La festa del Corpus Domini, più propriamente chiamata solennità del santissimo Corpo e Sangue di Cristo, è una delle principali solennità dell'anno liturgico e la celebrazione, chiudendo il ciclo delle feste del dopo Pasqua, vuole celebrare il mistero dell'Eucaristia. Questa festa è stata istituita nel lontano 1264 da Papa Urbano IV a ricordo del miracolo eucaristico avvenuto nel 1263 a Bolsena.
La liturgia ci propone per questa celebrazione, nella prima lettura, un brano tratto dal Libro della Genesi, in cui incontriamo la figura di Melchisedek, che molto tempo prima della venuta di Cristo, offrì a Dio del pane e del vino, segno misterioso e anticipatore dell’Eucaristia.
Nella seconda lettura, tratta dalla prima lettera ai Corinzi, San Paolo, facendo memoria dell’ultima Cena, presenta il racconto dell’istituzione dell’Eucaristia.
Nel Vangelo di San Luca troviamo il racconto del famoso miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Anche oggi la Chiesa, come già al tempo degli apostoli, legge il miracolo del pane in chiave eucaristica e fa compiere a Gesù i gesti dell’ultima cena: prende...benedice...spezza...dona . Come nell’ultima Cena, Gesù comanda agli apostoli di preparare da mangiare, ma è Lui in realtà che dona. L’uomo, nel suo cammino terreno, non è mai sazio perché la sua fame non è di solo pane, ma è fame di Dio.
Dal Libro della Genesi
In quei giorni, Melchìsedek, re di Salem, offrì pane e vino: era sacerdote del Dio altissimo e benedisse Abram con queste parole: «Sia benedetto Abram dal Dio altissimo, creatore del cielo e della terra, e benedetto sia il Dio altissimo, che ti ha messo in mano i tuoi nemici».
E [Abramo] diede a lui la decima di tutto.
Gen 14,18-20
Il Libro della Genesi è il primo libro del Pentateuco (cinque libri; in origine tutti in un unico rotolo: la Torà) e tratta delle origini dell’universo, del genere umano, del peccato originale, della storia dei patriarchi prediluviani, della chiamata di Abramo fino alla morte di Giacobbe. È stato scritto in ebraico e, secondo gli esperti, la sua redazione definitiva, ad opera di autori ignoti, è collocata al VI-V secolo a.C. in Giudea, sulla base di precedenti tradizioni orali e scritte. Nei primi 11, dei suoi 50 capitoli, descrive la cosiddetta "preistoria biblica" (creazione, peccato originale, diluvio universale), e nei rimanenti la storia dei patriarchi, Abramo, Isacco,Giacobbe-Israele e di Giuseppe, le cui vite si collocano nel vicino oriente del II millennio a.C. (attorno al 1800-1700 a.C).
Per capire il brano liturgico è importante conoscere l’antefatto.
Dopo il racconto della vocazione di Abram, al quale Dio promette di conferire una speciale benedizione e di far sorgere da lui un grande popolo, segue quello del suo arrivo a Sichem, presso la Quercia di More, ma nel paese si trovavano allora i cananei. E’ solo in questo momento che Dio fa ad Abram anche la promessa di dare proprio quella terra alla sua discendenza.
Subito dopo l'arrivo nella terra di Canaan, Abram è costretto da una carestia ad andare in Egitto, in cui vediamo che in certi frangenti Abram manifesta anche la sua mediocrità e la sua poca fede. Ma Dio interviene sempre per riparare gli errori umani e fare in modo che la Sua promessa si attui.
Poi c’è il racconto della separazione di Lot da Abram e la generosità del patriarca di far scegliere a Lot il luogo in cui abitare, per cui ad Abram resta la zona montagnosa della Palestina. E subito Dio gli appare per dirgli che tutta quella regione apparterrà un giorno ai suoi discendenti. Si narra anche un incidente increscioso: in seguito all'incursione di quattro re orientali Lot viene fatto prigioniero. Abram allora raccoglie i suoi uomini, insegue le truppe dei quattro re e libera suo nipote (Gen 14,1-17).
