Le letture liturgiche di questa domenica hanno come filo conduttore il pane, il cibo necessario per vivere, e vediamo come Dio sazia la fame di ogni uomo.
Nella prima lettura, tratta dal II libro dei Re, leggiamo che un uomo offre ad Eliseo, il profeta discepolo e successore di Elia, le primizie, quindi qualcosa che era destinato a Dio. Questo dono frutto del lavoro dell’uomo, ma anche della benedizione divina, si moltiplica e ce n’è a sazietà per tutti. E’ il simbolo dell’abbondanza dei banchetti messianici preannunciata dai profeti: la venuta del Messia avrebbe sfamato tutti gli uomini.
Nella seconda lettura, scrivendo ai cristiani di Efeso, Paolo li esorta a comportarsi in maniera degna della loro vocazione, e afferma che l’unità della Chiesa si realizza con il concorso attivo di tutti i credenti. Ognuno ha ricevuto dal Signore un dono di grazia per far crescere il corpo di Cristo nella carità.
Nel Vangelo di Giovanni, che per qualche settimana, prende il posto del Vangelo di Marco, colpisce il particolare che fu il poco cibo (cinque pani e due pesci) di un ragazzo prudente a diventare il cibo per la folla. La generosità di questo ragazzo permette al Signore di agire per tutti. Cristo è il protagonista, ma chiede sempre la nostra collaborazione. Il segno dei pani divisi fra tutti, realizza l’antica profezia, ma diventa a sua volta simbolo di un banchetto speciale: quello in cui il Signore si offre a noi nel segno del pane spezzato. Egli sazierà la fame di vita e di eternità che abbiamo in noi donandoci non solo un cibo materiale, ma il pane della vita eterna.
Dal secondo libro dei Re
In quei giorni, da Baal-Salisà venne un uomo, che portò pane di primizie all’uomo di Dio: venti pani d’orzo e grano novello che aveva nella bisaccia. Eliseo disse: «Dallo da mangiare alla gente». Ma il suo servitore disse: «Come posso mettere questo davanti a cento persone?». Egli replicò: «Dallo da mangiare alla gente. Poiché così dice il Signore: “Ne mangeranno e ne faranno avanzare”». Lo pose davanti a quelli, che mangiarono e ne fecero avanzare, secondo la parola del Signore.
2Re 4,42-44
Il Secondo libro dei Re, insieme al primo, in origine formavano un unico libro. Entrambi fanno parte dei Libri storici per il canone cristiano e dei cosiddetti “profeti anteriori‘” per il canone ebraico. E’ stato composto, secondo alcuni studiosi, intorno al VI secolo a.C. dallo stesso autore che ha scritto il libro del Deuteronomio; per questo lo si definisce autore ''Deuteronomista'‘. Per ricostruire le vicende dei due regni di Israele, egli attinge a materiali d'archivio, alle tradizioni orali e alla memoria storica del suo popolo. Una delle caratteristiche dell'autore è il continuo ricorso a formule fisse per delineare i regni dei vari sovrani e in particolare, il secondo libro dei Re, descrive la vicenda del popolo ebraico dal IX al VI secolo a.C., cioè dalla fine del regno di Acazia (circa 852 a.C.) fino alla distruzione del regno di Giuda nel 587 a.C..
Le vicende di Elia e di Eliseo sono narrate in due cicli che occupano la parte centrale dei due libri dei Re (1Re 17-22; 2Re 1-17). Eliseo, che operò sotto i re Ioram (852-841), Ieu (841-814), Ioacaz (814-798), Ioas (798-783), è protagonista di numerosi racconti popolari spesso interrotti da riferimenti alle vicende politiche.
Il suo ciclo si apre con il rapimento di Elia in cielo, del quale egli è l’unico testimone (2Re 2,1-8). Divenuto così erede spirituale del suo maestro, Eliseo compie alcuni miracoli di carattere umanitario.
In questo brano, tratto dal IV capitolo, dove vengono riportati alcuni miracoli del profeta Eliseo, leggiamo che nella regione di Galgala, non lontana dall'attuale Tel Aviv, è in atto una grave carestia. Un giorno “da Baal-Salisà venne un uomo, che portò pane di primizie all’uomo di Dio: venti pani d’orzo e grano novello che aveva nella bisaccia”. Eliseo ben cosciente della penosa situazione, non pensa di godere egoisticamente di quell'abbondanza, e ordina al suo servitore "Dallo da mangiare alla gente". In forza della ragione, e anche del buon senso, il servitore avanza dei dubbi: “Come posso mettere questo davanti a cento persone?”. Un pane d'orzo era infatti la razione solo per una persona e venti pani non potevano certo bastare per cento persone!
