Per la terza volta consecutiva il grande quadro della "SACRA FAMIGLIA", permanentemente esposto alla venerazione dei fedeli nella Parrocchia N.S. de L a Salette, ha aperto il tradizionale corteo "VIVA LA BEFANA - PER RIAFFERMARE E TRAMANDARE I VALORI DELL'EPIFANIA" che il 6 gennaio ha sfilato in via della Conciliazione fino a Piazza San Pietro.
Affidato alla custodia della Confraternita della Misericordia Mr.te e Orazione della Diocesi Suburbicaria di Sabina Poggio Mirteto e accompagnato dal Praefectus Propositi padre Gian Matteo Roggio, dai serventi del Comitato Organizzatore, Mauro Navarra, Ferruti Daniele e Giovanni Zorzi, anche quest'anno è stato benedetto da Papa Francesco, durante l'Angelus.
Le letture liturgiche di questa domenica hanno come filo conduttore una festa di nozze e ci guidano con semplicità e chiarezza verso il centro del messaggio cristiano: la nostra vita spirituale si nutre dell’amore di Dio per noi e del nostro amore per il prossimo che raffigura l’amore per Dio.
Nella prima lettura, tratta dal libro del profeta Isaia, Dio è presentato come uno sposo “come un giovane sposa una vergine, … come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te” e Israele è paragonato ad una sposa, alla quale Dio non rinnega mai il Suo amore, nonostante le sue infedeltà.
Nella seconda lettura, San Paolo nella sua lettera ai Corinzi afferma che la Chiesa generata dallo Spirito Santo è una umanità unificata, nella quale ciascuno ha un compito e un carisma in vista del bene comune.
Nel Vangelo, Giovanni racconta come Gesù si sia rivelato fin dagli inizi ai suoi discepoli attraverso un segno tutto particolare: l’acqua mutata in vino in un banchetto di nozze. La festa di Cana, alla quale Gesù partecipa con Sua Madre e con i Suoi discepoli, manifesta molteplici aspetti della Sua presenza tra noi. C’è una chiara allusione al banchetto finale al quale Dio chiama, attraverso di Lui, tutti i popoli della terra. L’immagine delle nozze è frequente nell’Antico Testamento per indicare l’amore di Dio verso la comunità che Egli ha scelto.
Il miracolo (o segno) di Gesù a Cana di Galilea ci esorta a ricordare che Lui è il centro di ogni festa, il centro della nostra vita, Colui che proprio con tali segni vuole mostrarci la strada per realizzare ed attualizzare la nostra salvezza.
Dal libro del profeta Isaìa
Per amore di Sion non tacerò,
per amore di Gerusalemme non mi concederò riposo,
finché non sorga come aurora la sua giustizia
e la sua salvezza non risplenda come lampada.
Allora le genti vedranno la tua giustizia,
tutti i re la tua gloria;
sarai chiamata con un nome nuovo,
che la bocca del Signore indicherà.
Sarai una magnifica corona nella mano del Signore,
un diadema regale nella palma del tuo Dio.
Nessuno ti chiamerà più Abbandonata,
né la tua terra sarà più detta Devastata,
ma sarai chiamata Mia Gioia
e la tua terra Sposata,
perché il Signore troverà in te la sua delizia
e la tua terra avrà uno sposo.
Sì, come un giovane sposa una vergine,
così ti sposeranno i tuoi figli;
come gioisce lo sposo per la sposa,
così il tuo Dio gioirà per te.
Is 62,1-5
Questo brano, come quello dell’Epifania, appartiene al "Terzo Isaia" (TritoIsaia capitoli 56-66), il profeta della situazione successiva al ritorno dall'esilio che si rivolge non più agli esiliati, ma ai giudei ritornati da Babilonia in Gerusalemme. Il suo centro di interesse non è più il nuovo esodo, bensì il ristabilimento delle istituzioni teocratiche, le quali sono minacciate non da agenti esterni, ma dalla infedeltà del popolo.
Il brano inizia con un’esternazione del profeta, il quale attende con impazienza che Gerusalemme, oggetto del suo più grande amore, ritorni al suo primitivo splendore:
“Per amore di Sion non tacerò, per amore di Gerusalemme non mi concederò riposo, finché non sorga come aurora la sua giustizia e la sua salvezza non risplenda come lampada”.
Il profeta è preoccupato per Gerusalemme e anticipa con il pensiero il momento in cui essa sarà restaurata. Egli la sogna come una città in cui la “giustizia” sorge come aurora e la salvezza risplende come una fiaccola.
Prosegue descrivendo poi il futuro di Gerusalemme a cui sarà affidato una missione universale:
“Allora le genti vedranno la tua giustizia, tutti i re la tua gloria; sarai chiamata con un nome nuovo, che la bocca del Signore indicherà”.
Ricevendo in sé la salvezza che consiste nella giustizia, questa diventerà visibile a tutte le nazioni, che ne trarranno luce e orientamento di vita.. La città manifesterà dunque la sua grandezza nella giustizia, e non nella potenza delle armi, nel benessere materiale o nella magnificenza dei suoi edifici.
In forza della giustizia Gerusalemme acquisterà un nuovo rapporto con DIO “Sarai una magnifica corona nella mano del Signore, un diadema regale nella palma del tuo Dio.”
La gloria della nuova Gerusalemme viene poi ulteriormente spiegata mediante un cambiamento di nome: nessuno la chiamerà più “Abbandonata”, e la sua terra non sarà più detta “Devastata”, ma sarà chiamata “Mia Gioia” e la sua terra “Sposata”, perché DIO troverà in essa la sua delizia e la sua terra avrà uno sposo. Il cambiamento di nome che indica una svolta nella vita di una persona, era stato già adottato da Osea per indicare prima la rottura e poi la riconciliazione di Israele con DIO (V: Os 1-2).
Per terminare il profeta riprende quest’ultimo concetto:
“come un giovane sposa una vergine, così ti sposeranno i tuoi figli; come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te. “. La ricostituzione del rapporto privilegiato di DIO con Israele (Os 2,21-25) è dunque all’origine del nuovo splendore della città santa.
La gloria della Gerusalemme futura viene identificata con la piena assunzione di un rapporto interno improntato alla giustizia, una virtù che evoca rapporti leali e sinceri. La cosa più importante per il progresso di una nazione consiste appunto in un rapporto sincero con Dio, basato sul compimento della Sua volontà, e in un rapporto sociale in cui i diritti di tutti, specialmente degli ultimi, siano rispettati.
.
Salmo 95 - Annunciate a tutti i popoli le meraviglie del Signore.
Cantate al Signore un canto nuovo,
cantate al Signore, uomini di tutta la terra.
Cantate al Signore, benedite il suo nome.
Annunciate di giorno in giorno la sua salvezza.
In mezzo alle genti narrate la sua gloria,
a tutti i popoli dite le sue meraviglie.
Date al Signore, o famiglie dei popoli,
date al Signore gloria e potenza,
date al Signore la gloria del suo nome.
Prostratevi al Signore nel suo atrio santo.
Tremi davanti a lui tutta la terra.
Dite tra le genti: «Il Signore regna!».
Egli giudica i popoli con rettitudine.
Il salmo è un invito all'assemblea dei popoli a riconoscere la grandezza di Dio. L'universalismo del salmo ha come base l'unicità di Dio, e la consapevolezza che tutti i popoli della terra hanno un'origine comune, e che, allontanatisi da Dio, ne hanno in qualche misura un ricordo nelle loro concezioni religiose, infettate di politeismo e di idolatria. Ora Dio chiama a raccolta tutte le famiglie dei popoli a ritornare a lui (Cf. Ps 21,28), che ha formato un popolo quale suo testimone, radunato attorno al tempio di Gerusalemme. ….
L'annuncio di Israele ai popoli deve affermare la regalità di Dio su di loro: “Dite tra le genti: ”.
Egli è colui che con la sua provvidenza regge il mondo, e agisce con giustizia sui popoli: “È stabile il mondo, non potrà vacillare! Egli giudica i popoli con rettitudine”.
Il Signore “viene a giudicare la terra”; questo avverrà con la venuta di Cristo, re di giustizia e di pace il quale affermerà la giustizia (Cf. Ps 93). “Viene”, dice il salmista. Ora è venuto il Cristo, il Figlio di Dio incarnatosi nel grembo verginale di Maria. Egli viene continuamente con la sua grazia (Ap 1,8); poi, alla fine del mondo, verrà per il giudizio finale: “Giudicherà il mondo con giustizia e nella sua fedeltà i popoli”. “Nella sua fedeltà”, cioè per dare la risurrezione gloriosa a coloro che lo hanno accolto.
Difficile poter dire la data di composizione del salmo; probabilmente è stato scritto in un tempo di grande compattezza di Israele, poco dopo la costruzione del tempio di Salomone, prima che avvenisse lo scisma delle tribù del nord (1Re 11,26s).
