Le letture di questa domenica ci aiutano a farci comprendere come il Signore ha cura di noi, sempre, proprio nei momenti della prova in cui ci sentiamo abbandonati da tutti!
Nella prima lettura, il profeta Isaia ci fa intravedere la tenerezza di Dio: al popolo che si credeva abbandonato, il profeta annuncia che Dio non si dimentica di nessuno, come la più tenera e misericordiosa delle madri.
Nella seconda lettura, l’apostolo Paolo continuando la sua lettera ai Corinzi, afferma che “come apostolo di Cristo, non si preoccupa delle critiche degli uomini, né giudica se stesso, ma si rimette al giudizio di Signore, confidando completamente nella sua giustizia.
Il Vangelo di Matteo proseguendo all’interno del “Discorso della Montagna” approda oggi ad una pagina piena di colore e di fiduciosa serenità. Con un orizzonte primaverile fatto di un cielo sereno dove sfrecciano gli uccelli, i prati costellati di gigli e il verde dell’erba, Gesù trae una lezione che solo Lui può fare. Dietro le meraviglie della natura si nascondono le mani e il volto di Dio: basta cercarlo e ti accorgi che Lui ti è vicino e pronto ad aiutarti. Il salmo 55 dice: “Getta sul Signore il tuo affanno ed egli ti darà sostegno,mai permetterà che il giusto vacilli.” Chi l’ha provato lo può testimoniare: quel sostegno non è solo una vana promessa.
Dal libro del profeta Isaia
Sion ha detto:
«Il Signore mi ha abbandonato,
il Signore mi ha dimenticato».
Si dimentica forse una donna
del suo bambino,
così da non commuoversi
per il figlio delle sue viscere?
Anche se costoro si dimenticassero,
io invece non ti dimenticherò mai.
Is 49,14-15
Il libro del Deuteroisaia (probabilmente discepolo del primo Isaia che visse a Babilonia intorno al 550 a.C. insieme agli altri esiliati) si apre con il lieto annunzio del ritorno degli esuli a Gerusalemme (Is 40,1-11) e termina con un poema sulla parola di Dio. Il libro contiene una raccolta di oracoli, alcuni composti prima della conquista di Babilonia da parte di Ciro (Is 41,12 - 48,22) e quelli che invece hanno visto la luce dopo questo evento (Is 49,1-54,17).
In questo brano sin dai primi versetti si nota subito lo sconforto del popolo:
Sion ha detto: «Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato».
Il termine “Sion” indica il monte su cui è costruito il tempio di Gerusalemme, ma designa anche la nazione giudaica e i suoi membri. Si può supporre che lo sconforto del popolo derivi dal prolungarsi dell’esilio babilonese, a causa del quale la terra di Israele è rimasta priva dei suoi abitanti e abbandonata alla desolazione. Questa situazione provoca una crisi di fede proprio per il rapporto strettissimo che unisce Israele al suo Dio. Hanno anche il dubbio che non soltanto Dio li abbia castigati, permettendo che cadessero sotto il dominio straniero, ma che addirittura li abbia abbandonati a se stessi e se ne sia dimenticato. Il problema perciò non è tanto la sofferenza dell’esilio ma la lontananza di Dio e la rottura del legame che li unisce a Lui.
Alla triste constatazione degli esuli il profeta risponde con una domanda: Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Nella Bibbia l’alleanza tra Dio e il suo popolo è rappresentata come un rapporto tra un padre, descritto con tratti chiaramente materni, e il proprio figlio. Qui invece è la madre stessa che viene presa come esempio del comportamento di Dio. Il suo atteggiamento nei confronti del figlio viene espresso con il verbo “commuoversi”, che ha la sua radice in “rhm”, che rievoca il seno materno, simbolo dell’amore speciale che lega una donna al suo bambino. Può darsi che qualche madre possa dimenticare il proprio figlio, ma “Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai.” anche se umanamente una madre possa suo figlio, il Signore non dimenticherà mai il So popolo.
Proprio perché dipende da una decisione irrevocabile di DIO, l’alleanza non può essere rotta, e di conseguenza l’amore che lo ha spinto a scegliere Israele come Suo popolo non potrà mai venire meno.
Questo amore indefettibile di Dio deve essere la luce che guida Israele nel difficile compito che lo attende, quello cioè del ritorno nella terra promessa e della sua rinascita come comunità che attesta nel mondo l’amore di Dio per tutti, un amore che non ha logiche umane, che comprende tutti nel suo progetto di salvezza, ma che lascia libero l’uomo di accettare o di rifiutare il suo amore.
Salmo 61 Solo in Dio riposa l’anima mia.
Solo in Dio riposa l’anima mia:
da lui la mia salvezza.
Lui solo è mia roccia e mia salvezza,
mia difesa: mai potrò vacillare.
Solo in Dio riposa l’anima mia:
da lui la mia speranza.
Lui solo è mia roccia e mia salvezza,
mia difesa: non potrò vacillare.
In Dio è la mia salvezza e la mia gloria;
il mio riparo sicuro, il mio rifugio è in Dio.
