In questa sesta domenica di Pasqua, la liturgia ci propone delle letture che ci presentano tre aspetti diversi della Chiesa
Un aspetto lo troviamo nella prima lettura, tratta dagli Atti degli apostoli, che contiene un documento sintetico che raccoglie il dibattito del primo Concilio celebrato a Gerusalemme, (che ebbe luogo intorno al 49) convocato per risolvere la spinosa questione dell’accoglienza diretta dei pagani nella comunità cristiana senza passare attraverso le pratiche giudaiche.
Un altro aspetto è presente nella seconda lettura, tratta dal Libro dell’Apocalisse, in cui la Gerusalemme nuova, immagine della comunità di fede, risplende della luce e della gloria che scaturiscono dalla grazia del Signore risorto.
L’ultimo aspetto lo troviamo nel passo del Vangelo di Giovanni, che come di consueto, in questo periodo pasquale è preso dai discorsi di Gesù nell’ultima cena. Gesù manifesta il Suo amore concreto verso i discepoli, e attraverso di loro, verso tutti coloro che crederanno nel Suo nome, mediante il dono dello Spirito Santo che è la Sua stessa vita. Coloro che credono in Lui, animati da questo Spirito, potranno vivere con amore nel loro quotidiano, le parole e i gesti del Signore e testimoniarlo. Sarà proprio lo Spirito a guidarli verso la nuova Gerusalemme, venuta dal Cielo, da Dio, figura e immagine della Chiesa nel tempo, in cammino verso l’eternità, città che non ha un tempio, perché il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello, sono il suo tempio.
Dagli Atti degli Apostoli
In quei giorni, alcuni, venuti dalla Giudea, insegnavano ai fratelli: «Se non vi fate circoncidere secondo l’usanza di Mosè, non potete essere salvati». Poiché Paolo e Bàrnaba dissentivano e discutevano animatamente contro costoro, fu stabilito che Paolo e Bàrnaba e alcuni altri di loro salissero a Gerusalemme dagli apostoli e dagli anziani per tale questione.
Agli apostoli e agli anziani, con tutta la Chiesa, parve bene allora di scegliere alcuni di loro e di inviarli ad Antiòchia insieme a Paolo e Bàrnaba: Giuda, chiamato Barsabba, e Sila, uomini di grande autorità tra i fratelli. E inviarono tramite loro questo scritto: «Gli apostoli e gli anziani, vostri fratelli, ai fratelli di Antiàchia, di Siria e di Cilìcia, che provengono dai pagani, salute! Abbiamo saputo che alcuni di noi, ai quali non avevamo dato nessun incarico, sono venuti a turbarvi con discorsi che hanno sconvolto i vostri animi. Ci è parso bene perciò, tutti d’accordo, di scegliere alcune persone e inviarle a voi insieme ai nostri carissimi Bàrnaba e Paolo, uomini che hanno rischiato la loro vita per il nome del nostro Signore Gesù Cristo.
Abbiamo dunque mandato Giuda e Sila, che vi riferiranno anch’essi, a voce, queste stesse cose. È parso bene, infatti, allo Spirito Santo e a noi, di non imporvi altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie: astenersi dalle carni offerte agli idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalle unioni illegittime. Farete cosa buona a stare lontani da queste cose.
State bene!».
At 15,1-2.22-29
Questo brano, tratto dal capitolo 15 rappresenta il punto di svolta nella narrazione degli Atti e ci dà il resoconto del primo Concilio convocato a Gerusalemme intono all’anno 50 e costituisce la terza parte degli Atti. Dal cap.16 in poi, Luca si concentrerà unicamente sui viaggi missionari di Paolo fino al suo arrivo a Roma.
Nel brano si fa riferimento a una grave crisi che ha scosso la Chiesa primitiva. Da Luca sappiamo infatti che siccome ad Antiochia non tutti erano d’accordo sul fatto che i pagani potevano essere ammessi nella Chiesa senza ricevere la circoncisione, Paolo e Barnaba furono inviati a Gerusalemme per consultare gli apostoli. Anche lì esplode però la polemica; allora tutta la comunità, con gli apostoli e gli anziani si raduna per discutere il problema.
Il modo pacato con cui Luca descrive il conflitto nell’assemblea di Gerusalemme, che ha visto contrapporsi i due gruppi della Chiesa primitiva, separate proprio dal modo di annunziare il messaggio di Gesù in un ambiente diverso da quello giudaico, è comprensibile solo se si tiene conto che, quando egli scrive, questo conflitto si è ormai risolto. A Luca interessa spiegare che il Concilio di Gerusalemme, è stato una grande svolta nella storia della Chiesa, per cui non si ferma alla cronaca pura e semplice degli avvenimenti, ma rilegge le informazioni che gli sono pervenute alla luce della sua visione delle origini cristiane. La sua prospettiva è quella propria delle chiese sorte nel mondo greco, le quali, pur non osservando le prescrizioni della legge mosaica, si ritengono tuttavia le legittime continuatrici della Chiesa madre di Gerusalemme, la prima testimone della morte e risurrezione di Cristo.