Commento di P.Paolo Berti
Dalla lettera di S.Paolo apostolo ai Corìnzi
Fratelli, vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti.
A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune: a uno infatti, per mezzo dello Spirito, viene dato il linguaggio di sapienza; a un altro invece, dallo stesso Spirito, il linguaggio di conoscenza; a uno, nello stesso Spirito, la fede; a un altro, nell’unico Spirito, il dono delle guarigioni; a uno il potere dei miracoli; a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di discernere gli spiriti; a un altro la varietà delle lingue; a un altro l’interpretazione delle lingue.
Ma tutte queste cose le opera l’unico e medesimo Spirito, distribuendole a ciascuno come vuole.
1 Cor 12,4-11
La Prima lettera ai Corinzi, che Paolo scrisse da Efeso negli anni 53-57, è una delle più lunghe fra quelle da lui scritte, paragonabile a quella dei Romani, ambedue infatti sono suddivise in 16 capitoli.
Paolo tra il 50 e 51 aveva gettato le fondamenta della Comunità di Corinto, formata soprattutto di pagani di modesta condizione (At.18, 1-18). Due anni dopo, mentre era ad Efeso, Paolo apprende che erano sorte delle divisioni che agitavano la comunità, e questo glielo confermano anche alcuni cristiani di Corinto che erano andati da lui per esporre questi problemi. Questa è la ragione che lo spinge a scrivere questa lettera che noi conosciamo come prima, ma che è stata sicuramente preceduta da un’altra che è andata perduta (questo lo si deduce da quanto scrive al v.5,9)
La lettera si contraddistingue per la molteplicità dei temi che Paolo vi affronta per chiarire dubbi o difficoltà della comunità e per correggere abusi e deviazioni. In essa l’apostolo dovrà prendere posizioni anche piuttosto critiche, ma facendosi prendere dalle situazioni vissute ci permette anche di gettare uno sguardo sulla crescita di una giovane Chiesa con tutto il suo dinamismo, ma anche le sue crisi.
Malgrado i pericoli che deve denunciare, e le sofferenze che come conseguenza ne avrà, (v.2 Cor), Paolo comunque sarà sempre fiero di questa comunità che ha fondato in pieno ambiente pagano.
Il capitolo 12, da dove è tratto il brano liturgico, è dedicato ai doni dello Spirito. Paolo aveva riscontrato che nel mondo greco, oltre ad esserci qualche elemento di rimpianto per le pratiche pagane, c'era anche in alcuni il tentativo di attribuirsi maggiore capacità rispetto agli altri per il possesso di alcune doti straordinarie. Così regnava una notevole confusione a causa dei molti "carismi" che i cristiani manifestavano nella loro vita privata e nella comunità. Anzi, a causa di questi doni, spesso, sorgevano invidie, gelosie, discussioni, confronti.
Così, Paolo sviluppa una sua riflessione e in questo brano afferma:
“Fratelli, vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti.”
Paolo cerca di ridimensionare il problema affermando che carismi, doni di grazia, provengono tutti dall’’amore gratuito di Dio. Questi doni, anche se si differenziano, provengono tutti dallo Spirito. Ci sono diversi ministeri, cioè servizi, ma anche questi ministeri provengono da un solo Signore, cioè da Gesù Cristo figlio di Dio. Ancora ci sono diverse attività ma vanno tutte ricondotte a Dio Padre, il primo ad operare tutto in tutti.
La Chiesa è un organismo che ha bisogno di diverse attività, ma tutte hanno come fonte Dio e sono volte al bene di tutti i credenti
“A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune: a uno infatti, per mezzo dello Spirito, viene dato il linguaggio di sapienza;”
La misura per valutare qualsiasi dono è l'utilità all'interno della comunità cristiana.
Paolo enumera questi doni di cui i Corinzi erano dotati, ma ad ogni dono ribadisce che l'unica fonte da cui esso proviene è lo Spirito.
Egli fa un esempio esemplificativo, senza voler completare l’immensa varietà dei doni
“a un altro invece, dallo stesso Spirito, il linguaggio di conoscenza; a uno, nello stesso Spirito, la fede; a un altro, nell’unico Spirito, il dono delle guarigioni; a uno il potere dei miracoli;”
Per fede qui Paolo non intende certamente l'adesione all'annuncio evangelico, che è un dono dato a tutti i credenti. Si tratta piuttosto della fede taumaturgica, capace di spostare le montagne (v. 1Cor 13,3). Un carisma molto simile è il dono delle guarigioni e quello di fare miracoli.
“a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di discernere gli spiriti; a un altro la varietà delle lingue; a un altro l’interpretazione delle lingue”.
La profezia non è la previsione del futuro, piuttosto si tratta di una parola capace di scuotere, provocare pentimenti, appassionare l'ascoltatore.
Era importante discernere la vera profezia dalle sue imitazioni, mosse da spiriti malvagi, perciò tra i doni vi è anche quello di discernere gli spiriti.
Alla fine vi è la varietà delle lingue ossia la glossolalia, carisma preferito dai Corinzi, in quanto manifestazione spettacolare. Non era sicuramente molto amata da Paolo per la sua poca utilità all’interno della comunità, destinata a rimanere sconcertata di fronte a voci incomprensibili. Ecco perché la glossolalia viene subito affiancata dal dono di interpretare le lingue, per rendere comprensibili e utili queste manifestazioni dello Spirito.
Di questi aspetti Paolo parlerà diffusamente nel capitolo 14.
“Ma tutte queste cose le opera l’unico e medesimo Spirito, distribuendole a ciascuno come vuole”.
Tutti questi doni dunque provengono dalla medesima fonte, lo Spirito di Dio, il quale liberamente e sovranamente li elargisce a ciascuno come meglio crede. E' quindi escluso qualsiasi privilegio, qualsiasi merito che renda qualcuno superiore agli altri.
Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».
Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono.
Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora».
Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.
Gv 2,1-12
Il racconto delle nozze di Cana, che è riportato solamente nel Vangelo di Giovanni, chiude il ciclo delle manifestazioni di Gesù: a Betlemme, nel mistero della carne, si rivela ai Magi; nelle acque del Giordano è proclamato Figlio, l’amato del Padre; a Cana, con il primo segno (o miracolo) Gesù comincia a rivelarsi ai suoi discepoli e al mondo come vero Dio.
Giovanni, raccontando le nozze di Cana, ha detto esplicitamente quale sia il significato di questo racconto, perché l’ultimo versetto dice che questo “fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui”. Il racconto ha decisamente un’importanza notevole: non per niente Giovanni lo ha messo come primo dei segni di Gesù. E “primo” non si riferisce solo all’ordine cronologico, ma vuol dire l’inizio, il modello; tutti gli altri segni che Gesù farà saranno simili a questo e se uno capisce questo potrà anche capire il mistero stesso di Gesù.
Il brano inizia riportando che “vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea”
Nell'Antico Testamento, la festa delle nozze era un simbolo dell'amore di Dio verso il Suo popolo. Il tema delle nozze richiama subito alla mente un’immagine biblica, divenuta tradizionale a partire dall’esperienza coniugale di Osea fino al Cantico dei Cantici e a Gesù stesso, che ha presentato il regno dei cieli come un banchetto di nozze. La festa umana per eccellenza, quella che dice l’amore dell’uomo e della donna è servita da metafora per esprimere l’alleanza di Dio con il suo popolo, e più particolarmente la sua realizzazione escatologica, allorché Dio la stringerà non solo con Israele ma col mondo intero.
“e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino»”
La Madre di Gesù si trovava nella festa, mentre Gesù ed i suoi discepoli erano invitati. Colpisce subito l’attenzione che Maria ha per le cose semplici e molto umane di questi sposi, forse neanche loro si erano accorti di quanto stava succedendo. Ma dopo l’attenzione amorevole di Maria, lascia un po’ perplessi la risposta asciutta che le dà Gesù: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora».
È una frase dura e decisa, che sottolinea una certa distanza. Gesù non vuole saperne del problema, sembra che non gli interessi, che non lo tocchi più di tanto. Questo atteggiamento lo ritroviamo altre volte nei Vangeli. Gesù ormai non è più semplicemente il figlio di Maria; ma ha iniziato la sua rivelazione pubblica come Messia. La reazione di Maria, che rivolta ai servitori dice : «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». denota che se anche non ha compreso quali siano esattamente le intenzioni del Figlio, si rimette totalmente alla volontà di lui, e trasmette ai servi questa sua fede aperta al mistero. L’evangelista riporta le parole, ma possiamo anche pensare che il dialogo tra Gesù e la Madre non è terminato; anzi le sue più importanti parole non furono mai pronunziate con le labbra, ma solo trasmesse da sguardo a sguardo.
“Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri.” L'indicazione del numero delle giare è un dettaglio piccolo ma significativo. "6 giare": vuol indicare l’imperfezione (il 7 numero della perfezione, del completamento, della maturità), le giare di solito erano sempre piene, soprattutto durante una festa, ma qui sono vuote. Le giare possiamo considerarle un esempio dell'antica alleanza, sono vuote, non più in grado di generare una vita nuova.
“E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo”.
Solo Gesù può immettere vino nuovo nel tentativo umano di giungere ad un'esistenza più autentica.
“Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono.”
Come nella moltiplicazione dei pani, anche a Cana Gesù sollecita e quasi attende la collaborazione umana, ma che è sempre sproporzionata rispetto all‘azione divina. Certo Gesù avrebbe potuto riempire direttamente di vino le sei giare senza chiedere nulla a nessuno; ma egli desidera che i discepoli ricordino la loro responsabilità e la vivano con generosa fedeltà: toccherà a loro “riempire, attingere e portare” la bevanda della salvezza.
“Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua –
Colui che dirige il banchetto non sa da dove il vino venga, ma lo sanno solo i servi. Lo sanno i servi perché obbedendo alle parole della Madre di Gesù hanno fatto quello che Gesù ha detto loro di fare.
Questo fa parte della rivelazione di Gesù, in quanto nel vangelo di Giovanni quando si parla dei doni divini, che Gesù porta agli uomini, si sottolinea il fatto che questi doni hanno una origine misteriosa, com’è misterioso il Donatore. E se uno vuole comprendere Gesù, deve mettere Gesù in relazione con Dio, deve sapere che viene da Dio e che ritorna a Dio: la Sua origine e la Sua destinazione sono misteriose. Quindi come è misterioso Gesù, così sono misteriosi i suoi doni.
“chiamò lo sposo e gli disse: « Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora»..
In questi versetti, Giovanni usa un po’ di ironia nel riportare che il maestro di tavola attribuisce il buon vino allo sposo, e non a Gesù.
Ci sono una infinità di spunti da trarre da questo racconto, ma il messaggio più forte, quello che il “segno “ delle nozze di Cana ci vuole comunicare è il messaggio teologico: Cristo è il “vino buono” e “ultimo”, cioè il dono perfetto del Padre. Ed è proprio Maria, la donna” perfetta, la mediatrice di ogni grazia, il ponte di congiungimento tra la terra e il cielo, che ci presenta il Cristo nella sua missione di salvezza, nella sua “ora” solenne, fonte di gioia e di liberazione da ogni paura.
*****
“Il Vangelo di questa domenica presenta l’evento prodigioso avvenuto a Cana, un villaggio della Galilea, durante una festa di nozze alla quale partecipano anche Maria e Gesù, con i suoi primi discepoli. La Madre fa notare al Figlio che è venuto a mancare il vino, e Gesù, dopo averle risposto che non è ancora giunta la sua ora, tuttavia accoglie la sua sollecitazione e dona agli sposi il vino più buono di tutta la festa. L’evangelista sottolinea che «questo fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui»
I miracoli, dunque, sono segni straordinari che accompagnano la predicazione della Buona Notizia e hanno lo scopo di suscitare o rafforzare la fede in Gesù. Nel miracolo compiuto a Cana, possiamo scorgere un atto di benevolenza da parte di Gesù verso gli sposi, un segno della benedizione di Dio sul matrimonio. L’amore tra l’uomo e la donna è quindi una buona strada per vivere il Vangelo, cioè per incamminarsi con gioia sul percorso della santità.
Ma il miracolo di Cana non riguarda solo gli sposi. Ogni persona umana è chiamata ad incontrare il Signore nella sua vita. La fede cristiana è un dono che riceviamo col Battesimo e che ci permette di incontrare Dio. La fede attraversa tempi di gioia e di dolore, di luce e di oscurità, come in ogni autentica esperienza d’amore. Il racconto delle nozze di Cana ci invita a riscoprire che Gesù non si presenta a noi come un giudice pronto a condannare le nostre colpe, né come un comandante che ci impone di seguire ciecamente i suoi ordini; si manifesta come Salvatore dell’umanità, come fratello, come il nostro fratello maggiore, Figlio del Padre: si presenta come Colui che risponde alle attese e alle promesse di gioia che abitano nel cuore di ognuno di noi.
Allora possiamo chiederci: davvero conosco il Signore così? Lo sento vicino a me, alla mia vita? Gli sto rispondendo sulla lunghezza d’onda di quell’amore sponsale che Egli manifesta ogni giorno a tutti, a ogni essere umano? Si tratta di rendersi conto che Gesù ci cerca e ci invita a fargli spazio nell’intimo del nostro cuore. E in questo cammino di fede con Lui non siamo lasciati soli: abbiamo ricevuto il dono del Sangue di Cristo. Le grandi anfore di pietra che Gesù fa riempire di acqua per tramutarla in vino sono segno del passaggio dall’antica alla nuova alleanza: al posto dell’acqua usata per la purificazione rituale, abbiamo ricevuto il Sangue di Gesù, versato in modo sacramentale nell’Eucaristia e in modo cruento nella Passione e sulla Croce. I Sacramenti, che scaturiscono dal Mistero pasquale, infondono in noi la forza soprannaturale e ci permettono di assaporare la misericordia infinita di Dio.
La Vergine Maria, modello di meditazione delle parole e dei gesti del Signore, ci aiuti a riscoprire con fede la bellezza e la ricchezza dell’Eucaristia e degli altri Sacramenti, che rendono presente l’amore fedele di Dio per noi. Potremo così innamorarci sempre di più del Signore Gesù, nostro Sposo, e andargli incontro con le lampade accese della nostra fede gioiosa, diventando così suoi testimoni nel mondo.”
Papa Francesco Parte dell’Angelus del 17 gennaio 2016
Carissimi tutti, domenica 6 gennaio 2019, giorno dell’Epifania il gruppo di 1° anno di cresima assieme ai genitori dei ragazzi ed alcuni amici, ha partecipato alla gita organizzata con il pullman a Greccio, paese del presepio di San Francesco.
La liturgia, in questa domenica del Battesimo del Signore, chiamandoci a contemplare il mistero di Dio ci invita a fissare lo sguardo sul Figlio, per riconoscere in Lui la nostra più vera identità
Nella prima lettura, tratta dal libro del profeta Isaia, Dio attraverso il profeta parla al cuore del suo popolo e lo consola e, attraverso le parole del profeta: “Nel deserto preparate la via del Signore”, che sono sempre vive e attuali, invita anche noi oggi a prendere coscienza dei nostri errori, e accendere il desiderio di una migliore condotta di vita.
Nella seconda lettura, San Paolo nella sua lettera a Tito delinea con poche parole l’opera salvifica di Dio: la nostra vita di fede ha origine dalla acque del battesimo, ed è costruita non su noi stessi, ma sulla grazia di Cristo. La salvezza è opera della misericordia di Dio Padre e si compie nella persona di Gesù Cristo.
Nel Vangelo di Luca assistiamo ad una grande Teofania, leggiamo infatti che il cielo si aprì e discese su Gesù nel Giordano, lo Spirito Santo in forma corporea di colomba, e si udì una voce, quella del Padre, che riconosce in Gesù il Figlio amato.
In Cristo noi siamo battezzati, liberati dal peccato e diventati una creatura nuova. Dipende da noi vivere il dono ricevuto: credere che siamo figli di Dio, amare e lasciarsi plasmare dallo Spirito Santo.
Dal libro del profeta Isaia
«Consolate, consolate il mio popolo – dice il vostro Dio –.
Parlate al cuore di Gerusalemme
e gridatele che la sua tribolazione è compiuta,
la sua colpa è scontata,
perché ha ricevuto dalla mano del Signore
il doppio per tutti i suoi peccati».
Una voce grida: «Nel deserto preparate la via al Signore,
spianate nella steppa la strada per il nostro Dio.
Ogni valle sia innalzata, ogni monte e ogni colle siano abbassati;
il terreno accidentato si trasformi in piano
e quello scosceso in vallata.
Allora si rivelerà la gloria del Signore e tutti gli uomini insieme la vedranno,
perché la bocca del Signore ha parlato».
Sali su un alto monte, tu che annunci liete notizie a Sion!
Alza la tua voce con forza, tu che annunci liete notizie a Gerusalemme.
Alza la voce, non temere; annuncia alle città di Giuda:
«Ecco il vostro Dio! Ecco, il Signore Dio viene con potenza,
il suo braccio esercita il dominio.
Ecco, egli ha con sé il premio e la sua ricompensa lo precede.
Come un pastore egli fa pascolare il gregge
e con il suo braccio lo raduna;
porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri».
