Le letture di questa quinta domenica di quaresima, la domenica di Lazzaro, sono intrecciate a filo doppio sul tema della vita e della morte. La morte può apparire nella storia dell’umanità e in quella di ogni uomo con due volti, quello dell’angelo o quello del mostro, può essere pace o incubo, passaggio sereno o polvere, inizio o fine: tutto dipende da come noi ci poniamo di fronte a questo grande mistero.
Nella prima lettura, tratta dal libro del profeta Ezechiele, vediamo come agli ebrei esiliati il profeta Ezechiele infonde speranza. Viene descritta una visione surreale e paurosa: in una valle infernale, c’è una distesa di scheletri. Ma su di loro irrompe lo spirito creatore di Dio e sulle ossa inaridite si intesse la carne, cioè la vita. Alla fine un popolo immenso si erge in piedi, pronto per una nuova esistenza. Ciò che viene descritto è però una parabola destinata ad illustrare il ritorno- resurrezione di Israele dalla “tomba” dell’esilio di Babilonia. E’ quindi una risurrezione morale, una rinascita del coraggio e della speranza.
Nella seconda lettura, dalla sua lettera ai Romani, Paolo, in sintonia con la profezia di Ezechiele, ci presenta un’altra morte e un’altra vita quella del peccato e della grazia. E’ lo Spirito Santo che ci libera dal peccato e che opera nei credenti la salvezza.
Il Vangelo di Giovanni ci presenta la risurrezione di Lazzaro che risplende come una promessa: la morte non è la fine perchè è stata vinta dalla Pasqua di Cristo. C’è una frase che domina tutto il racconto: Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». Questa domanda finale Gesù l’ha posta a Marta, ma la pone ora ad ognuno di noi. Se crediamo in Lui dovremmo vedere la morte in modo diverso, non più un approdo nel mare del nulla e del silenzio, ma ad una porta aperta all’infinito e all’eterno. Illuminante il salmista quando dice: “Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena nella tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra” sal 16,10-11.
Dal Libro del profeta Ezechiele
Così dice il Signore Dio: «Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi faccio uscire dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nella terra d’Israele. Riconoscerete che io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe e vi farò uscire dai vostri sepolcri, o popolo mio. Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete; vi farò riposare nella vostra terra. Saprete che io sono il Signore. L’ho detto e lo farò». Oracolo del Signore Dio.
Ez 37,12-14
Il profeta Ezechiele nacque intorno al 620 a.C. verso la fine del regno di Giuda. Fu deportato in Babilonia nel 597 a.C. assieme al re Ioiachin, stabilendosi nel villaggio di Tel Aviv sul fiume Chebar. Cinque anni più tardi ricevette la chiamata alla missione di profeta, con il compito di rincuorare i Giudei in esilio e quelli rimasti a Gerusalemme. Ezechiele anche se non fu un profeta all'altezza di Isaia o Geremia, ebbe una sua originalità, che in certi casi può averlo fatto apparire ingenuo. Usò immagini di grande potenza evocativa, specie negli oracoli di condanna, ebbe toni ed espressioni particolarmente duri ed efficaci.
Il libro di Ezechiele contiene due raccolte di oracoli, quelli composti prima della caduta di Gerusalemme (cc. 1-24) e quelli posteriori ad essa (cc. 33-39). Tra queste due raccolte si situano gli oracoli contro le nazioni (cc. 25-32). Al termine c’è una sezione chiamata “Torah di Ezechiele” (cc. 40-48), dove sono descritte le istituzioni future. Gli oracoli posteriori alla caduta di Gerusalemme hanno come tema la conversione e il ritorno degli esuli nella loro terra. I temi svolti in questa raccolta sono: il ruolo del profeta (Ez 33), Dio unico pastore di Israele (Ez 34), la rinascita del popolo (Ez 35-37), la vittoria finale sui suoi nemici (Ez 38-39).
Nella sezione in cui si parla della rinascita di Israele, questa viene presentata come effetto di un dono dello Spirito (Ez 36,24-32), al quale viene poi attribuita la risurrezione di un popolo ridotto a una distesa di ossa inaridite (Ez 37,1-10).