Luca vuole così dimostrare che, se è vero che il centro di diffusione di una Chiesa ormai in continua crescita è stata la comunità di Antiochia, tuttavia Gerusalemme rimane sempre la Chiesa madre che, vincendo le proprie resistenze, ha dato il via all’evangelizzazione dei pagani, autorizzandone l’ammissione nella comunità senza l’obbligo della circoncisione.
In questa prospettiva la missione di Paolo, mediante la quale il cristianesimo si è esteso fino a Roma, appare non tanto come l’iniziativa personale del grande apostolo, ma come l’assenso cosciente della Chiesa Madre di Gerusalemme.
Nota: La formula di accordo del Concilio di Gerusalemme riportata dagli Atti dimostra, comunque, che il problema venne superato solo in parte, perché di fatto una divisione perdurò e se ne trova traccia nella maggior parte delle lettere di Paolo, nelle quali risalta la sua continua lotta contro le problematiche create nelle Chiese dai cristiani giudaizzanti.
Salmo 66 - Ti lodino i popoli, o Dio, ti lodino i popoli tutti.
Dio abbia pietà di noi e ci benedica,
su di noi faccia splendere il suo volto;
perché si conosca sulla terra la tua via,
la tua salvezza fra tutte le genti.
Gioiscano le nazioni e si rallegrino,
perché tu giudichi i popoli con rettitudine,
governi le nazioni sulla terra.
Ti lodino i popoli, o Dio,
ti lodino i popoli tutti.
Ci benedica Dio e lo temano
tutti i confini della terra.
Il salmista presenta come Dio abbia benedetto il suo popolo con un raccolto abbondante: “La terra ha dato il suo frutto”. Ma questo non chiude il salmista nell’appagamento dei beni dati dalla terra, poiché egli manifesta, fin dall’inizio del salmo, il desiderio di un ben più alto dono: quello della presenza del Messia. Per tale presenza il popolo sarà rinnovato e si avrà che tutti i popoli giungeranno a conoscere il vero Dio e a lodarlo: “Su di noi faccia splendere il suo volto; perché si conosca sulla terra la tua via, la tua salvezza fra tutte le genti ”. Il salmista conclude il salmo ripresentando il suo desiderio dei tempi messianici: “Ci benedica Dio; il nostro Dio, ci benedica Dio e lo temano tutti i confini della terra”.
Noi, in Cristo, desideriamo vivamente una terra rinnovata dalla conoscenza di Cristo e dall’azione del suo Spirito, e dobbiamo, nella viva appartenenza alla Chiesa, adoperarci incessantemente per questo.
Commento tratto da Perfetta Letizia
Dal Libro dell’Apocalisse di S. Giovanni Apostolo
L’angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scende dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino.
È cinta da grandi e alte mura con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d’Israele. A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte e a occidente tre porte.
Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello.
In essa non vidi alcun tempio:
il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello
sono il suo tempio.
La città non ha bisogno della luce del sole,
né della luce della luna:
la gloria di Dio la illumina
e la sua lampada è l’Agnello.
Ap 21,10-14. 22-23
Questo brano riporta la parte finale dell’Apocalisse che ci descrive in modo particolareggiato la Città Santa, la Gerusalemme nuova, pronta come una sposa adorna per il suo sposo.
La visione di Giovanni inizia così: “L’angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scende dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio.”
Il monte è stato sempre considerato il luogo di maggiore vicinanza a Dio. Ed è da Dio che scende la città.
La città è l'espressione visibile del popolo che vi abita, ma mentre le città della terra sono sempre imperfette, la città di Dio dell'Apocalisse è perfetta, è il luogo dove dimora il popolo di Dio nella sua pienezza. Rispecchia il suo ordine interno, la sua ricchezza, la sua gloria, la sua felicità, la sua relazione con Dio e la sua inesprimibile unione con Cristo. Il modello della città di Dio è Gerusalemme, la città della pace, il centro della storia della salvezza dell'Antico Testamento. Sulla terra ha trovato compimento nella Chiesa, in cui Cristo continua a vivere e ad agire.
“Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino”.
La città è splendente come una gemma preziosa, ma la pietra se non viene illuminata non può mostrare il suo splendore. (E’ strano che come paragone si porti il diaspro che di per sé è una pietra opaca)
“È cinta da grandi e alte mura con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d’Israele. A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte e a occidente tre porte. Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello.”
