Questa domenica, in cui si celebra la giornata per i malati di lebbra, troviamo il brano delle Beatitudini, e Gesù annunciando che i poveri, i piccoli, i miti, i puri, sono i veri beati, realizza quello che avevano annunciato i profeti nell’Antico Testamento
Nella prima lettura il Profeta Sofonia, annuncia che il Signore costituirà un popolo umile e povero capace di confidare solo in Dio, che la salvezza è un dono di Dio, che solo chi è povero e umile può accogliere.
Nella seconda lettura, tratta dalla prima lettera ai corinzi, San Paolo afferma che rientra nella logica di Dio scegliere i piccoli per rivelare la Sua gloria, e solo la sapienza che ci è data in Cristo permette di valutare correttamente le cose terrene.
Nel Vangelo di Matteo, troviamo il brano celeberrimo delle Beatitudini. Gesù si rivolge ai suoi discepoli, a coloro che hanno già scelto di stare con lui, ed è presentato come il nuovo Mosè che istruisce il suo popolo con un a nuova Legge che non rinnega l’antica, ma la porta a compimento. La felicità non va cercata nella conquista dei beni della terra, ma nella ricchezza del cuore, nel percepire il bisogno di Dio.
Dal libro del profeta Sofonia
Cercate il Signore voi tutti, poveri della terra,
che eseguite i suoi ordini,
cercate la giustizia, cercate l’umiltà;
forse potrete trovarvi al riparo nel giorno dell’ira del Signore.
«Lascerò in mezzo a te un popolo umile e povero».
Confiderà nel nome del Signore il resto d’Israele.
Non commetteranno più iniquità e non proferiranno menzogna;
non si troverà più nella loro bocca una lingua fraudolenta.
Potranno pascolare e riposare senza che alcuno li molesti.
Sof. 2,3;3,12-13
L’attività del profeta Sofonia si svolse intorno agli anni 640 a.C., un po’ prima di quella di Geremia. Il libro che porta il suo nome è stato scritto in ebraico presumibilmente tra il 630 ed il 609 a.C., come si può dedurre dai primi 4 versetti del libro, ove si dice che l'autore visse al tempo del re Giosia, il grande riformatore (648-609 a.C.) . È composto da 3 capitoli e contiene vari oracoli di restaurazione. Lo stile linguistico e i temi trattati richiamano le caratteristiche del profeta Geremia, che come lui avvertì il popolo, senza essere ascoltato, sul disastro morale e religioso che andava infiltrandosi in tutti gli ambiti della vita sociale, religiosa, politica.
Dopo il versetto iniziale, in cui Sofonia si presenta come “figlio dell’etiope” e contemporaneo del re Giosia (1,1), viene riportata una prima raccolta di oracoli (1,1-2,3) che hanno come tema centrale il “giorno del Signore”, nel quale la punizione di Dio si abbatterà su Giuda (1,2-18). La raccolta termina con un invito alla conversione mentre gli umili della terra, che eseguono i suoi ordini, sono esortati a cercare il Signore, la giustizia e l’umiltà (2,1-3). Segue una piccola raccolta di oracoli contro le nazioni (2,4-15). Un altro oracolo viene poi indirizzato a Gerusalemme, la città ribelle (3,1-8), mentre nell’ultima parte del libro (3,9-20) è descritta la Gerusalemme rinnovata, alla quale ritorneranno tutti i dispersi. Il testo liturgico è formato dalla conclusione della prima raccolta e dalla parte centrale dell’ultima.
L’invito pressante alla conversione rivolto agli empi è seguito da un’esortazione a coloro che invece sono fedeli al loro Dio:
”Cercate il Signore voi tutti, poveri della terra, che eseguite i suoi ordini, cercate la giustizia, cercate l’umiltà; forse potrete trovarvi al riparo nel giorno dell’ira del Signore.”
Questo versetto contiene il programma religioso di Sofonia. I “poveri” (anawîm, umili, miti) ai quali egli si rivolge sono persone prive di potere e di mezzi materiali, che vivono radicati sulla terra dalla quale ricavano i loro sostentamento. L’atteggiamento di questi poveri comporta dunque una vissuta adesione all’alleanza con il Signore e il rifiuto di ogni forma di violenza.
