontà salvifica di Dio: sono essi stessi ad escludersi da questa volontà con “le loro libagioni di sangue”, cioè i loro crimini, vero culto del male. Il salmista è certo che Dio non lo abbandonerà negli inferi una volta lasciata la terra: “non abbandonerai la mia vita negli inferi”. Ed egli sa che “il tuo Santo”, cioè il Cristo (Cf. At 13,35), avrà - ha avuto - vittoria sulla corruzione della tomba. Il salmista sa che percorrendo giorno dopo giorno “il sentiero della vita”, giungerà all’eterna dolcezza del cielo, alla destra di Dio, che è espressione letteraria indicante il glorioso essere con Dio. In assoluta eccellenza è Cristo che nella gloria è alla destra del Padre.
Commento di P.Paolo Berti

Dalla lettera di S.Paolo Apostolo ai Galati
Fratelli, Cristo ci ha liberati per la libertà! State dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù. Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Che questa libertà non divenga però un pretesto per la carne; mediante l’amore siate invece a servizio gli uni degli altri. Tutta la Legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: «Amerai il tuo prossimo come te stesso».
Ma se vi mordete e vi divorate a vicenda, badate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri! Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne. La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste. Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete sotto la Legge.
Gal 5,1. 13-18

Paolo, scrive la lettera ai Galati tra il 50 e il 57 durante il suo terzo viaggio, probabilmente da Efeso o da Macedonia, per controbattere ad una predicazione fatta da alcuni ebrei cristiani, dopo che l'apostolo aveva lasciato la comunità, i quali avevano convinto alcuni Galati che l'insegnamento di Paolo era incompleto e che la salvezza richiedeva il rispetto della Legge di Mosè, in particolare della circoncisione. Paolo condanna tale orientamento, proclamando la libertà dei credenti e la salvezza per mezzo della fede. La lettera è importante anche perchè si trovano delle informazioni storiche sulla vita di Paolo prima della conversione, sulla sua conversione, sugli anni successivi, i suoi rapporti con Pietro, con Gerusalemme, con Barnaba.
Paolo in questo brano inizia la sua esortazione con una frase che è tutto un programma: “Cristo ci ha liberati per la libertà! State dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù”
Dobbiamo tener presente che nel mondo ebraico la libertà era concepita come un dono di Dio, che dopo aver liberato il Suo popolo dalla schiavitù degli egiziani, lo aveva unito a sé mediante l’alleanza e gli aveva dato la Sua legge: lo scopo della legge infatti era quello di creare tra gli israeliti quello spirito di fratellanza e di solidarietà in forza del quale la libertà sarebbe diventata la prerogativa di tutti. In questa prospettiva essi consideravano il codice mosaico come il dono più grande che Dio aveva fatto al suo popolo e la chiamavano “legge di libertà”.
Per Paolo è la liberazione ottenuta da Cristo che dà la libertà piena, infatti egli vede proprio nella liberazione dalla legge il punto di partenza di un cammino serio e impegnativo verso la libertà piena. Ciò si comprende solo ricordando che per lui il termine “legge”, designava un semplice elenco di precetti che l’uomo, con le sue sole forze, doveva compiere per rendersi gradito a Dio. In altre parole la legge, staccata dall’azione liberatrice di Dio, era diventata una pura norma incapace di dare la vita all’uomo peccatore, e come tale era paragonabile al pedagogo che controlla il bambino finché sopraggiunge il maestro (v.3,25) . Solo Cristo ha potuto togliere di mezzo la legge così intesa, in quanto ha liberato l’uomo dal suo peccato e lo ha fatto diventare figlio di Dio.
