Le letture che la Liturgia di questa domenica ci porta a meditare, sono impostate sulla luce, ma questa luce è quella dell’uomo: il giusto inondato dalla luce divina diventa a sua volta fiaccola che risplende e riscalda.
Nella prima lettura il Profeta Isaia, reagendo contro una religione fatta di puro formalismo spiega quali siano le pratiche religiose gradite a Dio. Solo in questo caso la gloria del Signore sarà con il suo fedele e questi sarà come luce nelle tenebre.
Nella seconda lettura, l’apostolo Paolo continuando la sua lettera ai Corinzi, ricorda loro che la sua predicazione si ispira alla sapienza del Signore, che è la sola capace di condurre l’uomo alla conversione e alla salvezza. .
Il Vangelo di Matteo ci propone un brano tratto dal “Discorso della Montagna” in cui Gesù dice ai suoi discepoli, ed anche a noi oggi: “Voi siete il sale della terra…e luce del mondo”. E’ un invito, quello di Gesù, a non essere cristiani mascherati, in incognito, che passano la vita in mezzo agli altri senza farsi apostoli del suo credo. Che sale della terra sono se non hanno sapore? Che razza di lucerna sono se non illuminano? Senza nascondersi, senza mimetizzarsi, senza impigrirsi il cristiano deve essere esposto al sole di Dio come la città posta sui monti. E la luce ricevuta non deve racchiuderla nel “moggio” del suo gruppo, della sua famiglia , della sua parrocchia, ma disseminarla su tutti i fratelli e su tutte le creature di Dio.
Dal libro del profeta Isaìa
Così dice il Signore:
«Non consiste forse [il digiuno che voglio]
nel dividere il pane con l’affamato,
nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto,
nel vestire uno che vedi nudo,
senza trascurare i tuoi parenti?
Allora la tua luce sorgerà come l’aurora,
la tua ferita si rimarginerà presto.
Davanti a te camminerà la tua giustizia,
la gloria del Signore ti seguirà.
Allora invocherai e il Signore ti risponderà,
implorerai aiuto ed egli dirà: “Eccomi!”.
Se toglierai di mezzo a te l’oppressione,
il puntare il dito e il parlare empio,
se aprirai il tuo cuore all’affamato,
se sazierai l’afflitto di cuore,
allora brillerà fra le tenebre la tua luce,
la tua tenebra sarà come il meriggio».
Is 58,7-10
La terza parte del libro di Isaia (Is 56-66) contiene una raccolta di oracoli che, per lo stile e lo sfondo storico, sono attribuiti ad un anonimo profeta del postesilio, al quale perciò è stato dato il nome di Trito (Terzo) Isaia. Alcuni hanno ritenuto che egli fosse un discepolo del Deuteroisaia, mentre altri hanno pensato a un profeta vissuto più di un secolo dopo di lui. Il profeta si rivolge non più agli esiliati, ma ai giudei ritornati da Babilonia a Gerusalemme; il suo centro di interesse non è più il nuovo esodo, ma il ristabilimento delle istituzioni teocratiche, le quali sono minacciate non da agenti esterni, ma dalla infedeltà del popolo.
