Ci stiamo avvicinando alla Pentecoste e le letture liturgiche di questa sesta domenica di Pasqua ci preparano alla venuta della Terza Persona della Santissima Trinità: lo Spirito Santo e la Sua azione vivificatrice.
Nella prima lettura tratta dagli Atti degli Apostoli, Luca ci racconta che con il diacono Filippo la fede cristiana ha raggiunto la Samaria. Ed è lì che gli apostoli Pietro e Giovanni si recano per rafforzare la nuova comunità con l’effusione dello Spirito Santo.
Nella seconda lettura, nella sua prima lettera, Pietro chiede ai cristiani di rendere ragione della speranza che li anima “con dolcezza e rispetto” del cammino altrui e “con retta coscienza” disposti a soffrire , piuttosto che facendo il male, come Cristo.
Nel Vangelo di Giovanni, Gesù, continuando il Suo “discorso di addio” agli apostoli, offre loro nuovi motivi di fiducia e promette che pregherà il Padre che manderà loro un altro Paràclito perché rimanga con loro sempre. Poi afferma, come per dare un messaggio anche a noi oggi: “Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui”. .Gesù non è venuto a portarci un nuovo modo di sospirare e di piangere, ma a sradicarci dalle vecchie abitudini, con strappi e sofferenze, che in questo ultimo periodo abbiamo avuto, ma che solo l’amore che Lui ci ha trasmesso ha reso sopportabile.
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Dagli Atti degli Apostoli
In quei giorni, Filippo, sceso in una città della Samarìa, predicava loro il Cristo. E le folle, unanimi, prestavano attenzione alle parole di Filippo, sentendolo parlare e vedendo i segni che egli compiva. Infatti da molti indemoniati uscivano spiriti impuri, emettendo alte grida, e molti paralitici e storpi furono guariti. E vi fu grande gioia in quella città.
Frattanto gli apostoli, a Gerusalemme, seppero che la Samarìa aveva accolto la parola di Dio e inviarono a loro Pietro e Giovanni. Essi scesero e pregarono per loro perché ricevessero lo Spirito Santo; non era infatti ancora disceso sopra nessuno di loro, ma erano stati soltanto battezzati nel nome del Signore Gesù. Allora imponevano loro le mani e quelli ricevevano lo Spirito Santo.
At 8,5-8,14-17
In questa seconda parte degli Atti degli Apostoli Luca mette in luce la prima espansione dell’annunzio evangelico al di fuori di Gerusalemme. Dal brano viene presentato in sintesi l’apostolato di Filippo in Samaria, e l’intervento di Pietro e Giovanni.
Filippo, uno dei sei compagni di Stefano, il secondo della lista dei sette prescelti, si reca “in una città della Samaria”, (ricordiamo che la Samaria era considerata zona semipagana) dove annunziando Cristo, trova grande seguito tra le folle che ascoltano la sua parola e vedono i suoi miracoli.
Luca osserva che una grande gioia si diffonde nella città segno questo dell’impatto che l’annunzio del regno di Dio ha sugli ascoltatori e per mezzo loro su tutta la popolazione.
A Gerusalemme gli apostoli vengono a sapere che per opera di Filippo, i samaritani hanno accolto la parola di Dio e vi mandano Pietro e Giovanni che “scesero e pregarono per loro perché ricevessero lo Spirito Santo; non era infatti ancora disceso sopra nessuno di loro, ma erano stati soltanto battezzati nel nome del Signore Gesù.” Dopo aver pregato, Pietro e Giovanni impongono le mani ai neo-convertiti ed essi ricevono lo Spirito Santo.
La discesa dello Spirito sui samaritani segna una svolta fondamentale nella vita della Chiesa. Essa conferisce un marchio di legittimità al fatto che ora a ricevere l’annunzio evangelico siano persone considerate dai giudei alla stregua dei pagani. Inoltre questo racconto riflette ancora una volta il modo di pensare di Luca, il quale vuole mostrare come l’evangelizzazione, attuata dagli ellenisti dispersi a causa della persecuzione scatenatasi contro Stefano, è approvata e sostenuta dai Dodici, i quali se ne prendono la piena responsabilità.