La città è cinta da grandi e alte mura con dodici porte che delimitano lo spazio in cui abitano al sicuro i suoi abitanti. Le porte indicano il movimento di entrata e uscita. Gli angeli che erano stati messi a guardia del paradiso perduto, ora stanno alle porte come guardia d'onore di Dio. Il numero dodici esalta le dodici tribù della prima Alleanza e i dodici Apostoli della seconda Alleanza, con i loro nomi scritti su dodici basamenti. Le misure (che non vengono riportate in questo brano) sono enormi e certamente simboliche. I materiali da costruzione, naturalmente anch’essi simbolici parlano di oro (il metallo divino) e di pietre preziose, dodici delle quali sono alle fondamenta della città santa. Tutto il resto della descrizione dalle mura di diaspro, alle porte di perle, ecc., indica uno splendore estremo.
Già il profeta Ezechiele aveva descritto il piano architettonico della città santa. Qui viene completato. Il numero 12 che si ripete significa la misura piena raggiunta dal mondo chiamato alla salvezza.
“In essa non vidi alcun tempio: il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio.”
La particolarità di questa città è il fatto che non vi è alcun tempio. Ormai la presenza del Signore è ovunque e non c'è più bisogno di cercare di incontrare il Signore in un luogo definito e neanche in un tempo particolare. I beati non sono più legati alle ore di lavoro e di riposo, loro unica occupazione è adorare il Signore e stare con Lui.
“La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna: la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnello”. L'ordine delle cose è completamente cambiato, non vi è più giorno e notte, il sole e la luna non hanno più motivo di esistere. Tutto viene illuminato dallo splendore che viene da Dio: l'Agnello, cioè Cristo, è la sua lampada. E' attraverso di Lui che si può godere della gloria di Dio.
San Paolo diceva che noi siamo il tempio di Dio e lo Spirito di Dio abita in noi (v.1^Cor 3,16 ) e un altro suo commento che può adattarsi a questa descrizione potrebbe essere: “voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti,” Ef 2.19-20)
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Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse [ai suoi discepoli]: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.
Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore.
Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate».
Gv 14,23-29
Questo brano è la parte finale del discorso di addio rivolto da Gesù ai suoi discepoli durante l'ultima cena il cui inizio l’abbiamo meditato la scorsa domenica. Gesù, annunciando la Sua morte imminente, aveva assicurato che un giorno sarebbe ritornato. Ora invece parla del modo in cui i discepoli potranno continuare a gioire della Sua amicizia e della Sua presenza in questo periodo di separazione. Il discorso quindi non è più diretto ai discepoli presenti nel cenacolo, ma a quelli di tutti i tempi e di tutti i luoghi. Gesù infatti non usa più il voi, ma parla in modo impersonale: " Se uno mi ama, osserverà la mia parola …chi non mi ama, non osserva le mie parole…” Gesù rivendica per sé, per la prima volta, il sentimento più importante del mondo umano: l'amore, ed entra nella nostra parte più intima e profonda con estrema delicatezza. Tutto poggia su quel “se”.
«Se mi ami osserverai la mia parola…»… Gesù lo dice oggi ad ognuno di noi e non esprime un ordine, ma ci dà la possibilità di scegliere liberamente. E’ il rispetto che ha Dio, che bussa alla porta del nostro cuore e attende pazientemente la nostra risposta.
Poi Gesù continua : “Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.”
I discepoli potranno capire ciò che Gesù dice solo con l'intervento del Paraclito, il Consolatore, cioè lo Spirito Santo. E' grazie al Paraclito mandato dal Padre che i discepoli potranno penetrare in pieno il senso della Parola di Gesù.
Al termine del suo discorso, Gesù ritorna al momento presente, ai suoi discepoli da cui sta per separarsi, dicendo loro:”Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore”.
Lasciando i discepoli, Gesù non augura loro la pace, ma gliela dà in dono, come Sua eredità. La pace che Egli dona è molto diversa da quella che gli uomini si augurano e tentano di realizzare.
Non a caso Giovanni nel suo vangelo parla di pace solo nel contesto della passione e della risurrezione. Il dono della pace viene annunciato all'inizio della passione e si realizza nell'incontro di Gesù risorto con i discepoli nel cenacolo. Si tratta di un vero dono che viene solo da Dio, è solo opera di Dio che dona ai discepoli come segno della Sua presenza.
L’invito dunque rivoltoci da Gesù in questa ultima domenica di Pasqua è di credere alla Sua presenza in mezzo a noi, una presenza silenziosa, discreta, ma anche reale ed efficace. Una presenza capace di consolarci in ogni situazione della nostra vita.
