Siamo giunti alla terza domenica di quaresima, e al centro della liturgia odierna troviamo l’acqua come punto di convergenza e di incontro di due interlocutori: l’uomo e Dio. Dal profondo del suo essere l’uomo muove verso un “di più”, un assoluto capace di acquietare e di estinguere la sua sete in modo definitivo. Ma solo in Dio, che ci ha fatto e pensati fin dall’eternità, possiamo trovare un’acqua che plachi ogni inquietudine e appaghi ogni desiderio.
La prima lettura, tratta dal libro dell’Esodo, che è il libro dei doni di Dio, ci presenta il popolo di Israele, ormai libero e peregrinante nel deserto, si lamenta con Mosè per l’arsura. Dio interviene concedendo l’acqua e si dimostra roccia, cioè forza e difesa del Suo popolo. Questo dono dell’acqua porta noi oggi a pensare all’acqua sacramentale del Battesimo.
Nella seconda lettura, San Paolo nella sua lettera ai Romani, ribadisce che nel battesimo nasciamo a Dio nell’acqua e dallo Spirito Santo e otteniamo la salvezza grazie all’amore che Cristo ci ha dimostrato morendo per noi anche quando eravamo indegni e peccatori
Il Vangelo di Matteo ci presenta il racconto celeberrimo dell’incontro di Gesù con la donna samaritana, con un passato alquanto burrascoso. Ad una simile donna Gesù parla di cose di concetto elevato: la vera fede, quella degli ebrei e dei samaritani, che Dio è spirito e verità; che lui che ha chiesto a lei da bere, (ma che poi le offre l’acqua viva cioè la verità e la salvezza) è il Figlio di Dio, il Messia, il Salvatore del mondo.
Questa pagina del Vangelo è un appello rivolto alla Chiesa perchè spezzi i preconcetti e le paure e annunzi con rispetto, con amore e con gioia a tutti la “buona notizia” del Vangelo. Questa pagina è, però, anche un appello indirizzato a chi ha un passato un po’ “samaritano”, poco ortodosso, perchè sappia che c’è sempre Qualcuno che lo attende e lo accoglie, anche sotto il sole, nel rumore di una giornata qualsiasi.
Dal libro dell'Èsodo.
In quei giorni, il popolo soffriva la sete per mancanza di acqua; il popolo mormorò contro Mosè e disse: «Perché ci hai fatto salire dall’Egitto per far morire di sete noi, i nostri figli e il nostro bestiame?».
Allora Mosè gridò al Signore, dicendo: «Che cosa farò io per questo popolo? Ancora un poco e mi lapideranno!».
Il Signore disse a Mosè: «Passa davanti al popolo e prendi con te alcuni anziani d’Israele. Prendi in mano il bastone con cui hai percosso il Nilo, e va’! Ecco, io starò davanti a te là sulla roccia, sull’Oreb; tu batterai sulla roccia: ne uscirà acqua e il popolo berrà».
Mosè fece così, sotto gli occhi degli anziani d’Israele. E chiamò quel luogo Massa e Merìba, a causa della protesta degli Israeliti e perché misero alla prova il Signore, dicendo: «Il Signore è in mezzo a noi sì o no?».
Es 17, 3-7
L'Esodo è il secondo libro della Bibbia cristiana e della Torah ebraica. È stato scritto in ebraico e, secondo l'ipotesi di molti studiosi, la sua redazione definitiva, ad opera di autori ignoti, è collocata al VI-V secolo a.C. in Giudea, sulla base di precedenti tradizioni orali e scritte. È composto da 40 capitoli, nei primi 14 descrive il soggiorno degli Ebrei in Egitto, la loro schiavitù e la miracolosa liberazione tramite Mosè, mentre nei restanti descrive il soggiorno degli Ebrei nel deserto del Sinai.
Il periodo descritto si colloca intorno al 1300-1200 a.C.
Il libro dell'Esodo è suddiviso in tre grandi sezioni, corrispondenti ai tre momenti della narrazione:
La prima, (capitoli 11,1-15,21), comprende il racconto dell'oppressione degli Ebrei in Egitto, la nascita di Mosè, la fuga di Mosè a Madian e la scelta divina, il suo ritorno in Egitto, le dieci piaghe e l'uscita dal paese. La seconda sezione (15,22-18,27) narra del viaggio lungo la costa del Mar Rosso e nel deserto del Sinai.