Il questo brano in cui c’è la conclusione di quest’ultimo testo, Ezechiele descrive una distesa immensa di ossa inaridite, sulle quali egli, per comando divino, invoca la venuta dello Spirito. Allora le ossa si rivestono di carne e di nervi e ritornano ad essere un esercito sterminato. …
In questo testo Ezechiele si serve del linguaggio della risurrezione per spiegare la liberazione del popolo dall’esilio. Non si tratta certo di una risurrezione vera e propria , ma del ritorno a una vita piena dopo l’esperienza di una sofferenza che può essere considerata come una morte, perchè senza libertà la vita non è degna di essere vissuta. La liberazione promessa è un dono gratuito di Dio, che ha certo una componente politica, ma si identifica anche con la ripresa di un rapporto con Dio che comporta una fedeltà costante a Lui. È proprio nel riconoscere in Dio il garante della sua liberazione che il popolo eviterà di cadere schiavo di potenze straniere, anche quando sarà politicamente sottomesso ad esse.
Pur non riferendosi alla risurrezione individuale dopo la morte, l’immagine usata da Ezechiele ha posto le premesse per il successivo sviluppo della fede di Israele. Quando la restaurazione del popolo apparirà come un evento che si attuerà alla fine dei tempi, sorgerà il problema del destino di coloro che sono morti prima che questo evento si realizzasse, e soprattutto dei martiri che hanno dato la vita perché si attuasse la gloria finale del popolo. È allora che l’immagine della risurrezione sarà utilizzata per indicare la partecipazione di tutti i defunti alla beatitudine finale di Israele, quando alla fine tutti i giusti torneranno in vita per entrare nella beatitudine del regno di Dio.
Dalla lettera di S.Paolo apostolo ai Romani
Fratelli, quelli che si lasciano dominare dalla carne non possono piacere a Dio.
Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene. Ora, se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto per il peccato, ma lo Spirito è vita per la giustizia. E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi.
Rm 8,8-11
In questo brano, tratto dal suo capolavoro teologico, Paolo sottolinea la nuova condizione dei cristiani dovuta alla presenza in loro dello Spirito Santo: “Voi non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi” ma chiarisce che “Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene. In effetti, lo Spirito Santo – lo Spirito di Dio –, ha dato forma divina, all'umanità di Gesù portandolo fino alla risurrezione. In virtù di ciò Gesù è diventato definitivamente il Cristo, l’unto di Dio. Quindi lo Spirito di Cristo è la realtà di Dio in noi che ci trasforma in altri Cristo, fino a poter dire come Paolo: non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me (Gal 2,20) .
La vita trasmessa dallo Spirito è vita nuova che rende capaci di ricevere e trasmettere la giustizia, ossia di essere operatori, nelle diverse circostanze della vita, della stessa giustizia di cui siamo stati oggetto. Si tratta, allora, di restituire il dono ricevuto da Dio a Dio stesso, per mezzo del giusto rapporto con le persone, con la società e con la creazione.
Paolo continua affermando che: se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi. Ossia lo Spirito di Dio ci renderà partecipi della stessa risurrezione corporale di Gesù Cristo, proprio per questa appartenenza a Lui. Di fatto, Paolo, facendo riferimento alla risurrezione dice: che il corpo rimane mortale, ma la morte non avrà l’ultima parola, poiché il corpo contiene la vittoria sulla morte stessa, malgrado attraverso la morte debba sempre passare.
In questo brano c’è una perfetta sintonia con la profezia di Ezechiele nel punto in cui dice: “Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete” . L’azione dello Spirito è tensione verso il dono totale della vita che sarà perfetta solo quando il cristiano parteciperà definitivamente alla vita del Risorto.
Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. Le sorelle mandarono dunque a dire a Gesù: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato».
All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato». Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. Poi disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?». Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; ma se cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui».
Disse queste cose e poi soggiunse loro: «Lazzaro, il nostro amico, s’è addormentato; ma io vado a svegliarlo». Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se si è addormentato, si salverà». Gesù aveva parlato della morte di lui; essi invece pensarono che parlasse del riposo del sonno. Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!». Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse agli altri discepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!».
Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. Betània distava da Gerusalemme meno di tre chilometri e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà»
Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo».
Dette queste parole, andò a chiamare Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: «Il Maestro è qui e ti chiama». Udito questo, ella si alzò subito e andò da lui. Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. Allora i Giudei, che erano in casa con lei a consolarla, vedendo Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, pensando che andasse a piangere al sepolcro.
Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, domandò: «Dove lo avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: «Guarda come lo amava!». Ma alcuni di loro dissero: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?».
Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni». Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?». Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberàtelo e lasciàtelo andare».
Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui.
Gv 11,1-45
L’evangelista Giovanni alla fine del capitolo precedente questo brano, aveva raccontato che la tensione tra Gesù e i giudei era arrivata al culmine, tanto che Gesù era stato costretto a rifugiarsi al di là del Giordano. La risurrezione di Lazzaro, rappresenta l’ultimo segno compiuto da Gesù e al tempo stesso la causa immediata della sua morte, che venne decisa subito dopo in una riunione segreta del sinedrio.