Al suo ritorno da questa spedizione ha luogo nella Valle del re, vicino a Gerusalemme, l'incontro con Melchisedek.
Il brano che la liturgia ci propone è solo la parte iniziale di questo racconto. Melchisedek appare improvvisamente, senza alcun rapporto con Abram e il suo seguito. Egli è il re di Salem, (dopo il Sal 76,3, tutta la tradizione giudaica e molti Padri hanno identificato Salem con Gerusalemme) e benedice Abram con queste parole: “Sia benedetto Abram dal Dio altissimo, creatore del cielo e della terra, e benedetto sia il Dio altissimo, che ti ha messo in mano i tuoi nemici”.
La benedizione è una parola efficace e irrevocabile che, anche pronunziata da un uomo, trasmette l’effetto che vi si esprime, poiché è Dio che benedice, ma anche l’uomo, a sua volta, benedice Dio, loda la sua grandezza e la sua bontà nello stesso tempo in cui augura di vederle affermarsi ed estendersi. Qui le due benedizioni sono associate. Abram dimostra di gradire questa benedizione di Melchisedek dando “a lui la decima di tutto”
Il Salmo 110(109), vedrà in lui una figura del Messia, re e sacerdote, e l’autore della lettera agli Ebrei, l’applicherà a Cristo. La tradizione patristica arricchirà questa esegesi allegorica vedendo nel pane e nel vino offerti da Melchisedek ad Abramo non solo un tipo di Eucaristia, ma anche un vero sacrificio, tipo del sacrificio eucaristico, fissando questa interpretazione nella preghiera eucaristica della Messa… “oblazione pura e santa di Melchisedeck, tuo sommo sacerdote” .
Salmo 109/110 «Tu sei sacerdote per sempre, Cristo Signore.»
Oràcolo del Signore al mio Signore:
«Siedi alla mia destra,
finché io ponga i tuoi nemici
a sgabello dei tuoi piedi».
Lo scettro del tuo potere
stende il Signore da Sion:
«Domina in mezzo ai tuoi nemici.
A te il principato nel giorno della tua potenza
tra santi splendori;
dal seno dell'aurora,
come rugiada, io ti ho generato».
Il Signore ha giurato
e non si pente:
«Tu sei sacerdote per sempre
al modo di Melchisedek».
Il Vangelo (Mt 22,44) afferma che questo salmo è stato scritto da Davide.
Davide presenta il Messia come il Signore, il che vuol dire che lo riconosce superiore a lui.
“”; Dio presenta al Messia l'evento della sua intronizzazione in cielo. Egli sedendo alla destra del Padre è il suo plenipotenziario (Cf. At 2,33s; Eb 1,13; 10,12; 1Pt 3,22).
Davide dice che il suo potere regale si è affermato a Sion: ”Lo scettro del tuo potere stende il Signore da Sion”. La regalità di Cristo si è affermata con la conquista del genere umano operata sulla croce.
“Domina in mezzo ai tuoi nemici”; nessuno, dunque, potrà mai scalzare il suo dominio; ed egli è il giudice di tutti. Il “regno della terra” gli viene dato nel giorno della sua potenza, cioè della manifestazione della sua vittoria, che si avrà con la sua morte e risurrezione e l'ingresso trionfale in cielo. Trionfo avvenuto “tra santi splendori”, cioè nell'osanna delle schiere angeliche.
“Dal seno dell'aurora, come rugiada, io ti ho generato”; la risurrezione è unita alla glorificazione dell'umanità del Cristo. La glorificazione è presentata poeticamente come un nascere “dal seno dell'aurora”. Egli risorto e glorioso non cessa di essere in relazione con la terra, anzi la sua risurrezione lo costituisce come “rugiada” per la terra.
Egli è re per sempre e sacerdote per sempre. Non possiede un sacerdozio per via di nascita dalla tribù di Levi come era quello Aronitico, ma per elezione di Dio, come era quello di Melchisedek (Eb 5,6).
Dio sarà alla sua destra nel senso che la battaglia escatologica (il dies irae) contro i suoi nemici la condurrà su comando del Padre, il quale ne deciderà il momento (At 1,7): “Il Signore è alla tua destra! Egli abbatterà i re nel giorno della sua ira”.
