Questa domenica, la prima che viene tra il Natale e il primo dell'anno, la Chiesa ci invita a celebrare la festa della santa Famiglia di Nazareth, costituita da Giuseppe, Maria e Gesù: padre, madre e figlio. Questa non è una semplice festa di devozione, ma un “mistero della vita di Cristo”. Insieme con l’assunzione dell’umanità, infatti è anche assunto in Cristo tutto ciò che è umano e, in particolare, la famiglia, quale prima dimensione della sua esistenza terrena, appunto perchè parte integrante del mistero dell’Incarnazione, diventa essa stessa, mistero, ossia fondamenta, e realtà umana assunta per essere purificata e santificata
Nella prima lettura, tratta dal primo libro di Samuele - Anna, che nella sua sterilità ha ricevuto in dono un figlio, Samuele, dopo due anni dalla nascita, adempie al suo voto conducendo il bambino al tempio, restituendolo così a Dio.
Nella seconda lettura, l’apostolo Giovanni nella sua prima lettera ci dice che in Gesù Cristo siamo figli di Dio. Nella misura in cui crediamo e ci amiamo reciprocamente, Dio ci dà il suo Spirito, per il quale diventiamo suoi figli.
Nel Vangelo, Luca descrive un momento di religiosità vissuto dalla santa Famiglia. L’episodio dello smarrimento e del ritrovamento di Gesù al Tempio è causa di preoccupazione e di angoscia per Maria e Giuseppe, i quali non comprendono né il comportamento né le parole di Gesù e la sua determinazione nel fare la volontà del Padre.
Dal primo libro di Samuele
Al finir dell’anno Anna concepì e partorì un figlio e lo chiamò Samuele, «perché – diceva – al Signore l’ho richiesto». 21Quando poi Elkanà andò con tutta la famiglia a offrire il sacrificio di ogni anno al Signore e a soddisfare il suo voto, 22Anna non andò, perché disse al marito: «Non verrò, finché il bambino non sia svezzato e io possa condurlo a vedere il volto del Signore; poi resterà là per sempre».
24Dopo averlo svezzato, lo portò con sé, con un giovenco di tre anni, un’efa di farina e un otre di vino, e lo introdusse nel tempio del Signore a Silo: era ancora un fanciullo. 25Immolato il giovenco, presentarono il fanciullo a Eli 26e lei disse: «Perdona, mio signore. Per la tua vita, mio signore, io sono quella donna che era stata qui presso di te a pregare il Signore. 27Per questo fanciullo ho pregato e il Signore mi ha concesso la grazia che gli ho richiesto. 28Anch’io lascio che il Signore lo richieda: per tutti i giorni della sua vita egli è richiesto per il Signore». E si prostrarono là davanti al Signore.
1 Sam 1,20-22.24-28
Il Libro di Samuele, diviso in due parti solo perchè era troppo lungo (31 capitoli il primo e 24 capitoli il secondo) nella traduzione greca detta dei settanta (LXX) furono uniti ai due libri dei Re, tutti e quattro furono chiamati “libri dei Regni”.
Sono stati scritti in ebraico e secondo molti studiosi, la loro redazione definitiva, ad opera di autori ignoti, è collocata al VI-V secolo a.C. in Giudea, sulla base di precedenti tradizioni orali e scritte.
Sia i libri di Samuele che quelli dei Re hanno come unico progetto, quello di tratteggiare la vicenda storica di Israele dalla fine dell'epoca dei Giudici fino alla fine della monarchia con l'invasione babilonese di Nabucodonosor: un arco di tempo che comprende ben sei secoli.
Il primo libro, da cui questo brano viene tratto, descrive l'abbandono dell'ordinamento giuridico dei Giudici, con cui spesso le tribù si governavano in modo indipendente l'una dall'altra, e la storia di due personaggi: il profeta Samuele e Saul, il primo re d’Israele ma anche l’ingresso nella narrazione di quello che sarà il re più importante del Regno a cui è dedicato tutto il secondo libro di Samuele: Davide.
