Le letture che la liturgia di questa domenica ci offre, hanno in comune sia il cibo spirituale che quello materiale.
Nella prima lettura, il profeta Isaia invita tutti gli assetati affinché vengano all’acqua: anche coloro che non hanno denaro, potranno ugualmente mangiare e bere senza spesa vino e latte. L’appello del profeta è un compendio della vita nella nuova e perfetta Gerusalemme quando Dio e l’uomo avranno raggiunto il livello più alto di umanità.
Nella seconda lettura, dalla lettera ai Romani, San Paolo esulta di gioia per l’amore misericordioso di Gesù Cristo, dal quale nessuno può separarci. Il credente attinge solo in Lui la forza di rinascere ogni giorno a vita nuova.
Nel Vangelo, Matteo ci narra la prima moltiplicazione dei pani e dei pesci.
Agli occhi dell’evangelista la mensa allestita in quel luogo deserto diventa l’anticipazione della cena eucaristica. In essa il corpo di Cristo in cibo e il suo sangue in bevanda sono il segno supremo della sua comunione con l’umanità affamata e assetata
Dal Libro del profeta Isaia
Così dice il Signore
O voi tutti assetati venite all’acqua,
voi che non avete denaro venite,
comprate e mangiate;venite,comprate
senza denaro, senza pagare, vino e latte.
Perché spendete denaro per ciò che non è pane,
il vostro guadagno per ciò che non sazia?
Su, ascoltatemi e mangerete cose buone
e gusterete cibi succulenti.
Porgete l’orecchio e venite a me,
ascoltate e vivrete.
Io stabilirò per voi un’alleanza eterna,
i favori assicurati a Davide.
Is 55,1-3
La seconda parte del libro del Deutero-Isaia, da dove è tratto questo brano, si preannunzia e si prepara il ritorno dei giudei esiliati in Babilonia nella loro terra (538 a.C.). La sezione inizia con l’evocazione di una grande strada che si apre nel deserto, lungo la quale gli esuli si incamminano sotto la guida di Dio (Is 40), e termina con un poema nel quale si riafferma la fedeltà di Dio che porterà a compimento tutte le sue promesse (Is 55).
Il brano si apre con un invito rivolto a tutti gli assetati:
O voi tutti assetati venite all’acqua,voi che non avete denaro venite,comprate e mangiate; venite,comprate senza denaro, senza pagare, vino e latte.
Questo invito ha il tono di un appello simile a quello degli acquaioli e dei venditori ambulanti di derrate alimentari frequenti nelle piazze dell’Oriente, ma subito dopo il tono dell’invito cambia sensibilmente per l’insistenza che il profeta pone sulla gratuità del cibo e della bevanda offerti.
L’acqua diventa così l’emblema della vita, della libertà, dello Spirito donati dal Signore agli esuli che stanno per ritrovare nel tempio ricostruito di Gerusalemme, la sorgente d’acqua viva. Il vino e il latte sono il segno della fertilità della terra promessa. Il pane è il sostegno primario della vita mentre i cibi succulenti evocano il banchetto messianico cantato dallo stesso profeta: “Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti,di cibi succulenti, di vini raffinati.” (Is 25,6)
Dio stringerà con loro un’alleanza eterna ed essi saranno i depositari delle promesse fatte a Davide.
La prospettiva di speranza si aprirà su un personaggio sconosciuto, ma già promesso a Davide, e nel versetto successivo non riportato dalla liturgia, troviamo , “Ecco l’ho costituito testimonio fra i popoli,principe e sovrano sulle nazioni. Is 55,4
Nei nostri schemi mentali, immaginiamo Dio come un giustiziere che premia e castiga, qui invece si parla del Dio della misericordia, che Papa Francesco non si stanca mai di ricordarcelo. Se Dio libera, non è per il riconoscimento di una nostra giustizia, ma dono che permette di incontrarlo davvero come misericordioso.
L’invito a convertirsi, significa, prima di tutto: "Cercarlo e guardarlo in un modo nuovo“, solo così ci si potrà ritrovare davanti al vero volto del Signore.
La grandezza di Dio squarcia gli orizzonti. I nostri pensieri sono troppo piccoli e prevedibili, mentre quelli di Dio sono grandi, impensabili, carichi di stupore, di speranza, e di bellezza senza fine.
Salmo 144 Apri la tua mano, Signore, e sazia ogni vivente
Misericordioso e pietoso è il Signore,
lento all’ira e grande nell’amore.
Buono è il Signore verso tutti,su tutte le creature.
Gli occhi di tutti a te sono rivolti in attesa
e tu dai loro il cibo a tempo opportuno.
Tu apri la tua mano
e sazi il desiderio di ogni vivente.
Giusto è il Signore in tutte le sue vie,
e buono in tutte le sue opere.