La terza (19,1-40,38) riguarda l'incontro tra Dio e il popolo eletto, mediante le tappe fondamentali del decalogo e del codice dell'alleanza, seguito dall'episodio del vitello d'oro e dalla costruzione del Tabernacolo
Questo brano presenta uno dei fatti più comuni che possono capitare nel deserto: la mancanza di acqua. Il popolo “paga il prezzo della sua libertà” e l'assenza totale d'acqua sembra un segno dell'assenza di Dio.
La reazione del popolo è graduale: la sete scatena la “protesta” e cresce in una “mormorazione” contro Mosè. Ma mormorare significa soprattutto rinnegare l'esodo, travisare il senso dei fatti e questo emerge nella domanda sarcastica che il popolo pone a Mosè:
“Perché ci hai fatto salire dall’Egitto per far morire di sete noi, i nostri figli e il nostro bestiame?”.
Israele vede l'Esodo come cammino verso la morte, non verso la vita, perde di vista la terra promessa, vede il deserto, non come luogo di passaggio, ma come un tradimento di un Dio sadico.
Riemerge nel termine “Egitto” il cuore schiavo d'Israele, la nostalgia del passato, il rifiuto della libertà del presente e della vocazione futura: in altre parole significa ripiombare nella logica del popolo schiavo che si accontentava di nutrirsi di “cipolle”.
Mosè innalza a Dio il suo grido “Che cosa farò io per questo popolo? Ancora un poco e mi lapideranno!”.
Dio interviene e ordina a Mosè “Passa davanti al popolo e prendi con te alcuni anziani d’Israele. Prendi in mano il bastone con cui hai percosso il Nilo, e va’! Ecco, io starò davanti a te là sulla roccia, sull’Oreb; tu batterai sulla roccia: ne uscirà acqua e il popolo berrà».
E’ un’azione solenne, quasi un rito liturgico: Mosè deve passare davanti al popolo, per riaffermare il suo ruolo di guida autorevole, seguito processionalmente dagli anziani d'Israele, che fungono da testimoni credibili, e deve recare in mano il bastone dei prodigi d'Egitto che è la prova tangibile delle opere compiute da Dio nei momenti più critici e qui diventa il simbolo della fedeltà del Signore. Questo bastone emblema della potenza e della fedeltà, del Signore, percuotendo l'arida roccia, fa scaturire una sorgente zampillante che estingue la sete del popolo.
“E chiamò quel luogo Massa e Merìba, a causa della protesta degli Israeliti e perché misero alla prova il Signore”. La spiegazione del nuovo nome dato alla località fornisce una chiave di lettura dell'evento: Massa (prova) e Merìba (denuncia) ricordano che in questo luogo Israele ha messo alla prova il Signore e ha denunciato Mosè.
Nel deserto dunque non solo Dio ha messo alla prova l'uomo, ma anche l'uomo ha messo alla prova Dio! Tutte le mormorazioni d'Israele, mostrano un popolo che richiede di continuo l'intervento di Dio per trovare una risposta alla domanda che fa da sfondo anche al pellegrinaggio di fede e alla domanda di ogni uomo: ”Il Signore è in mezzo a noi sì o no?”.
Questa domanda affiora sempre inquietante quando siamo braccati dalle prove della vita. È allora che dobbiamo imparare a percuotere col bastone del nuovo Esodo, la Croce di Cristo!
S. Paolo riconosce in questo evento la prefigurazione del dono dell'Eucaristia. Egli vede, infatti, nella nube e nel passaggio del mar Rosso gli eventi anticipatori del Battesimo (1Cor 10,1-2); nella manna e nell'acqua scaturita dalla roccia vede preannunciata l'Eucaristia: “Tutti (gli israeliti) mangiarono lo stesso cibo spirituale, tutti bevvero la stessa bevanda spirituale: bevvero, infatti, da una roccia spirituale che li accompagnava e quella roccia era il Cristo» (1Cor 10,3-4).
L'interpretazione che ne fa S.Paolo ci spinge a riconoscere nel Battesimo l'inizio del nostro personale cammino di liberazione e nell'Eucaristia la fonte di energia perché questo cammino progredisca. Se, infatti, Israele nel suo esodo poté godere di quei doni divini, la Chiesa, comunità della nuova Alleanza ha nel sacramento dell'Eucaristia la garanzia della presenza di Colui che si è reso cibo e bevanda di vita per il suo popolo.