Eliseo quando replica per la seconda volta lo stesso comando lo accompagna dalla motivazione che spinge ad alzare lo sguardo dalla logica umana a quella divina: “Dallo da mangiare alla gente. Poiché così dice il Signore: “Ne mangeranno e ne faranno avanzare””.
La frequentazione del profeta con i progetti di Dio e con la Sua onnipotenza, gli dà l’incrollabile sicurezza che i problemi umani sono sempre risolvibili. "Nulla è impossibile a Dio" risuona più volte nella Sacra Scrittura e l'uomo di Dio vive di questa affermazione e la traduce in vita per sé e per gli altri.
Di fatto le cento persone “mangiarono e ne fecero avanzare, secondo la parola del Signore. “
La parola decisiva e più importante è concentrata nell’ultima espressione "secondo la parola del Signore“ ma era essenziale che a questa Parola qualcuno ci credesse, che lo dicesse e convincesse anche gli altri. Allora è stato il compito di Eliseo ed è oggi deve essere il nostro compito, nel luogo in cui viviamo!
Salmo 144 - Apri la tua mano, Signore, e sazia ogni vivente.
Ti lodino, Signore, tutte le tue opere
e ti benedicano i tuoi fedeli.
Dicano la gloria del tuo regno
e parlino della tua potenza.
Gli occhi di tutti a te sono rivolti in attesa
e tu dai loro il cibo a tempo opportuno.
Tu apri la tua mano
e sazi il desiderio di ogni vivente.
Giusto è il Signore in tutte le sue vie
e buono in tutte le sue opere.
Il Signore è vicino a chiunque lo invoca,
a quanti lo invocano con sincerità.
Molti sono i frammenti di altri salmi che entrano nella composizione di questo salmo, che tuttavia risulta bellissimo nella sua forma alfabetica e ricca di stimoli alla fede, alla speranza, alla pietà, alla lode.
Il salmo è uno dei più recenti del salterio, databile nel III o II secolo a.C.
Esso inizia rivolgendosi a Dio quale re: “O Dio, mio re, voglio esaltarti (...) in eterno e per sempre”. “In eterno e per sempre”, indica in modo incessante e continuativo nel tempo.
Segue uno sguardo su come la trasmissione, di generazione in generazione, delle opere di Dio non sia sentita solo come fatto prescritto (Cf. Es 13,14), ma come gioia di comunicazione, poiché le opere di Dio sono affascinanti: “Il glorioso splendore della tua maestà e le tue meraviglie voglio meditare. Parlino della tua terribile potenza: anch’io voglio raccontare la tua grandezza. Diffondano il ricordo della tua bontà immensa, acclamino la tua giustizia". Il salmista fa un attimo di riflessione sulla misericordia di Dio, riconoscendo la sua pazienza verso il suo popolo. E' il momento dell'umiltà. La lode non può essere disgiunta dall'umile consapevolezza di essere peccatori: “Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore. Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature“. “Su tutte le creature”, cioè su tutti gli uomini, e pure sugli animali (Cf. Ps 35,7; 103,21).
Il salmista desidera che tutte le opere di Dio diventino lode a Dio sul labbro dei fedeli: “Ti lodino, Signore, tutte le tue opere e ti benedicano i tuoi fedeli. Dicano la gloria del tuo regno...”. “Tutte le tue opere”, anche quelle inanimate (Cf. Ps 148). Il significato profondo di questo invito cosmico sta nel fatto che, il salmista vede le creature come bloccate da una cappa buia posta dalle divinizzazioni pagane. Il salmista desidera che esse siano libere da quella cappa, che nega loro la glorificazione del Creatore.
