Siamo giunti alla quinta domenica di Pasqua e la liturgia ci propone delle letture che ci invitano a realizzare di più l’amore fraterno che “fa nuove tutte le cose” e rivela il vero volto di Dio. In questo giorno si celebra la giornata di sensibilizzazione per il sostegno economico della Chiesa cattolica.
Nella prima lettura, tratta dagli Atti degli apostoli, Paolo e Barnaba danno coraggio ai discepoli esortandoli a restare saldi nella fede «perché – dicevano – dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni».
Nella seconda lettura, tratta dal libro dell’Apocalisse, Cristo risorto ha operato la piena trasformazione dell’uomo e del mondo. L’uomo, liberato dal male e dal peccato, è diventato “dimora di Dio” e l’orizzonte del mondo si apre su “un cielo nuovo e una terra nuova.”
L’aggettivo “nuovo” caratterizza anche il passo del Vangelo di Giovanni in cui Gesù nel contesto dell’ultima cena propone il Suo “comandamento nuovo”. Gesù lo fa rivolgendosi ai suoi discepoli chiamandoli teneramente “figlioli”. E’ l’unica volta che li chiama così e lo fa nel dare loro il Suo comandamento nuovo. Ed è nuovo perchè è la clausola fondamentale e unica della “nuova alleanza”, annunziata già più di 500 anni prima dal profeta Geremia,(31,31-34) ed ora inaugurata dalla Pasqua di Cristo. E’ un amore che diventa l’unico segno di riconoscimento dell’appartenenza alla comunità di Gesù Cristo, la testimonianza più viva e autentica per chi vive e crede in Lui.
Dagli Atti degli Apostoli
In quei giorni, Paolo e Bàrnaba ritornarono a Listra, Iconio e Antiochia, confermando i discepoli ed esortandoli a restare saldi nella fede «perché – dicevano – dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni». Designarono quindi per loro in ogni Chiesa alcuni anziani e, dopo avere pregato e digiunato, li affidarono al Signore, nel quale avevano creduto.
Attraversata poi la Pisìdia, raggiunsero la Panfìlia e, dopo avere proclamato la Parola a Perge, scesero ad Attàlia; di qui fecero vela per Antiochia, là dove erano stati affidati alla grazia di Dio per l’opera che avevano compiuto. Appena arrivati, riunirono la Chiesa e riferirono tutto quello che Dio aveva fatto per mezzo loro e come avesse aperto ai pagani la porta
della fede.
At 14, 21b-27
Il brano descrive la parte finale del primo viaggio missionario di Paolo (At 13-14), che presenta le caratteristiche della missione apostolica quando è diretta a comunità già formate.
L’attività di Paolo e Barnaba a Derbe, viene così descritta nel versetto precedente, non riportato nel brano: «Dopo aver annunciato il Vangelo a quella città e fatto un numero considerevole di discepoli, ritornarono a Listra, Icònio e Antiochia».
Con i due verbi “evangelizzare” e “fare discepoli” Luca mette in luce una feconda attività fatta soprattutto di contatti personali, che ha come risultato l’aggregazione di un buon numero di persone. Quando la comunità dà segno di poter continuare da sola il suo cammino, Paolo e Barnaba ritornano a Listra, Iconio e Antiochia di Pisidia.
Essi dunque ripercorrono a ritroso il cammino fatto e incontrano le comunità precedentemente fondate. Ciò offre loro l’occasione di incoraggiare i discepoli e di esortarli a “restare saldi nella fede, perché – dicevano – dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni”. Con queste parole, che non nascondevano la realtà, li rendevano consapevoli che la strada per entrare nel regno di Dio non era scevra da molte dure prove.
Luca aggiunge che in ogni comunità costituirono degli anziani (dei presbiteri). “e dopo avere pregato e digiunato, li affidarono al Signore, nel quale avevano creduto.”
E’ da notare che l’elezione non viene fatta dalla comunità come si usava presso gli Ebrei della diaspora, ed è Luca che attribuisce a Paolo l’introduzione di una struttura che in realtà si è affermata solo qualche decennio dopo la sua morte.
