Le letture che la liturgia di questa domenica ci propone, ci aiutano a capire come Dio sia paziente e giusto e che il regno dei cieli instaurato da Gesù non s’impone con la forza, ma con un’attenzione attiva ai segni dei tempi che puntualmente faranno la loro comparsa.
Nella prima lettura, tratta dal Libro della Sapienza, Dio viene presentato come il grande paziente, che ha nelle mani la forza e il potere, ma attende che i peccatori si pentano perchè vuole salvarli.
Nella seconda lettura, tratta dalla lettera ai Romani, San Paolo afferma che alla nostra preghiera, talvolta vuota, viene in aiuto lo Spirito, Egli è realmente in noi: prega dentro di noi e ci suggerisce le parole da rivolgere al Padre.
Nel Vangelo di Matteo troviamo una infinità di parabole: chicchi di senape e di frumento, erbe buone e maligne, terra scavata per nascondere un tesori, falò dove si brucia la zizzania, e i relativi personaggi umani: il seminatore e il contadino suo nemico, i servi e il padrone della fattoria. Gesù, servendosi di questi paragoni ci fa crescere nella fede per farci capire che Dio non interviene subito, in modo clamoroso, nella storia dell’uomo. Egli è paziente e sa aspettare. Il Regno cresce a poco a poco in silenzio e con efficacia.
Dal libro della Sapienza
Non c’è Dio fuori di te, che abbia cura di tutte le cose,
perché tu debba difenderti dall’accusa di giudice ingiusto.
La tua forza infatti è il principio della giustizia,
e il fatto che sei padrone di tutti, ti rende indulgente con tutti.
Mostri la tua forza
quando non si crede nella pienezza del tuo potere,
e rigetti l’insolenza di coloro che pur la conoscono.
Padrone della forza, tu giudichi con mitezza
e ci governi con molta indulgenza,
perché, quando vuoi, tu eserciti il potere.
Con tale modo di agire hai insegnato al tuo popolo
che il giusto deve amare gli uomini,
e hai dato ai tuoi figli la buona speranza
che, dopo i peccati, tu concedi il pentimento.
Sap 12,13,16-19
Il libro della Sapienza si presenta come opera del re Salomone, ma è un evidente espediente letterario, perché è stato scritto da un pio giudeo di lingua greca, sicuro conoscitore del mondo ellenistico, che viveva in Alessandria d’Egitto tra il 120-80 a.C.
E’ il più recente dei libri dell’Antico Testamento e il suo autore si rivolge ai suoi correligionari che vivevano in ambiente greco, per convincerli della superiorità della sapienza ebraica, ispirata da Dio e concretamente espressa nella Legge che governa il popolo eletto, sulla filosofia e la vita pagana.
Nelle sue grandi linee, il libro espone le vie della sapienza opposte alla via degli empi, la sapienza in se stessa come realtà divina, le opere della sapienza divina nella storia di Israele.
In quest’opera, la dottrina biblica sulla sapienza raggiunge gli ultimi sviluppi ed è come il sintomo dell’insegnamento del Nuovo Testamento sulla grazia; a sua volta il Nuovo Testamento aiuta a capire la dottrina dell’antico sulla sapienza.
La speranza beata nell’aldilà è espressa con rara chiarezza, illuminando il problema dell’umano destino. E’ l’ultimo passo verso la rivelazione cristiana: Cristo, sapienza di Dio incarnata tra gli uomini, è la fonte della vita e della felicità eterna.
Questo spiega l’influsso che il libro ha esercitato nella cristologia di Giovanni e di Paolo…
Il brano che la Liturgia ci propone, indirizzato in particolare ai Giudei della diaspora, che si chiedevano perché Dio non intervenisse a distruggere gli idolatri, è una riflessione sul comportamento di Dio attraverso gli avvenimenti della storia. Dobbiamo fare nostro l'atteggiamento di Dio che con la sua indulgenza ci insegna ad amare il prossimo, con l'apertura al perdono, alla fiducia e all'indulgenza
Salmo 85: Tu sei buono, Signore, e perdoni.
Tu sei buono, Signore, e perdoni,
sei pieno di misericordia con chi t’invoca.
Porgi l’orecchio, Signore, alla mia preghiera
e sii attento alla voce delle mie suppliche.
Tutte le genti che hai creato verranno
e si prostreranno davanti a te, Signore,
per dare gloria al tuo nome.
Grande tu sei e compi meraviglie:
tu solo sei Dio.