Salmo 94 Ascoltate oggi la voce del Signore: non indurite il vostro cuore.
Venite, cantiamo al Signore,
acclamiamo la roccia della nostra salvezza.
Accostiamoci a lui per rendergli grazie,
a lui acclamiamo con canti di gioia.
Entrate: prostràti, adoriamo,
in ginocchio davanti al Signore che ci ha fatti.
È lui il nostro Dio
e noi il popolo del suo pascolo,
il gregge che egli conduce.
Se ascoltaste oggi la sua voce!
«Non indurite il cuore come a Merìba,
come nel giorno di Massa nel deserto,
dove mi tentarono i vostri padri:
mi misero alla prova
pur avendo visto le mie opere».
Il salmo è un invito alla preghiera durante una visita al tempio, probabilmente durante la festa delle capanne, che celebrava il cammino nel deserto (Cf. Dt 31,11), visto che il salmo ricorda l'episodio di Massa e Meriba.
Dio è presentato come “roccia della nostra salvezza”, indicando la roccia la sicurezza data da Dio di fronte ai nemici.
Egli è “grande re sopra tutti gli dei”; sono gli dei concepiti dai pagani, dietro i quali striscia l'azione dei demoni
Egli è colui che ha in suo potere ogni cosa: “Nella sua mano sono gli abissi della terra, sono sue le vette dei monti...”.
Il gruppo orante è invitato ad accostarsi a Dio, cioè ad entrare nell'atrio del tempio. Successivamente il gruppo è invitato a prostrarsi davanti al Signore. Segue l'invito ad ascoltare la voce del Signore. Nel silenzio dell'adorazione davanti al tempio Dio muove il cuore (“la sua voce”) indirizzandolo al bene, all'obbedienza dei comandamenti, al cambiamento della vita.
“Non indurite il cuore”; il cuore indurito non ascolta la voce del Signore e segue i suoi pensieri, ma si troverà a vagare nei deserti di un'esistenza senza Dio, senza alcun riposo.
Commento di P.Paolo Berti
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani.
Fratelli, giustificati per fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. Per mezzo di lui abbiamo anche, mediante la fede, l’accesso a questa grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo, saldi nella speranza della gloria di Dio.
La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato.
Infatti, quando eravamo ancora deboli, nel tempo stabilito Cristo morì per gli empi. Ora, a stento qualcuno è disposto a morire per un giusto; forse qualcuno oserebbe morire per una persona buona. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi.
Rm 5, 1-2. 5-8
In questo brano, tratto dalla Lettera ai Romani, Paolo spiega alcuni elementi della fede cristiana che ritiene possano essere utili alla comunità di Roma.
Nei primi 4 capitoli della lettera Paolo aveva parlato della giustificazione dei peccatori. a partire da questo capitolo 5, fino al’11, Paolo afferma che la giustificazione mediante la fede non è una semplice teoria, ma ha un profondo effetto nella vita di coloro che l’hanno ottenuta:
“Fratelli, giustificati per fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo”.
Il participio aoristo passivo “giustificati” indica chiaramente un evento avvenuto nel passato, ma che mediante la fede, rappresenta ormai un dato di fatto che cambia radicalmente la vita per coloro che credono. Paolo prosegue affermando che ormai “siamo in pace” nei confronti di Dio.
C’è da tenere presente che nel linguaggio biblico la pace rappresenta un’armonia profonda dell’uomo con Dio, che comporta la pienezza di tutti i beni materiali e spirituali. La pace perciò che i credenti hanno ottenuto, porta con sé altri doni
“Per mezzo di lui abbiamo anche, mediante la fede, l’accesso a questa grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo, saldi nella speranza della gloria di Dio”.
La pace è dunque uno stato di grazia a cui si può accedere mediante la fede e la grazia, a cui hanno accesso i credenti, è Dio stesso in quanto si è donato pienamente a loro in Cristo.
La giustificazione, è vero, non ha ancora conferito il pieno possesso di quella “gloria di Dio”, di cui l’umanità era stata privata a causa dei suoi peccati, ma dà la “speranza” di poterla conseguire un giorno. Di questa speranza Paolo afferma che possiamo “vantarci” perché si tratta di un dono di Dio, mentre non possiamo vantarci delle opere della legge intese come mezzo per diventare giusti.