Nei versetti non riportati dal brano liturgico (vv. 2-12) Paolo aveva messo in guardia i galati nei confronti della circoncisione e di tutto ciò che essa comporta, cioè la pratica di tutta la legge. Coloro che cercano di imporla loro vogliono separarli da Cristo, e così facendo li pongono su una strada sbagliata. Essi devono dunque decidere se stare dalla sua parte o da quella dei suoi avversari. Ma devono anche sapere che nel primo caso scelgono la libertà, mentre nel secondo, pur pensando di fare proprie le prerogative del popolo eletto, scelgono in realtà un regime di schiavitù che svuota il vangelo del suo contenuto essenziale: la croce di Cristo. Il punto che l’apostolo vuole fare capire con chiarezza è uno solo: se egli si contrappone ai giudaizzanti, non è per difendere la sua autorità di apostolo, ma per garantire la verità e l’autenticità del vangelo. I galati possono rifiutare le sue direttive, ma così facendo abbandonano Cristo e rinunziano alla sua grazia.
Nel brano liturgico Paolo afferma: Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Che questa libertà non divenga però un pretesto per la carne; mediante l’amore siate invece a servizio gli uni degli altri. Tutta la Legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: «Amerai il tuo prossimo come te stesso”.
I credenti non solo sono stati liberati, ma sono chiamati alla libertà: la libertà dunque non è solo un dono, ma anche un impegno. Questa libertà però non deve diventare un alibi per vivere secondo la carne, (cioè vivere senza regole e principi morali, in cui ogni cosa che si desidera è permessa), al contrario l’essere diventati liberi deve spingerli a mettersi a servizio gli uni degli altri nell’amore.
Tutta la legge si riassume infatti nel precetto che impone di amare il prossimo come se stessi. Paolo non predica dunque l’abolizione della legge in quanto tale, ma solo la liberazione da una legge concepita come una norma oggettiva da praticare con le proprie forze.
Purtroppo i galati non sono su questa strada, infatti l’apostolo li ammonisce dicendo: “Ma se vi mordete e vi divorate a vicenda, badate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!“ Essi vorrebbero praticare la legge, ma intanto vengono meno proprio al suo comandamento fondamentale, e così facendo si distruggono a vicenda.
Paolo passa poi a spiegare come la libertà dalla legge diventi effettiva solo in forza dello Spirito:”Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne.”
Per evitare di cedere ai desideri della carne, ossia ai desideri mondani, che sono all’origine di un comportamento peccaminoso, contrario alle esigenze della legge, il credente deve camminare secondo lo Spirito, cioè lasciarsi guidare dalla potenza di Dio che si manifesta nella sua azione.
Questo concetto lo approfondisce in questo modo:
“La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste”.
Con il termine “carne” Paolo qualifica l’uomo peccatore nel senso che ponendo se stesso egoisticamente al centro di tutte le cose, trasgredisce anche il comandamento del Decalogo “non desiderare” che rappresenta anch’esso, come il comandamento dell’amore, la sintesi di tutti i precetti divini.
Paolo infine conclude: “Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete sotto la Legge.”
Colui che si lascia guidare dallo Spirito non ha più desideri mondani. La vittoria sul desiderio mondano, e quindi la possibilità di amare i fratelli, dipende dunque essenzialmente dal dono dello Spirito.
In questo testo Paolo mette con forza l’accento sulla libertà in quanto dono che viene fatto da Cristo al credente. Questa consiste fondamentalmente nell’eliminazione di un rapporto servile con la legge.
Paolo sottolinea però con chiarezza che questa libertà non consiste nel fare i propri comodi, ma nell’osservare il precetto fondamentale dell’amore, in cui tutta la legge è riassunta.
Ma la pratica dell’amore non è una cosa che competa all’uomo se prima non ha accettato in se stesso il dono dello Spirito. Solo lo Spirito infatti è capace di sostituire i desideri del mondo con altri desideri che portano all’amore e al dono di sé (questo concetto lo tratta ancora in Rm 5,5; 8,1-4).
Questo dono ha origine fondamentalmente dall’esempio di Cristo, dalla Sua totale dedizione al Padre e ai fratelli. Solo chi assume lo Spirito di Gesù, che è anche lo Spirito di Dio, può essere veramente libero nella pratica dell’amore verso i fratelli.