Ma tu, Signore, Dio misericordioso e pietoso,
lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà,
volgiti a me e abbi pietà.
Al centro Il salmo è stato scritto da un pio Giudeo che resiste intrepido di fronte alla pressione di nemici arroganti e violenti che si gloriano dei loro dei. L'epoca della composizione del salmo è probabilmente quella che precedette la grande reazione dei Maccabei contro la pressione ellenistica.
Il salmista si presenta “povero e misero”, alla ricerca di una via per organizzarsi, per difendersi, e camminare così nella verità in quella situazione nella quale si sente messo al bando. Questa via la chiede a Dio, che già la conosce: “Mostrami, Signore, la tua via, perché nella tua verità io cammini”.
Di fronte agli dei pagani il salmista dichiara che nessuno di loro regge al confronto con Jahvéh: “Fra gli dei nessuno è come te, Signore, e non c'è nulla come le tue opere”; ma non solo afferma la supremazia di Dio, afferma anche l'unicità di Dio: “Tu solo sei Dio”. Gli dei pagani sono inesistenti, sono il prodotto dei vaneggiamenti umani e, pur senza dichiararlo esplicitamente, il salmista fa intendere come all'ombra delle concezioni pagane del divino strisci il serpente ingannatore, autore di prodigi, che però non reggono di fronte allo splendore di quelli di Dio: “Non c'è nulla come le tue opere”. I prodigi dei maghi d'Egitto furono un nulla rispetto al dispiegarsi della potenza di Dio (Cf. Es 15,11).
Il salmista afferma che il tempo in cui tutti i popoli della terra riconosceranno Dio verrà: “Tutti i popoli che hai creato verranno e si prostreranno davanti a te Signore, per dare gloria al tuo nome”.
Nel pericolo il salmista chiede a Dio di non cadere in dissipazioni: “tieni unito il mio cuore, perché tema il tuo nome”, con ciò avrà una lode autentica, espressa “con tutto il cuore”. Egli si presenta a Dio ringraziandolo per la misericordia che gli ha accordato quando era ormai senza speranza di vita: “dal profondo degli inferi”.
L'assalto degli arroganti è incessante, ma il salmista si rifugia in Dio, che è “Dio misericordioso e pietoso, lento all'ira e ricco di amore e di fedeltà”. Egli ha trovato pace e forza nella fiducia in Dio, propria di un cuore semplice che teme Dio.
Commento di P.Paolo Berti
Dalla lettera di S.Paolo apostolo ai Romani
Fratelli, lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza; non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa che cosa desidera lo Spirito, perché egli intercede per i santi secondo i disegni di Dio.
Rm 8,26-27
L’Apostolo Paolo, continuando la sua lettera ai Romani, dopo aver mostrato nella parte precedente come la giustificazione mediante la fede, abbia aperto la strada a una vita nuova, ora sviluppa alcune intuizioni, che aveva già anticipato precedentemente. Nel capitolo 8 l’apostolo mostra anzitutto come sia ormai lo Spirito a guidare l’uomo giustificato (vv. 1-13) e prosegue mettendo in luce come lo Spirito stesso trasformi intimamente non solo il credente ma anche tutto l’universo.
Nel versetto precedente del brano liturgico Paolo aveva parlato della speranza come attesa perseverante delle cose promesse, che ancora non sono oggetto di esperienza. Proprio in questo campo si rivela però tutta la debolezza dei credenti, Paolo infatti afferma: “non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente” Chi prega, per essere esaudito, deve presentare a Dio richieste che siano conformi alla Sua volontà, ma se non si sa che cosa chiedere la preghiera viene privata di efficacia perché rischia di imporre a Dio qualcosa che Egli non è disposto a conferire. Per pregare efficacemente è quindi necessario sapere prima che cosa Dio è disposto a dare, ma proprio questo non è una facoltà dell’uomo. Quello che i credenti da soli non possono raggiungere viene loro conferito da Dio mediante lo Spirito, “che intercede con gemiti inesprimibili”. Lo Spirito non può non conoscere ciò che Dio vuole, perché forma con Lui un’unica cosa. perciò viene incontro ai credenti in quanto non solo suggerisce loro ciò che devono chiedere a Dio, ma Lui stesso, presente nei loro cuori, prega per loro e in loro usando un linguaggio che è sconosciuto agli esseri umani. La presenza dello Spirito è percepibile ai credenti in quanto si identifica con lo Spirito di Gesù, cioè la forza e il fascino che promanano dalla Sua predicazione e da tutta la Sua vita. La preghiera ispirata e guidata dallo Spirito perciò ha tutte le garanzie di essere esaudita perché “Egli che scruta i cuori sa che cosa desidera lo Spirito, perché egli intercede per i santi secondo i disegni di Dio.”