In questo brano, nella prima parte troviamo il racconto della nascita di Samuele.
Anna, dopo tante preghiere “concepì e partorì un figlio e lo chiamò Samuele, che significa “il nome di Dio”, ma secondo il significato dato da Anna ”al Signore l’ho richiesto.“ Il racconto continua riportando che Elkanà, sposo di Anna, andò con tutta la famiglia a offrire il sacrificio di ogni anno al Signore e a soddisfare il suo voto, ma Anna non andò, perché disse al marito: «Non verrò, finché il bambino non sia svezzato e io possa condurlo a vedere il volto del Signore; poi resterà là per sempre».
Nella seconda parte è evidenziato l’atteggiamento di Anna che, dopo aver nutrito e cresciuto il figlio per circa due anni, fedele alla promessa fatta al Signore, lo riporta al tempio. Il Signore le ha donato un figlio ed ella sente ora il bisogno di restituirglielo. Offre un sacrificio e poi incontra Eli e si presenta a lui dicendo: io sono quella donna che era stata qui presso di te a pregare il Signore. Per questo fanciullo ho pregato e il Signore mi ha concesso la grazia che gli ho richiesto. Anch’io lascio che il Signore lo richieda: per tutti i giorni della sua vita egli è richiesto per il Signore”. L’espressione finale “egli è richiesto per il Signore” anticipa il cantico di Anna, (versetti non riportati dalla liturgia) che sono la sinesi i del comportamento paradossale di Dio nella storia della salvezza e straordinaria anticipazione del Magnificat pronunciato da Maria .
Salmo 83 - Beato chi abita nella tua casa, Signore
Quanto sono amabili le tue dimore,
Signore degli eserciti!
L’anima mia anela e desidera gli atri del Signore
Il mio cuore e la mia carne
esultano nel Dio vivente.
Beato chi abita nella tua casa;
senza fine canta le tue lodi
Beato l’uomo che trova in te il suo rifugio
E ha le tue vie nel suo cuore
Signore, Dio degli eserciti, ascolta la mia preghiera
Porgi l’orecchio, Dio di Giacobbe.
Guarda, o Dio, colui che è il nostro scudo
Guarda il volto del tuo consacrato
Il salmo è una celebrazione del pellegrinaggio al tempio di Gerusalemme. Il riferimento alla “prima pioggia” pone il pellegrinaggio in occasione della feste delle Capanne, che si svolgeva in autunno; le prime piogge toglievano l'aridità dell'estate e rilanciavano il verde anche nelle zone desertiche.
Il salmo è stato scritto in tempo di pace, prima delle invasioni Assire e Babilonesi, ma già in Israele vi sono “tende dei malvagi”, che al culto a Jahvéh uniscono quello agli idoli.
La scelta del salmista per gli “atri del Signore” è decisa, piena di frutti di pace e di letizia del cuore.
Egli guarda al tempio di Gerusalemme come luogo di refrigerio spirituale, come centro di irradiazione di pace. Egli nota che sotto i portici dei cortili le rondini fanno i loro nidi, rendendo delicatamente inserito nel creato il tempio; e la cosa è anche presso gli altri santuari di Dio nel paese.
Il pellegrino, dice il salmista, è beato quando “trova in te il suo rifugio e ha le tue vie nel suo cuore".
Il pellegrino passava per “la valle del pianto” (Gdc 2,5), che ricordava tristi calamità, ma che veniva trasformata dalla presenza orante dei pellegrini in “una sorgente”, cioè in un luogo di letizia; ne seguiva, regolare, la pioggia d'autunno. Tutto questo era segno della benevolenza di Dio.
Il salmista chiede a Dio di guardare “il volto del suo consacrato”, cioè di dare benedizioni al re, figura del futuro Re-Messia.
“Sole e scudo è Il Signore Dio” dice il salmista, poiché egli è fonte di vita ed è difesa del suo popolo. “Grazia e gloria” concede il Signore, cioè forza per rifiutare il male e perseguire il bene, e buon nome a chi gli è fedele, in attesa del premio perfetto ed eterno in cielo.