Il Messia si disseterà “al torrente”, cioè vivrà lontano dagli agi di una corte terrena, e solleverà “alta la testa”, perché non avrà cedimenti col mondo.
Commento di P.Paolo Berti
Dalla 1^ lettera di S.Paolo apostolo ai Corinzi
Fratelli, io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me».
Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me».
Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga.
1Cor 11,23-26
Paolo scrivendo ai Corinzi, poco più di 20 anni dalla morte e resurrezione di Cristo, ci offre una preziosa descrizione della celebrazione eucaristica. Questo testo, il primo e il più antico sulla celebrazione eucaristica, si inserisce in un contesto di rimprovero per gli abusi contro la carità che venivano fatti nei riguardi dei più piccoli e poveri. Infatti, l’Apostolo (nei versetti precedenti 11,17-22 non riportati dalla liturgia odierna) rimprovera i Corinzi perchè era venuto a sapere che nelle loro assemblee c’erano divisioni.
In una situazione del genere le riunioni dovevano essere piuttosto fredde, ogni gruppo si isolava dall’altro e non vi era quindi condivisione, come dimostra il fatto che alcuni prendevano il pasto portato da casa, prima della cena del Signore, finendo poi per ubriacarsi, mentre altri, non avendo nulla, continuavano a rimanere nella fame.
Paolo propone allora un salutare ritorno alle origini della fede: se i Corinzi si sono dimenticati la ragione del loro riunirsi è bene ricordarglielo, per questo in tono solenne Paolo fa memoria dell’evento della Cena Eucaristica, iniziando dalla notte del tradimento. A consegnare Gesù non è solo "Giuda il traditore" né solo i sommi sacerdoti, gli anziani del popolo e Pilato. In quella notte è Gesù stesso che si consegna alla morte per amore: ed è il Padre che lo consegna "per tutti noi". La Messa dunque fa memoria e attualizza questo evento che è il fulcro della storia. Veste della Messa è il rito, la celebrazione, e indipendentemente dal valore del celebrante e della fede e partecipazione dei fedeli presenti, quel che conta è il significato di quello che avviene sull'altare. Gesù stesso, al momento della Consacrazione, si rende presente, in modo sacramentale, e con il Suo sacrificio d'amore si fa cibo per ognuno di noi.
La Chiesa vive di questo Pane e di questo Vino che sono il Corpo e il Sangue di Cristo immolato. Vive e cresce, purificata, santificata da Gesù che ancora "si dà per la vita di tutti". Paolo lo ribadisce dicendo: Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga.
Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure.
Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta».
Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare».
Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». C’erano infatti circa cinquemila uomini.
Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». Fecero così e li fecero sedere tutti quanti.
Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla.
Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.
Lc 9, 11b-17
Questo brano è tratto dal capitolo 9 che Luca dedica alla missione dei Dodici. Gesù aveva data loro potere e autorità sui demoni e di curare le malattie, e li aveva inviati ad annunziare il regno di Dio e a guarire gli infermi. E' un'anticipazione di quanto i discepoli compiranno negli Atti degli apostoli. Nel versetto successivo Luca riporta le considerazioni di Erode sulla figura e alle opere di Gesù, poi riporta l’attenzione sugli apostoli che ritornano da Gesù e gli raccontano ciò che hanno compiuto.
Nel brano parallelo l’evangelista Marco ricorda che Gesù invitò gli apostoli a riposare un po' in un luogo solitario, mentre Luca dice solo che li prese con sé e insieme si ritirarono in un luogo vicino alla città di Betsaida. 1* Ma le folle vennero a saperlo e lo seguirono.
“Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure.”
Gesù voleva forse far riposare i suoi discepoli dopo averli mandati in missione o approfondire il suo insegnamento, ma è costretto a far fronte a un cambiamento di programma. Le folle lo seguono e Lui le accoglie, parlando loro del regno di Dio e guarendo quanti avevano bisogno di cure. Gesù dunque continua a svolgere il suo mandato di medico nei confronti dei malati, ma anche a salvare i peccatori dalla loro situazione di prigionia e di morte.
“Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta».”
Gli apostoli prendono l'iniziativa, ma con un'idea piuttosto irrealizzabile: cinquemila persone non potevano essere rifocillate tanto facilmente nemmeno nei villaggi vicini. Si può notare che tra i quattro evangelisti solo Luca accenna all'alloggio. Egli risente probabilmente della geografia greca in cui non è facile passare la notte all'addiaccio, mentre per il clima palestinese questo non sarebbe stato un problema.
“Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente»”.
Gesù aveva già dato ai Dodici il mandato di predicare il vangelo e di guarire i malati. Ora affida loro anche il compito di dare da mangiare alla gente. Il pane e il pesce in salamoia era il cibo che solitamente si portava quando si era in viaggio e poteva bastare per fare cena. Quello che hanno a disposizione è comunque poca cosa. Certo non può bastare per sfamare tutta quella moltitudine. Ancora i Dodici cercano una soluzione "umana", andare loro ad acquistare i viveri per tutta la folla.
“C’erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa».”
Luca ci dice che la folla era composta da circa cinquemila uomini, senza contare perciò le donne e i bambini. Gesù ordina che la folla venga fatta “sedere a gruppi di cinquanta circa”. Li fa dunque accomodare e l'indicazione dei gruppi di 50 ricorda le suddivisioni del popolo di Israele nel deserto (V. Es 18,21.25). E' interessante notare che Gesù suddivide la folla in gruppi: non vuole che siano una massa anonima, ma che tra di loro si sentano un'unità dentro una realtà più grande. E' quello che accade a noi, non siamo soli nel rapporto con il Signore, ma siamo chiamati a viverlo all'interno di una comunità, ad avere dei compagni di cammino.
“Fecero così e li fecero sedere tutti quanti”. Anche a Emmaus i commensali erano seduti a tavola, quando Gesù spezzò il pane (Lc 24,30). Tutti siamo chiamati a sederci e a condividere questo pane, come quando condividiamo il cibo a casa nostra con i nostri familiari.
“Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla”.
A questo punto l’evangelista anticipa i gesti di Gesù sul pane e sul vino nell’Eucaristia:“Prese i cinque pani, alzò gli occhi al cielo”, in segno di comunione piena con il Padre, “recitò su di essi la benedizione, li spezzò”, sono le stesse parole dell’Eucaristia, quindi in questo episodio l’evangelista tratteggia il suo significato profondo. E’ interessante anche il particolare della presenza dei pesci, infatti nella parola greca con cui si identifica il pesce “ichtùs”, si leggeva l’ideogramma Iesùs Christòs Theòu Uiòs Sotèr,: Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore
“Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.”
L'episodio termina con un quadro di abbondanza e di pienezza. Il banchetto e la sazietà è un simbolo dei tempi messianici. Gesù realizza in pienezza le anticipazioni della storia di Israele. Egli è il nuovo Mosè che sfama le folle nel deserto. E' il nuovo Eliseo che con 20 pani di orzo e farro aveva sfamato 100 persone (2Re 4,42-44). Gesù è più importante di tutti loro. La manna scendeva dal cielo per opera di Dio e non di Mosè. Interessante anche sottolineare alcuni nomi utilizzati: gli avanzi vengono indicati con il nome di klasma, che nella comunità primitiva era l'avanzo del pane consacrato, che veniva custodito gelosamente dopo la celebrazione dell'Eucaristia. Il nome delle ceste indica quelle utilizzate per il trasporto del vitto dei soldati, quindi avevano una certa capienza. Le ceste erano dodici come il numero delle tribù d’Israele. Dio continua a provvedere al suo popolo. Il dodici può essere riferito anche ai dodici apostoli: c'è un'abbondanza che essi devono conservare e distribuire alla Chiesa.
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“Fate questo in memoria di me».
Per due volte l’apostolo Paolo, scrivendo alla comunità di Corinto, riporta questo comando di Gesù nel racconto dell’istituzione dell’Eucaristia. E’ la testimonianza più antica sulle parole di Cristo nell’Ultima Cena.