Is 40,1-5, 9-11
Questo brano fa parte del Libro della Consolazione di Israele (capitoli 40-55) attribuiti ad un autore, rimasto anonimo, a cui è stato dato il nome di “Secondo Isaia ” o “deutero Isaia ”. Probabilmente era un lontano discepolo del primo Isaia che visse a Babilonia insieme agli esiliati che, dalla sue profezie prendono speranza. Infatti a partire dal 550 a.C. compare un nuovo popolo, non semitico, i Persiani, sotto il comando del loro re: Ciro. Egli in 10 anni sottomette l’oriente e agli occhi dei popoli oppressi, deportati dai Babilonesi, egli appare come un liberatore. Il Deuteroisaia non si limita a presentarlo come lo strumento scelto da Dio per portare a termine il suo piano in favore di Israele, ma gli attribuisce prerogative tipiche dei re di Giuda, ponendolo così in una prospettiva “messianica”.
Il brano che la liturgia ci propone si apre con un oracolo nel quale Dio stesso esorta a “consolare” il Suo popolo. Le prime parole sono ripetute con insistenza:
“Consolate, consolate il mio popolo”-
Il messaggio, che è un vero e proprio annuncio di gioia, è indirizzato direttamente a Gerusalemme, la città santa, personificazione del popolo giudaico. I messaggeri devono “parlare al cuore” di Gerusalemme per annunziarle che la sua esistenza è profondamente trasformata perché il Signore ha deciso di ripristinare quel legame d’amore che lo univa al Suo popolo. Il motivo della consolazione di Gerusalemme sta nel fatto che:
”la sua tribolazione è compiuta, la sua colpa è scontata, perché ha ricevuto dalla mano del Signore il doppio per tutti i suoi peccati”.
Il popolo che si era allontanato da Dio ha ormai scontato ampiamente la pena dovuta alla sua iniquità, ha ricevuto un doppio castigo per i suoi peccati, cioè in termini di sofferenza ha pagato un prezzo persino superiore alle sue colpe.
Il profeta comunica poi quanto dice “una voce”, cioè un anonimo messaggero di Dio, il quale ordina: “Nel deserto preparate la via al Signore, spianate nella steppa la strada per il nostro Dio….” Ciò significa che l’evento del ritorno richiederà un profondo cambiamento nella mentalità di tutti i giudei.
La fede di Israele in questo periodo è cambiata e dovrà ancora cambiare in profondità, coinvolgendo in questa trasformazione anche coloro che erano rimasti in patria e avevano
continuato le attività dei loro padri.(Proprio l’incapacità da parte di costoro di accettare il nuovo, di cui i rimpatriati erano portatori, provocherà tutta una serie di tensioni che renderanno difficile la restaurazione del popolo di Dio).
Il ritorno degli esuli comporterà una meravigliosa rivelazione della gloria di Dio:
“Allora si rivelerà la gloria del Signore e tutti gli uomini insieme la vedranno, perché la bocca del Signore ha parlato”.
Il termine “gloria” indica il fulgore che nell’immaginazione popolare accompagna la manifestazione di Dio. Vedere la gloria del Signore significa sperimentare in prima persona gli effetti dell’intervento divino. Ora la rivelazione della gloria di Dio sarà disponibile non solo agli israeliti, ma a tutti gli uomini e secondo il profeta nell’evento del ritorno saranno coinvolti tutti i popoli.
Interviene ora nel racconto un araldo con un compito specifico: “Sali su un alto monte, tu che annunci liete notizie a Sion! Alza la tua voce con forza, tu che annunci liete notizie a Gerusalemme. Alza la voce, non temere; annuncia alle città di Giuda: “Ecco il vostro Dio!” “
L’araldo, che deve annunziare a Gerusalemme e alle città di Giuda il ritorno del Signore alla testa degli esiliati, è descritto come “colui che annuncia liete notizie”. Da questa espressione tradotta in greco (euangelizomenos) “colui che evangelizza” deriverà il termine “vangelo”, con cui i primi cristiani designeranno la predicazione di Gesù.
Il Signore che ritorna è poi presentato con due immagini. La prima è quella del re potente e vittorioso, che ritorna dalla guerra portando con sé il bottino tolto ai nemici (e questo bottino è il popolo stesso che il Signore ha sottratto alla dominazione straniera). La seconda immagine è quella del pastore che fa pascolare il gregge (V.Sal 23; Ez 34), e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri».
Tutto il brano esprime meraviglia, gioia ed esaltazione per la svolta improvvisa che sta prendendo la storia della salvezza. Il messaggio fondamentale di questo carme è la fiducia nel Dio che dirige gli eventi della storia umana piegandoli a quelli che sono i Suoi piani di salvezza. Anche quando sembra che le vicende umane sfuggano al Suo controllo, Dio non rinunzia al Suo potere e non viene mai meno alle Sue promesse. L’importante per l’uomo è saper vedere la Sua gloria quando si manifesta.
Salmo 103 Benedici il Signore, anima mia
Sei tanto grande, Signore, mio Dio!
Sei rivestito di maestà e di splendore,
avvolto di luce come di un manto,
tu che distendi i cieli come una tenda.
Costruisci sulle acque le tue alte dimore,
fai delle nubi il tuo carro,
cammini sulle ali del vento,
fai dei venti i tuoi messaggeri
e dei fulmini i tuoi ministri.
Quante sono le tue opere, Signore!
Le hai fatte tutte con saggezza;
la terra è piena delle tue creature.
Ecco il mare spazioso e vasto:
là rettili e pesci senza numero,
animali piccoli e grandi.
Tutti da te aspettano
che tu dia loro cibo a tempo opportuno.
Tu lo provvedi, essi lo raccolgono;
apri la tua mano, si saziano di beni.
Il salmista esordisce con un invito a se stesso a benedire il Signore. Di fronte alla grandezza, alla bellezza, alla potenza della creazione esprime il suo stupore e la sua lode a Dio: “Sei tanto grande, Signore, mio Dio!”.
Egli contempla Dio nella sua sovranità universale, tratteggiandolo “avvolto di luce come di un manto”. Una luce gloriosa, non terrena, non degli astri, ma divina, con la quale illumina gli spiriti angelici, nel cielo.
Egli ha separato la luce dalla notte e con l'albeggiare stende il cielo “come una tenda”; cioè stende la calotta azzurra del cielo. Così, pure, stende le tenebre della notte: “Stendi le tenebre e viene la notte”. Sovrano del cielo e della terra, pone la sua dimora di re sulle acque, cioè sulle nuvole alte e bianche, là dove nessuno può fare una dimora. Sovrano difende i suoi sudditi fedeli dai nemici, facendo delle nuvole basse e buie il suo carro da guerra trainato dal vento visto come un essere alato: “Costruisci sulle acque le tue alte dimore, fai delle nubi il tuo carro, cammini sulle ali del vento”. I venti annunziano il suo arrivo nella tempesta, mentre le folgori presentano la sua potenza sulla terra: “Fai dei venti i tuoi messaggeri e dei fulmini i tuoi ministri”….
Il salmista loda ancora il Signore per le sue opere.
Passa quindi a considerare le creature del mare; in particolare il Leviatan, nome col quale l'autore designa la balena.
Il mondo animale è oggetto pure esso dell'assistenza divina: “Nascondi il tuo volto: li assale il terrore; togli loro il respiro: muoiono, e ritornano nella loro polvere”. Se Dio ritrae la sua assistenza gli animali periscono, non hanno più l'alito delle narici “togli loro il respiro”. Ma se manda il suo Spirito creatore sono creati. Lo Spirito di Dio è all'origine della creazione: (Gn 1,2).
Il salmista chiede che sulla terra ci sia la pace tra gli uomini, affinché “gioisca il Signore delle sue opere”. “Scompaiano i peccatori dalla terra e i malvagi non esistano più” dice, augurandosi un tempo dove gli uomini cessino di combattersi. Questo sarà nel tempo di pace che abbraccerà tutta la terra, quando la Chiesa porterà Cristo a tutte le genti; sarà la società della verità e dell'amore. Noi dobbiamo incessantemente impegnarci con la preghiera e la testimonianza per questo tempo che invochiamo nel Padre Nostro dicendo: “Venga il tuo regno”.
Commento tratto da “Cantico dei Cantici” di P.Paolo Berti
Dalla lettera di S.Paolo apostolo a Tito
Carissimo, è apparsa infatti la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo. Egli ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone.
Ma quando apparvero la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini,egli ci ha salvati, non per opere giuste da noi compiute,ma per la sua misericordia,con un’acqua che rigenera e rinnova nello Spirito Santo,che Dio ha effuso su di noi in abbondanza per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro, affinché, giustificati per la sua grazia,diventassimo, nella speranza, eredi della vita eterna
Tt 2,11-14; 3,4-7
Durante la sua prigionia a Roma attorno all’anno 66, è possibile che Paolo, o un suo discepolo qualche anno dopo, abbia scritto questa lettera a Tito, collaboratore di Paolo e da lui convertito. Tito fu presente alla grande assemblea di Gerusalemme (50 d.C.) e Paolo lo prepose alla comunità cristiana di Creta quale “vescovo”. La lettera è composta da 3 capitoli e fa parte del gruppo delle tre lettere "pastorali" (insieme alle due a Timoteo), così chiamate perché rivolte a dei capi responsabili di comunità. Più che delle lettere sembrano delle raccolte di norme per l'organizzazione della comunità, di consigli per le varie categorie di persone e suggerimenti generali per la vita pratica o la soluzione di problemi ecclesiali.