Dio non si ferma alle apparenze: Egli è l’unico in grado di scrutare i cuori (Sal 139,1; Ger 12,3; 1Cr 29,17), cioè di vedere quali sono veramente i pensieri e le scelte profonde dell’uomo. Guardando l’intimo dei cuori, Dio vede se in essi vi siano veramente i desideri, cioè il modo di pensare e di agire suggerito dallo Spirito. In questo caso è lo Spirito stesso che intercede per i credenti “secondo i disegni di Dio”, cioè in sintonia con i Suoi disegni e la Sua volontà. In altre parole una preghiera autentica non può scaturire se non da un cuore immerso in Dio e nel Suo piano di salvezza che riguarda tutta l’umanità. Ciò avviene nella misura in cui il credente fa proprio lo Spirito di Gesù, la Sua mentalità, il Suo modo di pensare. In lui è lo Spirito di Gesù che rivolge al Padre una preghiera che non può non essere esaudita.
Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù espose alla folla un’altra parabola, dicendo:
«Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”. E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. “No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponètelo nel mio granaio”».
Espose loro un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami».
Disse loro un’altra parabola: «Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata».
Tutte queste cose Gesù disse alle folle con parabole e non parlava ad esse se non con parabole, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta: «Aprirò la mia bocca con parabole, proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo».
Poi congedò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si avvicinarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo». Ed egli rispose: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo. Il campo è il mondo e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno e il nemico che l’ha seminata è il diavolo. La mietitura è la fine del mondo e i mietitori sono gli angeli. Come dunque si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, ascolti!».
Mt 13, 24-43
L’Evangelista Matteo ci presenta la stessa ambientazione di domenica scorsa: Gesù è salito su di una barca e parla alla folla in parabole. Dopo aver riportato la parabola del seminatore e la rispettiva spiegazione, ora Gesù espone la parabola della zizzania, del granello di senape, e del lievito. Ed inizia così: «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo…
Nella prima parabola si possono distinguere tre momenti: un proprietario terriero fa seminare del buon grano nel suo campo ma successivamente un suo avversario semina nel campo della zizzania; i servi, che si sono accorti di quanto è accaduto, chiedono al padrone di poter eliminare subito la zizzania; il padrone invece dice di aspettare e di lasciar crescere insieme il buon grano e la zizzania per evitare che, togliendo questa, si danneggi anche quello; la separazione è rimandata al momento della mietitura
Anche in questa parabola si tratta della sorte del seme. Mentre in quella del seminatore la buona riuscita del raccolto viene messa a rischio dai terreni non adatti, ora l’ostacolo è la zizzania che un nemico semina in tutto il campo, proprio in mezzo al buon grano. La zizzania è in effetti un’erbaccia le cui radici, nella crescita, si intrecciano con quelle del frumento e quindi non può essere estirpata senza danneggiarlo; per questo il padrone decide di attendere la mietitura per procedere alla separazione. Il punto centrale della parabola consiste dunque nel fatto che il buon grano, pur dovendo coesistere con la zizzania, non ne viene condizionato e al momento della mietitura può essere raccolto e depositato nel granaio.
L’applicazione al regno di Dio è chiara. Gesù rivolgeva la Sua parola a tutti, compresi i peccatori, e attraverso la Sua azione, era Dio stesso che spargeva il buon seme nel cuore degli uomini. Ma non tutti accoglievano il Suo messaggio: una parte degli ascoltatori si rifiutava di convertirsi. Per i buoni c’era dunque la tentazione di separarsi e di formare un gruppo chiuso, una comunità di puri, come facevano per esempio i farisei e gli esseni di Qumran. Gesù invece esige che i Suoi discepoli vivano insieme ai malvagi, condividendo i momenti ordinari della vita. La parabola poteva anche significare che anche all’interno del gruppo di Gesù erano presenti persone ben intenzionate e altre ancora incerte legate a interessi diversi da quelli del regno: la presenza tra queste di Giuda ne sarà il segno più evidente.