Questo episodio ha una grande importanza nella trama degli Atti, perché con esso Luca vuole preannunziare i futuri sviluppi della missione cristiana; ma prima intende narrare la chiamata di Saulo, il persecutore, che diventerà il primo artefice di questa missione, e la conversione di Cornelio, dalla quale appare che il vero responsabile dell’apertura ai pagani non è Paolo, ma Pietro, il principe degli apostoli.
Salmo 65 - Acclamate Dio, voi tutti della terra.
Acclamate Dio, voi tutti della terra,
cantate la gloria del suo nome,
dategli gloria con la lode.
Dite a Dio: «Terribili sono le tue opere!
A te si prostri tutta la terra,
a te canti inni, canti al tuo nome».
Venite e vedete le opere di Dio,
terribile nel suo agire sugli uomini.
Egli cambiò il mare in terraferma;
passarono a piedi il fiume:
per questo in lui esultiamo di gioia.
Con la sua forza domina in eterno.
Venite, ascoltate, voi tutti che temete Dio,
e narrerò quanto per me ha fatto.
Sia benedetto Dio,
che non ha respinto la mia preghiera,
non mi ha negato la sua misericordia.
Il salmo è stato scritto nel postesilio, come è facile ricavare dalla menzione di grandi prove nazionali: “Ci hai purificati come si purifica l’argento (…). Hai fatto cavalcare uomini sopra le nostre teste (…), poi ci hai fatto uscire verso l'abbondanza”.
L’universalismo del salmo è espresso nell’invito a tutta la terra a dare gloria a Dio. Il salmista anima poi il gruppo orante che lo attornia a presentare a Dio il desiderio che sia celebrato in tutta la terra: “Dite a Dio: ”. Il salmista riprende il suo invito a tutte le genti, invitandole ad avvicinarsi ad Israele per udire le grandi opere che Dio ha compiuto per il suo popolo, compresa la liberazione da Babilonia: “Venite e vedete le opere di Dio, terribile nel suo agire sugli uomini. Egli cambiò il mare in terra ferma…”. Dio ha piegato i nemici del suo popolo, compresi i babilonesi: “contro di lui non si sollevino i ribelli”. Il salmista ancora invita i popoli a lodare Dio: “Popoli, benedite il nostro Dio, fate risuonare la voce della sua lode…”. Poi il salmista si rivolge direttamente a Dio facendo memoria della catastrofe della deportazione a Babilonia: “O Dio, tu ci hai messi alla prova; ci hai purificati come si purifica l’argento (…). Hai fatto cavalcare uomini sopra le nostre teste (…), poi ci hai fatto uscire verso l'abbondanza”. Il cavalcare uomini sopra le teste era una efferatezza egizia, assira, babilonese e poi anche persiana. I vinti venivano legati e calpestati dai carri dei vincitori. Il salmista, dopo essersi rivolto a Dio nella memoria dei grandi avvenimenti della nazione, che sente suoi per appartenenza, si riferisce a Dio come persona singola, che ha una sua storia di dolore, e che nell’angoscia ha pronunciato voti. Questi voti li assolverà perché è stato beneficato da Dio secondo il suo desiderio espresso nella preghiera, ma anche secondo la giustizia di Dio: “Se nel mio cuore avessi cercato il male, il Signore non mi avrebbe ascoltato”.