Il capitolo, da dove è tratto questo brano, si apre con un’aspra critica del digiuno così come veniva praticato in modo ipocrita dalla gente, il vero digiuno, gradito a Dio, consiste invece nell’impegno fattivo per la giustizia. Il capitolo continua con il brano riportato dalla liturgia: «Non consiste forse [il digiuno che voglio] nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto,nel vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti? Queste direttive si comprendono nel contesto del postesilio, nel quale non si erano verificate le speranze di un mondo rinnovato, ma invece erano ritornate tutte le discriminazioni che erano state condannate prima dai profeti. Il vero digiuno implica, oltre che l’eliminazione dei pesanti condizionamenti imposte dai ricchi alle classi più povere, una solidarietà efficace, che porta a condividere quanto si ha con gli affamati, con tutti coloro che sono privi del necessario per condurre una vita dignitosa. Il profeta sottolinea comunque che ciò non deve avvenire a discapito dei propri familiari perché hanno un maggiore diritto ad essere aiutati. Il testo prosegue poi con le beatitudini che derivano dal vero digiuno: «Allora la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà presto. Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà. Il profeta immagina che da un comportamento giusto emani una grande luce, che si accompagna con la guarigione di tutte le piaghe da cui è afflitto il popolo. La pratica della giustizia infatti va di pari passo con la manifestazione della gloria di Dio. In altre parole la gloria di Dio cioè la sua presenza salvifica, si manifesta appunto nella giustizia sociale praticata dal popolo. Solo la pratica della giustizia sarà per il popolo una garanzia che la sua preghiera sarà ascoltata da Dio: «Allora invocherai e il Signore ti risponderà, implorerai aiuto ed egli dirà: “Eccomi!”».
Ritornando poi sul comportamento richiesto in tempo di digiuno, il profeta soggiunge: «Se toglierai di mezzo a te l’oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, se aprirai il tuo cuore all’affamato, se sazierai l’afflitto di cuore, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio» .
Un comportamento improntato al rispetto dei diritti della persona e alla solidarietà, farà del popolo il portatore di una luce che le tenebre di questo mondo non potranno soffocare.
Il tema della luce è molto caro al Terzo Isaia, che vede in essa la manifestazione della presenza di Dio in mezzo al suo popolo. Seguendo questa luce, il popolo stesso diventa luce del mondo, cioè può testimoniare a tutta l’umanità la vera religione, basata non sul culto ma sulla giustizia sociale.
Salmo 111 - Il giusto risplende come luce.
Spunta nelle tenebre,
luce per gli uomini retti:
misericordioso, pietoso e giusto.
Felice l’uomo pietoso che dà in prestito,
amministra i suoi beni con giustizia.
Egli non vacillerà in eterno:
eterno sarà il ricordo del giusto.
Cattive notizie non avrà da temere,
saldo è il suo cuore, confida nel Signore.
Sicuro è il suo cuore, non teme,
egli dona largamente ai poveri,
la sua giustizia rimane per sempre,
la sua fronte s’innalza nella gloria.
E' un salmo stilisticamente gemello del 110. Tratta del giusto il quale è beato perché “teme il Signore”. Questo timore non gli dà paura, ma lo zelo nell'osservanza dei comandamenti, i quali donano pace e gioia: “nei suoi precetti trova grande gioia”.
Il giusto è gradito a Dio e “la discendenza dei giusti sarà benedetta”.
“La sua giustizia rimane per sempre”, perché deriva dall'osservanza della parola di Dio, la quale non guida l'uomo a passi falsi. Il giusto, per il suo esempio e la sua parola, è riconosciuto dai giusti come luce che fuga le tenebre: “Spunta nelle tenebre, luce per gli uomini retti”.
L' uomo che dà in prestito applica l'amore verso il prossimo e perciò “amministra i suoi beni con giustizia”, senza avarizia, senza egoismo; tuttavia non bisogna lasciarsi raggirare poiché (Sir 12,4): “Fà doni all'uomo pio e non dare aiuto al peccatore”.
“Eterno sarà il ricordo del giusto" perché è stato di esempio, di luce, e la sua memoria è dolce e ricca di stimoli al bene: “La sua giustizia rimane per sempre”.
“Saldo è il suo cuore, confida nel Signore”; la saldezza del cuore deriva non da durezza interiore, ma dalla confidenza in Dio, che non lascia mai il giusto senza aiuto di fronte all'empio: “Sicuro è il suo cuore, non teme, finché non vedrà la rovina dei suoi nemici”.
Non solo il giusto dà in prestito a chi è leale, ma “dona largamente ai poveri”.