«Fate questo». Cioè prendete il pane, rendete grazie e spezzatelo; prendete il calice, rendete grazie e distribuitelo. Gesù comanda di ripetere il gesto con cui ha istituito il memoriale della sua Pasqua, mediante il quale ci ha donato il suo Corpo e il suo Sangue. E questo gesto è giunto fino a noi: è il “fare” l’Eucaristia, che ha sempre Gesù come soggetto, ma si attua attraverso le nostre povere mani unte di Spirito Santo.
«Fate questo». Già in precedenza Gesù aveva chiesto ai discepoli di “fare”, quello che Lui aveva già chiaro nel suo animo, in obbedienza alla volontà del Padre. Lo abbiamo ascoltato poco fa nel Vangelo. Davanti alle folle stanche e affamate, Gesù dice ai discepoli: «Voi stessi date loro da mangiare».
In realtà, è Gesù che benedice e spezza i pani fino a saziare tutta quella gente, ma i cinque pani e i due pesci vengono offerti dai discepoli, e Gesù voleva proprio questo: che, invece di congedare la folla, loro mettessero a disposizione quel poco che avevano. E poi c’è un altro gesto: i pezzi di pane, spezzati dalle mani sante e venerabili del Signore, passano nelle povere mani dei discepoli, i quali li distribuiscono alla gente. Anche questo è “fare” con Gesù, è “dare da mangiare” insieme con Lui. E’ chiaro che questo miracolo non vuole soltanto saziare la fame di un giorno, ma è segno di ciò che Cristo intende compiere per la salvezza di tutta l’umanità donando la sua carne e il suo sangue (cfr Gv 6,48-58).
E tuttavia bisogna sempre passare attraverso quei due piccoli gesti: offrire i pochi pani e pesci che abbiamo; ricevere il pane spezzato dalle mani di Gesù e distribuirlo a tutti. Fare e anche spezzare!
Spezzare: questa è l’altra parola che spiega il senso del «fate questo in memoria di me». Gesù si è spezzato, si spezza per noi. E ci chiede di darci, di spezzarci per gli altri. Proprio questo “spezzare il pane” è diventato l’icona, il segno di riconoscimento di Cristo e dei cristiani. Ricordiamo Emmaus: lo riconobbero «nello spezzare il pane» (Lc 24,35). Ricordiamo la prima comunità di Gerusalemme: «Erano perseveranti […] nello spezzare il pane» (At 2,42).
E’ l’Eucaristia, che diventa fin dall’inizio il centro e la forma della vita della Chiesa. Ma pensiamo anche a tutti i santi e le sante – famosi o anonimi – che hanno “spezzato” sé stessi, la propria vita, per “dare da mangiare” ai fratelli. Quante mamme, quanti papà, insieme con il pane quotidiano, tagliato sulla mensa di casa, hanno spezzato il loro cuore per far crescere i figli, e farli crescere bene! Quanti cristiani, come cittadini responsabili, hanno spezzato la propria vita per difendere la dignità di tutti, specialmente dei più poveri, emarginati e discriminati! Dove trovano la forza per fare tutto questo? Proprio nell’Eucaristia: nella potenza d’amore del Signore risorto, che anche oggi spezza il pane per noi e ripete: «Fate questo in memoria di me».
Possa anche il gesto della processione eucaristica, che tra poco compiremo, rispondere a questo mandato di Gesù. Un gesto per fare memoria di Lui; un gesto per dare da mangiare alla folla di oggi; un gesto per spezzare la nostra fede e la nostra vita come segno dell’amore di Cristo per questa città e per il mondo intero. “
Papa Francesco Parte dell’ Omelia del 26 maggio 2016
1* L'indicazione geografica non è del tutto plausibile, poiché attorno a Betsaida non vi sono zone deserte, come faranno invece notare gli apostoli al v. 12. Sicuramente Luca non aveva molta conoscenza della geografia della Palestina oppure gli serviva un aggancio per giustificare le invettive che Gesù rivolgerà nel capitolo seguente alle città di Corazin e di Betsaida, appunto (cf. Lc 10,13)