Confida in lui, o popolo, in ogni tempo;
davanti a lui aprite il vostro cuore.
Il salmo presenta un pio giudeo, che fin dal primissimo mattino si pone in orazione. Egli cerca Dio, perché gli si è rivelato a lui per mezzo del dono della fede e delle Scritture, e ora cerca l’unione con lui, l’intima conoscenza di lui, in un “cercare” in cui il “trovare” spinge ancor più a cercare.
L’orante è presentato come un assetato in mezzo ad un deserto. Ma l’assetato del salmo sa dov’è la fonte, non è disorientato; sa che la fonte della pace e della gioia è Dio: Dio stesso è questa fonte.
L’orante ha un punto di riferimento: il tempio; e così vi si reca per trarre ristoro nella contemplazione Dio: “Così nel santuario ti ho contemplato, guardando la tua potenza e la tua gloria”. L’orante cerca Dio, ama Dio, non tanto i benefici di Dio. Ama lui, e lo dichiara poiché dice che la comunione con lui (“il tuo amore") “vale più della vita”. Questa dolce consapevolezza è la molla della sua lode: “Le mie labbra canteranno la tua lode”; “Così ti benedirò per tutta la vita”. Egli, ritornato dal tempio alla sua dimora, probabilmente distante da Gerusalemme, ha come pensiero dolce e vivo Dio, e così “nelle veglie notturne”, quando il sonno è assente, non si agita, ma pensa a Dio, cerca Dio.
Ha tanti nemici che cercano di ucciderlo, che probabilmente sono con bande di predoni Idumei (Cf. Ps 58), ma ha la ferma speranza che i nemici non avranno vittoria e che il re trionferà e insieme a lui chi gli è fedele: “Chi giura per lui” (Cf. 1Sam 17,55; 25,2; 2Sam 11,11; 15,21; ecc.). Gli ultimi versetti, per le loro dure espressioni, non entrano nella recitazione cristiana.
Commento di P.Paolo Berti
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi
Fratelli, ognuno ci consideri come servi di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. Ora, ciò che si richiede agli amministratori è che ognuno risulti fedele.
A me però importa assai poco di venire giudicato da voi o da un tribunale umano; anzi, io non giudico neppure me stesso, perché, anche se non sono consapevole di alcuna colpa, non per questo sono giustificato. Il mio giudice è il Signore! Non vogliate perciò giudicare nulla prima del tempo, fino a quando il Signore verrà. Egli metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori; allora ciascuno riceverà da Dio la lode.
1 Cor 4, 1-5
Paolo continuando la sua lettera ai Corinzi, ora sottolinea che i ministri della comunità possono sbagliare, ma in forza del loro ruolo, non possono venire giudicati da essa. Anzitutto l’Apostolo ricorda che egli deve essere considerato come “servo” di Cristo e amministratore “dei misteri di Dio”: questi misteri, che gli sono stati conferiti e che egli deve mettere a disposizione della comunità, si identificano con la sapienza di Dio, che è misteriosa, in quanto è nascosta agli occhi dei sapienti di questo mondo ma si è resa visibile in Cristo crocifisso.
Dopo queste premesse l’apostolo passa a parlare di se stesso dicendo che per lui ha poca importanza il fatto di essere giudicato dai corinzi o anche da un qualsiasi altro tribunale umano, anzi neppure lui si sente autorizzato a giudicare se stesso. Infatti, anche se lui, Paolo, non è consapevole di alcuna colpa, non per questo si sente giustificato. Nessun tribunale umano è dunque competente nei suoi confronti: solo Dio è il giudice che, nel momento finale della storia umana, dovrà emettere una sentenza definitiva nei confronti di ogni uomo, e in modo speciale dei suoi ministri.
Di conseguenza Paolo invita i corinzi a evitare qualunque pre-giudizio: Non vogliate perciò giudicare nulla prima del tempo, fino a quando il Signore verrà. Egli metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori; allora ciascuno riceverà da Dio la lode.
Dio potrà giudicare in modo veramente oggettivo, perché è l’unico che possa scrutare l’uomo nel profondo del suo cuore: di fronte a Lui infatti non contano le opere esterne, ma le intenzioni più profonde. È significativo però che, parlando del giudizio divino, l’Apostolo cita solo il verdetto positivo: allora ciascuno riceverà da Dio la lode.
Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli:
«Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza.
Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito?
Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede?
Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno.
Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta.
Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena».
Mt 6, 24-34
Anche questo brano del Vangelo Matteo fa parte del discorso della montagna.
Troviamo nei primi versetti un detto introduttivo riguardante i due padroni per cui in termini decisi Gesù pone la necessità di una scelta: “Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza”. È chiaro che, sulla linea delle beatitudini, chi cerca la sua sicurezza nelle cose materiali non può più ricevere da Dio i beni supremi della salvezza. Gesù esorta anzitutto i discepoli a non affannarsi per i propri bisogni materiali: Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito?