Commento tratto da “Cantico dei Cantici” di P.Paolo Berti
Dalla prima lettera di S.Giovanni apostolo
Carissimi, Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui. Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è.
Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio, qualunque cosa chiediamo, la riceviamo da lui, perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quello che gli è gradito. Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato.
1Gv 3,1-2.21-24
La Prima lettera di S. Giovanni è una lettera tradizionalmente attribuita a Giovanni apostolo ed evangelista ed inclusa tra i libri del Nuovo Testamento (la quarta delle cosiddette “lettere cattoliche”). La lettera nella sua redazione finale dovrebbe essere stata scritta verso la fine del I secolo, probabilmente ad Efeso.I destinatari della lettera sono pagani delle comunità dell‘Asia Minore che si sono convertiti al Cristianesimo. Lo scopo che Giovanni si prefigge è quello di richiamare le comunità cristiane all’amore fraterno e di metterle in guardia verso i falsi maestri gnostici ed eretici, che negavano l’incarnazione di Gesù Cristo.
La comunione con Dio e con Suo Figlio, che si realizza con la verità, l'obbedienza, la purezza, la fede e l'amore, è al centro della dottrina della prima lettera.
In questo capitolo da dove è stato tratto il brano liturgico, Giovanni esorta a vivere sin d’ora come figli ed inizia con questo invito:
Carissimi,Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui.
Nel momento della prova chi ha aderito a Cristo è stato il destinatario di un amore grandissimo. Siamo figli di Dio e se questa espressione così forte per noi nel XXI secolo ha perso forse un po' di significato, resta sempre di vitale importanza e di sostegno nei momenti della prova, che non mancano per nessuno. Dio ci ha dato un grande dono, oltre al suo amore che non conosce limiti, ci ha dato anche il dono della libertà di accettare o rifiutare il suo amore. Questo è il iparadosso dell'amore di Dio, che lascia libere le persone di riconoscerlo come il Signore del mondo e della vita.
Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è.
In questo passo si percepisce una certa tensione tra l'oggi e il futuro dei figli di Dio. Adesso è una situazione un po' nascosta. Non si sa bene come saremo quando Cristo si manifesterà nella gloria. Una cosa sappiamo: saremo simili a Lui, ricolmi di gloria e di felicità perché lo vedremo faccia a faccia. Questa anticipazione della gloria futura ci può bastare. Il desiderio dei credenti è quello di vedere il Signore. La sua gloria e la sua bellezza ci investirà completamente e noi parteciperemo di questa sua gloria.
Il brano non riporta i versetti in cui Giovanni presenta due condizione la prima di rompere con il peccato e la seconda di osservare i comandamenti, soprattutto quello della carità e cos i prosegue:
Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio
Quindi il cuore non può rimproverarci nulla se abbiamo amore verso gli altri. Questo ci libera dagli scrupoli e rafforza la fiducia in Dio. Siamo in comunione con Lui!
qualunque cosa chiediamo, la riceviamo da lui, perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quello che gli è gradito.
Se siamo in comunione con Dio, vivendo della sua stessa capacità di amore, possiamo chiedere qualsiasi cosa. Come i figli obbedienti siamo a Lui graditi perché compiamo la sua volontà. Egli ci viene incontro nelle nostre richieste.
Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato.
Questi sono i suoi comandamenti. Il primo e più importante è quello di avere fede, di credere nel nome del suo Figlio. Sappiamo che nella mentalità orientale il nome è tutta quanta la persona, la sua forza, la sua vera natura. Credere nel nome è credere nella persona stessa. In quale nome dobbiamo credere? In quello del Figlio Gesù. L'altro comandamento è quello di amarci gli uni gli altri. Questo è uno dei motivi più importanti degli scritti di Giovanni.
Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato.