Il “già” e il “non ancora” caratterizzano dunque l’esistenza terrena del credente.
Nei versetti (3-4) non riportati dal brano Paolo precisa:
“E non solo: ci vantiamo anche nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza”.
Paolo sa bene che anche a Roma i cristiani vivevano forti persecuzioni, per questo ci tiene a precisare che non si tratta di una situazione idilliaca priva di contrasti.
Però il credente se si vanta della speranza che lo attende, può vantarsi anche nelle tribolazioni.
Le difficoltà che il credente sopporta rafforzano in lui la pazienza, cioè la capacità di sopportare la fatica e di attraversarla con forza, e la pazienza porta alla virtù provata. Questo termine (virtù provata), può essere inteso anche come fedeltà provata.
La speranza comporta ulteriori sviluppi nella vita del credente:
“La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato”.
La speranza non può deludere perché non si limita a provocare l’attesa delle realtà future, ma ne dà un’esperienza anticipata mediante l’esercizio dell’amore che lo Spirito santo riversa nei nostri cuori. L’amore di Dio che lo Spirito Santo effonde nei cuori, è l’amore stesso con cui Dio ama, che conseguentemente avrà come termine Dio stesso e il prossimo.
Poi Paolo ricorda l’opera compiuta da Cristo per i credenti:
“Infatti, quando eravamo ancora deboli, nel tempo stabilito Cristo morì per gli empi”.
Cristo dunque è morto per noi quando eravamo nello stato di debolezza e morì nel tempo stabilito.
L’Apostolo commenta quanto ha appena affermato mettendo in luce il carattere straordinario della morte di Cristo:
“Ora, a stento qualcuno è disposto a morire per un giusto; forse qualcuno oserebbe morire per una persona buona: ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi”.
A volte può capitare che un uomo sia disposto a morire per una persona giusta: sono capitati i casi in cui la dedizione verso una persona amata (figlio, coniuge o amico) spinge fino al sacrificio della vita. Ma Cristo ha fatto una cosa che, umanamente parlando, è inconcepibile: Egli è morto per noi, per ciascuno di noi, proprio mentre eravamo ancora peccatori e nemici di Dio. E in questo gesto supremo si è manifestato l’amore di Dio per tutti noi.
Dal vangelo secondo Giovanni
[ In quel tempo, Gesù giunse a una città della Samarìa chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani.
Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?».
Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore – gli dice la donna –, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». ] Le dice: «Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui». Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: “Io non ho marito”. Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero».
Gli replica la donna: «Signore, [ vedo che tu sei un profeta! I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te». ]
In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?». La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?». Uscirono dalla città e andavano da lui.
Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». Ma egli rispose loro: «Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». E i discepoli si domandavano l’un l’altro: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?». Gesù disse loro: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. Voi non dite forse: ancora quattro mesi e poi viene la mietitura? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l’altro miete. Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica».
[ Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo». ]
Gv 4, 5-42
Questo brano del Vangelo di Giovanni inizia presentando Gesù che lascia la Giudea per dirigersi verso la Galilea. Dovendo attraversare la Samaria, Gesù si ferma vicino al villaggio di Sicar (l’antica Sichem), che si trova tra i monti Ebal e Garizim. L’evangelista osserva che il villaggio è vicino al terreno che Giacobbe aveva dato a suo figlio Giuseppe e in quella località egli situa il pozzo di Giacobbe. Giovanni dice poi che Gesù affaticato per il viaggio, si siede presso il pozzo e precisa che è “l’ora sesta”, cioè circa mezzogiorno. Mentre Gesù si trova lì, una donna samaritana si avvicina al pozzo per attingere acqua.
E’ Gesù che rompe il ghiaccio chiedendo alla donna di dargli da bere. È solo, e l’evangelista dice che i discepoli si erano recati in paese per far provvista di cibo. La samaritana rimane perplessa e gli chiede come mai lui, che è un giudeo, chieda da bere a una donna samaritana. Giovanni chiarisce il perché di questa reazione spiegando che non esistevano buoni rapporti tra giudei e samaritani.
Gesù riprende il discorso dicendo alla donna: ”Se tu conocessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: "Dammi da bere!", tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva”.