Il brano inizia affermando:
“è apparsa infatti la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini”
Questo versetto si lega al precedente, in cui chi scrive si allaccia ai consigli sul comportamento che le varie categorie di persone devono avere (Tt 2,1-10). I cristiani devono avere un certo stile perché la grazia di Dio è apparsa, si è manifestata e ha portato la salvezza a tutti.
“e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà,”
Si fa un accenno alla conversione come rottura con il passato di empietà e l'invito a una pratica rinnovata e corrispondente all'azione salvifica di Dio. Tutto questo si manifesta con le tre virtù della sobrietà, della giustizia e della pietà (ossia misericordia).
“nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo.”
Un tempo si è manifestata la grazia di Dio e questa grazia oggi ci invita ad avere un atteggiamento retto. Questo vivere si apre agli avvenimenti futuri, alla parusia, la manifestazione della gloria di Gesù Cristo che è Dio e salvatore.
“Egli ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone”.
Sobrietà, giustizia e pietà sono proposte di vita, comandamenti etici sempre rivoluzionari, che andavano e vanno soprattutto oggi, controcorrente. Dipende sempre dalla libera scelta dell’uomo farne cardini della propria vita.
“Ma quando apparvero la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini”
Vi è un prima con la situazione di malvagità, corruzione, odio in cui vivevano gli uomini. Vi è anche una situazione favorevole perchè si è manifestata la bontà di Dio, il Suo amore per gli uomini. E' proprio per questo amore che Dio interviene nella storia con l'incarnazione del Suo Figlio.
“egli ci ha salvati, non per opere giuste da noi compiute,ma per la sua misericordia, con un’acqua che rigenera e rinnova nello Spirito Santo”
Tramite questa manifestazione Egli ci ha salvati, non perché lo meritavamo, infatti il versetto non riporta alcun riferimento a opere giuste da noi compiute, ma ci ha salvati per la Sua misericordia. Questa salvezza è avvenuta tramite l'acqua del battesimo, che ha rigenerato l'umanità grazie allo Spirito Santo.
“che Dio ha effuso su di noi in abbondanza per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro”
In questi versetti si può trovare un frammento della liturgia e della catechesi battesimale. Lo Spirito Santo è stato versato su di noi con l'acqua del battesimo per mezzo di Gesù Cristo, il quale è passato dalla morte alla vita e ci ha mandato lo Spirito Santo il giorno di Pentecoste.
“affinché, giustificati per la sua grazia,diventassimo, nella speranza, eredi della vita eterna”
E' questa azione di Dio che ci ha resi giusti, perchè noi con le nostre sole forze non lo potevamo certo essere. E' una giustificazione che ci apre ad un futuro di speranza per divenire “eredi della vita eterna”.
Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano
in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali.
Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco».
Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo:
«Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».
Lc 3,15-16.21-22
Il tempo di Natale si chiude col Battesimo del Signore, ma in realtà, nella storia di Gesù il tempo che passa tra la sua nascita e il battesimo al Giordano è di circa 30 anni e di questi decenni poco dicono i Vangeli, poco la tradizione. Col Battesimo inizia la "vita pubblica" di Gesù per le strade della Palestina fino a quel triduo di Pasqua, presumibilmente all'inizio di aprile dell'anno 30. I tre vangeli sinottici hanno in comune la narrazione del battesimo di Gesù, ma ogni evangelista legge quella solenne scena di apertura del mistero pubblico di Gesù da una prospettiva diversa cogliendo aspetti particolari.
Il vangelo di Luca a questo evento dedica solo due versetti, così la liturgia li fa precedere da una ripresa del discorso di Giovanni il Precursore sul battesimo in Spirito santo.
Il brano inizia affrontando il tema dell’identità di Giovanni:
“poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo”
Luca riporta in questo versetto l'opinione diffusa secondo cui Giovanni fosse il Messia atteso,
Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco».
La risposta di Giovanni è rivolta a tutti forse per sottolineare la portata delle sue affermazioni riguardo al Messia, ma è evidente che non tutti gli Israeliti sono andati a farsi battezzare da lui (Luca usa spesso la parola tutto o tutti). L'affermazione di Giovanni si ritrova anche negli altri sinottici e dimostra la sua autenticità. Luca combina la formulazione di Marco, con altri dati che ha in comune con Matteo, ma con un piccolo accorgimento che fa apparire il suo battesimo come introduttivo a quello del Cristo. Giovanni battezza con acqua; ma l'altro battesimo sarà in Spirito santo e fuoco. Si può notare che Luca elimina le parole "dietro a me" che sono in Matteo (Mt 3,11) forse per evitare che si pensi a Gesù come a un discepolo di Giovanni. Questi due versetti servono quindi molto bene per introdurre quelli successivi che la liturgia ci propone, perché ci permettono di verificare l'avverarsi del battesimo in Spirito Santo e quindi il passaggio ad un altro tipo di battesimo.
“Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì “.
Luca non sembra dare molto risalto al fatto che Gesù è stato battezzato, e il dato più evidente sembra essere l'atteggiamento di preghiera di Gesù.
Altro elemento è il legame tra preghiera e Spirito Santo che compare nel versetto successivo. Il battesimo sembra quindi il punto di arrivo dell'opera di Giovanni e il passaggio dal tempo dell'attesa a quello della novità.
e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».
Il centro del breve racconto è la teofania, caratterizzata da due elementi: lo Spirito Santo e la voce.
La scelta della colomba come simbolo dello Spirito può avere diverse spiegazioni, anche se non sembra essere un elemento importante per Luca. Si può trovare un riferimento in Gn 1,2, simbolo della nuova creazione, o alla colomba del diluvio, sempre Gn 8,8-12; la colomba del Cantico dei Cantici o un riferimento ad Isaia 60,8. E’ interessante anche ricordare che la colomba nell’A.T. era anche lo stemma nazionale d’Israele.(V. sal68,14 e Os 7,11) perciò nel battesimo di Cristo è presente, quasi in germe, il popolo messianico.
L’altro elemento della teofania è la voce che viene dal cielo. Essa trova riferimento a due passi dell’A.T., “Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato.” (salmo 2,7 ). Il re e il messia ebraico, erano solo figli adottivi di Dio; Gesù, invece, è il Figlio prediletto, l’unigenito, in senso pieno di Dio. L’altro passo riferimento al Primo canto del servo del Signore “Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto di cui mi compiaccio.” (Is 42,1).
In Gesù converge, allora, non solo la speranza del messia-re, ma anche la figura del messia servo-sofferente presentato da Isaia.
Per concludere si può affermare che Luca scrive il vangelo pensando già al racconto degli Atti e presenta ai suoi lettori un modello per chi sta per ricevere il battesimo: Gesù stesso che in preghiera si prepara a questo avvenimento. In definitiva Luca ci presenta un racconto su Gesù in cui riporta un evento storico, ma è preoccupato soprattutto di dirci qualcosa sulla sua identità profonda e la sua missione e di ricordare ai suoi lettori che il battesimo fu un momento molto importante nella vita del Cristo.
*****
“In questa domenica dopo l’Epifania celebriamo il Battesimo di Gesù, e facciamo memoria grata del nostro Battesimo…
Il Vangelo ci presenta Gesù, nelle acque del fiume Giordano, al centro di una meravigliosa rivelazione divina. Scrive san Luca: «Mentre Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese su di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: “Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento”» . In questo modo Gesù viene consacrato e manifestato dal Padre come il Messia salvatore e liberatore.
In questo evento – attestato da tutti e quattro i Vangeli – è avvenuto il passaggio dal battesimo di Giovanni Battista, basato sul simbolo dell’acqua, al Battesimo di Gesù «in Spirito Santo e fuoco».
Lo Spirito Santo infatti nel Battesimo cristiano è l’artefice principale: è Colui che brucia e distrugge il peccato originale, restituendo al battezzato la bellezza della grazia divina; è Colui che ci libera dal dominio delle tenebre, cioè del peccato, e ci trasferisce nel regno della luce, cioè dell’amore, della verità e della pace: questo è il regno della luce. Pensiamo a quale dignità ci eleva il Battesimo! «Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!» (1 Gv 3,1), esclama l’apostolo Giovanni. Tale realtà stupenda di essere figli di Dio comporta la responsabilità di seguire Gesù, il Servo obbediente, e riprodurre in noi stessi i suoi lineamenti: cioè mansuetudine, umiltà, tenerezza. E questo non è facile, specialmente se intorno a noi c’è tanta intolleranza, superbia, durezza. Ma con la forza che ci viene dallo Spirito Santo è possibile!