Il salmo, che noi recitiamo in Cristo, ci collega alla grande storia di Israele, alla quale siamo stati innestati per mezzo di Cristo (Cf. Rm 11,24), il quale è la ragione di ogni liberazione, di ogni grazia che viene dal Padre. Noi entriamo nelle sue chiese non offrendo sacrifici di montoni, capri e tori, ma il sacrificio di noi stessi, in unione al sacrificio del Cristo presente sugli altari (Cf. Ps 39,7). Perfettamente nostra è l’invocazione a tutte le genti a venire e vedere. A vedere in noi, nella Chiesa, la grande opera della redenzione
Commento di P.Paolo Berti
Dalla prima lettera di S.Pietro apostolo
Carissimi, adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché, nel momento stesso in cui si parla male di voi, rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo.
Se questa infatti è la volontà di Dio, è meglio soffrire operando il bene che facendo il male, perché anche Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio; messo a morte nel corpo, ma reso vivo nello spirito.
1Pt 3,15-18
In questo brano Pietro, dopo aver tratteggiato nei capitoli precedenti l’atteggiamento cristiano riguardo ai pagani e alle autorità, la situazione degli schiavi e degli sposi, e le relazioni interpersonali tra cristiani, ora parla della condotta cristiana di fronte alla persecuzione che non può non suscitare paura e sgomento, ma che di fronte ad essa il credente deve assumere un atteggiamento positivo:
“adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi.” La migliore difesa per il cristiano nei momenti di sconforto e di paura è di mantenere fermo il rapporto con Cristo, di stringersi sempre di più a Lui.
La risposta giusta del cristiano alle domande che gli vengono fatte non deve però venir meno a precise esigenze di comportamento: “Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché, nel momento stesso in cui si parla male di voi, rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo.” E commenta subito dopo “Se questa infatti è la volontà di Dio, è meglio soffrire operando il bene che facendo il male”.
Un atteggiamento fatto di dolcezza, di rispetto e di “retta coscienza”, cioè determinato da un’intenzione retta, senza secondi fini, è l’unico atteggiamento in grado di sconfessare quanti mettono in dubbio la rettitudine del loro comportamento “in Cristo”, cioè della loro vita cristiana.
È importante che alle parole corrispondano le opere, le quali soltanto sono veramente convincenti. Se poi, nonostante tutto, non si è capiti e si viene fatti oggetto di maltrattamenti, non bisogna sentirsi delusi perché, dovendo comunque soffrire, è meglio che ciò avvenga avendo fatto il bene piuttosto che il male.
Infine, nei momenti di difficoltà il cristiano deve sempre rifarsi all’esempio di Cristo: “anche Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio; messo a morte nel corpo, ma reso vivo nello spirito.”
L’apostolo si preoccupa che i cristiani non cadano in un’autodifesa che a volte potrebbe essere arrogante e aggressiva, che li metterebbe sullo stesso piano dei loro avversari. I veri cristiani devono saper evitare ogni tipo di violenza, anche solo verbale. In loro non deve esserci alcun senso di ritorsione, anzi devono imparare da Cristo che, soffrendo senza avere fatto nulla di male, possono collaborare con Lui nella Sua lotta contro il peccato e aprire agli altri la via verso Dio.
In questa prospettiva anche la sofferenza più grande, quella della morte, non è poi una disgrazia così terribile, perché riguarda, come per Cristo, soltanto il corpo fisico, mentre in realtà rappresenta una vittoria dello Spirito sul potere del male.
Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi.
Non vi lascerò orfani: verrò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi.
Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui».
Gv 14, 15-21
In questo brano Pietro, dopo aver tratteggiato nei capitoli precedenti l’atteggiamento cristiano riguardo ai pagani e alle autorità, la situazione degli schiavi e degli sposi, e le relazioni interpersonali tra cristiani, ora parla della condotta cristiana di fronte alla persecuzione che non può non suscitare paura e sgomento, ma che di fronte ad essa il credente deve assumere un atteggiamento positivo:
“adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi.” La migliore difesa per il cristiano nei momenti di sconforto e di paura è di mantenere fermo il rapporto con Cristo, di stringersi sempre di più a Lui.