Se si osservano questi comandamenti si rimane in comunione con Dio. C'è un'unità di intenti che ci aiuta a restare dentro questa comunione di amore. E' una comunione che si manifesta in una reciprocità: noi rimaniamo in Lui, Lui rimane in noi. In questa comunione reciproca c'è anche lo Spirito che ci permette di vivere e operare secondo la volontà di Dio.
Dal Vangelo secondo Luca
I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme.
Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte.
Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo».
Ed egli rispose loro:
«Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?».
Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro. Scese dunque con loro e venne a Nazareth e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini. e la grazia di Dio era su di lui.
Lc 2,41-52
Questo brano dell’evangelista Luca, che riporta l’unico episodio della vita di Gesù, tra la nascita e l’inizio della vita pubblica, si apre con una introduzione nella quale leggiamo che
“i genitori di Gesù si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua”.
Tre volte all'anno c'erano celebrazioni che richiamavano a Gerusalemme i pellegrini, secondo il comando del Signore riportato nel libro dell’Esodo: “Tre volte all’anno farai festa in mio onore: Osserverai la festa degli azzimi: mangerai azzimi durante sette giorni, come ti ho ordinato, nella ricorrenza del mese di Abib, perché in esso sei uscito dall’Egitto. Non si dovrà comparire davanti a me a mani vuote. Osserverai la festa della mietitura, delle primizie dei tuoi lavori, di ciò che semini nel campo; la festa del raccolto, al termine dell’anno, quando raccoglierai il frutto dei tuoi lavori nei campi. Tre volte all’anno ogni tuo maschio comparirà alla presenza del Signore Dio. (Es 23,14-17). La Santa Famiglia di Nazareth fece più di quanto esigeva la legge perchè anche Maria partecipa a questo pellegrinaggio, sebbene non fosse obbligatorio per le donne. Gesù viene dunque condotto a Gerusalemme affinché si abitui a osservare la Legge.
“Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. ” A dodici anni, Gesù ha l’età per partecipare alla cerimonia che si chiama Bar Mitzvah( (figlio del comandamento) che è la cerimonia della maturità religiosa; da quel momento il ragazzo, diventato religiosamente maggiorenne, può leggere la Parola di Dio nella sinagoga, solennemente, nelle riunioni della comunità di Israele.
“Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero”. La festa pasquale durava sette giorni. La partenza avveniva solo dopo il secondo giorno festivo. Si viaggiava suddivisi in gruppi di parenti e conoscenti, e Gesù sottraendosi all'attenzione premurosa di Maria e Giuseppe si ferma nel tempio, nella casa di suo Padre.
“Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti, non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. . Giuseppe e Maria non possono non pensare che Gesù sia nella comitiva. Per Maria questo episodio rappresenta il primo distacco da suo figlio, un distacco in cui pian piano il Bambino appare come colui che non appartiene a lei, alla madre, ma a Dio per compiere la sua missione nel mondo.
“Dopo tre giorni “Si può notare che Luca usa spesso l’espressione “tre giorni” o “terzo giorno” in relazione alla morte e resurrezione di Gesù. Poiché l’episodio di “Gesù tra i dottori” è ricco di riferimenti alla vita adulta di Gesù, è possibile intravedere nei tre giorni di ricerca di Gesù da parte di Maria e Giuseppe un riferimento alla scomparsa di Gesù per tre giorni nella morte e al suo ritrovamento nella risurrezione.
“ lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava” Facendoci vedere Gesù giovinetto che sta seduto nel tempio ad insegnare, Luca anticipa il punto d’arrivo della missione di Gesù e il punto di partenza della missione della Chiesa. Gesù è trovato seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. Gesù è un fanciullo sapiente e intelligente riguardo alle Sacre Scritture; in lui è nascosta e presente la volontà di Dio.
“E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte”. Il dialogo con i dottori del tempio, rappresenta il legame di continuità tra l’Antico e il Nuovo Testamento, e nello stesso tempo, però, lo stupore dei maestri di Gerusalemme “per la sua intelligenza e le sue risposte” mostra la superiorità della parola di Gesù e la sua conoscenza profonda della legge su quanto conosciuto dai maestri del tempio.
“Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo».”Le parole di Maria sono l'espressione spontanea del dolore e dell'angoscia di una madre per quelle lunghe ore di affannosa ricerca. Maria da vera madre parla a Gesù come se fosse un bambino anche se è già un ragazzo. Comincia ad comporsi il mistero che circonda Gesù, di una coscienza che supera quella di ogni altro uomo.
“Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”.
La prima parola che i vangeli riportano sulla bocca di Gesù è una parola che prova una profonda coscienza di sé. Gesù ha la coscienza di essere Figlio di Dio secondo la Scrittura, come è scritto nel Libro della Sapienza : “Proclama di possedere la conoscenza di Dio e si dichiara figlio del Signore” (Sap 2,13).
Gesù chiama Dio “Padre”, e in questo: “Padre mio”sembra incominciare a formarsi una forza di attrazione più grande che non la famiglia della casa di Nazareth, i suoi genitori.
“Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro”. Maria e Giuseppe non compresero le parole del figlio. Maria è cresciuta nella conoscenza del Figlio, per mezzo dell'angelo, dei profeti e della Sacra Scrittura. Ma qui, nonostante tutto rimane per lei un enigma. Per Maria e Giuseppe, non comprendere l’agire del loro figlio equivale a non comprendere per noi l’agire di Dio.
Maria e Giuseppe sono per noi un modello perché si sono rimasti fedeli alla loro vocazione anche quando non comprendono.
“Scese dunque con loro e venne a Nazareth e stava loro sottomesso” Gesù ritorna a Nazareth e sta sottomesso i genitori; questi non sanno quale sia la missione di quel bambino; lui la conosce, sa quello che loro non sanno, però si sottomette a loro. Ma si sottomette a loro con una missione nuova e grande, quella missione che lo pone in un rapporto unico ed esclusivo con Dio.
“Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore”. Maria capisce ora che anche per lei deve iniziare quel faticoso itinerario di fede che le farà scoprire il mistero del suo Figlio e che le farà perdere sempre più il Figlio come possesso per averlo come dono salvifico di Dio ai piedi della croce. Maria inizia a comprendere che il suo distacco dal Figlio non è segno di lontananza ma di vicinanza perché con la fede ella entra sempre più nel progetto di salvezza che il Cristo, suo Figlio sta attuando. Maria ha custodito e amato “queste cose” nel suo cuore e pian piano dentro di lei le hanno rivelato il disegno di Dio: il loro pieno e vero significato.
“Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini. e la grazia di Dio era su di lui”.
L'evangelista Luca usa per Gesù l'esperienza del giovane Samuele: “andava crescendo in statura e in bontà davanti al Signore e agli uomini.” (1Sam 2,26). Gesù però deve attendere che giunga la sua ora, l'ora in cui la crescita sarà compiuta; allora si presenterà come il profeta che supera tutti i profeti per la sapienza della sua conoscenza di Dio.
Per concludere possiamo dire che l’atteggiamento di Maria esprime lo sviluppo della fede di chi vuole crescere e progredire per poter comprendere il mistero che circonda la vita di ogni essere umano.
Gesù rivela che l’obbedienza a Dio è la condizione essenziale per realizzarsi nella vita, per un cammino di condivisione nella famiglia e nelle comunità. L’obbedienza al Padre è ciò che ci rende fratelli e sorelle, c’insegna a obbedirci l’un l’altro, ad ascoltarci l’un l’altro e a riconoscere l’uno nell’altro il progetto di Dio. In questo clima si creano le condizioni per crescere “in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini” e camminare insieme..