La lode a Dio sul labbro dei fedeli diventa annuncio a tutti gli uomini: “Per far conoscere agli uomini le tue imprese e la splendida gloria del tuo regno”. “Il regno” (malkut) è Israele e le “imprese” sono quelle della liberazione dall'Egitto, ecc. Terminata la successione monarchica dopo la deportazione a Babilonia, Israele, pur senza scartare minimamente la tensione verso il futuro re, il Messia, si collegò alla tradizione premonarchica dove il re era unicamente Dio. Nel libro dell'Esodo si parla di Israele come regno (19,6): “Un regno di sacerdoti e una nazione santa”. Israele come regno di Dio si manifesta in modo evidente mediante l'osservanza della legge data sul Sinai; ma Israele non è solo suddito di Dio, ma anche figlio (Cf. Es 4,22).
Il salmista continua a celebrare la bontà di Dio verso gli uomini: “Giusto è il Signore in tutte le sue vie (...). Il Signore custodisce tutti quelli che lo amano, ma distrugge tutti i malvagi”.
Il salmista termina la sua composizione esortandosi alla lode a Dio e invitando, in una visione universale, “ogni vivente” a benedirlo: “Canti la mia bocca la lode del Signore e benedica ogni vivente il suo santo nome, in eterno e per sempre”. “Ogni vivente”; anche gli animali, le piante - ovviamente a loro modo - celebrano la gloria di Dio (Cf. Ps 148,9-10).
Il cristiano nella potenza dello Spirito Santo annuncia le grandi opere del Signore (At 2,11), che sono quelle relative a Cristo: la salvezza, la liberazione dal peccato, ben più alta e profonda di quella dall'Egitto; il regno di Dio posto nel cuore dell'uomo e tra gli uomini in Cristo, nel dono dello Spirito Santo; i cieli aperti, il dono dei sacramenti, massimamente l'Eucaristia.
Commento di P.Paolo Berti
Dalla lettera di S.Paolo apostolo agli Efesini
Fratelli, io, prigioniero a motivo del Signore, vi esorto: comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace.
Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti.
Ef 4,1-6
Con questo brano ha inizio la seconda parte della lettera agli Efesini, che Paolo dedica all'esortazione. Dopo aver scritto della centralità del sacrificio di Cristo e della sua efficacia a riunire tutti i popoli in una sola Chiesa, si rivolge ai suoi destinatari ricordando loro di dare una testimonianza credibile della loro fede.
“Fratelli, io, prigioniero a motivo del Signore, vi esorto: comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto” Con queste parole Paolo esordisce ricordando la sua condizione di prigioniero a causa del Vangelo. E’ un particolare che lui ha sicuramente inserito anche per scuotere i suoi interlocutori, in più egli afferma il motivo: prigioniero proprio a causa del Vangelo che ha annunciato. Chiede con questo tono accorato agli Efesini di comportarsi in modo degno della loro nuova dignità. Essi fanno parte di un nuovo corpo, di una nuova realtà che vive di pace e riconciliazione.
“con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore”
Nella comunità cristiana essi devono nutrire la vita comune con alcune virtù fondamentali: l'umiltà, la dolcezza, la grandezza d'animo, che hanno il loro culmine nell'amore fraterno (agape)¸ che si esprime nel perdono e nella solidarietà verso gli altri.
“avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace.” Questa seconda esortazione è un motivo portante, un elemento fondamentale all'interno della comunità: l'impegno a mantenere l'unità, a vivere la pace.
Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti.
Questi versetti suonano un po' come un inno, una professione di fede che forse si ripeteva nelle prime assemblee liturgiche. L'accento è posto sull'unità della comunità che si fonda su altre unità: quelle del corpo e dello Spirito che lo mantiene unito, quella della speranza, cioè del futuro a cui tutti tendono, fondata sull'unica chiamata che ha interessato tutti. Ancora questa unità si costruisce attorno all'unico Signore, a cui si aderisce con una sola fede e a cui si accede grazie all'unico battesimo. E' questa la parte più liturgica del piccolo inno. Infine si giunge all'unico Dio e Padre, da cui è partito il progetto di salvezza e che continua ad operare in tutti il suo piano di amore.
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Nel giorno conclusivo della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, (il 25 gennaio 2015) papa Francesco, proprio nella Basilica dedicata al grande Apostolo, ha lanciato il suo appello per la fine di ogni divisione nel popolo di Dio. Tra l’altro ha detto: È nel “cuore di Gesù Cristo” che “si incontrano la sete umana e quella divina e il desiderio dell’unità dei suoi discepoli appartiene a questa sete”, come si può riscontrare “nella preghiera elevata al Padre prima della Passione: «Perché tutti siano una sola cosa» (Gv 17,21)”.
Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei.
Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo».
Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini.
Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano.
E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.
Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo.
Gv 6, 1-15
Il Vangelo di Marco, che ci ha accompagnato finora durante le liturgie domenicali ora si interrompe per lasciare lo spazio al sesto capitolo del Vangelo di Giovanni. La ragione di tale inserzione è per approfondire il tema del "pane" a cui è giunta la narrazione di Marco.
Il brano inizia con un’indicazione riguardante gli spostamenti di Gesù: Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. In questa traversata i discepoli non sono menzionati, mentre per i sinottici Gesù si era recato con loro in un luogo solitario perché avessero un po’ di riposo (v. Mc 6,31). Sono invece menzionate le folle, di cui si dice che lo seguivano perché avevano visto i segni che faceva sugli infermi: si tratta quindi di un interesse egoistico, su cui Gesù ritornerà all’inizio del discorso successivo. L’evangelista aggiunge poi che egli, giunto a destinazione, salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei.
L’allusione alla pasqua si trova solo in Giovanni, sebbene ad essa alludano Marco e Matteo quando parlano dell’erba verde su cui Gesù fa sedere la folla. Il racconto prosegue in modo conciso: Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere.
Giovanni vuole concentrare l’attenzione non sulla predicazione di Gesù e sui suoi miracoli, ma sul segno che Gesù sta per fare. È Gesù stesso che prende l’iniziativa di sfamare la folla, senza aspettare, come nei sinottici, che i discepoli gli chiedano di congedarla e mette alla prova Filippo ponendogli quella domanda, mentre egli sapeva già quello che stava per fare.
Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo». Alla risposta desolata di Filippo si aggiunge la proposta di Andrea, che interviene dicendo: C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Andrea dà questa informazione non perchè pensa di risolvere qualcosa ma solo per far presente che si tratta di una cosa da nulla, vista l’entità della folla. Risulta chiaro così che, umanamente parlando, non si può far nulla per sfamare i presenti.
Gesù allora fa sedere la folla, e l’evangelista, annota che vi era molta erba in quel luogo, e aggiunge che i presenti erano circa cinquemila uomini, numero citato anche dai sinottici.
L’esistenza di molta erba, ricordata anche da Marco e Matteo, si ricollega all’imminenza della pasqua, che cade nel periodo primaverile; in questo accenno si può riconoscere un riferimento a Dio, pastore di Israele, che conduce il suo gregge all’erba verdeggiante (V. Sal 23,2; Ez 34,14; Mc 6,34).
Stranamente l’intervento di Andrea offre una base alla soluzione infatti: Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano.
A differenza dei Vangeli sinottici, ove sono incaricati i discepoli, qui è Gesù stesso che prende i pani e li distribuisce. Senza dubbio l'evangelista vuole sottolineare il rapporto diretto, personale e immediato, che c'è tra il pastore e le sue pecore. Un altro particolare colpisce: Gesù non agisce dal nulla, lo poteva fare, ma non l’ha fatto. Ha avuto bisogno di quei cinque pani e due pesci (il contributo umano di un ragazzo prudente) per operare il miracolo.
Quando tutti sono sazi, Gesù disse ai suoi discepoli: “Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto”. Con i pezzi avanzati, si riempirono dodici ceste, segno di grande abbondanza (V. 2Re 4,42-44).
Al termine del pasto i presenti, avendo visto il segno compiuto da Gesù, riconoscono in lui il profeta escatologico e vanno a prenderlo per proclamarlo re, ma egli si ritira da solo sulla montagna
In questa breve nota si nota la differenza tra l’attesa giudaica del profeta escatologico (V. Dt 18,15-18) e quella del re-messia (v. 2Sam 7). Non ci si deve dunque meravigliare che, dopo averlo riconosciuto come profeta, la folla voglia incoronarlo come re-messia. L’attesa messianica, pur essendo di origine religiosa, aveva per la gente anche un forte significato politica: per questo motivo la proclamazione regale di Gesù avrebbe fatto automaticamente di lui il capo della lotta anti-romana. Gesù invece spiegherà a Pilato che egli è veramente re, ma la sua regalità non consiste nell’esercizio del potere politico, bensì nel rendere testimonianza alla verità (v. Gv 18,37).