“La sua fronte si innalza nella gloria”, cioè la sua capacità nella preghiera lo pone nella vittoria, nella gloria che accompagna la vittoria nelle aspre battaglie della vita. Ma di fronte alle vittorie sui suoi nemici egli rimane umile, “misericordioso, pietoso e giusto”. L'empio che lo invidia e lo insidia “digrigna i denti”, ma nulla può, e “si consuma” nella sua impotenza contro il giusto, poiché “il desiderio dei malvagi va in rovina”, anche se può prevalere sul giusto fino ad ucciderlo; ma non potrà vincerlo nel cuore (Cf. Mt 10,28).
Commento di P.Paolo Berti
Dalla 1^ lettera di S.Paolo aspostolo ai Corinzi
Io, fratelli, quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l’eccellenza della parola o della sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso.
Mi presentai a voi nella debolezza e con molto timore e trepidazione. La mia parola e la mia predicazione non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio.
1Cor 2,1-5
Continuando la sua prima lettera ai Corinzi, Paolo ricorda loro l’attività da lui svolta a Corinto: “Io, fratelli, quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l’eccellenza della parola o della sapienza”.
Paolo ha annunziato questo mistero senza far leva su espedienti che, come l’eloquenza nel parlare o i ragionamenti filosofici, che sono espressione della sapienza umana, servono a determinare il successo personale.
Egli prosegue poi indicando quale è stato l’oggetto del suo annunzio:”ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso”. In altre parole, egli non ha fatto altro che proporre il nucleo centrale del Vangelo, ossia la persona di Cristo, proprio nel culmine della Sua debolezza e del Suo fallimento umano.
Paolo illustra poi le modalità con cui ha operato in Corinto: “La mia parola e la mia predicazione non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza”
In altre parole, Paolo non ha voluto imporsi personalmente, sfoggiando doti o capacità personali, ma ha lasciato che fosse lo Spirito stesso a convincere i suoi ascoltatori. L’opera dello Spirito infatti non si manifesta in azioni straordinarie o miracoli, ma nella capacità che il vangelo dimostra di convincere chi lo ascolta e di coinvolgerlo nel cammino fatto da Gesù.
Infine l’Apostolo indica lo scopo per cui si è comportato in questo modo: “perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio”.
Egli non ha dunque voluto mettere se stesso in primo piano, perché la fede dei corinzi non fosse basata su di lui ma unicamente su Dio e sulla Sua potenza.
Il fatto che, nonostante la totale assenza di mezzi umani, i corinzi abbiano creduto in Cristo dimostra che l’azione di Dio è stata efficace e ci fa comprendere, almeno in parte, quale sia la forza che sprigiona per poter trasformare la vita di ognuno.
Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato?
A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente. Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli».
Mt 5,13-16
Questo brano del Vangelo di Matteo fa parte del discorso della montagna, in cui Gesù presenta le nove Beatitudini. Ora vengono riportate due piccole similitudini. La prima viene presa dal campo alimentare e comincia con un’affermazione:”Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? Poi Gesù pone una domanda :ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato?” E conclude: “A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente”. Il sale ha una grande importanza nella preparazione dei cibi ed è usato per dare loro sapore, rendendoli così commestibili.
Nell’Antico Testamento il sale, con il quale venivano cosparse le vittime sacrificali, era considerato come simbolo dell’alleanza (Lv 2,13; Col 4,6), e di conseguenza come sorgente di pace, non solo con Dio, ma anche fra tutti i membri del popolo.
Matteo, identificando i discepoli con il sale e mettendo questo in rapporto con la terra trasforma il detto in una direttiva riguardante i loro rapporti con quelli che si trovano all’esterno della comunità: verso di essi i discepoli devono essere testimoni credibili del messaggio di Gesù.
La seconda similitudine inizia con un’affermazione programmatica: Voi siete la luce del mondo; seguono poi due frasi esemplificative: non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Infine termina con un’applicazione: Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli.