Proprio a loro il profeta esorta a “cercare il Signore”, cioè di impegnarsi sempre più non solo in una conoscenza spirituale di Dio, ma nell’approfondire sempre più il rapporto con Lui mediante un’esperienza personale e l’osservanza dei Suoi comandamenti. Così facendo essi saranno liberati dall’ “ira del Signore”, cioè da quel male, interpretato come un castigo di Dio, che gli empi fanno ricadere su se stessi.
Nella seconda parte del testo liturgico, il profeta riporta un oracolo del Signore:
“«Lascerò in mezzo a te un popolo umile e povero». Confiderà nel nome del Signore il resto d’Israele. Non commetteranno più iniquità e non proferiranno menzogna; non si troverà più nella loro bocca una lingua fraudolenta. Potranno pascolare e riposare senza che alcuno li molesti.”
Fra coloro che sono ritornati dall’esilio, che era stato provocato anche dalle ingiustizie e dalla avidità della classe dirigente, vi sono coloro che sono umili e poveri, cioè che accettano la povertà materiale a motivo della loro mitezza. Sofonia intravede in essi il resto di Israele, cioè il vero Israele degli ultimi tempi. Essi non commetteranno più il male e non si serviranno della menzogna per frodare il proprio prossimo. La caratteristica più importante del popolo rinnovato è proprio l’impegno per la giustizia, perseguita mediante la non violenza attiva, praticata anche a costo di vivere nella povertà e nell’emarginazione. A coloro che vivono in questo modo il Signore promette, facendo ricorso all’immagine del gregge, quieti pascoli e sicurezza (V.Sal 23).
Facendo proprio il messaggio dei profeti e dei saggi, Sofonia afferma che chi cerca di raggiungere il bene non manca di nulla. Potranno esserci prove e sofferenze, a cui apparentemente il povero sembra soccombere, ma dalle quali invece egli uscirà indenne. Negli sconvolgimenti della vita politica e sociale riescono a sussistere solo quelli che hanno grandi valori su cui attingere. Anche l’eventualità di grandi sofferenze o della stessa morte non può smuoverli, anzi, molte volte per loro la morte rappresenta il segno più convincente della loro vittoria sul male.
Salmo 145. Beati i poveri in spirito
Il Signore rimane fedele per sempre
rende giustizia agli oppressi,
dà il pane agli affamati.
Il Signore libera i prigionieri.
Il Signore ridona la vista ai ciechi,
il Signore rialza chi è caduto,
il Signore ama i giusti,
il Signore protegge i forestieri.
Egli sostiene l’orfano e la vedova,
ma sconvolge le vie dei malvagi.
Il Signore regna per sempre,
il tuo Dio, o Sion, di generazione in generazione.
Il salmo è stato composto nel tardo postesilio come rivela la sua lingua aramaicizzante. Esso fa pensare a un tempo di pace, di normalità, quale si ebbe verso la fine dell'epoca persiana quando Giuda divenne uno stato teocratico autonomo con propria moneta fino alla persecuzione di Antioco IV Epifane (2Mac 4,1s).
Il salmista al proposito personale e di testimonianza di lodare il Signore per tutta la vita, fa seguire un'ammonizione basilare: “Non confidate nei potenti, in un uomo che non può salvare”. I potenti, che amano circondarsi di un alone di gloria, non sono dei semidei, sono uomini che come tutti moriranno: “Esala lo spirito e ritorna alla terra: in quel giorno svaniscono tutti i suoi disegni”. Il salmista tuttavia non fa accenno ai guai, alle rovine a cui si espone chi confida nell'uomo, ma, in positivo, dice che è beato, “chi ha per aiuto il Dio di Giacobbe”, cioè il Dio dei padri, il Dio delle promesse e dell'alleanza, riconoscendolo l'unico Dio, onnipotente creatore: “che ha fatto il cielo e la terra, il mare e quanto contiene".