Dal vangelo secondo Luca
Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso. Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Si voltò e li rimproverò. E si misero in cammino verso un altro villaggio.
Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo».
A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio».
Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio».
Lc 9, 51-62

Questo brano è tratto dalla seconda parte del vangelo di Luca, che viene denominata “La Salita verso Gerusalemme”.
Il brano inizia con una frase emblematica “Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme” e precisa che “mandò messaggeri davanti a sé”. Si può notare un riferimento a Malachia (Ml 3,1) dove Dio invia un angelo a preparare la sua venuta nel tempio di Gerusalemme e Luca interpreta questo incarico come l’invio di messaggeri ufficiali davanti al Messia per preparargli la strada verso Gerusalemme, dove avrebbe portato a termine la Sua missione.
Gli inviati “si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso. Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme.” C’è da tener presente che i samaritani erano i nemici tradizionali dei giudei e spesso ne ostacolavano il passaggio nella loro regione, per questo di solito i giudei evitavano di passare nel loro territorio.
Luca e Giovanni (Lc 4,1-42, Gv 4,1-42) sono i soli a menzionare il passaggio di Gesù in questo territorio.
“Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Si voltò e li rimproverò.”
Da questo episodio si rivela il carattere impulsivo e vendicativo dei figli di Zebedeo, e può comprendere perchè Gesù diede loro il soprannome di Boanèrghes, cioè figli del tuono.
“E si misero in cammino verso un altro villaggio.”
Può darsi che Gesù visto il rifiuto dei Samaritani abbia deviato il suo cammino, prendendo la strada che per giungere a Gerusalemme attraversa la Perea. L'interesse di Luca in questa sezione è però soprattutto di presentare Gesù in “viaggio”, non importa quindi precisare di quale altro villaggio si tratti.
Dopo l’episodio dei samaritani Luca inserisce tre scene di vocazione.
Nella prima scena, a un certo punto si presenta a Gesù un tale che gli dichiara la sua ferma decisione di seguirlo dovunque egli vada. La risposta di Gesù è significativa:”Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”. Prima di decidersi a seguire Gesù bisogna riflettere seriamente, perché si tratta di una scelta che implica privazioni, rischi, mancanza di sicurezze terrene, per cui una vita comoda e tranquilla non si addice a chi intende mettersi al Suo seguito.
Nella seconda scena è Gesù che rivolgendosi ad un altro dice : «Seguimi!». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». C’è da tenere presente che nella società ebraica non c’era solo il compito di adempiere a tutti i doveri connessi con la sepoltura del padre, ma anche di assisterlo nell’ultimo periodo della sua vita.
Già Eliseo aveva chiesto di poter salutare i genitori prima di seguire Elia (1Re 19-20), ed è possibile che Luca vi si ispiri; ma ora il futuro discepolo domanda una proroga per un motivo ben più grave: il sacrosanto dovere di provvedere alla sepoltura del padre, richiesto dal quarto comandamento della legge e considerato un'importante opera di misericordia.. A questo riguardo Gesù esprime il suo pensiero con un’affermazione paradossale, formulata in perfetto stile semitico, uno stile che usa toni forti e dichiarazioni esplosive: “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio”. Mettendosi al seguito di Gesù il discepolo ha scelto la “vita” e non deve più immischiarsi in faccende che riguardano coloro che sono ancora spiritualmente “morti”. Gesù considera quindi la sequela come un impegno talmente decisivo e radicale da far passare in secondo ordine persino gli obblighi più importanti e i legami familiari più stretti.
L’ultima scena riguarda un tale che prendendo lui stesso l’iniziativa si rivolge a Gesù dicendogli: “Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia”. Costui si impegna a seguirlo, ma prima chiede di potersi accomiatare da quelli di casa sua. Ma Gesù risponde: “Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio”.
L’aratro, simbolo del lavoro abbandonato da Eliseo, diventa segno del nuovo lavoro dell’apostolo “coltivatore” (chiamando i primi discepoli Gesù aveva parlato di pescatori di uomini) Ma c’è un’altra differenza più rilevante, tra queste scene di vocazione: nella chiamata per il Regno proposta da Cristo non c’è spazio per il “congedo da quelli di casa”.
Chi intende mettersi alla sequela di Gesù non guarda più al passato, è chiamato ad occuparsi di nuova vita; taglia i legami con le idee vecchie e con gli interessi individuali; deve essere mobile, disposto ad avventurarsi nel territorio del rinnovamento e della perfezione, affronta il rischio della novità, ama l’azzardo della libertà, il cui conseguimento è per lui fondamento di uno spirito di servizio e di solidarietà.