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“Il Vangelo di questa VI domenica di Pasqua ci presenta un brano del discorso che Gesù ha rivolto agli Apostoli nell’Ultima Cena . Egli parla dell’opera dello Spirito Santo e fa una promessa: «Il Paraclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» . Mentre si avvicina il momento della croce, Gesù rassicura gli Apostoli che non rimarranno soli: con loro ci sarà sempre lo Spirito Santo, il Paraclito, che li sosterrà nella missione di portare il Vangelo in tutto il mondo. Nella lingua originale greca, il termine “Paraclito” sta a significare colui che si pone accanto, per sostenere e consolare. Gesù ritorna al Padre, ma continua ad istruire e animare i suoi discepoli mediante l’azione dello Spirito Santo.
In che cosa consiste la missione dello Spirito Santo che Gesù promette in dono? Lo dice Lui stesso: «Egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto». Nel corso della sua vita terrena, Gesù ha già trasmesso tutto quanto voleva affidare agli Apostoli: ha portato a compimento la Rivelazione divina, cioè tutto ciò che il Padre voleva dire all’umanità con l’incarnazione del Figlio. Il compito dello Spirito Santo è quello di far ricordare, cioè far comprendere in pienezza e indurre ad attuare concretamente gli insegnamenti di Gesù. E proprio questa è anche la missione della Chiesa, che la realizza attraverso un preciso stile di vita, caratterizzato da alcune esigenze: la fede nel Signore e l’osservanza della sua Parola; la docilità all’azione dello Spirito, che rende continuamente vivo e presente il Signore Risorto; l’accoglienza della sua pace e la testimonianza resa ad essa con un atteggiamento di apertura e di incontro con l’altro.
Per realizzare tutto ciò la Chiesa non può rimanere statica, ma, con la partecipazione attiva di ciascun battezzato, è chiamata ad agire come una comunità in cammino, animata e sorretta dalla luce e dalla forza dello Spirito Santo che fa nuove tutte le cose. Si tratta di liberarsi dai legami mondani rappresentati dalle nostre vedute, dalle nostre strategie, dai nostri obiettivi, che spesso appesantiscono il cammino di fede, e porci in docile ascolto della Parola del Signore. Così è lo Spirito di Dio a guidarci e a guidare la Chiesa, affinché di essa risplenda l’autentico volto, bello e luminoso, voluto da Cristo.
Il Signore oggi ci invita ad aprire il cuore al dono dello Spirito Santo, affinché ci guidi nei sentieri della storia. Egli, giorno per giorno, ci educa alla logica del Vangelo, la logica dell’amore accogliente, “insegnandoci ogni cosa” e “ricordandoci tutto ciò che il Signore ci ha detto”. Maria, che in questo mese di maggio veneriamo e preghiamo con devozione speciale come nostra madre celeste, protegga sempre la Chiesa e l’intera umanità. Lei che, con fede umile e coraggiosa, ha cooperato pienamente con lo Spirito Santo per l’Incarnazione del Figlio di Dio, aiuti anche noi a lasciarci istruire e guidare dal Paraclito, perché possiamo accogliere la Parola di Dio e testimoniarla con la nostra vita.”
Papa Francesco Parte dell’Angelus del 26 maggio 2019
Siamo giunti alla quinta domenica di Pasqua e la liturgia ci propone delle letture che ci invitano a realizzare di più l’amore fraterno che “fa nuove tutte le cose” e rivela il vero volto di Dio. In questo giorno si celebra la giornata di sensibilizzazione per il sostegno economico della Chiesa cattolica.
Nella prima lettura, tratta dagli Atti degli apostoli, Paolo e Barnaba danno coraggio ai discepoli esortandoli a restare saldi nella fede «perché – dicevano – dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni».
Nella seconda lettura, tratta dal libro dell’Apocalisse, Cristo risorto ha operato la piena trasformazione dell’uomo e del mondo. L’uomo, liberato dal male e dal peccato, è diventato “dimora di Dio” e l’orizzonte del mondo si apre su “un cielo nuovo e una terra nuova.”
L’aggettivo “nuovo” caratterizza anche il passo del Vangelo di Giovanni in cui Gesù nel contesto dell’ultima cena propone il Suo “comandamento nuovo”. Gesù lo fa rivolgendosi ai suoi discepoli chiamandoli teneramente “figlioli”. E’ l’unica volta che li chiama così e lo fa nel dare loro il Suo comandamento nuovo. Ed è nuovo perché è la clausola fondamentale e unica della “nuova alleanza”, annunziata già più di 500 anni prima dal profeta Geremia,(31,31-34) ed ora inaugurata dalla Pasqua di Cristo. E’ un amore che diventa l’unico segno di riconoscimento dell’appartenenza alla comunità di Gesù Cristo, la testimonianza più viva e autentica per chi vive e crede in Lui.