Il Signore è vicino a chiunque lo invoca,
a quanti lo invocano con sincerità.
Molti sono i frammenti di altri salmi che entrano nella composizione di questa composizione, che tuttavia risulta bellissima nella sua forma alfabetica e ricca di stimoli alla fede, alla speranza, alla pietà, alla lode.
Il salmo è uno dei più recenti del salterio, databile nel III o II secolo a.C.
Esso inizia rivolgendosi a Dio quale re: “O Dio, mio re, voglio esaltarti (...) in eterno e per sempre”. “In eterno e per sempre”, indica in modo incessante e continuativo nel tempo.
Segue uno sguardo su come la trasmissione, di generazione in generazione, delle opere di Dio non sia sentita solo come fatto prescritto (Cf. Es 13,14), ma come gioia di comunicazione, poiché le opere di Dio sono affascinanti: “Il glorioso splendore della tua maestà e le tue meraviglie voglio meditare. Parlino della tua terribile potenza: anch’io voglio raccontare la tua grandezza. Diffondano il ricordo della tua bontà immensa, acclamino la tua giustizia". Il salmista fa un attimo di riflessione sulla misericordia di Dio, riconoscendo la sua pazienza verso il suo popolo. E' il momento dell'umiltà. La lode non può essere disgiunta dall'umile consapevolezza di essere peccatori: “Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore. Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature“. “Su tutte le creature”, cioè su tutti gli uomini, e pure sugli animali (Cf. Ps 35,7; 103,21).
Il salmista desidera che tutte le opere di Dio diventino lode a Dio sul labbro dei fedeli: “Ti lodino, Signore, tutte le tue opere e ti benedicano i tuoi fedeli. Dicano la gloria del tuo regno...”. “Tutte le tue opere”, anche quelle inanimate (Cf. Ps 148). Il significato profondo di questo invito cosmico sta nel fatto che, il salmista vede le creature come bloccate da una cappa buia posta dalle divinizzazioni pagane. Il salmista desidera che esse siano libere da quella cappa, che nega loro la glorificazione del Creatore.
La lode a Dio sul labbro dei fedeli diventa annuncio a tutti gli uomini: “Per far conoscere agli uomini le tue imprese e la splendida gloria del tuo regno”. “Il regno” (malkut) è Israele e le “imprese” sono quelle della liberazione dall'Egitto, ecc. Terminata la successione monarchica dopo la deportazione a Babilonia, Israele, pur senza scartare minimamente la tensione verso il futuro re, il Messia, si collegò alla tradizione premonarchica dove il re era unicamente Dio. Nel libro dell'Esodo si parla di Israele come regno (19,6): “Un regno di sacerdoti e una nazione santa”. Israele come regno di Dio si manifesta in modo evidente mediante l'osservanza della legge data sul Sinai; ma Israele non è solo suddito di Dio, ma anche figlio (Cf. Es 4,22).
Il salmista continua a celebrare la bontà di Dio verso gli uomini: “Giusto è il Signore in tutte le sue vie (...). Il Signore custodisce tutti quelli che lo amano, ma distrugge tutti i malvagi”.
Il salmista termina la sua composizione esortandosi alla lode a Dio e invitando, in una visione universale, “ogni vivente” a benedirlo: “Canti la mia bocca la lode del Signore e benedica ogni vivente il suo santo nome, in eterno e per sempre”. “Ogni vivente”; anche gli animali, le piante - ovviamente a loro modo - celebrano la gloria di Dio (Cf. Ps 148,9-10).
Il cristiano nella potenza dello Spirito Santo annuncia le grandi opere del Signore (At 2,11), che sono quelle relative a Cristo: la salvezza, la liberazione dal peccato, ben più alta e profonda di quella dall'Egitto; il regno di Dio posto nel cuore dell'uomo e tra gli uomini in Cristo, nel dono dello Spirito Santo; i cieli aperti, il dono dei sacramenti, massimamente l'Eucaristia.
Commento di P.Paolo Berti
Dalla lettera di S.Paolo apostolo ai Romani
Fratelli, chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?
Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati.
Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente, né avvenire, né potenze, né altezza, né profondità, né alcuna altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore.
Rm 8:35,37-39
Questo brano conclude il capitolo 8 e in particolare l' Inno all'amore di Dio" iniziato nei i versetti precedenti. L’Apostolo dopo aver parlato della vita nello Spirito destinata ai credenti e alla gloria che li attende, erompe in una esclamazione di vittoria: "Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?” Certo i destinatari della lettera non hanno ancora visto la vittoria definitiva sul male e sulla morte, vivono nelle difficoltà e nella persecuzione quotidiana, però Paolo infonde in loro la certezza che Dio è con loro, essi sono vincitori perché niente li può separare dall'amore di Dio.
In questo brano Paolo si esprime mediante varie domande la cui risposta è scontata:
“chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?