Sulla bocca di Gesù, rimproverato spesso dagli avversari per la Sua tolleranza verso i peccatori, il racconto rappresentava un messaggio di fiducia: la potenza del male non sarà mai tale da rendere vana l’opera di Dio in questo mondo.
Anche le altre parabole che Gesù propone iniziano con questa espressione: «Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, …. «Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina… ”
Il punto centrale di entrambe è dato dal contrasto tra un inizio modesto e un finale straordinario e grandioso. Tra esse la diversità più significativa consiste nel fatto che la prima si riferisce al lavoro dell’uomo, la seconda a quello della donna.
Nella parabola del granello di senape si sottolinea il contrasto tra la piccolezza del seme di senape e la grandezza della pianta che ne deriva. Il seme si riferisce alla predicazione e all’attività pubblica di Gesù, che sembravano infruttuose. Egli invita chi lo ascolta ad aver fiducia nella Sua opera, nonostante il suo apparente insuccesso, perché in essa è già presente e operante il regno dei cieli. Il dettaglio degli uccelli che si rifugiano nei rami del grande albero stanno a significare la totalità dei popoli che un giorno entrerà a far parte del regno di Dio (Ez 17,23; 31,6; Dn 4,9.18). Si allude così al pellegrinaggio delle genti verso la Città Santa, predetto dai profeti (V. Mt 8,11-12).
L’Evangelista Matteo ci presenta la stessa ambientazione di domenica scorsa: Gesù è salito su di una barca e parla alla folla in parabole. Dopo aver riportato la parabola del seminatore e la rispettiva spiegazione, ora Gesù espone la parabola della zizzania, del granello di senape, e del lievito. Ed inizia così: «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo…
Nella prima parabola si possono distinguere tre momenti: un proprietario terriero fa seminare del buon grano nel suo campo ma successivamente un suo avversario semina nel campo della zizzania; i servi, che si sono accorti di quanto è accaduto, chiedono al padrone di poter eliminare subito la zizzania; il padrone invece dice di aspettare e di lasciar crescere insieme il buon grano e la zizzania per evitare che, togliendo questa, si danneggi anche quello; la separazione è rimandata al momento della mietitura
Anche in questa parabola si tratta della sorte del seme. Mentre in quella del seminatore la buona riuscita del raccolto viene messa a rischio dai terreni non adatti, ora l’ostacolo è la zizzania che un nemico semina in tutto il campo, proprio in mezzo al buon grano. La zizzania è in effetti un’erbaccia le cui radici, nella crescita, si intrecciano con quelle del frumento e quindi non può essere estirpata senza danneggiarlo; per questo il padrone decide di attendere la mietitura per procedere alla separazione. Il punto centrale della parabola consiste dunque nel fatto che il buon grano, pur dovendo coesistere con la zizzania, non ne viene condizionato e al momento della mietitura può essere raccolto e depositato nel granaio.
L’applicazione al regno di Dio è chiara. Gesù rivolgeva la Sua parola a tutti, compresi i peccatori, e attraverso la Sua azione, era Dio stesso che spargeva il buon seme nel cuore degli uomini. Ma non tutti accoglievano il Suo messaggio: una parte degli ascoltatori si rifiutava di convertirsi. Per i buoni c’era dunque la tentazione di separarsi e di formare un gruppo chiuso, una comunità di puri, come facevano per esempio i farisei e gli esseni di Qumran. Gesù invece esige che i Suoi discepoli vivano insieme ai malvagi, condividendo i momenti ordinari della vita. La parabola poteva anche significare che anche all’interno del gruppo di Gesù erano presenti persone ben intenzionate e altre ancora incerte legate a interessi diversi da quelli del regno: la presenza tra queste di Giuda ne sarà il segno più evidente.
Sulla bocca di Gesù, rimproverato spesso dagli avversari per la Sua tolleranza verso i peccatori, il racconto rappresentava un messaggio di fiducia: la potenza del male non sarà mai tale da rendere vana l’opera di Dio in questo mondo.
Anche le altre parabole che Gesù propone iniziano con questa espressione: «Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, …. «Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina… ” Il punto centrale di entrambe è dato dal contrasto tra un inizio modesto e un finale straordinario e grandioso. Tra esse la diversità più significativa consiste nel fatto che la prima si riferisce al lavoro dell’uomo, la seconda a quello della donna.