“Egli è fedele per sempre”, mai manca alla sua parola, e il suo governo è giustizia e bontà: “Rende giustizia agli oppressi, dà il pane agli affamati”.
Poi il salmista con ritmo incalzante presenta a tutti cinque motivi di confidenza in Dio.
“Libera i prigionieri”; intendendo ciò in senso largo: deportati, carcerati ingiustamente, irretiti in trame di calunnia.
“Ridona la vista ai ciechi”, dove il cieco è colui che ha smarrito la via della verità (Dt 28,29; Gb 12,25; Is 29,18; 35,5).
“Rialza chi è caduto”, cioè chi è caduto nel peccato.
“Ama i giusti”, cioè li guida nel giusto cammino e protegge nei loro passi.
“Protegge i forestieri, egli sostiene l'orfano e la vedova”, cioè tre categorie di persone deboli, con scarsi punti di riferimento.
Poi una severa osservazione: “Ma sconvolge le vie dei malvagi”.
Dio è re, “regna per sempre”. Nessuno lo può contrastare, limitare il suo potere sovrano, nessuno può sperare di vincerlo; e il suo regnare è segnato dalla giustizia, dalla bontà e dalla misericordia.
“Il tuo Dio, o Sion, di generazione in generazione”; Dio che ha fatto alleanza con Sion. Ma l'alleanza è diventata nuova in Cristo; Sion ha rifiutato la nuova ed eterna alleanza, ma Cristo non rinuncia al popolo di Sion, ora tronco morto dell'unico popolo di Dio, il cui tronco vivo è la Chiesa, ma un giorno il tronco morto diventerà vivo, accogliendo Cristo e facendo parte della Chiesa (Rm 11,25).
Commento di P. Paolo Berti
Dalla prima lettera di S.Paolo apostolo ai Corinzi
Considerate la vostra chiamata, fratelli: non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili.
Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio.
Grazie a lui voi siete in Cristo Gesù, il quale per noi è diventato sapienza per opera di Dio, giustizia, santificazione e redenzione, perché, come sta scritto, chi si vanta, si vanti nel Signore.
1Cor 1,26-31
Paolo continuando la sua lettera ai corinzi affronta il problema delle divisioni fra i cristiani di Corinto proponendo loro, come base della loro vita comunitaria, la sapienza di Dio che si è manifestata nella croce di Cristo. Nel brano che abbiamo l’apostolo inizia con queste parole: Considerate la vostra chiamata, fratelli: non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili. L’efficacia straordinaria dell’intervento divino in Cristo crocifisso si manifesta in una realtà che è sotto gli occhi di tutti, cioè il loro essere comunità. I corinzi possono rendersene conto personalmente in quanto appartengono precisamente a quei chiamati per i quali Cristo è potenza e sapienza di Dio. Per loro è sufficiente pensare alla propria “chiamata”, cioè considerare se stessi in quanto oggetto della chiamata divina. Dopo aver posta questa considerazione Paolo conclude dicendo: “Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono …” Dio ha voluto scegliere proprio ciò che nel mondo è disprezzato, ”le cose che non sono” per ridurre al nulla “le cose che sono”: così facendo ha capovolto l’ottica di questo mondo e ha realizzato la salvezza dichiarando l’impotenza e il fallimento di tutti i progetti umani basati sull’esercizio del potere.
Dio ha agito in questo modo paradossale “perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio”. In questo contesto Paolo vuole affermare che, se Dio avesse scelto filosofi, dotti o persone di condizione sociale elevata, il merito avrebbe potuto essere attribuito alle loro doti, offuscando così il principio salvifico in forza del quale la salvezza non può venire se non da Dio. Avendo scelto invece persone di poco conto, Dio ha dimostrato che la salvezza è esclusivamente opera Sua.
Dalla premessa che ha posto circa la condizione dei cristiani di Corinto, Paolo trae questa conclusione: “Grazie a lui voi siete in Cristo Gesù, il quale per noi è diventato sapienza per opera di Dio, giustizia, santificazione e redenzione, perché, come sta scritto, chi si vanta, si vanti nel Signore”. Proprio per il dono gratuito di Dio i corinzi ora “sono in Cristo Gesù”, cioè non soltanto sono santificati “in Lui”, formando con Lui un unico spirito, ma hanno acquistato per mezzo Suo e in Lui un valore e un’importanza che prima non avevano. Egli infatti è diventato “per noi” ”sapienza, giustizia, santificazione e redenzione”.