Lo Spirito Santo, ricevuto per la prima volta nel giorno del nostro Battesimo, ci apre il cuore alla Verità, a tutta la Verità. Lo Spirito spinge la nostra vita sul sentiero impegnativo ma gioioso della carità e della solidarietà verso i nostri fratelli. Lo Spirito ci dona la tenerezza del perdono divino e ci pervade con la forza invincibile della misericordia del Padre. Non dimentichiamo che lo Spirito Santo è una presenza viva e vivificante in chi lo accoglie, prega in noi e ci riempie di gioia spirituale.
Oggi, festa del Battesimo di Gesù, pensiamo al giorno del nostro Battesimo. Tutti noi siamo stati battezzati, ringraziamo per questo dono. E vi faccio una domanda: chi di voi conosce la data del suo Battesimo? Sicuramente non tutti. Perciò vi invito ad andare a cercare la data, chiedendo per esempio ai vostri genitori, ai vostri nonni, ai vostri padrini, o andando in parrocchia. E’ molto importante conoscerla, perché è una data da festeggiare: è la data della nostra rinascita come figli di Dio. Per questo, compito a casa per questa settimana: andare a cercare la data del mio Battesimo. Festeggiare quel giorno significa riaffermare la nostra adesione a Gesù, con l’impegno di vivere da cristiani, membri della Chiesa e di una umanità nuova, in cui tutti sono fratelli.
La Vergine Maria, prima discepola del suo Figlio Gesù, ci aiuti a vivere con gioia e fervore apostolico il nostro Battesimo, accogliendo ogni giorno il dono dello Spirito Santo, che ci fa figli di Dio.”
Papa Francesco Angelus del 10 gennaio 2016
Nel giorno dell’Epifania, o manifestazione del Signore, la Chiesa continua a contemplare il mistero della nascita di Gesù. Se a Natale, Dio ha vissuto il Suo pellegrinaggio, venendo ad abitare in mezzo a noi, nell’Epifania assistiamo al movimento corrispondete: gli uomini attratti dalla rivelazione del Suo mistero, si dirigono verso di Lui.
Nella prima lettura il profeta Isaia profetizza il giorno in cui “cammineranno le genti alla sua luce”. E’ un invito gioioso anche per noi. E’ il Signore che ci invita a lasciarci rivestire dalla volontà di bene che sprigiona la nascita del Suo Messia.
Nella seconda lettura, tratta dalla lettera agli Efesini, l’Apostolo Paolo afferma che tutte le genti sono chiamati “in Cristo Gesù” a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo..
Nel Vangelo di Matteo, leggiamo che i Magi si lasciano guidare dalla stella cometa dall’Oriente verso Betlemme. I magi sono il simbolo del mondo che va in cerca di Dio, è la festa della scienza che si fa guidare dalla stella della fede. E’ la festa della manifestazione della gloria di Dio che si rivela nell’umiltà, in un bambino appena nato. E’ sorprendente come questi uomini sapienti, non rimasero delusi quando videro il bambino; l’evangelista Matteo infatti dice “Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono …” La scienza quando è illuminata dalla fede può raggiungere mete ancora più alte di quelle umanamente sperate.
Dal libro del profeta Isaìa
Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce,
la gloria del Signore brilla sopra di te.
Poiché, ecco, la tenebra ricopre la terra,
nebbia fitta avvolge i popoli;
ma su di te risplende il Signore,
la sua gloria appare su di te.
Cammineranno le genti alla tua luce,
i re allo splendore del tuo sorgere.
Alza gli occhi intorno e guarda:
tutti costoro si sono radunati, vengono a te.
I tuoi figli vengono da lontano,
le tue figlie sono portate in braccio.
Allora guarderai e sarai raggiante,
palpiterà e si dilaterà il tuo cuore,
perché l’abbondanza del mare si riverserà su di te,
verrà a te la ricchezza delle genti.
Uno stuolo di cammelli ti invaderà,
dromedari di Màdian e di Efa,
tutti verranno da Saba, portando oro e incenso
e proclamando le glorie del Signore.
Is 60,1-6
La terza parte del libro di Isaia (capitoli 56-66) contiene una raccolta di oracoli che, per lo stile e lo sfondo storico, sono attribuiti ad un anonimo profeta del postesilio, al quale perciò è stato dato il nome di Trito (Terzo) Isaia. Alcuni hanno ritenuto che egli fosse un discepolo del Deuteroisaia, mentre altri hanno pensato a un profeta vissuto più di un secolo dopo di lui. Dopo l’editto di Ciro (538 a.C) che autorizzò il ritorno dall’esilio e la ricostruzione di Gerusalemme, il profeta si rivolge non più agli esiliati, ma ai giudei ritornati da Babilonia in Gerusalemme; il suo centro di interesse non è più il nuovo esodo, ma il ristabilimento delle istituzioni teocratiche, le quali sono minacciate non da agenti esterni, ma dalla infedeltà del popolo.
In questo brano il profeta con linguaggio poetico invita Gerusalemme ad alzarsi e a trasfigurarsi nello splendore di una "luce" abbagliante che gli proviene dalla "gloria del Signore”.
“Poiché, ecco, la tenebra ricopre la terra, nebbia fitta avvolge i popoli; ma su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te.” Le tenebre che "ricoprono la terra e l'oscurità, che avvolge i popoli", sono un metafora della mancanza della salvezza in cui si trovano i popoli pagani. Il profeta invita ad osservare le schiere di dispersi che fanno ritorno a Gerusalemme nonché l'infinito numero di carovane, di cammelli e dromedari di Madian e Efa' che giungono da Saba, portando oro, per i vasi sacri per il culto, e incenso per le cerimonie del tempio di Gerusalemme. Inoltre le innumerevoli navi da trasporto che portano i tesori delle città marinare della Grecia e della Fenicia.
Il profeta continua a descrivere la nuova situazione in questi termini: “Cammineranno le genti alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere. Alza gli occhi intorno e guarda:tutti costoro si sono radunati, vengono a te. I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio”.
Coloro che si muovono attratti dalla luce che risplende a Gerusalemme sono anzitutto gli appartenenti a nazioni lontane, i quali giungono accompagnate dai loro re. Con questi stranieri vi sono anche i giudei dispersi tra di loro, i quali sono portati in braccio, quasi a indicare la stima e la protezione che le nazioni hanno verso di essi.
L’immagine qui utilizzata è ricavata dal pellegrinaggio annuale che tutti gli israeliti dovevano fare al santuario centrale, portando a Dio i loro doni. Ora però coloro che salgono in pellegrinaggio a Gerusalemme non sono più i giudei ma le popolazioni straniere che portano con sé i giudei residenti in mezzo ad esse, quasi come offerta.
La glorificazione di Gerusalemme è presentata dal Terzo Isaia come un fenomeno escatologico che mette in luce la vittoria di Dio contro le potenze perverse che dominano in questo mondo. Nonostante la sua apparente sconfitta, Dio è il vincitore, e ciò apparirà chiaramente alla fine della storia. Allora Dio creerà un mondo nuovo, nel quale prevarranno la giustizia e la pace. Di ciò beneficeranno non solo gli israeliti, ma tutte le nazioni della terra: il progetto di Dio infatti è universalistico e riguarda tutti gli uomini. La luce che un giorno brillerà nella città santa deve essere però anticipata mediante un’esistenza conforme alla volontà di Dio.
Salmo 72 (71) Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra.
Dio, affida al re il tuo diritto,
al figlio di re la tua giustizia;
egli giudichi il tuo popolo secondo giustizia
e i tuoi poveri secondo il diritto.
Nei suoi giorni fiorisca il giusto
e abbondi la pace,
finché non si spenga la luna.
E domini da mare a mare,
dal fiume sino ai confini della terra.
I re di Tarsis e delle isole portino tributi,
i re di Saba e di Seba offrano doni.
Tutti i re si prostrino a lui,
lo servano tutte le genti.
Perché egli libererà il misero che invoca
e il povero che non trova aiuto.
Abbia pietà del debole e del misero
e salvi la vita dei miseri.
Un re giusto è fonte di pace per questo il salmista invoca per il futuro re - “il figlio del re” - giustizia e rettitudine. Il salmo ha un’indubbia tensione messianica poiché non si possono che applicare al Messia alcuni passi fondamentali: “Ti faccia durare quanto il sole, come la luna, di generazione in generazione”; “Nei suoi giorni fiorisca il giusto e abbondi la pace, finché non si spenga la luna. E domini da mare a mare, dal fiume sino ai confini della terra”; “A lui si pieghino le tribù del deserto, mordano la polvere i suoi nemici ”; “In lui siano benedette tutte le stirpi della terra e tutte le genti lo dicano beato”. Il re è indubbiamente Davide, e il figlio del re è Salomone, ma la figura del re e i risultati del suo governo sono tanto alti e ampi da tratteggiare il futuro Messia, il figlio del re per eccellenza; certo, secondo la carne (Rm 1,3;Gal 3,16).