Paolo e Barnaba attraversano poi la Pisidia e raggiungono la Panfilia dove evangelizzano Perge, la città dove Marco si era separato da loro. Scendono poi ad Attalìa e di lì raggiungono via mare Antiochia di Siria, là dove erano stati affidati alla grazia del Signore per l'impresa che avevano compiuto.
Ad Antiochia riuniscono la comunità e “riferiscono” tutto quello che Dio aveva compiuto per mezzo loro e come avevano aperto ai pagani la porta della fede.
Salmo 144 - Benedirò il tuo nome per sempre, Signore.
Misericordioso e pietoso è il Signore,
lento all’ira e grande nell’amore.
Buono è il Signore verso tutti,
la sua tenerezza si espande su tutte le creature.
Ti lodino, Signore, tutte le tue opere
e ti benedicano i tuoi fedeli.
Dicano la gloria del tuo regno
e parlino della tua potenza.
Per far conoscere agli uomini le tue imprese
e la splendida gloria del tuo regno.
Il tuo regno è un regno eterno,
il tuo dominio si estende per tutte le generazioni.
Molti sono i frammenti di altri salmi che entrano nella composizione di questa composizione, che tuttavia risulta bellissima nella sua forma alfabetica e ricca di stimoli alla fede, alla speranza, alla pietà, alla lode.
Il salmo è uno dei più recenti del salterio, databile nel III o II secolo a.C.
… Il salmista fa un attimo di riflessione sulla misericordia di Dio, riconoscendo la sua pazienza verso il suo popolo. E' il momento dell'umiltà. La lode non può essere disgiunta dall'umile consapevolezza di essere peccatori: “Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore. Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature“. “Su tutte le creature”, cioè su tutti gli uomini, e pure sugli animali (Cf. Ps 35,7; 103,21).
Il salmista desidera che tutte le opere di Dio diventino lode a Dio sul labbro dei fedeli: “Ti lodino, Signore, tutte le tue opere e ti benedicano i tuoi fedeli. Dicano la gloria del tuo regno...”. “Tutte le tue opere”, anche quelle inanimate (Cf. Ps 148). Il significato profondo di questo invito cosmico sta nel fatto che, il salmista vede le creature come bloccate da una cappa buia posta dalle divinizzazioni pagane. Il salmista desidera che esse siano libere da quella cappa, che nega loro la glorificazione del Creatore.
La lode a Dio sul labbro dei fedeli diventa annuncio a tutti gli uomini: “Per far conoscere agli uomini le tue imprese e la splendida gloria del tuo regno”. “Il regno” (malkut) è Israele e le “imprese” sono quelle della liberazione dall'Egitto, ecc. Terminata la successione monarchica dopo la deportazione a Babilonia, Israele, pur senza scartare minimamente la tensione verso il futuro re, il Messia, si collegò alla tradizione premonarchica dove il re era unicamente Dio. Nel libro dell'Esodo si parla di Israele come regno (19,6): “Un regno di sacerdoti e una nazione santa”. Israele come regno di Dio si manifesta in modo evidente mediante l'osservanza della legge data sul Sinai; ma Israele non è solo suddito di Dio, ma anche figlio (Cf. Es 4,22). ….
Il cristiano nella potenza dello Spirito Santo annuncia le grandi opere del Signore (At 2,11), che sono quelle relative a Cristo: la salvezza, la liberazione dal peccato, ben più alta e profonda di quella dall'Egitto; il regno di Dio posto nel cuore dell'uomo e tra gli uomini in Cristo, nel dono dello Spirito Santo; i cieli aperti, il dono dei sacramenti, massimamente l'Eucaristia.
Commento di P.Paolo Berti
Dal libro dell’Apocalisse di S.Giovanni Apostolo
Io, Giovanni, vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima infatti erano scomparsi e il mare non c’era più. E vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii allora una voce potente, che veniva dal trono e diceva:
«Ecco la tenda di Dio con gli uomini!
Egli abiterà con loro
ed essi saranno suoi popoli
ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio.