 

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“Il Vangelo di questa domenica mostra un passaggio molto importante nella vita di Cristo: il momento in cui – come scrive san Luca – «Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme». Gerusalemme è la meta finale, dove Gesù, nella sua ultima Pasqua, deve morire e risorgere, e così portare a compimento la sua missione di salvezza.
Da quel momento, dopo quella “ferma decisione”, Gesù punta dritto al traguardo, e anche alle persone che incontra e che gli chiedono di seguirlo, dice chiaramente quali sono le condizioni: non avere una dimora stabile; sapersi distaccare dagli affetti umani; non cedere alla nostalgia del passato.
Ma Gesù dice anche ai suoi discepoli, incaricati di precederlo sulla via verso Gerusalemme per annunciare il suo passaggio, di non imporre nulla: se non troveranno disponibilità ad accoglierlo, si proceda oltre, si vada avanti. Gesù non impone mai, Gesù è umile, Gesù invita. Se tu vuoi, vieni. L’umiltà di Gesù è così: Lui invita sempre, non impone.
Tutto questo ci fa pensare. Ci dice, ad esempio, l’importanza che, anche per Gesù, ha avuto la coscienza: l’ascoltare nel suo cuore la voce del Padre e seguirla. Gesù, nella sua esistenza terrena, non era, per così dire, “telecomandato”: era il Verbo incarnato, il Figlio di Dio fatto uomo, e a un certo punto ha preso la ferma decisione di salire a Gerusalemme per l’ultima volta; una decisione presa nella sua coscienza, ma non da solo: insieme al Padre, in piena unione con Lui!
Ha deciso in obbedienza al Padre, in ascolto profondo, intimo della sua volontà. E per questo la decisione era ferma, perché presa insieme con il Padre. E nel Padre Gesù trovava la forza e la luce per il suo cammino. E Gesù era libero, in quella decisione era libero. Gesù vuole noi cristiani liberi come Lui, con quella libertà che viene da questo dialogo con il Padre, da questo dialogo con Dio. Gesù non vuole né cristiani egoisti, che seguono il proprio io, non parlano con Dio; né cristiani deboli, cristiani, che non hanno volontà, cristiani «telecomandati», incapaci di creatività, che cercano sempre di collegarsi con la volontà di un altro e non sono liberi. Gesù ci vuole liberi e questa libertà dove si fa? Si fa nel dialogo con Dio nella propria coscienza. Se un cristiano non sa parlare con Dio, non sa sentire Dio nella propria coscienza, non è libero, non è libero.
Per questo dobbiamo imparare ad ascoltare di più la nostra coscienza. Ma attenzione! Questo non significa seguire il proprio io, fare quello che mi interessa, che mi conviene, che mi piace... Non è questo! La coscienza è lo spazio interiore dell’ascolto della verità, del bene, dell’ascolto di Dio; è il luogo interiore della mia relazione con Lui, che parla al mio cuore e mi aiuta a discernere, a comprendere la strada che devo percorrere, e una volta presa la decisione, ad andare avanti, a rimanere fedele.
Noi abbiamo avuto un esempio meraviglioso di come è questo rapporto con Dio nella propria coscienza, un recente esempio meraviglioso. Il Papa Benedetto XVI ci ha dato questo grande esempio quando il Signore gli ha fatto capire, nella preghiera, quale era il passo che doveva compiere. Ha seguito, con grande senso di discernimento e coraggio, la sua coscienza, cioè la volontà di Dio che parlava al suo cuore. E questo esempio del nostro Padre fa tanto bene a tutti noi, come un esempio da seguire.
La Madonna, con grande semplicità, ascoltava e meditava nell’intimo di se stessa la Parola di Dio e ciò che accadeva a Gesù. Seguì il suo Figlio con intima convinzione, con ferma speranza. Ci aiuti Maria a diventare sempre più uomini e donne di coscienza, liberi nella coscienza, perché è nella coscienza che si dà dialogo con Dio; uomini e donne, capaci di ascoltare la voce di Dio e di seguirla con decisione capaci di ascoltare la voce di Dio e di seguirla con decisione.”