Paolo si esprime spesso con domande retoriche per sottolineare maggiormente le proprie affermazioni. Alla domanda seguono alcuni esempi di difficoltà a cui sono posti i cristiani, e sono sette le prove che sembrano riprendere situazioni scomode e umilianti. Paolo parla di queste situazioni anche in 2Cor 6,4-5 e 11,23-27, riferendosi a tutte le difficoltà che lui e i suoi collaboratori devono continuamente affrontare per l'annuncio della Parola.
“Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati”.
In queste situazioni il credente è vincitore non grazie alle proprie virtù, ma perché è nelle mani di Dio.
L’esperienza acquisita insegna a Paolo che in tutto ciò che umanamente potrebbe separarci dall’amore di Cristo, noi credenti riusciamo, con l’aiuto di Dio, più che vincitori “grazie a colui che ci ha amati”. Perciò nulla potrà separarci dall’amore di Dio manifestato in Cristo Gesù.
“Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente, né avvenire, né potenze, né altezza, né profondità, né alcuna altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore.”
Paolo qui evidenzia le difficoltà dei credenti, ricordando anche le potenze ostili che si scatenano contro di loro. Le mette due a due: morte e vita; angeli e principati: (si tratta degli elementi spaziali, divinità minori a cui i pagani attribuivano i movimenti del cosmo); presente-avvenire; le potenze (di nuovo gli elementi del cosmo) altezza-profondità. Di fatto anche questi elementi sono creature, sono state create da Dio e non possono separare l'uomo dal Suo amore.
Questo inno così esaltante è cantato però all’ombra della croce di Cristo, in una sofferenza reale e tangibile, che non chiude però alla speranza e alla gioia di appartenere al Signore.
Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, quando udì della morte di Giovanni Battista, Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte. Ma la folla, avendolo saputo, lo seguì a piedi dalle città. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla e sentì compassione per loro e guarì i loro malati.
Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: “Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare”. Ma Gesù rispose: “Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare”.
Gli risposero: “Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!”. Ed egli disse: “Portatemeli qua”. E dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, pronunziò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli e i discepoli alla folla. Tutti mangiarono e furono saziati; e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.
Mt 14, 13-21
Questo brano del Vangelo di Matteo fa parte di un insieme di narrazioni che viene identificata con il titolo di “Sezione dei pani” poiché in essa il termine "pane" ritorna ben 15 volte, il termine "mangiare" 9 volte, per non contare altre espressioni simili come "saziare", "spezzare", "benedire", "lavarsi le mani", "lievito", "briciole", "ceste" ecc
Gesù è reduce dalla visita a Nazareth, dove i suoi concittadini si erano meravigliati della Sua sapienza, perché avendo una conoscenza diretta della famiglia di Gesù, di Sua madre, di tutti i Suoi parenti, vedono in Gesù la sola condizione umana: “per loro egli resta il figlio del carpentiere!”.
Il brano inizia riportando che “quando udì della morte di Giovanni Battista, Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte. Ma la folla, avendolo saputo, lo seguì a piedi dalle città.
L'arresto di Giovanni Battista aveva segnato l'inizio della predicazione pubblica di Gesù, ed ora la sua morte segna una nuova svolta della Sua attività. L’atteggiamento di Gesù di ritirarsi in un luogo deserto è un tratto molto caratteristico del Gesù descritto da Matteo: fa parte del suo modo di rivelarsi come Messia. Gesù dunque si ritira, non vorrebbe rivelarsi alla folla, ma è proprio la folla che lo costringe a "uscire" dal suo nascondiglio, poiché lo hanno seguito a piedi lungo la costa del lago.
“Sceso dalla barca, egli vide una grande folla e sentì compassione per loro e guarì i loro malati.” Egli dunque suo malgrado si commuove per questa folla e guarisce gli infermi. Il verbo che esprime la compassione di Gesù è davvero significativo, corrisponde al verbo ebraico “rachàm, rèchem»” che esprime l’amore viscerale materno.
“Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: “Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare”. Ma Gesù rispose: “Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare”
I discepoli vogliono che Gesù "congedi" la folla, essi ritengono che non troppo lontano ci siano dei villaggi nei quali è ancora possibile comprare qualcosa da mangiare. Ma Gesù risponde loro: “Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare”.
Anche noi come i discepoli, avremmo probabilmente fatto notare la sproporzione tra l'insufficienza, la scarsità dei mezzi a disposizione e le necessità smisurate a cui occorreva fare fronte. Gesù non ha convocato tutta quella gente, ma non vuole nemmeno mandarla via a mani vuote .
La preoccupazione dei discepoli per la folla è giusta, ma Gesù ha un pensiero molto più profondo, che li pone di fronte a una responsabilità nuova per loro per questo dice ..”dote loro da mangiare".