E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi
e non vi sarà più la morte
né lutto né lamento né affanno,
perché le cose di prima sono passate».
E Colui che sedeva sul trono disse:
«Ecco, io faccio nuove tutte le cose».
Ap 21,1-5ª
Questo brano fa parte di quella sezione dell’Apocalisse in cui si descrive la definitiva e totale sconfitta del male, qui simbolicamente rappresentato dal mare (il mare, è il luogo di vita del drago e simbolo del male (Gb 7,12+), che, come al tempo del primo esodo, scomparirà, per sempre davanti alla marcia trionfale del nuovo popolo di Dio, che sarà definitivamente liberato da ogni tribolazione
Il brano inizia riportando la visione:
“Io, Giovanni, vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima infatti erano scomparsi e il mare non c’era più.”.
Nei versetti precedenti era stato descritto il giudizio finale in cui la morte e l'inferno vengono distrutti, gettati nel lago di fuoco come anche coloro che avevano fatto il male, cioè subivano la seconda morte. Dopo questo scenario di distruzione compare un cielo nuovo e una terra nuova, la nuova creazione. Tutto è stato ripreso in mano da Dio e ricreato, senza peccato, senza ribellione verso di Lui. Infatti il mare non c'era più. Nella concezione semitica il mare, profondo e misterioso, spesso caotico e abitato da animali enormi e spaventosi, è il simbolo del male.
“E vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo”
In questa nuova creazione scende la "nuova Gerusalemme", simbolo della comunione del popolo con il suo Dio. La città santa viene da Dio, in essa appare ora in tutta la sua estensione la potenza e la grazia di Dio. E' adornata come una sposa, per il suo sposo.
“Udii allora una voce potente, che veniva dal trono e diceva:«Ecco la tenda di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro ed essi saranno suoi popoli ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio.”
Una voce che veniva in modo misterioso dal trono spiega la visione presentando la tenda di Dio con gli uomini.
Un tempo il Signore abitava nella Tenda e poi nel Tempio, poi nei tabernacoli della Nuova Alleanza. Quei simboli trovano ora il suo compimento: la Città santa è l'abitazione di Dio. Dio è presente direttamente in tutto, Dio e l'umanità si appartengono completamente, come un vincolo matrimoniale. Tutti i popoli finalmente sono entrati in comunione con Dio.
“E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate».
Questa immagine è straordinaria, molto commovente. Dio asciugherà ogni lacrima, consola come soltanto Lui può consolare, non esorta a dimenticare bensì trasfigura le ferite. Tutto ciò che è passeggero, terrestre, doloroso, è stato trasformato nella nuova creazione. Il Dio che pone la tenda della Sua presenza in mezzo agli uomini è il vivente; in Lui non può sussistere né la sofferenza, né la morte!
E Colui che sedeva sul trono disse: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose».
Chi siede sul trono è Dio che dichiara: Ecco, io faccio nuove tutte le cose. Egli che è l'onnipotente, fa nuove tutte le cose. Realizza pienamente tutto ciò che era iniziato con la redenzione di Cristo ed è stato realizzato all'interno della storia della salvezza. Al principio Dio … e al termine Dio! Il tempo è inglobato nell’eterno presente di Dio.
Dal vangelo secondo Giovanni
Quando Giuda fu uscito[dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito.
Figlioli, ancora per poco sono con voi.
Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.
Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».
Gv 13, 31-33a,34-35
Questo brano tratto dal capitolo 13 di Giovanni ci riporta nel contesto dell'ultima cena: Gesù e i discepoli sono nel cenacolo e Lui ha rivelato che uno di loro lo avrebbe tradito e su richiesta di Giovanni lo aveva indicato come colui che aveva intinto il boccone nel piatto insieme a Lui. In quel momento Satana era entrato in Giuda e Gesù gli aveva detto: "Quello che vuoi fare, fallo presto". Quindi Giuda esce, ed è notte.
E' un momento molto drammatico di forte tensione. Gesù, che fino a pochi momenti prima era profondamente turbato nel dire che uno dei suoi lo avrebbe tradito (Gv 13,21), ora invece sembra esultare per la gloria che gli è stata data già in quel momento.
“Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito”. Il verbo “è stato glorificato” esprime il momento decisivo della missione di Gesù e si riferisce in modo totale alla Sua passione, morte, risurrezione e ascensione. È Dio che glorifica il Figlio dell’uomo; tuttavia si sottolinea anche che Dio stesso è glorificato “in lui” a motivo del dono volontario di sé con cui Gesù porta a compimento il suo disegno di salvezza. .
Il mistero della gloria di Dio è talmente profondo che in pochi versetti il verbo glorificare ritorna cinque volte e le parole “in lui” più volte. Questo mistero della gloria ci manifesta un altro mistero: l'unità profonda che vi è tra il Padre e il Figlio. Il Figlio con la sua morte e risurrezione mostra a tutti la gloria del Padre, ma anche il Padre glorifica il Figlio poiché ha rinunciato alla sua gloria abbassandosi all'incarnazione e alla morte infamante della croce.
Non è il suo abbassamento che lo ha glorificato, ma il motivo per cui l'ha fatto: la salvezza degli uomini. Il Cristo aveva già la sua gloria (cf. Gv 17,5: Padre, glorificami davanti a te, con quella gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse). Con l'incarnazione sembra averla abbandonata, ma di fatto tale gloria si manifesta in modo ancora più splendido in tutto ciò che Egli ha compiuto per il bene dell'umanità: ci ha fatto conoscere la grandezza di Dio e ci ha riscattato dal male e dalla morte.
“Figlioli, ancora per poco sono con voi”.
Con questo versetto inizia il discorso di addio di Gesù ai suoi discepoli. E’ stato saltato il versetto che dice: "voi mi cercherete, ma come ho già detto ai Giudei, lo dico ora anche a voi: dove vado io voi non potete venire” e si riferisce alla sua morte imminente. Gesù sta per andarsene e cerca di far capire ai suoi discepoli i motivi della separazione da loro, ma darà anche la promessa di un suo ritorno e della piena comunione che li unirà al loro maestro una volta compiuta la sua ora .
“Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.“ Il precetto dell’amore appare già nel contesto dell’alleanza del Sinai come compendio di tutta la legge (Lv 19,18.34), ma i profeti avevano predetto una nuova alleanza, in forza della quale la legge dell’amore non sarà più scritta su tavole di pietra, ma sul cuore del popolo (Ger 31,31-34; Dt 30,6; Ez 36,24-28). Ma la vera novità del comandamento di Gesù sta nel come bisogna amare: “Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.”
La particella “come” non stabilisce solo un confronto tra l’amore che i discepoli devono praticare e quello che Gesù ha avuto nei loro confronti, ma ne indica anche il fondamento e l’origine. Gesù diventa così la fonte e il modello dell’autentico amore cristiano.
In realtà la nuova legge è Gesù stesso in quanto esprime in termini umani l’amore di Dio.
Gesù conclude con questa affermazione: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri”.
Gesù propone anche a noi oggi di amarci gli uni gli altri come Lui ci ha amato, e se noi fossimo capaci di amare gli altri con l’intensità e la radicalità con cui ci ama Gesù Cristo-Dio, potremmo davvero cambiare la realtà, creare come i primi discepoli di Gesù una comunità su cui fondare il rinnovamento del mondo.
++++++++++++++++++++
E come dimenticare le parole di Papa Francesco:
"Per Dio noi non siamo numeri, siamo importanti, anzi siamo quanto di più importante Egli abbia; anche se peccatori, siamo ciò che gli sta più a cuore. Lasciamoci avvolgere dalla misericordia di Dio; confidiamo nella sua pazienza che sempre ci dà tempo; abbiamo il coraggio di tornare nella sua casa, di dimorare nelle ferite del suo amore, lasciandoci amare da Lui, di incontrare la sua misericordia nei Sacramenti. Sentiremo la sua tenerezza, sentiremo il suo abbraccio e saremo anche noi più capaci di misericordia, di pazienza, di perdono, di amore“.