Nella parabola del granello di senape si sottolinea il contrasto tra la piccolezza del seme di senape e la grandezza della pianta che ne deriva. Il seme si riferisce alla predicazione e all’attività pubblica di Gesù, che sembravano infruttuose. Egli invita chi lo ascolta ad aver fiducia nella Sua opera, nonostante il suo apparente insuccesso, perché in essa è già presente e operante il regno dei cieli. Il dettaglio degli uccelli che si rifugiano nei rami del grande albero stanno a significare la totalità dei popoli che un giorno entrerà a far parte del regno di Dio (Ez 17,23; 31,6; Dn 4,9.18). Si allude così al pellegrinaggio delle genti verso la Città Santa, predetto dai profeti (V. Mt 8,11-12).
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Da Papa Francesco:
"In queste domeniche la liturgia propone alcune parabole evangeliche, cioè brevi narrazioni che Gesù utilizzava per annunciare alle folle il Regno dei cieli. Tra quelle presenti nel Vangelo di oggi, ce n’è una piuttosto complessa, di cui Gesù fornisce ai discepoli la spiegazione: è quella del buon grano e della zizzania, che affronta il problema del male nel mondo e mette in risalto la pazienza di Dio.
La scena si svolge in un campo dove il padrone semina il grano; ma una notte arriva il nemico e semina la zizzania, termine che in ebraico deriva dalla stessa radice del nome “Satana” e richiama il concetto di divisione. Tutti sappiamo che il demonio è uno “zizzaniatore”, colui che cerca sempre di dividere le persone, le famiglie, le nazioni e i popoli. I servitori vorrebbero subito strappare l’erba cattiva, ma il padrone lo impedisce con questa motivazione: «Perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano». Perché sappiamo tutti che la zizzania, quando cresce, assomiglia tanto al grano buono, e vi è il pericolo che si confondano.
L’insegnamento della parabola è duplice. Anzitutto dice che il male che c’è nel mondo non proviene da Dio, ma dal suo nemico, il Maligno. È curioso, il maligno va di notte a seminare la zizzania, nel buio, nella confusione; lui va dove non c’è luce per seminare la zizzania. Questo nemico è astuto: ha seminato il male in mezzo al bene, così che è impossibile a noi uomini separarli nettamente; ma Dio, alla fine, potrà farlo.
E qui veniamo al secondo tema: la contrapposizione tra l’impazienza dei servi e la paziente attesa del proprietario del campo, che rappresenta Dio. Noi a volte abbiamo una gran fretta di giudicare, classificare, mettere di qua i buoni, di là i cattivi… Ma ricordatevi la preghiera di quell’uomo superbo: “O Dio, ti ringrazio perché io sono buono, non sono non sono come gli altri uomini, cattivi….” (Lc 18,11-12). Dio invece sa aspettare. Egli guarda nel “campo” della vita di ogni persona con pazienza e misericordia: vede molto meglio di noi la sporcizia e il male, ma vede anche i germi del bene e attende con fiducia che maturino. Dio è paziente, sa aspettare. Che bello questo: il nostro Dio è un padre paziente, che ci aspetta sempre e ci aspetta con il cuore in mano per accoglierci, per perdonarci. Egli sempre ci perdona se andiamo da Lui.
L’atteggiamento del padrone è quello della speranza fondata sulla certezza che il male non ha né la prima né l’ultima parola. Ed è grazie a questa paziente speranza di Dio che la stessa zizzania, cioè il cuore cattivo con tanti peccati, alla fine può diventare buon grano. Ma attenzione: la pazienza evangelica non è indifferenza al male; non si può fare confusione tra bene e male! Di fronte alla zizzania presente nel mondo il discepolo del Signore è chiamato a imitare la pazienza di Dio, alimentare la speranza con il sostegno di una incrollabile fiducia nella vittoria finale del bene, cioè di Dio.
Alla fine, infatti, il male sarà tolto ed eliminato: al tempo della mietitura, cioè del giudizio, i mietitori eseguiranno l’ordine del padrone separando la zizzania per bruciarla . In quel giorno della mietitura finale il giudice sarà Gesù, Colui che ha seminato il buon grano nel mondo e che è diventato Lui stesso “chicco di grano”, è morto ed è risorto. Alla fine saremo tutti giudicati con lo stesso metro con cui abbiamo giudicato: la misericordia che avremo usato verso gli altri sarà usata anche con noi. Chiediamo alla Madonna, nostra Madre, di aiutarci a crescere nella pazienza, nella speranza e nella misericordia con tutti i fratelli."
(Parte dell’Angelus 20 luglio 2014)