Paolo sottolinea ulteriormente che una comunità fatta di povera gente, ma che per merito di Cristo si è resa cosciente della propria dignità e del proprio valore, è la migliore dimostrazione del ruolo che a lui è stato assegnato da Dio. In quanto “sapienza” Egli inserisce l’umanità nel progetto salvifico che Dio ha concepito prima della creazione; in quanto “giustizia” dà a tutti la possibilità di diventare giusti, cioè Suoi amici, capaci di compiere la Sua volontà (Rm 3,21-26); in quanto “santificazione”conferisce loro la possibilità di formare il popolo santo di Dio; in quanto “redenzione” Egli è colui che li riacquista a Dio come Suo possesso speciale (Rm 3,24).
Il brano termina con un’espressione cara a Paolo: “Chi si vanta, si vanti nel Signore” che è ricavata dal libro di Geremia, in cui il profeta pone sulla bocca di Dio queste parole:
“Non si vanti il saggio della sua saggezza e non si vanti il forte della sua forza, non si vanti il ricco delle sue ricchezze. Ma chi vuol gloriarsi si vanti di questo, di avere senno e di conoscere me, perché io sono il Signore che agisce con misericordia, con diritto e con giustizia sulla terra; di queste cose mi compiaccio”.(Ger 9,22-23).
Questo testo Paolo lo cita anche in 2Cor 10,17, e tutte le volte che egli parla del vanto nei rapporti con Dio (per es. Rm 4,2). Alludendo a questo brano l’apostolo sottolinea ancora una volta che la salvezza è un dono: nessuno può raggiungerla con mezzi umani, quindi nessuno può vantarsi di essa davanti a Dio; chi di fatto la raggiunge non può far altro che “vantarsi nel Signore”, cioè riconoscere che essa viene da Lui e porsi in sintonia con il Suo modo di agire nel mondo.
Paolo dunque ribadisce con forza un’idea che percorre tutta la Bibbia. Le scelte di Dio si può dire che sono “estrose”: egli non sceglie uomini di successo, sceglie i minori come Isacco, Giacobbe,Davide, gli impacciati come Mosè e Geremia, i contadini come Amos; i pescatori come gli apostoli, i poveri, la vedova, l’orfano e il forestiero sono i suoi protetti. Nella Sua lotta contro il male Dio non chiama guerrieri, nobili e potenti, ma sceglie chi nessun potente su questa terra sceglierebbe: i deboli, gli ignobili e i disprezzati.
Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati.
Beati i miti, perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».
Mt 5, 1-12a
Questo brano celeberrimo si potrebbe definire la Magna carta di coloro che fanno e faranno parte del regno di Dio. E’ conosciuto come “Il discorso sulle beatitudini” ed è il primo dei cinque grandi discorsi che formano la struttura del Vangelo di Matteo. E’ introdotto da una breve frase per indicare in quale occasione è stato pronunziato: “vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo”…
Sulla montagna c’è tanta gente, ma Gesù direttamente si rivolge ai suoi discepoli. Anche Luca lo introduce in modo simile ed è dunque chiaro per la tradizione che il discorso inaugurale di Gesù è rivolto innanzitutto ai discepoli, e con essi alla comunità cristiana, anche se indirettamente riguarda tutti. Matteo non cita il nome del monte, ma, designandolo con l’articolo determinativo, egli lascia immaginare che si tratti di un luogo ben preciso, da un punto di vista però non geografico, ma teologico: si tratta del nuovo Sinai, sul quale Gesù, come un tempo Mosè, rivela la legge di Dio ai suoi discepoli.
Prima beatitudine: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli”.