La donna gli chiede come può fare ciò, dal momento che è privo degli strumenti necessari per attingere acqua a un pozzo così profondo. Evidentemente il racconto gioca sull’ambiguità delle parole di Gesù e sul malinteso che esse creano. Ma proprio la mancanza di strumenti per attingere l’acqua porta la donna per la prima volta a porre il problema dell’identità di Gesù: “Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede questo pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame.” Gesù allora fa una dichiarazione che dovrebbe chiarire ciò che intendeva dire:
”Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna”..
La samaritana, pensando ancora che egli parli di un’acqua materiale, gli chiede di poterla avere per evitare l’incomodo di dover ogni giorno attingere l’acqua del pozzo.
La donna si dimostra quindi disponibile alla proposta di Gesù, ma non ha compreso di che cosa veramente si tratti. Per attuare quanto le ha promesso, Gesù deve dunque darle più chiarimenti. Egli perciò cambia argomento e le domanda di andare a chiamare suo marito. Siccome la donna dice di non aver marito, Gesù approva e le fa notare che ha avuto cinque mariti e l’attuale non è suo marito.
Gesù mette così in luce la sua situazione irregolare ed anche poco edificante, in quanto ha superato il numero dei tre matrimoni che erano consentiti, secondo le usanze giudaiche, a una donna e per di più vive con un uomo che non è suo marito..
La donna, sentendosi messa a nudo, riconosce in Gesù un profeta e fa così un primo passo per cogliere la sua vera identità. D’altra parte però, forse imbarazzata per la piega che sta prendendo il colloquio, ne approfitta per chiedergli un parere circa la diversa posizione di giudei e samaritani nei confronti del culto:
“I nostri padri hanno adorato sopra questo monte e voi dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare”.
Di fronte al dilemma se si debba adorare Dio sul Garizim o a Gerusalemme Gesù risponde:
”Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre”, poi soggiunge: “Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo, perché la salvezza viene dai giudei”.
L’origine giudaica di Gesù garantisce che nel giudaismo vi sia una conoscenza autentica di Dio, anche se non tutti i giudei possono attribuirsi una tale qualità . I samaritani adorano lo stesso Dio, ma senza conoscerlo, cioè sono in una situazione di oscurità e di errore: forse Gesù allude qui al carattere riduttivo della fede dei samaritani che accettavano come ispirato solo il Pentateuco, ma “dai giudei” viene ormai anche per loro la salvezza.
Gesù chiarisce ora il suo pensiero:” Ma viene l’ora - ed è questa - in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano”.
Il termine “verità” indica quell’attributo per cui Dio è costante nella Sua fedeltà all’alleanza e attua continuamente le Sue promesse di salvezza. L’adorazione in Spirito e verità indica quindi il pieno incontro con Dio dei tempi escatologici, a cui tende tutta l’esperienza religiosa di Israele.
Gesù conclude la Sua risposta sul vero culto dicendo:
“Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità”.
La donna ribatte che solo il Messia potrà mettere fine a tale questione, egli risponde:
”Sono io, che ti parlo”. Da questa risposta risulta esplicitamente che il culto “in Spirito e verità” non può essere altro che la piena adesione a Cristo in quanto Messia, nuovo tempio di Dio.
Con la rivelazione piena dell’identità di Gesù termina il colloquio con la samaritana.
I discepoli che sopraggiungono si stupiscono di vedere Gesù discorrere con una donna, ma nessuno di loro osa interrogarlo. Intanto la donna corre ad informare i suoi compaesani. Ciò che ella riferisce loro è prima di tutto il fatto di aver incontrato un uomo che conosceva tutto ciò che lei aveva fatto; da qui la domanda: “Che sia lui il Cristo?”
Alla fine l’evangelista osserva che molti samaritani credettero in lui per la parola della donna che raccontava loro la sua esperienza. Essi vanno da Gesù e lo pregano di rimanere con loro. Egli acconsente e si ferma con loro due giorni. Molti credono per la Sua “parola” e dicono alla donna che ora non credono per quanto ha detto lei ma perché hanno udito e sanno che è Egli veramente il Salvatore del mondo. In contrasto con la fede incerta e fragile dei giudei, che credono perché hanno visto i segni, i samaritani credono sulla parola di Gesù.