Dagli Atti degli Apostoli
In quei giorni, Paolo e Bàrnaba ritornarono a Listra, Iconio e Antiochia, confermando i discepoli ed esortandoli a restare saldi nella fede «perché – dicevano – dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni». Designarono quindi per loro in ogni Chiesa alcuni anziani e, dopo avere pregato e digiunato, li affidarono al Signore, nel quale avevano creduto.
Attraversata poi la Pisìdia, raggiunsero la Panfìlia e, dopo avere proclamato la Parola a Perge, scesero ad Attàlia; di qui fecero vela per Antiochia, là dove erano stati affidati alla grazia di Dio per l’opera che avevano compiuto. Appena arrivati, riunirono la Chiesa e riferirono tutto quello che Dio aveva fatto per mezzo loro e come avesse aperto ai pagani la porta
della fede.
At 14, 21b-27
Il brano descrive la parte finale del primo viaggio missionario di Paolo (At 13-14), che presenta le caratteristiche della missione apostolica quando è diretta a comunità già formate.
L’attività di Paolo e Barnaba a Derbe, viene così descritta nel versetto precedente, non riportato nel brano: «Dopo aver annunciato il Vangelo a quella città e fatto un numero considerevole di discepoli, ritornarono a Listra, Icònio e Antiochia».
Con i due verbi “evangelizzare” e “fare discepoli” Luca mette in luce una feconda attività fatta soprattutto di contatti personali, che ha come risultato l’aggregazione di un buon numero di persone. Quando la comunità dà segno di poter continuare da sola il suo cammino, Paolo e Barnaba ritornano a Listra, Iconio e Antiochia di Pisidia.
Essi dunque ripercorrono a ritroso il cammino fatto e incontrano le comunità precedentemente fondate. Ciò offre loro l’occasione di incoraggiare i discepoli e di esortarli a “restare saldi nella fede, perché – dicevano – dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni”. Con queste parole, che non nascondevano la realtà, li rendevano consapevoli che la strada per entrare nel regno di Dio non era scevra da molte dure prove.
Luca aggiunge che in ogni comunità costituirono degli anziani (dei presbiteri). “e dopo avere pregato e digiunato, li affidarono al Signore, nel quale avevano creduto.”
E’ da notare che l’elezione non viene fatta dalla comunità come si usava presso gli Ebrei della diaspora, ed è Luca che attribuisce a Paolo l’introduzione di una struttura che in realtà si è affermata solo qualche decennio dopo la sua morte.
Paolo e Barnaba attraversano poi la Pisidia e raggiungono la Panfilia dove evangelizzano Perge, la città dove Marco si era separato da loro. Scendono poi ad Attalìa e di lì raggiungono via mare Antiochia di Siria, là dove erano stati affidati alla grazia del Signore per l'impresa che avevano compiuto.
Ad Antiochia riuniscono la comunità e “riferiscono” tutto quello che Dio aveva compiuto per mezzo loro e come avevano aperto ai pagani la porta della fede.
Salmo 144 - Benedirò il tuo nome per sempre, Signore.
Misericordioso e pietoso è il Signore,
lento all’ira e grande nell’amore.
Buono è il Signore verso tutti,
la sua tenerezza si espande su tutte le creature.
Ti lodino, Signore, tutte le tue opere
e ti benedicano i tuoi fedeli.
Dicano la gloria del tuo regno
e parlino della tua potenza.
Per far conoscere agli uomini le tue imprese
e la splendida gloria del tuo regno.
Il tuo regno è un regno eterno,
il tuo dominio si estende per tutte le generazioni.
Molti sono i frammenti di altri salmi che entrano nella composizione di questa composizione, che tuttavia risulta bellissima nella sua forma alfabetica e ricca di stimoli alla fede, alla speranza, alla pietà, alla lode.
Il salmo è uno dei più recenti del salterio, databile nel III o II secolo a.C.
… Il salmista fa un attimo di riflessione sulla misericordia di Dio, riconoscendo la sua pazienza verso il suo popolo. E' il momento dell'umiltà. La lode non può essere disgiunta dall'umile consapevolezza di essere peccatori: “Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore. Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature“. “Su tutte le creature”, cioè su tutti gli uomini, e pure sugli animali (Cf. Ps 35,7; 103,21).
Il salmista desidera che tutte le opere di Dio diventino lode a Dio sul labbro dei fedeli: “Ti lodino, Signore, tutte le tue opere e ti benedicano i tuoi fedeli. Dicano la gloria del tuo regno...”. “Tutte le tue opere”, anche quelle inanimate (Cf. Ps 148). Il significato profondo di questo invito cosmico sta nel fatto che, il salmista vede le creature come bloccate da una cappa buia posta dalle divinizzazioni pagane. Il salmista desidera che esse siano libere da quella cappa, che nega loro la glorificazione del Creatore.