La cornice cronologica del miracolo evoca anche, come abbiamo visto, la Pasqua vicina, il pane è citato ben cinque volte, e i gesti di Gesù ricordano quelli dell'’ultima cena “prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti”.
L’evangelista vuole sicuramente farci capire che la celebrazione comunitaria non sarà solo un “ricordo” della morte e risurrezione di Gesù, ma metterà i discepoli, anche dopo la Sua scomparsa, direttamente a contatto con la persona viva del Maestro.
Si può dire ancora per concludere che il gesto di Gesù è anche segno di un’altra fame saziata, Cristo, in veste di pastore-profeta messianico, imbandisce con pienezza quella mensa che sazierà definitivamente la fame interiore dell’uomo, la sua antica e mai conclusa ricerca di Dio.
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“Il Vangelo di questa domenica presenta il grande segno della moltiplicazione dei pani, nella narrazione dell’evangelista Giovanni.
Gesù si trova sulla riva del lago di Galilea, ed è circondato da «una grande folla», attirata dai «segni che compiva sugli infermi». In Lui agisce la potenza misericordiosa di Dio, che guarisce da ogni male del corpo e dello spirito. Ma Gesù non è solo guaritore, è anche maestro: infatti sale sul monte e si siede, nel tipico atteggiamento del maestro quando insegna: sale su quella “cattedra” naturale creata dal suo Padre celeste.
A questo punto Gesù, che sa bene quello che sta per fare, mette alla prova i suoi discepoli. Che fare per sfamare tutta quella gente? Filippo, uno dei Dodici, fa un rapido calcolo: organizzando una colletta, si potranno raccogliere al massimo duecento denari per comperare del pane, che tuttavia non basterebbe per sfamare cinquemila persone.
I discepoli ragionano in termini di “mercato”, ma Gesù alla logica del comprare sostituisce quell’altra logica, la logica del dare.
Ed ecco che Andrea, un altro degli Apostoli, fratello di Simon Pietro, presenta un ragazzo che mette a disposizione tutto ciò che ha: cinque pani e due pesci; ma certo – dice Andrea – sono niente per quella folla.
Ma Gesù aspettava proprio questo. Ordina ai discepoli di far sedere la gente, poi prese quei pani e quei pesci, rese grazie al Padre e li distribuì
Questi gesti anticipano quelli dell’Ultima Cena, che danno al pane di Gesù il suo significato più vero. Il pane di Dio è Gesù stesso. Facendo la Comunione con Lui, riceviamo la sua vita in noi e diventiamo figli del Padre celeste e fratelli tra di noi. Facendo la comunione ci incontriamo con Gesù realmente vivo e risorto! Partecipare all’Eucaristia significa entrare nella logica di Gesù, la logica della gratuità, della condivisione. E per quanto siamo poveri, tutti possiamo donare qualcosa. “Fare la Comunione” significa anche attingere da Cristo la grazia che ci rende capaci di condividere con gli altri ciò che siamo e ciò che abbiamo.
La folla è colpita dal prodigio della moltiplicazione dei pani; ma il dono che Gesù offre è pienezza di vita per l’uomo affamato. Gesù sazia non solo la fame materiale, ma quella più profonda, la fame di senso della vita, la fame di Dio.
Di fronte alla sofferenza, alla solitudine, alla povertà e alle difficoltà di tanta gente, che cosa possiamo fare noi? Lamentarsi non risolve niente, ma possiamo offrire quel poco che abbiamo, come il ragazzo del Vangelo.
Abbiamo certamente qualche ora di tempo, qualche talento, qualche competenza... Chi di noi non ha i suoi “cinque pani e due pesci”? Tutti ne abbiamo! Se siamo disposti a metterli nelle mani del Signore, basteranno perché nel mondo ci sia un po’ più di amore, di pace, di giustizia e soprattutto di gioia. Quanta è necessaria la gioia nel mondo! Dio è capace di moltiplicare i nostri piccoli gesti di solidarietà e renderci partecipi del suo dono.
La nostra preghiera sostenga il comune impegno perché non manchi mai a nessuno il Pane del cielo che dona la vita eterna e il necessario per una vita dignitosa, e si affermi la logica della condivisione e dell’amore. La Vergine Maria ci accompagni con la sua materna intercessione.”
Papa Francesco Parte dell’Angelus del 26 luglio 2015