Colpisce molto in questo racconto il fatto che Gesù rompendo tutte le remore puritane e i pregiudizi, accetta il dialogo con questa donna considerata dal giudaismo ufficiale impura, ed eretica., e attraverso il dialogo la conduce a gustare l’acqua che disseta per sempre e a celebrare il culto in spirito e verità .
Questa pagina diventa oggi un chiaro appella rivolto alla Chiesa perché spezzi i preconcetti e le paure e annunzi con rispetto, con amore e con gioia a tutti la “buona notizia” del Vangelo.
Questa pagina è, però, anche, un appello indirizzato a chi ha un passato “samaritano” (diciamo poco ortodosso) perché sappia che c’è sempre Qualcuno che lo attende e lo accoglie, anche sotto il sole, nel rumore di una giornata qualsiasi.
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“Il Vangelo di questa domenica, terza di Quaresima, ci presenta il dialogo di Gesù con la Samaritana.
L’incontro avvenne mentre Gesù attraversava la Samaria, regione tra la Giudea e la Galilea, abitata da gente che i Giudei disprezzavano, ritenendola scismatica ed eretica. Ma proprio questa popolazione sarà una delle prime ad aderire alla predicazione cristiana degli Apostoli. Mentre i discepoli vanno nel villaggio a procurarsi da mangiare, Gesù rimane presso un pozzo e chiede da bere a una donna, venuta lì ad attingere l’acqua. E da questa richiesta comincia un dialogo. “Come mai un giudeo si degna di chiedere qualcosa a una samaritana?”. Gesù risponde: se tu sapessi chi sono io, e il dono che ho per te, saresti tu a chiedere e io ti darei “acqua viva”, un’acqua che sazia ogni sete e diventa sorgente inesauribile nel cuore di chi la beve.
Andare al pozzo ad attingere acqua è faticoso e noioso; sarebbe bello avere a disposizione una sorgente zampillante! Ma Gesù parla di un’acqua diversa. Quando la donna si accorge che l’uomo con cui sta parlando è un profeta, gli confida la propria vita e gli pone questioni religiose. La sua sete di affetto e di vita piena non è stata appagata dai cinque mariti che ha avuto, anzi, ha sperimentato delusioni e inganni. Perciò la donna rimane colpita dal grande rispetto che Gesù ha per lei e quando Lui le parla addirittura della vera fede, come relazione con Dio Padre “in spirito e verità”, allora intuisce che quell’uomo potrebbe essere il Messia, e Gesù – cosa rarissima – lo conferma: «Sono io, che parlo con te» . Lui dice di essere il Messia ad una donna che aveva una vita così disordinata.
Cari fratelli, l’acqua che dona la vita eterna è stata effusa nei nostri cuori nel giorno del nostro Battesimo; allora Dio ci ha trasformati e riempiti della sua grazia. Ma può darsi che questo grande dono lo abbiamo dimenticato, o ridotto a un mero dato anagrafico; e forse andiamo in cerca di “pozzi” le cui acque non ci dissetano. Quando dimentichiamo la vera acqua, andiamo in cerca di pozzi che non hanno acque pulite. Allora questo Vangelo è proprio per noi! Non solo per la samaritana, per noi. Gesù ci parla come alla Samaritana. Certo, noi già lo conosciamo, ma forse non lo abbiamo ancora incontrato personalmente. Sappiamo chi è Gesù, ma forse non l’abbiamo incontrato personalmente, parlando con Lui, e non lo abbiamo ancora riconosciuto come il nostro Salvatore. Questo tempo di Quaresima è l’occasione buona per avvicinarci a Lui, incontrarlo nella preghiera in un dialogo cuore a cuore, parlare con Lui, ascoltare Lui; è l’occasione buona per vedere il suo volto anche nel volto di un fratello o di una sorella sofferente. In questo modo possiamo rinnovare in noi la grazia del Battesimo, dissetarci alla fonte della Parola di Dio e del suo Santo Spirito; e così scoprire anche la gioia di diventare artefici di riconciliazione e strumenti di pace nella vita quotidiana.
La Vergine Maria ci aiuti ad attingere costantemente alla grazia, a quell’acqua che scaturisce dalla roccia che è Cristo Salvatore, affinché possiamo professare con convinzione la nostra fede e annunciare con gioia le meraviglie dell’amore di Dio, misericordioso e fonte di ogni bene.”
Papa Francesco Parte dell’Angelus del 19 marzo 2017