Giovanni inizia con il raccontarci che mentre Gesù si trovava al di là del Giordano si ammalò un certo Lazzaro, fratello di Marta e di Maria, e ci ricorda che i tre fratelli risiedevano a Betania, un villaggio situato sul versante orientale del monte degli Ulivi, poco distante da Gerusalemme.
Quando Lazzaro si aggravò, le sorelle fanno avvertire Gesù, che all’udire questa notizia osserva, in modo analogo a quanto aveva fatto riguardo al cieco nato, che questa malattia non condurrà alla morte, ma servirà per la gloria di Dio, in quanto manifesterà la gloria del Figlio Suo. Essa sarà quindi l’occasione di un segno col quale Gesù manifesterà se stesso come inviato di Dio.
Malgrado l’affetto che lo lega ai tre fratelli, Gesù aspetta ancora due giorni, e poi decide di mettersi in cammino verso la Giudea. Questa decisione suscita lo stupore dei discepoli, i quali ricordano che i giudei avevano appena tentato di lapidarlo; ma Gesù fa loro notare che chi cammina alla luce del giorno non deve aver paura di inciampare, mentre di notte ciò succede più facilmente. Con questa massima egli afferma che nulla di male gli potrà capitare finché non sia giunto il suo momento. Poi Gesù soggiunge che Lazzaro si è addormentato ed egli va a svegliarlo; siccome i discepoli pensano al sonno fisico, egli spiega loro che Lazzaro è morto e soggiunge che ciò è avvenuto perché essi possano credere. A questo punto Tommaso dice agli altri discepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!» per indicare il rischio a cui vanno incontro ritornando in Giudea, ma al tempo stesso si dice pronto a seguire Gesù fino alla fine.
Giovanni prosegue il suo racconto descrivendo l’incontro di Gesù con le due sorelle. Egli arriva a Betania quando Lazzaro è ormai da quattro giorni nel sepolcro. Marta, che si trova in casa con molti giudei venuti da Gerusalemme per le cerimonie funebri, è la prima a sapere della venuta di Gesù, gli va incontro e gli dice: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà”. Queste parole contengono un velato rimprovero a Gesù perché, a causa della Sua assenza, non ha potuto impedire la morte del fratello e al tempo stesso rivelano la fiducia che Gesù possa fare ancora qualcosa per lui. C’è anche lo scopo di preparare l’intervento che Gesù farà di Sua iniziativa. Gesù le risponde: “Tuo fratello risorgerà”. Fraintendendo le sue parole, Marta risponde affermando di sapere bene che egli risusciterà nell’ultimo giorno. Con queste parole ella si unisce alla fede del mondo giudaico, in cui era corrente l’attesa della risurrezione dei giusti alla fine dei tempi. Gesù allora prosegue: “Io sono la risurrezione e la vita….e aggiunge chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno.” E chiede infine a Marta se crede in quanto lui ha detto. Marta risponde: Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo”. Per Marta dunque Gesù è il Messia, il Figlio di Dio, nel quale si attuano le attese del popolo giudaico. Con questa breve frase lei esprime la professione di fede richiesta dai destinatari del quarto vangelo, che è stato scritto precisamente “perché voi crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e credendo abbiate la vita nel suo nome” (Gv 20,31).
Dopo Marta anche Maria, seguita dai presenti, va incontro a Gesù, che si trova ancora fuori del villaggio, e gli ripete lo stesso velato rimprovero fattogli precedentemente dalla sorella. Vedendo che Maria e i giudei piangevano, Gesù si commuove e chiede poi dove l’hanno deposto. Quando gli rispondono “vieni a vedere “ Gesù allora scoppia in pianto. Con la commozione e il turbamento, seguiti dal pianto, Gesù non esprime soltanto il dolore per la morte dell’amico, ma anche il rifiuto della morte stessa, vista come simbolo della separazione da Dio. I giudei commentano: “Guarda come lo amava”,chiedendosi anche come mai proprio lui, che ha dato la vista al cieco, non abbia saputo impedire che il suo amico morisse, pensando così che il Suo atteggiamento, fosse un segno di debolezza di fronte alla morte.