L’espressione “in spirito” è per sottolineare che la povertà deve essere espressione di un’umile e fiduciosa sottomissione a Dio: per entrare nella beatitudine finale del regno dei cieli non conta la privazione dei beni materiali, bensì l’abbandono a Dio e l’impegno quotidiano per compiere la Sua volontà (V.At 2,42-48).
Seconda beatitudine: Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati.
Ai cristiani che per essere fedeli a Dio vanno incontro a sofferenze e persecuzioni (Is 61,2), l’evangelista annunzia, come aveva fatto il Deuteroisaia con il popolo in esilio (Is 40,1), la consolazione promessa da Gesù. Questa però non consiste più nel possesso di una terra, ma del regno di Dio da Lui inaugurato.
Terza beatitudine:Beati i miti, perché avranno in eredità la terra:
Il termine “miti”, con cui i LXX traducono l’ebraico ‘anawim (povero) assume un significato più chiaramente spirituale, indica il comportamento di chi si abbandona totalmente alla volontà di Dio, rinunziando a qualsiasi forma di violenza. Da qui si può intravedere la figura del Servo del Signore (V.Is 42,2-3; 50,5-6), il giusto dei Salmi (Sal 36,7-11), il Messia umile (Zc 9,9) e lo stesso Gesù ( Mt 11,28-29). A coloro che si pongono su questa strada Matteo promette, in nome di Gesù, il possesso della terra: questa espressione, ispirata al Sal 36, non indica più la terra di Israele, ma i beni messianici in tutta la loro pienezza.
Quarta beatitudine:Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
Viene qui esaltata la felicità di quelli che hanno fame e sete non tanto, come in Luca, di cibo materiale, quanto piuttosto di giustizia: anche qui Matteo, senza eliminare l’aspetto materiale della fame, ha letto soprattutto la ricerca della giustizia, che consiste nella fedeltà a Dio e ai suoi comandamenti.
Nelle quattro beatitudini successive sono proclamati felici i misericordiosi, cioè coloro che, come Dio stesso, sono capaci di perdonare, i puri di cuore, che aderiscono a Dio in un modo pieno e senza ripensamenti, gli operatori di pace e i perseguitati a causa della giustizia, i quali lottano e soffrono per un mondo nuovo, in cui regna la pace e la giustizia (Is 11,1-9; Sal 72,2-3.7).
Nella nona beatitudine si dice: Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli”. Essa si distacca dalle precedenti per la sua lunghezza e per l’uso della seconda persona “voi”. Anche questa è giunta a Matteo dalla tradizione (Lc 6,22-23), e diversamente dalle altre essa è rivolta direttamente ai cristiani che soffrono persecuzione a causa della loro fede in Gesù: ad essi è riservata nei cieli una grande ricompensa, che si identifica con la piena comunione con Dio (1Pt 4,13-16).
Matteo riportando il primo grande discorso di Gesù, presenta un catechismo di iniziazione cristiana, opposto all’ideale religioso giudaico. C’era la legge, cioè l’insieme delle esigenze morali, religiose, culturali, personali e collettive che valeva per tutto il popolo di Dio e tutto questo Mosè l’aveva ricevuto sul Sinai. D’ora in poi c’è la nuova legge che Gesù dà sulla montagna come su un nuovo Sinai.
Non toglie nulla alla legge di Mosè, ma la completa andando alla radice dei comportamenti umani. Gesù afferma che beati sono gli uomini e le donne poveri di spirito, beati i misericordiosi, gli afflitti, i miti, gli affamati di giustizia, i puri di cuore, i perseguitati a causa della giustizia ed anche coloro che sono insultati e perseguitati a causa del Suo nome.
Parole come queste non le aveva pronunciate mai nessuno e i discepoli certo non le avevano mai udite sino a quel momento. E anche noi che le ascoltiamo oggi sembrano davvero molto lontane, si ha come l’impressione di vedere il mondo alla rovescia, quasi agli antipodi di ciò che pensiamo, diciamo e facciamo.
Le beatitudini però non sono delle cose da fare, ma frutti di una scelta di vita che non è sforzo solo nostro, ma conseguenza dell’opera dello Spirito in noi. Solo lo Spirito ci può rendere miti, pacifici, puri di cuore, misericordiosi … Il nostro sforzo deve consistere nell’accogliere l’azione dello Spirito Santo in noi, di obbedire in tutto a Dio.