La similitudine della lampada sul candeliere viene presa dalla vita quotidiana, in cui specialmente di notte è indispensabile scacciare le tenebre con una lucerna. Naturalmente la lucerna è utile solo se è messa sul lucerniere e non viene nascosta, per esempio sotto un moggio (recipiente per misurare i cereali) o sotto un letto.
Nell’Antico Testamento la luce simboleggia Dio, in quanto salvatore del Suo popolo (Is 9,1; Sal 27,1), e la Sua legge (Sal 119,105); in modo particolare il Servo del Signore è chiamato “luce del mondo” (Is 42,6; 49,6).
Senza nascondersi, senza mimetizzarsi, senza impigrirsi il cristiano autentico deve essere esposto al sole di Dio come la città posta sui monti. E la luce ricevuta non deve racchiuderla sotto il moggio del suo gruppo, della sua famiglia, della sua chiesa, ma disseminarla su tutti i fratelli e su tutte le creature di Dio.
Nietzsche, il famoso filosofo ateo tedesco, rimproverava così i cristiani: “Se la buona novella della vostra Bibbia fosse anche scritta sul vostro volto, voi non avreste bisogno di insistere perchè si creda all’autorità della Bibbia: le vostre opere dovrebbero rendere quasi superflua la Bibbia, perchè voi stessi dovreste costituire la Bibbia viva”.
Nel Vangelo di questa domenica, che viene subito dopo le Beatitudini, Gesù dice ai suoi discepoli: «Voi siete il sale della terra … Voi siete la luce del mondo». Questo ci stupisce un po’, se pensiamo a chi aveva davanti Gesù quando diceva queste parole. Chi erano quei discepoli? Erano pescatori, gente semplice … Ma Gesù li guarda con gli occhi di Dio, e la sua affermazione si capisce proprio come conseguenza delle Beatitudini. Egli vuole dire: se sarete poveri in spirito, se sarete miti, se sarete puri di cuore, se sarete misericordiosi … voi sarete il sale della terra e la luce del mondo!
Per comprendere meglio queste immagini, teniamo presente che la Legge ebraica prescriveva di mettere un po’ di sale sopra ogni offerta presentata a Dio, come segno di alleanza. La luce, poi, per Israele era il simbolo della rivelazione messianica che trionfa sulle tenebre del paganesimo. I cristiani, nuovo Israele, ricevono dunque una missione nei confronti di tutti gli uomini: con la fede e con la carità possono orientare, consacrare, rendere feconda l’umanità. Tutti noi battezzati siamo discepoli missionari e siamo chiamati a diventare nel mondo un vangelo vivente: con una vita santa daremo “sapore” ai diversi ambienti e li difenderemo dalla corruzione, come fa il sale; e porteremo la luce di Cristo con la testimonianza di una carità genuina. Ma se noi cristiani perdiamo sapore e spegniamo la nostra presenza di sale e di luce, perdiamo l’efficacia. Ma che bella è questa missione di dare luce al mondo! E’ una missione che noi abbiamo. E’ bella! E’ anche molto bello conservare la luce che abbiamo ricevuto da Gesù, custodirla, conservarla. Il cristiano dovrebbe essere una persona luminosa, che porta luce, che sempre dà luce! Una luce che non è sua, ma è il regalo di Dio, è il regalo di Gesù. E noi portiamo questa luce. Se il cristiano spegne questa luce, la sua vita non ha senso: è un cristiano di nome soltanto, che non porta la luce, una vita senza senso. Ma io vorrei domandarvi adesso, come volete vivere voi? Come una lampada accesa o come una lampada spenta? Accesa o spenta? Come volete vivere? [la gente risponde: Accesa!] Lampada accesa! E’ proprio Dio che ci dà questa luce e noi la diamo agli altri. Lampada accesa! Questa è la vocazione cristiana
Papa Francesco
Parte dell’Angelus del 9 febbraio 2014