La giustizia e la rettitudine costruiscono la pace e così le montagne e le colline, cioè le frontiere di Israele, porteranno pace al popolo che ha un re di giustizia e di pace: “Le montagne portino pace al popolo e le colline giustizia”. I popoli confinanti cercheranno la pace con Israele. Grande nelle relazioni con le nazioni il re futuro avrà attenzione all’interno per i deboli contro gli oppressori. Un regno fondato sulla giustizia e sull’amore non potrà mai venire meno: “Ti faccia durare quanto il sole, come la luna, di generazione in generazione". I regni fondati sulla guerra e sull’oppressione non possono durare, prima o poi i popoli si ribellano; ma il regno del Messia fondato sulla giustizia che viene da Dio rimarrà per sempre. La giustizia si eserciterà nel Cristo con l’obbedienza al Padre, con l’espiazione delle colpe del genere umano.
La sua azione sarà benefica come l’acqua che scende sulla terra permettendo cibo e vita: “Scenda come pioggia sull’erba, come acqua che irrora la terra”.
Egli Principe della pace, farà fiorire la pace finché “non si spenga la luna”; questo perché la sua pace, presente nella Chiesa e trasmessa dalla Chiesa, rimarrà sempre, La pace, poi, è l’essere riconciliati con Dio e con i fratelli.
Il suo regno sarà immenso. Non ha precedenti nei regni già esistiti, poiché :”E domini da mare a mare, dal fiume (ndr. l’Eufrate, il fiume per eccellenza) sino ai confini della terra”.
Il Messia non solo avrà i territori, ma l’omaggio delle genti: “A lui si pieghino le tribù del deserto, mordano la polvere i suoi nemici”, sottoposti al suo giudizio. I popoli si sottometteranno al suo giogo: “I re di Tarsis e delle isole porteranno tributi; i re di Saba e di Seba offrrano doni” (Tarsis è comunemente identificata con Tartessos in Spagna; Saba con la zona del golfo Arabico). Si noti che offriranno tributi e porteranno offerte, il che vuol dire che non saranno nella costrizione dei vinti.
Ancora il salmista fa vedere come il futuro Messia non trascurerà i poveri e i miseri, anzi saranno pensiero costante della sua azione: “Li riscatti dalla violenza e dal sopruso, sia prezioso ai suoi occhi il loro sangue”.
“Vivrà”, dice il salmista, cioè anche se colpito dai suoi avversari vivrà, perché conoscerà la risurrezione gloriosa.
“Si preghi sempre per lui”, cioè per mezzo della sua azione sacerdotale, con la quale ha sacrificato se stesso.
“Sia benedetto ogni giorno” perché perenne salvatore di bontà infinita.
Il salmista passa ad un’invocazione a Dio per la grandezza del “figlio di re” su tutta la terra; ciò significa che l’estendersi del regno del Messia sarà dovuto anche all’azione, completamente subordinata alla salvezza operata da Cristo e con la forza data da lui, di coloro che lo amano: “Il suo nome duri in eterno, davanti al sole germogli il suo nome”.
Di nuovo il salmista passa al futuro: “In lui siano benedette tutte le stirpi della terra”. Cioè per mezzo del suo sacrificio riconciliatore il Padre benedirà tutte le genti della terra. “Tutte le genti lo dicano beato”, perché otterrà dal Padre onore e gloria per la sua obbedienza a lui, fino alla morte di croce.
Commento di P.Paolo Berti
Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni
Fratelli, penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro favore: per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero.
Esso non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come ora è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: che le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo.
Ef 3,2-3.5-6
La Lettera agli Efesini è una delle lettere che la tradizione cristiana attribuisce a S.Paolo, che l'avrebbe scritta durante la sua prigionia a Roma intorno all'anno 62. Gli studiosi moderni però sono divisi su questa attribuzione e la maggioranza ritiene più probabile che la lettera sia stata composta da un altro autore appartenente alla scuola paolina,forse basandosi sulla lettera ai Colossesi, ma in questo caso la datazione della composizione può oscillare, tra l'anno 80 e il 100.
Nella prima parte della lettera è stato delineato il progetto salvifico che Dio ha realizzato mediante Cristo (Ef 1,2-2,22). Ora, giunto al centro della sua riflessione, l’apostolo si qualifica come “il prigioniero di Cristo per voi pagani” e prosegue “: “penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro favore: per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero.”. Nel capitolo precede aveva detto che i cristiani provenienti dal paganesimo sono inseriti, a pari diritto dei giudei, nella comunità ecclesiale, di cui gli apostoli sono fondamento, ora qui viene evidenziato il ministero ricevuto da Paolo in favore dei pagani. L'espressione “ministero della grazia di Dio” indica con precisione l'oggetto della conoscenza degli efesini e il compito concreto di amministratore. Il fatto che viene aggiunto “della grazia di Dio” si spiega con il desiderio di ricordare come la grazia divina, dimensione essenziale del processo salvifico (Ef 1,6.7; 2,5.7.8), sia comunicata all'Apostolo proprio nell'esercizio del suo ministero.
Paolo sottolinea inoltre che questo ministero ha per oggetto un mistero che gli è stato fatto conoscere come effetto di un processo di rivelazione, e il contenuto del mistero è la partecipazione delle genti al corpo della Chiesa.
Nei versetti 3b-4 (omessi dalla liturgia) l‘apostolo passa ad esporre il contenuto di questo mistero, e poi osserva; : Esso non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come ora è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito” Il processo di rivelazione del mistero presuppone il suo occultamento nel tempo precedente a quello in cui è stato rivelato ai destinatari (apostoli e profeti agli uomini in generale). La congiunzione “come”, che lega le due frasi, non significa il grado di intensità (con maggiore chiarezza), ma di alterità assoluta (il mistero rivelato ora e non come al passato, in cui non è stato manifestato). Questo stesso concetto sarà ripreso ancora nei versetti successivi (vv. 9-10).
A questo punto l'apostolo arriva a definire l' oggetto del mistero che consiste nel fatto che “le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo”. Il mistero è dunque la compartecipazione delle genti al corpo ecclesiale, all'eredità e alle promesse salvifiche. Già precedentemente era stata sottolineata la partecipazione dei pagani con i giudei all'unico corpo ecclesiale (2,13-19) e questo fa capire che anche qui si intende l'unità dei pagani con i giudeo-cristiani. Tutto questo infatti, avviene in forza della mediazione di Cristo (Ef 1,10) che implica non solo l'aspetto della strumentalità, ma anche quello dell'associazione a Lui. L’apostolo in questo brano dà un grande rilievo al progetto salvifico di Dio, che consiste per lui nell’unità di tutti gli esseri umani, al di là delle differenze di razza e di cultura. Egli mostra come solo eliminando le divisioni sia possibile trovare una pace vera. Per lui soprattutto è importante il superamento della divisione tra giudei e pagani, alla quale attribuisce un significato simbolico rispetto a tutte le barriere che dividono l’umanità. Egli vede realizzato l’incontro fra popoli e culture, oggetto primario del progetto di Dio, nella persona di Cristo, il quale perciò è presentato come l’espressione suprema dell’agire di Dio in questo mondo.
La novità di questo annunzio non consiste quindi nella manifestazione di qualcosa di mentalmente sconosciuto, ma in un’irruzione particolarmente potente della grazia di Dio in Cristo, a cui Paolo ha dato una risonanza universale. Queste potenzialità, che si sono manifestate all’inizio del cristianesimo, devono essere continuamente riscoperte nell’impegno dei cristiani, in unione con tutti gli altri credenti, per la pace nel mondo.
Dal vangelo secondo Matteo
Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta:
“E tu, Betlemme, terra di Giuda,
non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda:
da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”».
Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo».
Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.
Mt 2,1-12
L’evangelista Matteo continua a descrivere gli avvenimenti dell’infanzia di Gesù alla luce delle profezie ma, a differenza del 1^capitolo, racchiuso nella cornice del popolo giudaico, qui l’orizzonte diventa più ampio: i pagani sono attratti dalla luce di Gesù-re e vanno a Lui. La nuova Sion però non è Gerusalemme, ma Betlemme.
Il brano inizia riportando che “Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme”.