La lode a Dio sul labbro dei fedeli diventa annuncio a tutti gli uomini: “Per far conoscere agli uomini le tue imprese e la splendida gloria del tuo regno”. “Il regno” (malkut) è Israele e le “imprese” sono quelle della liberazione dall'Egitto, ecc. Terminata la successione monarchica dopo la deportazione a Babilonia, Israele, pur senza scartare minimamente la tensione verso il futuro re, il Messia, si collegò alla tradizione premonarchica dove il re era unicamente Dio. Nel libro dell'Esodo si parla di Israele come regno (19,6): “Un regno di sacerdoti e una nazione santa”. Israele come regno di Dio si manifesta in modo evidente mediante l'osservanza della legge data sul Sinai; ma Israele non è solo suddito di Dio, ma anche figlio (Cf. Es 4,22). ….
Il cristiano nella potenza dello Spirito Santo annuncia le grandi opere del Signore (At 2,11), che sono quelle relative a Cristo: la salvezza, la liberazione dal peccato, ben più alta e profonda di quella dall'Egitto; il regno di Dio posto nel cuore dell'uomo e tra gli uomini in Cristo, nel dono dello Spirito Santo; i cieli aperti, il dono dei sacramenti, massimamente l'Eucaristia.
Commento tratto da Perfetta Letizia
Dal libro dell’Apocalisse di S.Giovanni apostolo
Io, Giovanni, vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima infatti erano scomparsi e il mare non c’era più.
E vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii allora una voce potente, che veniva dal trono e diceva:
«Ecco la tenda di Dio con gli uomini!
Egli abiterà con loro
ed essi saranno suoi popoli
ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio.
E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi
e non vi sarà più la morte
né lutto né lamento né affanno,
perché le cose di prima sono passate».
E Colui che sedeva sul trono disse:
«Ecco, io faccio nuove tutte le cose».
Ap 21,1-5ª
Questo brano fa parte di quella sezione dell’Apocalisse in cui si descrive la definitiva e totale sconfitta del male, qui simbolicamente rappresentato dal mare (il mare, è il luogo di vita del drago e simbolo del male (Gb 7,12+), che, come al tempo del primo esodo, scomparirà, per sempre davanti alla marcia trionfale del nuovo popolo di Dio, che sarà definitivamente liberato da ogni tribolazione
Il brano inizia riportando la visione:
“Io, Giovanni, vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima infatti erano scomparsi e il mare non c’era più.”.
Nei versetti precedenti era stato descritto il giudizio finale in cui la morte e l'inferno vengono distrutti, gettati nel lago di fuoco come anche coloro che avevano fatto il male, cioè subivano la seconda morte. Dopo questo scenario di distruzione compare un cielo nuovo e una terra nuova, la nuova creazione. Tutto è stato ripreso in mano da Dio e ricreato, senza peccato, senza ribellione verso di Lui. Infatti il mare non c'era più. Nella concezione semitica il mare, profondo e misterioso, spesso caotico e abitato da animali enormi e spaventosi, è il simbolo del male.
“E vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo”
In questa nuova creazione scende la "nuova Gerusalemme", simbolo della comunione del popolo con il suo Dio. La città santa viene da Dio, in essa appare ora in tutta la sua estensione la potenza e la grazia di Dio. E' adornata come una sposa, per il suo sposo.
“Udii allora una voce potente, che veniva dal trono e diceva:«Ecco la tenda di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro ed essi saranno suoi popoli ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio.”
Una voce che veniva in modo misterioso dal trono spiega la visione presentando la tenda di Dio con gli uomini.
Un tempo il Signore abitava nella Tenda e poi nel Tempio, poi nei tabernacoli della Nuova Alleanza. Quei simboli trovano ora il suo compimento: la Città santa è l'abitazione di Dio. Dio è presente direttamente in tutto, Dio e l'umanità si appartengono completamente, come un vincolo matrimoniale. Tutti i popoli finalmente sono entrati in comunione con Dio.
“E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate».
Questa immagine è straordinaria, che tocca nel profondo.: Dio asciugherà ogni lacrima, consola come soltanto Lui può consolare, non esorta a dimenticare bensì trasfigura le ferite. Tutto ciò che è passeggero, terrestre, doloroso, è stato trasformato nella nuova creazione. Il Dio che pone la tenda della Sua presenza in mezzo agli uomini è il vivente; in Lui non può sussistere né la sofferenza, né la morte!
“E Colui che sedeva sul trono disse: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose».