La risposta giusta del cristiano alle domande che gli vengono fatte non deve però venir meno a precise esigenze di comportamento: “Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché, nel momento stesso in cui si parla male di voi, rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo.” E commenta subito dopo “Se questa infatti è la volontà di Dio, è meglio soffrire operando il bene che facendo il male”.
Un atteggiamento fatto di dolcezza, di rispetto e di “retta coscienza”, cioè determinato da un’intenzione retta, senza secondi fini, è l’unico atteggiamento in grado di sconfessare quanti mettono in dubbio la rettitudine del loro comportamento “in Cristo”, cioè della loro vita cristiana.
È importante che alle parole corrispondano le opere, le quali soltanto sono veramente convincenti. Se poi, nonostante tutto, non si è capiti e si viene fatti oggetto di maltrattamenti, non bisogna sentirsi delusi perché, dovendo comunque soffrire, è meglio che ciò avvenga avendo fatto il bene piuttosto che il male.
Infine, nei momenti di difficoltà il cristiano deve sempre rifarsi all’esempio di Cristo: “anche Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio; messo a morte nel corpo, ma reso vivo nello spirito.”
L’apostolo si preoccupa che i cristiani non cadano in un’autodifesa che a volte potrebbe essere arrogante e aggressiva, che li metterebbe sullo stesso piano dei loro avversari. I veri cristiani devono saper evitare ogni tipo di violenza, anche solo verbale. In loro non deve esserci alcun senso di ritorsione, anzi devono imparare da Cristo che, soffrendo senza avere fatto nulla di male, possono collaborare con Lui nella Sua lotta contro il peccato e aprire agli altri la via verso Dio.
In questa prospettiva anche la sofferenza più grande, quella della morte, non è poi una disgrazia così terribile, perché riguarda, come per Cristo, soltanto il corpo fisico, mentre in realtà rappresenta una vittoria dello Spirito sul potere del male.
“Non vi lascerò orfani: verrò da voi”.
Con questa affermazione e i versetti seguenti, sembra quasi che lo Spirito non sia sufficiente per qualificare il vero discepolo. In sottofondo si percepisce la situazione della comunità di Giovanni che era divisa da un gruppo che pensava di possedere ormai lo Spirito Santo e di non aver più bisogno della presenza di Gesù, e questo naturalmente comprometteva il fondamento stesso della fede cristiana.
Giovanni ribadisce perciò il ruolo sovreminente del Figlio glorificato, a cui rimane subordinata l'attività dello Spirito. Il termine “orfani” ricorda la morte di Gesù, ma i discepoli non resteranno abbandonati: “verrò da voi”, dice Gesù. E’ un futuro-presente che indica una venuta costante di Gesù nel corso dei secoli. Ma indica anche la venuta di Gesù che avverrà in un giorno ben preciso, nel giorno della risurrezione, ma anche nel giorno della Parusia, il Suo ritorno definitivo alla fine dei tempi.
“Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete”.
Gesù annuncia “io vivo e voi vivrete", riferendosi agli incontri che avrà con i discepoli dopo la risurrezione e confermando che la prospettiva è quella della vittoria sulla morte. Gesù anticipa la Parusia al giorno di Pasqua, però solo i Suoi discepoli lo riconosceranno e potranno vederlo.
“In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi”.
Da quel giorno i discepoli conosceranno in verità chi era Gesù di Nazareth: il Figlio uno con il Padre, e scopriranno che cosa significa per loro credere in Lui.
“Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui”.
L'esortazione di Gesù ad osservare i Suoi comandamenti chiude questo brano di Vangelo così come l'aveva aperto. In particolare come è enunciata qui, l'esortazione contiene l'essenza del messaggio del libro del Deuteronomio. La fedeltà del Dio dell'Alleanza è indefettibile verso coloro che gli sono fedeli. Ogni persona può, se vuole, divenire discepolo del Figlio e avere parte alla Sua vita.