Gesù, ancora profondamente commosso si fa condurre al sepolcro di Lazzaro e ordina di togliere la pietra che lo chiude. Marta gli fa osservare che il cadavere manda già cattivo odore, dimostrando così di non aver ancora capito, malgrado il colloquio avuto precedentemente con Lui, quali fossero le Sue intenzioni. Gesù allora la invita a rinnovare la sua fede, al fine di poter “vedere la gloria di Dio”, cioè l’imminente manifestazione della Sua potenza. Poi ringrazia il Padre di averlo esaudito, sottolineando come, pur non avendone bisogno, gli ha rivolto la Sua preghiera perché i presenti credano che Egli, il Padre, lo ha mandato. Con queste parole Egli sottolinea come la Sua potenza derivi in ultima analisi dal Suo rapporto con il Padre. Infine Gesù gridò a gran voce: “Lazzaro, vieni fuori!” e questi, ancora bendato, esce dal sepolcro; allora Gesù ordina ai presenti “Liberàtelo e lasciàtelo andare”.
La risurrezione di Lazzaro, rappresenta per l’evangelista Giovanni il culmine di tutta la vita pubblica di Gesù, e mette in luce il significato profondo che assume la fede in Gesù come inizio di una nuova vita.
Questa fede non consiste però, malgrado le apparenze, nell’accettazione di verità astratta riguardante la “natura” divina di Gesù, ma in una profonda comunione di vita che, per mezzo Suo, si instaura con Dio e con gli uomini. Soprattutto la vita che egli porta non consiste nell’eliminazione della morte, ma nel trasformare la morte stessa in uno strumento di vita.
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Il Vangelo di questa quinta domenica di Quaresima ci narra la risurrezione di Lazzaro. E’ il culmine dei “segni” prodigiosi compiuti da Gesù: è un gesto troppo grande, troppo chiaramente divino per essere tollerato dai sommi sacerdoti, i quali, saputo il fatto, presero la decisione di uccidere Gesù (cfr Gv 11,53).
Lazzaro era morto già da tre giorni, quando giunse Gesù; e alle sorelle Marta e Maria Egli disse parole che si sono impresse per sempre nella memoria della comunità cristiana. Dice così Gesù: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno»
Su questa Parola del Signore noi crediamo che la vita di chi crede in Gesù e segue il suo comandamento, dopo la morte sarà trasformata in una vita nuova, piena e immortale. Come Gesù è risorto con il proprio corpo, ma non è ritornato ad una vita terrena, così noi risorgeremo con i nostri corpi che saranno trasfigurati in corpi gloriosi.
Lui ci aspetta presso il Padre, e la forza dello Spirito Santo, che ha risuscitato Lui, risusciterà anche chi è unito a Lui.
Dinanzi alla tomba sigillata dell’amico Lazzaro, Gesù «gridò a gran voce: “Lazzaro, vieni fuori!”. E il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario» .Questo grido perentorio è rivolto ad ogni uomo, perché tutti siamo segnati dalla morte, tutti noi; è la voce di Colui che è il padrone della vita e vuole che tutti «l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10).
Cristo non si rassegna ai sepolcri che ci siamo costruiti con le nostre scelte di male e di morte, con i nostri sbagli, con i nostri peccati. Lui non si rassegna a questo! Lui ci invita, quasi ci ordina, di uscire dalla tomba in cui i nostri peccati ci hanno sprofondato. Ci chiama insistentemente ad uscire dal buio della prigione in cui ci siamo rinchiusi, accontentandoci di una vita falsa, egoistica, mediocre. «Vieni fuori!», ci dice, «Vieni fuori!». E’ un bell’invito alla vera libertà, a lasciarci afferrare da queste parole di Gesù che oggi ripete a ciascuno di noi. Un invito a lasciarci liberare dalle “bende”, dalle bende dell’orgoglio. Perché l’orgoglio ci fa schiavi, schiavi di noi stessi, schiavi di tanti idoli, di tante cose. La nostra risurrezione incomincia da qui: quando decidiamo di obbedire a questo comando di Gesù uscendo alla luce, alla vita; quando dalla nostra faccia cadono le maschere - tante volte noi siamo mascherati dal peccato, le maschere devono cadere! - e noi ritroviamo il coraggio del nostro volto originale, creato a immagine e somiglianza di Dio.
Il gesto di Gesù che risuscita Lazzaro mostra fin dove può arrivare la forza della Grazia di Dio, e dunque fin dove può arrivare la nostra conversione, il nostro cambiamento. Ma sentite bene: non c’è alcun limite alla misericordia divina offerta a tutti! Non c’è alcun limite alla misericordia divina offerta a tutti! ricordatevi bene questa frase. E possiamo dirla insieme tutti: “Non c’è alcun limite alla misericordia divina offerta a tutti”. Diciamolo insieme: “Non c’è alcun limite alla misericordia divina offerta a tutti”. Il Signore è sempre pronto a sollevare la pietra tombale dei nostri peccati, che ci separa da Lui, la luce dei viventi.
Papa Francesco
Parte dell’Angelus del 6 aprile 2014