Papa Francesco Parte dell’ Angelus del 30 giugno 2013

Lunedì, 24 Giugno 2019 14:25

Oratorio Estivo 2019

Essere chiAMATI! E’ questo il tema che guida il nostro oratorio in questa estate 2019! Molte sono state le esperienze durante quest’anno che hanno guidato i giovani dell’ oratorio: il sinodo, il campo invernale con l’approfondimento dell’esortazione apostolica di papa Francesco Gaudete et Exsultate e infine la GMG in diretta da Roma dal tema: Ecco la serva del Signore; avvenga per me secondo la tua parola. E senza accorgercene (solo a cose fatte :-) ) ecco che la Provvidenza ci stava guidando ad un grande messaggio, che non potevamo ignorare, né tantomeno evitare di testimoniare a tutti i bambini e alle famiglie che hanno deciso di passare con noi queste prime settimane estive.

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Coraggio, Alzati, Ti chiama: è un invito tanto grande, tanto bello, che per noi non poteva passare inosservato

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Tutti capiranno se parli il linguaggio dell’amore e della verità (papa Francesco)

 

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Scoprire di essere chiamati attraverso i propri talenti.. è questo il filo conduttore che lega le attività svolte dai bambini durante tutti i giorni, sotto lo sguardo dei giovani animatori decisi a renderli in prima persona, protagonisti dei grandi doni che ognuno di loro custodisce nel proprio cuore.

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Un grazie davvero di cuore a Dio, al parroco

e ai sacerdoti che continuamente ci supportano e

sopportano le nostre ansie e preoccupazioni, ai

ragazzi dell’oratorio e alle strade che il Signore

ci ha fatto incrociare con quelle di altri ragazzi

che ci stanno aiutando in questo servizio..


Se fai come Lui, tu che sei creatura

imparerai a creare !! 

 

Vi aspettiamo per altre 2 settimane, fino al 5 luglio! 

 

Gruppo Kairos

 

 

Domenica, 23 Giugno 2019 11:01

Corpus Domini - 23 Giugno 2019

1. Lunedì 24 giugno – Solennità di S. Giovanni Battista.

2. Venerdì 28 giugno – Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù. La giornata di santificazione sacerdotale.

3. Sabato 29 giugno – Solennità dei Santi Pietro e Paolo, a Roma è festa di precetto.

4. Domenica prossima, 30 giugno, la raccolta delle questue sarà destinata per la Carità del Papa. L’iniziativa è promossa da anni dalla Conferenza Episcopale Italiana. Il titolo di questa giornata è “Si è più beati nel dare che nel ricevere”.

5. Lunedì 24 giugno, alle ore 19,00, nella Cattedrale di San Giovanni sono invitati a partecipare i sacerdoti e collaboratori pastorali – nella celebrazione dei Vespri per la consegna degli obiettivi essenziali e delle linee pastorali da condividere per il prossimo anno pastorale.

6. Con la Solennità dei Santi Pietro e Paolo entra l’orario estivo delle ss. messe festive alle ore 9,00 – 11,00 e 18,30.

Sabato, 22 Giugno 2019 17:08

Festa a Padre Stanislao

Domenica 16 giugno è stato il compleanno del nostro caro Parroco Padre Stanislao.
Gran parte della comunità parrocchiale si è riunita perché lo stesso Parroco desiderava ringraziare tutti i parrocchiani che, in varie maniere, modi e misure, collaborano per il buon funzionamento di tutte quelle attività che si svolgono nella nostra bella Chiesa.
Ma anche tutti noi desideravamo anche essere vicini al nostro Pastore, tornato fra noi e destinato a restare per un bel po', come ci è stato assicurato.
Il caso ha voluto che questo compleanno coincidesse perfettamente con la celebrazione della Santissima Trinità, mentre il giorno preciso della nascita era un mercoledì, vigilia del Corpus Domini.
Beh.... possiamo dire che era destino che il Signore lo chiamasse a vita consacrata!
Ancora auguri Padre Stanislao!
Siamo felici che tu sia fra noi.

Una parrocchiana.

 

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Pro Memoria

L'umanità è una grande e  immensa famiglia ... Troviamo la dimostrazione di ciò da quello che ci sentiamo nei nostri cuori a Natale.
(Papa Giovanni XXIII)

Parrocchia Nostra Signora de La Salette
Piazza Madonna de La Salette 1 - 00152 ROMA
tel. e fax 06-58.20.94.23
e-mail: email
Settore Ovest - Prefettura XXX - Quartiere Gianicolense - 12º Municipio
Titolo presbiterale: Card. Polycarp PENGO
Affidata a: Missionari di Nostra Signora di «La Salette» (M.S.)
 

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