Chi siede sul trono è Dio che dichiara: Ecco, io faccio nuove tutte le cose. Egli che è l'onnipotente, fa nuove tutte le cose. Realizza pienamente tutto ciò che era iniziato con la redenzione di Cristo ed è stato realizzato all'interno della storia della salvezza. Al principio Dio … e al termine Dio! Il tempo è inglobato nell’eterno presente di Dio.
Dal vangelo secondo Giovanni
Quando Giuda fu uscito[dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito”.
Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.
Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».
Gv 13, 31-33a,34-35
Questo brano tratto dal capitolo 13 di Giovanni ci riporta nel contesto dell'ultima cena: Gesù e i discepoli sono nel cenacolo e Lui ha rivelato che uno di loro lo avrebbe tradito e su richiesta di Giovanni lo aveva indicato come colui che aveva intinto il boccone nel piatto insieme a Lui. In quel momento Satana era entrato in Giuda e Gesù gli aveva detto: "Quello che vuoi fare, fallo presto". Quindi Giuda esce, ed è notte.
E' un momento molto drammatico di forte tensione. Gesù, che fino a pochi momenti prima era profondamente turbato nel dire che uno dei suoi lo avrebbe tradito (Gv 13,21), ora invece sembra esultare per la gloria che gli è stata data già in quel momento.
“Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito”. Il verbo “è stato glorificato” esprime il momento decisivo della missione di Gesù e si riferisce in modo totale alla Sua passione, morte, risurrezione e ascensione. È Dio che glorifica il Figlio dell’uomo; tuttavia si sottolinea anche che Dio stesso è glorificato “in lui” a motivo del dono volontario di sé con cui Gesù porta a compimento il suo disegno di salvezza. .
Il mistero della gloria di Dio è talmente profondo che in pochi versetti il verbo glorificare ritorna cinque volte e più volte anche “in lui” . Questo mistero della gloria ci manifesta un altro mistero: l'unità profonda che vi è tra il Padre e il Figlio. Il Figlio con la sua morte e risurrezione mostra a tutti la gloria del Padre, ma anche il Padre glorifica il Figlio poiché ha rinunciato alla sua gloria abbassandosi all'incarnazione e alla morte infamante della croce.
Non è il suo abbassamento che lo ha glorificato, ma il motivo per cui l'ha fatto: la salvezza degli uomini. Il Cristo aveva già la sua gloria (cf. Gv 17,5: Padre, glorificami davanti a te, con quella gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse). Con l'incarnazione sembra averla abbandonata, ma di fatto tale gloria si manifesta in modo ancora più splendido in tutto ciò che Egli ha compiuto per il bene dell'umanità: ci ha fatto conoscere la grandezza di Dio e ci ha riscattato dal male e dalla morte.
“Figlioli, ancora per poco sono con voi”.
Con questo versetto inizia il discorso di addio di Gesù ai suoi discepoli. E’ stato saltato il versetto che dice: "voi mi cercherete, ma come ho già detto ai Giudei, lo dico ora anche a voi: dove vado io voi non potete venire” e si riferisce alla sua morte imminente. Gesù sta per andarsene e cerca di far capire ai suoi discepoli i motivi della separazione da loro, ma darà anche la promessa di un suo ritorno e della piena comunione che li unirà al loro maestro una volta compiuta la sua ora .
“Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.“ Il precetto dell’amore appare già nel contesto dell’alleanza del Sinai come compendio di tutta la legge (Lv 19,18.34), ma i profeti avevano predetto una nuova alleanza, in forza della quale la legge dell’amore non sarà più scritta su tavole di pietra, ma sul cuore del popolo (Ger 31,31-34; Dt 30,6; Ez 36,24-28). Ma la vera novità del comandamento di Gesù sta nel come bisogna amare: “Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.”
La particella “come” non stabilisce solo un confronto tra l’amore che i discepoli devono praticare e quello che Gesù ha avuto nei loro confronti, ma ne indica anche il fondamento e l’origine. Gesù diventa così la fonte e il modello dell’autentico amore cristiano.
In realtà la nuova legge è Gesù stesso in quanto esprime in termini umani l’amore di Dio.
Gesù conclude con questa affermazione: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri”.
Gesù propone anche a noi oggi di amarci gli uni gli altri come Lui ci ha amato, e se noi fossimo capaci di amare gli altri con l’intensità e la radicalità con cui ci ama Gesù Cristo-Dio, potremmo davvero cambiare la realtà, creare come i primi discepoli di Gesù una comunità su cui fondare il rinnovamento del mondo.