Quanto riusciremo ad accogliere e seguire lo Spirito che elargisce i Suoi doni (fortezza, scienza, sapienza, intelletto, consiglio, pietà, timor di Dio) tanto saremo capaci di vivere le beatitudini. Capiremo così che le beatitudini sono la vita stessa di Gesù, Lui le ha vissute tutte. Per questo, il nostro aderire ad esse ci inserisce nella vita di Cristo, ci unisce più che mai a Lui. Il premio delle beatitudini è Dio stesso: è Lui la beatitudine vera, la felicità che non avrà mai fine.
Commentando questo brano di Vangelo, Papa Francesco ha chiesto: «”Come si fa per diventare un buon cristiano?”, qui troviamo la risposta di Gesù che ci indica cose “tanto controcorrente” rispetto a quello che abitualmente “si fa nel mondo”. Beati i poveri in spirito. “Le ricchezze non ti assicurano niente. Di più: quando il cuore è ricco, è tanto soddisfatto di se stesso, che non ha posto per la Parola di Dio».
LA CONSOLAZIONE DI GESU’. Il Mondo ci propone alcune gioie: «La felicità, il divertimento», ma «ignora, guarda da un’altra parte, quando ci sono problemi di malattia, problemi di dolore nella famiglia. Il mondo non vuole piangere, preferisce ignorare le situazioni dolorose, coprirle. Soltanto la persona che vede le cose come sono, e piange nel suo cuore, è felice e sarà consolata. La consolazione di Gesù, non quella del mondo. Beati i miti in questo mondo che dall’inizio è un mondo di guerre, un mondo dove dappertutto si litiga, dove dappertutto c’è l’odio. E Gesù dice: niente guerre, niente odio, pace, mitezza».
LE BEATITUDINI. La mitezza, oggi, ha proseguito Papa Francesco, è intesa come «stoltezza». Invece è il contrario perché «con questa mitezza avrai in eredità la Terra». Beati dunque quelli «che lottano per la giustizia, perché ci sia giustizia nel mondo. È tanto facile entrare nelle cricche della corruzione, quella politica quotidiana del do ut des. Tutto è affari. E quante ingiustizie. Quanta gente che soffre per queste ingiustizie». Ma Gesù dice: «Sono beati quelli che lottano contro queste ingiustizie». Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. I misericordiosi sono «quelli che perdonano, che capiscono gli errori degli altri, perché tutti noi siamo un esercito di perdonati! Tutti noi siamo stati perdonati. E per questo è beato quello che va per questa strada del perdono. Beati i puri di cuore, che hanno un cuore semplice, puro, senza sporcizie, un cuore che sa amare con quella purità tanto bella. Beati gli operatori di pace. Ma, è tanto comune da noi essere operatori di guerre o almeno operatori di malintesi! Quando io sento una cosa da questo e vado da quello e la dico e anche faccio una seconda edizione un po’ allargata e la riporto… Il mondo delle chiacchiere. Questa gente che chiacchiera, non fa pace, sono nemici della pace. Non sono beati».
PROGRAMMA DI VITA. Questo delle Beatitudini, ha detto il Papa, «è il programma di vita che ci propone Gesù. Se noi volessimo qualcosa di più, Gesù ci dà anche altre indicazioni, un protocollo sul quale noi saremo giudicati», che è contenuto nel capitolo 25 del Vangelo di Matteo: «Sono stato affamato e mi hai dato da mangiare, ero assetato e mi hai dato da bere, ero ammalato e mi hai visitato, ero in carcere e sei venuto a trovarmi». Così «si può vivere la vita cristiana a livello di santità. Poche parole, semplici parole, ma pratiche a tutti, perché il cristianesimo è una religione pratica: non è per pensarla, è per praticarla, per farla….. Che il Signore ci dia la grazia di capire questo suo messaggio».
Papa Francesco
Parte dell’Omelia alla a casa S.Marta del 9 giugno 2014