Secondo Erodoto, i magi erano originari di una tribù dei medi divenuta casta sacerdotale tra i persiani. Praticavano la divinazione, la medicina e l'astrologia. Serse, ad esempio, turbato per un'eclissi di sole, ne domandò il significato ad alcuni magi. Anche se l'astrologia nella Bibbia non gode di una buona fama (Dn 1,20; 2,2-10) Matteo presenta i magi come personaggi importanti e di gran rispetto. La tradizione latina farà di loro dei re (Sal 72,10) e ne preciserà il numero, tre come i doni offerti al bambino, e ne indicherà i nomi: Gaspare, Melchiorre e Baldassarre. Anche il loro paese d'origine non è chiaro, c’è da considerare però che per un giudeo il termine “oriente” indica tutto quello che c'è al di là del Giordano.
Giunti dunque a Gerusalemme i magi chiedono: “Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo”.
Questa stella che appare e scompare al momento giusto, non corrisponde particolarmente a qualche fenomeno naturale, ma è forse un espediente narrativo che aveva un certo significato nell’ambito della comunità giudeo-cristiana per la quale l'evangelista scriveva. Già nel mondo greco-romano si utilizzava l'immagine dell'astro per indicare il destino di un personaggio. La tesi della stella che appare alla nascita di un grande uomo (es.Alessandro, Giulio Cesare) era molto diffuso e per i testi biblici la stella è la metafora del re Messia. Anche nell’Apocalisse Gesù dichiara: “Io sono la radice della stirpe di Davide, la stella radiosa del mattino”. (Ap.22,16)
In Matteo, tuttavia, la stella non è soltanto una metafora o un'immagine del Messia: è anche la guida del magi, uno strumento di cui Dio si serve per indicare loro ciò che gli scribi non potranno scoprire nel testo del profeta Michea.
Gli antichi consideravano le stelle come esseri animati dotati di natura spirituale e i giudeo-cristiani vedevano in essi degli angeli. Si possono fare dei collegamenti fra la stella che guida i magi a Betlemme e gli angeli di Luca che guidano i pastori “al un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia”.
In ambedue i casi è sempre la Provvidenza di Dio che guida l'uomo.
Le parole dei magi provocano in Erode un certo turbamento condiviso da tutta la città di Gerusalemme Il motivo del turbamento di Erode è comprensibile, tenuto conto della sua paura per un aspirante al trono, meno comprensibile è lo sbigottimento dei cittadini di Gerusalemme. Questo si potrebbe anche spiegare come paura di violenze da parte di Erode, ma più probabilmente si tratta di un espediente narrativo con cui Matteo anticipa l’opposizione di Gerusalemme nei confronti di Gesù, che alla fine farà di Gerusalemme la città deicida.
Erode convoca allora tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo per sapere dove sarebbe dovuto nascere il Messia.
È chiaro che Matteo vuole sottolineare come tutto Israele, nei suoi rappresentanti più qualificati, abbia cercato la risposta da dare al re. Questa risposta si rifà a un oracolo profetico in cui si dice:
“E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”.
Nella citazione di Michea, Matteo fa alcuni ritocchi, come per es. sostituisce “Efrata” con “terra di Giuda”, forse per evitare la confusione con la Betlemme del nord (v. Gs 19,15); inoltre egli cambia la valutazione che viene data di Betlemme, forse per dare maggior gloria alla città, che sia il più piccolo tra i capoluoghi di Giuda.
Avuta l’informazione desiderata Erode convocò i magi, e “si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo». (sappiamo come avrebbe voluto adorarlo!)
I magi, dunque informati da Erode circa il luogo di nascita del re dei giudei, si rimiserono in cammino e guidati nuovamente dalla stella, pieni di gioia, giunsero al luogo in cui si trovava “il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese”.
Per Matteo i primi che vengono a contatto con Gesù non sono dunque i pastori di Betlemme, ma i misteriosi rappresentanti delle nazioni. I tre doni da loro portati hanno chiaramente valore simbolico: essi indicano da un lato i prodotti tipici dell’oriente, che i magi offrono a Gesù riconoscendo così in lui il loro re; dall’altro c’è un fortissimo richiamo al salmo 72 che la Liturgia ha inserito in questa celebrazione.
Rispetto al salmo l’evangelista aggiunge tra i doni dei magi anche la mirra, un unguento usato nella sepoltura. Non è escluso che con questa aggiunta voglia indicare il destino di morte che aspetta il neonato Messia proprio a causa del rifiuto del suo popolo.
Il testo è un chiaro esempio di come possa essere la chiamata alla fede:
- i Re-magi sono chiamati per mezzo della stella e la seguono;
- i sommi sacerdoti e gli scribi conoscono le scritture, sanno dare indicazioni, ma non si muovono;
- Erode tra la volontà di Dio e la sua, chiaramente sceglie la sua, conosce solo il suo tornaconto, non vede perché non vuole vedere!
Questa visione fortemente critica nei confronti di Israele, chiaramente dettata dal clima di rivalità che ha accompagnato il sorgere del cristianesimo, deve oggi essere sottoposta ad una più giusta ed illuminata considerazione. La nascita di Gesù e la conseguente apertura della Chiesa ai pagani non deve più essere vista come una sostituzione di Israele, infedele alle promesse divine, ma piuttosto come il mezzo attraverso il quale la chiamata religiosa di Israele è stata offerta a tutta l’umanità.
*****
Le parole di Papa Francesco
“Oggi, festa dell’Epifania del Signore, il Vangelo ci presenta tre atteggiamenti con i quali è stata accolta la venuta di Cristo Gesù e la sua manifestazione al mondo. Il primo atteggiamento: ricerca, ricerca premurosa; il secondo: indifferenza; il terzo: paura.
Ricerca premurosa: i Magi non esitano a mettersi in cammino per cercare il Messia. Giunti a Gerusalemme chiedono: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». Hanno fatto un lungo viaggio e adesso con grande premura cercano di individuare dove si possa trovare il Re neonato. A Gerusalemme si rivolgono al re Erode, il quale chiede ai sommi sacerdoti e agli scribi di informarsi sul luogo in cui doveva nascere il Messia.
A questa ricerca premurosa dei Magi, si contrappone il secondo atteggiamento: l’indifferenza dei sommi sacerdoti e degli scribi. Erano molto comodi questi. Essi conoscono le Scritture e sono in grado di dare la risposta giusta sul luogo della nascita: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta» sanno, ma non si scomodano per andare a trovare il Messia. E Betlemme è a pochi chilometri, ma loro non si muovono.
Ancora più negativo è il terzo atteggiamento, quello di Erode: la paura. Lui ha paura che quel Bambino gli tolga il potere. Chiama i Magi e si fa dire quando era apparsa loro la stella, e li invia a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi […] sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo”» . In realtà, Erode non voleva andare ad adorare Gesù; Erode vuole sapere dove si trova il bambino non per adorarlo, ma per eliminarlo, perché lo considera un rivale. E guardate bene: la paura porta sempre all’ipocrisia. Gli ipocriti sono così perché hanno paura nel cuore.
Questi sono i tre atteggiamenti che troviamo nel Vangelo: ricerca premurosa dei Magi, indifferenza dei sommi sacerdoti, degli scribi di quelli che conoscevano la teologia; e paura, di Erode. E anche noi possiamo pensare e scegliere: quale dei tre assumere. Io voglio andare con premura da Gesù? “Ma a me Gesù non dice nulla… sto tranquillo…”. Oppure ho paura di Gesù e nel mio cuore vorrei farlo fuori?
L’egoismo può indurre a considerare la venuta di Gesù nella propria vita come una minaccia. Allora si cerca di sopprimere o di far tacere il messaggio di Gesù. Quando si seguono le ambizioni umane, le prospettive più comode, le inclinazioni del male, Gesù viene avvertito come un ostacolo.
D’altra parte, è sempre presente anche la tentazione dell’indifferenza. Pur sapendo che Gesù è il Salvatore – nostro, di noi tutti -, si preferisce vivere come se non lo fosse: invece di comportarsi in coerenza alla propria fede cristiana, si seguono i principi del mondo, che inducono a soddisfare le inclinazioni alla prepotenza, alla sete di potere, alle ricchezze.
Siamo invece chiamati a seguire l’esempio dei Magi: essere premurosi nella ricerca, pronti a scomodarci per incontrare Gesù nella nostra vita. Ricercarlo per adorarlo, per riconoscere che Lui è il nostro Signore, Colui che indica la vera via da seguire. Se abbiamo questo atteggiamento, Gesù realmente ci salva, e noi possiamo vivere una vita bella, possiamo crescere nella fede, nella speranza, nella carità verso Dio e verso i nostri fratelli.
Invochiamo l’intercessione di Maria Santissima, stella dell’umanità pellegrina nel tempo. Con il suo aiuto materno, possa ogni uomo giungere a Cristo, Luce di verità, e il mondo progredire sulla via della giustizia e della pace."
Papa Francesco Angelus del 6 gennaio 2018
L'umanità è una grande e immensa famiglia ... Troviamo la dimostrazione di ciò da quello che ci sentiamo nei nostri cuori a Natale.
(Papa Giovanni XXIII)