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“Nel Vangelo di oggi Gesù si presenta come il vero Pastore del popolo di Dio. Egli parla del rapporto che lo lega alle pecore del gregge, cioè ai suoi discepoli, e insiste sul fatto che è un rapporto di conoscenza reciproca. «Le mie pecore – dice – ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute». Leggendo attentamente questa frase, vediamo che l’opera di Gesù si esplica in alcune azioni: Gesù parla, Gesù conosce, Gesù dà la vita eterna, Gesù custodisce.
Il Buon Pastore – Gesù – è attento a ciascuno di noi, ci cerca e ci ama, rivolgendoci la sua parola, conoscendo in profondità i nostri cuori, i nostri desideri e le nostre speranze, come anche i nostri fallimenti e le nostre delusioni. Ci accoglie e ci ama così come siamo, con i nostri pregi e i nostri difetti. Per ciascuno di noi Egli “dà la vita eterna”: ci offre cioè la possibilità di vivere una vita piena, senza fine. Inoltre, ci custodisce e ci guida con amore, aiutandoci ad attraversare i sentieri impervi e le strade talvolta rischiose che si presentano nel cammino della vita.
Ai verbi e ai gesti che descrivono il modo in cui Gesù, il Buon Pastore, si relaziona con noi, fanno riscontro i verbi che riguardano le pecore, cioè noi: «ascoltano la mia voce», «mi seguono». Sono azioni che mostrano in che modo noi dobbiamo corrispondere agli atteggiamenti teneri e premurosi del Signore. Ascoltare e riconoscere la sua voce, infatti, implica intimità con Lui, che si consolida nella preghiera, nell’incontro cuore a cuore con il divino Maestro e Pastore delle nostre anime. Questa intimità con Gesù, questo essere aperto, parlare con Gesù, rafforza in noi il desiderio di seguirlo, uscendo dal labirinto dei percorsi sbagliati, abbandonando i comportamenti egoistici, per incamminarci sulle strade nuove della fraternità e del dono di noi stessi, ad imitazione di Lui.
Non dimentichiamo che Gesù è l’unico Pastore che ci parla, ci conosce, ci dà la vita eterna e ci custodisce. Noi siamo l’unico gregge e dobbiamo solo sforzarci di ascoltare la sua voce, mentre con amore Egli scruta la sincerità dei nostri cuori. E da questa continua intimità con il nostro Pastore, da questo colloquio con Lui, scaturisce la gioia di seguirlo lasciandoci condurre alla pienezza della vita eterna.
Ci rivolgiamo ora a Maria, Madre di Cristo Buon Pastore. Lei, che ha risposto prontamente alla chiamata di Dio, aiuti in particolare quanti sono chiamati al sacerdozio e alla vita consacrata ad accogliere con gioia e disponibilità l’invito di Cristo ad essere suoi più diretti collaboratori nell’annuncio del Vangelo e nel servizio del Regno di Dio in questo nostro tempo.”
Papa Francesco Parte dell’Angelus del 15 maggio 2019
Papa Francesco ci ricorda ancora:
"Per Dio noi non siamo numeri, siamo importanti, anzi siamo quanto di più importante Egli abbia; anche se peccatori, siamo ciò che gli sta più a cuore. Lasciamoci avvolgere dalla misericordia di Dio; confidiamo nella sua pazienza che sempre ci dà tempo; abbiamo il coraggio di tornare nella sua casa, di dimorare nelle ferite del suo amore, lasciandoci amare da Lui, di incontrare la sua misericordia nei Sacramenti. Sentiremo la sua tenerezza, sentiremo il suo abbraccio e saremo anche noi più capaci di misericordia, di pazienza, di perdono, di amore“.
Domenica 29 maggio festeggeremo la fine di questo anno pastorale vissuto insieme. Dopo la celebrazione delle 10:00 animata da tutti i gruppi di catechismo, festeggeremo con giochi e attività per genitori e figli, presso Villa Pamphili e condivideremo insieme il pranzo, per poi avere qualche informazione in più sulle attività estive dell'oratorio e della parrocchia. Per chiunque volesse partecipare alla giornata, è necessario iscrivervi e potete farlo: inquadrando con lo smartphone il QR code e compilando il form; scrivendo i vostri dati a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.; informando direttamente le catechiste di riferimento della vostra presenza; compilando il form, allestito presso le sale del catechismo. Vi aspettiamo, non mancate!!
Riparte l'Oratorio Estivo 2022! Da domenica 22 maggio dalle 11:30 vi aspettiamo in oratorio per iscrivervi o semplicemente avere informazioni, sul viaggio che faremo in questa estate ! Cosa aspetti? Non puoi mancare.. Aspettiamo proprio TE!
L'umanità è una grande e immensa famiglia ... Troviamo la dimostrazione di ciò da quello che ci sentiamo nei nostri cuori a Natale.
(Papa Giovanni XXIII)