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Le parole di Papa Francesco
“Nel clima di gioia che è proprio del Natale, celebriamo in questa domenica la festa della Santa Famiglia. …..Il Vangelo di oggi invita le famiglie a cogliere la luce di speranza proveniente dalla casa di Nazareth, nella quale si è sviluppata nella gioia l’infanzia di Gesù, il quale – dice san Luca – «cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini»
. Il nucleo familiare di Gesù, Maria e Giuseppe è per ogni credente, e specialmente per le famiglie, un’autentica scuola del Vangelo. Qui ammiriamo il compimento del disegno divino di fare della famiglia una speciale comunità di vita e d’amore. Qui apprendiamo che ogni nucleo familiare cristiano è chiamato ad essere “chiesa domestica”, per far risplendere le virtù evangeliche e diventare fermento di bene nella società. I tratti tipici della Santa Famiglia sono: raccoglimento e preghiera, mutua comprensione e rispetto, spirito di sacrificio, lavoro e solidarietà.
Dall’esempio e dalla testimonianza della Santa Famiglia, ogni famiglia può trarre indicazioni preziose per lo stile e le scelte di vita, e può attingere forza e saggezza per il cammino di ogni giorno. La Madonna e san Giuseppe insegnano ad accogliere i figli come dono di Dio, a generarli e educarli cooperando in modo meraviglioso all’opera del Creatore e donando al mondo, in ogni bambino, un nuovo sorriso. È nella famiglia unita che i figli portano a maturazione la loro esistenza, vivendo l’esperienza significativa ed efficace dell’amore gratuito, della tenerezza, del rispetto reciproco, della mutua comprensione, del perdono e della gioia.
Vorrei soffermarmi soprattutto sulla gioia. La vera gioia che si sperimenta nella famiglia non è qualcosa di casuale e fortuito. E’ una gioia frutto dell’armonia profonda tra le persone, che fa gustare la bellezza di essere insieme, di sostenerci a vicenda nel cammino della vita. Ma alla base della gioia sempre c’è la presenza di Dio, il suo amore accogliente, misericordioso e paziente verso tutti.
Se non si apre la porta della famiglia alla presenza di Dio e al suo amore, la famiglia perde l’armonia, prevalgono gli individualismi, e si spegne la gioia. Invece la famiglia che vive la gioia, la gioia della vita, la gioia della fede, la comunica spontaneamente, è sale della terra e luce del mondo, è lievito per tutta la società.
Gesù, Maria e Giuseppe benedicano e proteggano tutte le famiglie del mondo, perché in esse regnino la serenità e la gioia, la giustizia e la pace, che Cristo nascendo ha portato come dono all’umanità.”
Papa Francesco Parte dell’Angelus del 27 dicembre 2017
Gesù, Maria e Giuseppe
A voi, Santa Famiglia di Nazareth,
oggi, volgiamo lo sguardo con ammirazione e confidenza;
in voi contempliamola bellezza della comunione nell'amore vero;
a voi raccomandiamo tutte le nostre famiglie,
perché si rinnovino in esse le meraviglie della grazia.
Santa Famiglia di Nazareth,scuola attraente del santo Vangelo:
insegnaci a imitare le tue virtù con una saggia disciplina spirituale,
donaci lo sguardo limpido che sa riconoscere l'opera della Provvidenza
nelle realtà quotidiane della vita.
Santa Famiglia di Nazareth, custode fedele del mistero della salvezza:
fa' rinascere in noi la stima del silenzio,
rendi le nostre famiglie cenacoli di preghiera e trasformale
in piccole Chiese domestiche,
rinnova il desiderio della santità, sostieni la nobile fatica del lavoro, dell'educazione,
dell'ascolto, della reciproca comprensione e del perdono.
Santa Famiglia di Nazareth, ridesta nella nostra società la consapevolezza
del carattere sacro e inviolabile della famiglia, bene inestimabile e insostituibile.
Ogni famiglia sia dimora accogliente di bontà e di pace
per i bambini e per gli anziani, per chi è malato e solo,
per chi è povero e bisognoso.
Gesù, Maria e Giuseppe
voi con fiducia preghiamo, a voi con gioia ci affidiamo.
Preghiera di Papa Francesco per il Sinodo sulla Famiglia (27 ottobre 2013)