Per i suoi bisogni vitali il credente deve riporre la propria fiducia nell’aiuto divino. Con questo invito Gesù non vuole certo invitare al disimpegno o l’apatia, ma piuttosto escludere l’affanno, l’eccessiva preoccupazione per le cose materiali.
A sostegno dell’esortazione iniziale sono poi riportati due esempi presi dalla natura, dei quali il primo riguarda il cibo: Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita. Gli uccelli non lavorano e non si preoccupano di ammassare il cibo nei granai, eppure il Padre celeste li nutre.
Il secondo esempio riguarda il vestito: E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede?
Al termine delle due similitudini l’evangelista riporta un’esortazione che riassume quanto detto: Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. C’è il riferimento ai pagani, che non hanno fede e non pensano a Dio come a un padre premuroso, e sono perciò ossessionati da preoccupazioni materiali.
Al termine del brano Gesù riprende ancora una volta l’esortazione iniziale: Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena
Gesù vuole pertanto escludere l’affanno, l’inquietudine, l’eccessiva preoccupazione per tutto ciò che impedisce la ricerca del regno e l’abbandono filiale e fiducioso alla provvidenza.
Attenersi a questo da parte nostra non è avere una fiducia passiva – all’orientale – nella provvidenza, né il disprezzo delle esigenze materiali, ma è un comando a ricercare nella vita ciò che è essenziale. Troppo spesso, con il pretesto di preparare l’avvenire per noi e per i nostri figli, rendiamo la nostra vita quanto mai affannosa. Gesù è un maestro, non di noncuranza, ma di pacifica serenità.
Al centro della Liturgia di questa domenica troviamo una delle verità più confortanti: la divina Provvidenza.
Il profeta Isaia la presenta con l’immagine dell’amore materno pieno di tenerezza, e dice così: «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai» . Che bello è questo! Dio non si dimentica di noi, di ognuno di noi! Di ognuno di noi con nome e cognome. Ci ama e non si dimentica. Che bel pensiero… Questo invito alla fiducia in Dio trova un parallelo nella pagina del Vangelo di Matteo: «Guardate gli uccelli del cielo – dice Gesù –: non seminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. … Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro».
Ma pensando a tante persone che vivono in condizioni precarie, o addirittura nella miseria che offende la loro dignità, queste parole di Gesù potrebbero sembrare astratte, se non illusorie. Ma in realtà sono più che mai attuali! Ci ricordano che non si può servire a due padroni: Dio e la ricchezza. Finché ognuno cerca di accumulare per sé, non ci sarà mai giustizia. Dobbiamo sentire bene, questo! Finché ognuno cerca di accumulare per sé, non ci sarà mai giustizia. Se invece, confidando nella provvidenza di Dio, cerchiamo insieme il suo Regno, allora a nessuno mancherà il necessario per vivere dignitosamente.
Un cuore occupato dalla brama di possedere è un cuore pieno di questa brama di possedere, ma vuoto di Dio. Per questo Gesù ha più volte ammonito i ricchi, perché è forte per loro il rischio di riporre la propria sicurezza nei beni di questo mondo, e la sicurezza, la definitiva sicurezza, è in Dio. In un cuore posseduto dalle ricchezze, non c’è più molto posto per la fede: tutto è occupato dalle ricchezze, non c’è posto per la fede. Se invece si lascia a Dio il posto che gli spetta, cioè il primo, allora il suo amore conduce a condividere anche le ricchezze, a metterle al servizio di progetti di solidarietà e di sviluppo, come dimostrano tanti esempi, anche recenti, nella storia della Chiesa. E così la Provvidenza di Dio passa attraverso il nostro servizio agli altri, il nostro condividere con gli altri. Se ognuno di noi non accumula ricchezze soltanto per sé ma le mette al servizio degli altri, in questo caso la Provvidenza di Dio si rende visibile in questo gesto di solidarietà. Se invece qualcuno accumula soltanto per sé, cosa gli succederà quando sarà chiamato da Dio? Non potrà portare le ricchezze con sé, perché – sapete – il sudario non ha tasche! E’ meglio condividere, perché noi portiamo in Cielo soltanto quello che abbiamo condiviso con gli altri.
La strada che Gesù indica può sembrare poco realistica rispetto alla mentalità comune e ai problemi della crisi economica; ma, se ci si pensa bene, ci riporta alla giusta scala di valori. Egli dice: «La vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito?» Per fare in modo che a nessuno manchi il pane, l’acqua, il vestito, la casa, il lavoro, la salute, bisogna che tutti ci riconosciamo figli del Padre che è nei cieli e quindi fratelli tra di noi, e ci comportiamo di conseguenza. ..
Alla luce della Parola di Dio di questa domenica, invochiamo la Vergine Maria come Madre della divina Provvidenza. A lei affidiamo la nostra esistenza, il cammino della Chiesa e dell’umanità. In particolare, invochiamo la sua intercessione perché tutti ci sforziamo di vivere con uno stile semplice e sobrio, con lo sguardo attento alle necessità dei fratelli più bisognosi.
Papa Francesco
Parte dell’Angelus del 2 marzo 2014