L'incontro con il Vivente ora non è più rimandato a un giorno futuro: è presente nell'oggi per ogni essere che ama.
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LE PAROLE DI PAPA FRANCESCO
“Il Vangelo di oggi, continuazione di quello di domenica scorsa, ci riporta a quel momento commovente e drammatico che è l’ultima cena di Gesù con i suoi discepoli. L’evangelista Giovanni raccoglie dalla bocca e dal cuore del Signore i suoi ultimi insegnamenti, prima della passione e della morte. Gesù promette ai suoi amici, in quel momento triste, buio, che, dopo di Lui, riceveranno «un altro Paraclito». Questa parola significa un altro “Avvocato”, un altro Difensore, un altro Consolatore: «lo Spirito della verità» (v. 17); e aggiunge: «Non vi lascerò orfani: verrò da voi» . Queste parole trasmettono la gioia di una nuova venuta di Cristo: Egli, risorto e glorificato, dimora nel Padre e, al tempo stesso, viene a noi nello Spirito Santo. E in questa sua nuova venuta si rivela la nostra unione con Lui e con il Padre: «Voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi».
Meditando queste parole di Gesù, noi oggi percepiamo con senso di fede di essere il popolo di Dio in comunione col Padre e con Gesù mediante lo Spirito Santo. In questo mistero di comunione, la Chiesa trova la fonte inesauribile della propria missione, che si realizza mediante l’amore. Gesù dice nel Vangelo di oggi: «Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui». E’ l’amore che ci introduce nella conoscenza di Gesù, grazie all’azione di questo “Avvocato” che Gesù ha inviato, cioè lo Spirito Santo. L’amore a Dio e al prossimo è il più grande comandamento del Vangelo. Il Signore oggi ci chiama a corrispondere generosamente alla chiamata evangelica all’amore, ponendo Dio al centro della nostra vita e dedicandoci al servizio dei fratelli, specialmente i più bisognosi di sostegno e di consolazione.
Se c’è un atteggiamento che non è mai facile, non è mai scontato anche per una comunità cristiana, è proprio quello di sapersi amare, di volersi bene sull’esempio del Signore e con la sua grazia. A volte i contrasti, l’orgoglio, le invidie, le divisioni lasciano il segno anche sul volto bello della Chiesa. Una comunità di cristiani dovrebbe vivere nella carità di Cristo, e invece è proprio lì che il maligno “ci mette lo zampino” e noi a volte ci lasciamo ingannare. E chi ne fa le spese sono le persone spiritualmente più deboli. Quante di loro – e voi ne conoscete alcune -, quante di loro si sono allontanate perché non si sono sentite accolte, non si sono sentite capite, non si sono sentite amate. Quante persone si sono allontanate, per esempio da qualche parrocchia o comunità per l’ambiente di chiacchiericcio, di gelosie, di invidie che hanno trovato lì. Anche per un cristiano saper amare non è mai un dato acquisito una volta per tutte; ogni giorno si deve ricominciare, ci si deve esercitare perché il nostro amore verso i fratelli e le sorelle che incontriamo diventi maturo e purificato da quei limiti o peccati che lo rendono parziale, egoistico, sterile e infedele. Ogni giorno si deve imparare l’arte di amare. Sentite questo: ogni giorno si deve imparare l’arte di amare, ogni giorno si deve seguire con pazienza la scuola di Cristo, ogni giorno si deve perdonare e guardare Gesù, e questo, con l’aiuto di questo ”Avvocato”, di questo Consolatore che Gesù ci ha inviato che è lo Spirito Santo.
La Vergine Maria, perfetta discepola del suo Figlio e Signore, ci aiuti ad essere sempre più docili al Paraclito, lo Spirito di verità, per imparare ogni giorno ad amarci come Gesù ci ha amato.”
Papa Francesco Angelus 21 maggio 2017