Alla risposta sconsolata dei discepoli: ”Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!”, Gesù ribatte: “Portatemeli qua”.
Nella seconda moltiplicazione (Mt 15,34) vedremo che i pani saranno sette. Il pesce diventerà presto un simbolo eucaristico, come si vede nel famoso mosaico bizantino di Tabga. Inoltre nel deserto i figli di Israele erano stati miracolosamente sfamati non solo dalla manna, ma anche dalle quaglie e molti dettagli ricordano il banchetto pasquale.
Cinque pani e due pesci per più di cinquemila persone sono niente… ma a Gesù nulla è impossibile.
E' caratteristico di Matteo questo ordine, mette in risalto la sovranità di Gesù, i discepoli non devono far altro che obbedirgli.
”E dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, pronunziò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli e i discepoli alla folla”.
La folla viene fatta accomodare sull'erba e Matteo dà volutamente anche un significato eucaristico all’episodio quando dice che Gesù:, alzò gli occhi al cielo, pronunziò la benedizione….,.
Sono anche i gesti della berakhà ebraica quotidiana sul pane: "Benedetto sei tu Signore, re del mondo, che fai uscire il pane dalla terra". Non si benedice il pane, ma Dio che lo fa "uscire" dalla terra, con l'uso di un verbo che ricorda l'esodo, ma soprattutto la sovrana libertà del Signore, re del mondo, di produrre lui quanto pane vuole e di moltiplicarlo a suo piacimento.
“Tutti mangiarono e furono saziati; e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini”
Non solo tutti furono sazi, ma si raccolsero anche dodici ceste piene di pezzi avanzati, segno che Dio è generoso con i Suoi doni, agisce sempre con sovrabbondanza.
Le dodici ceste sembrano alludere alle 12 tribù di Israele e questo può significare che il Messia ha cura di tutto l'antico popolo dell'alleanza, non lo dimentica!. E’ interessante notare che nella seconda moltiplicazione compiuta in territorio pagano, dato che le ceste avanzate saranno sette ciò potrebbe far pensare al numero delle nazioni (settanta).
Per Matteo questa mensa nel deserto diventa l’anticipazione della cena eucaristica. I discepoli apprendono da Gesù che distribuisce loro i pani il valore della condivisione, inoltre il dar da mangiare alla folla da parte di Gesù è “segno” che Lui é il Messia e che imbandisce un banchetto di gioia per tutta l’umanità.
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LE PAROLE DI PAPA FRANCESCO
“In questa domenica, il Vangelo ci presenta il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci . Gesù lo compì lungo il lago di Galilea, in un luogo isolato dove si era ritirato con i suoi discepoli dopo aver saputo della morte di Giovanni Battista. Ma tante persone li seguirono e li raggiunsero; e Gesù, vedendole, ne sentì compassione e guarì i malati fino alla sera. Allora i discepoli, preoccupati per l’ora tarda, gli suggerirono di congedare la folla perché potessero andare nei villaggi a comperarsi da mangiare.
Ma Gesù, tranquillamente, rispose: «Voi stessi date loro da mangiare»; e fattosi portare cinque pani e due pesci, li benedisse, e cominciò a spezzarli e a darli ai discepoli, che li distribuivano alla gente. Tutti mangiarono a sazietà e addirittura ne avanzò!
In questo avvenimento possiamo cogliere tre messaggi.
Il primo è la compassione. Di fronte alla folla che lo rincorre e – per così dire – “non lo lascia in pace”, Gesù non reagisce con irritazione, non dice: “Questa gente mi dà fastidio”. No, no. Ma reagisce con un sentimento di compassione, perché sa che non lo cercano per curiosità, ma per bisogno. Ma stiamo attenti: compassione – quello che sente Gesù – non è semplicemente sentire pietà; è di più! Significa con-patire, cioè immedesimarsi nella sofferenza altrui, al punto di prenderla su di sé. Così è Gesù: soffre insieme a noi, soffre con noi, soffre per noi. E il segno di questa compassione sono le numerose guarigioni da lui operate.
Gesù ci insegna ad anteporre le necessità dei poveri alle nostre. Le nostre esigenze, pur legittime, non saranno mai così urgenti come quelle dei poveri, che non hanno il necessario per vivere. Noi parliamo spesso dei poveri. Ma quando parliamo dei poveri, sentiamo che quell’uomo, quella donna, quei bambini non hanno il necessario per vivere? Che non hanno da mangiare, non hanno da vestirsi, non hanno la possibilità di medicine… Anche che i bambini non hanno la possibilità di andare a scuola. E per questo, le nostre esigenze, pur legittime, non saranno mai così urgenti come quelle dei poveri che non hanno il necessario per vivere.
Il secondo messaggio è la condivisione. Il primo è la compassione, quello che sentiva Gesù, il secondo la condivisione. È utile confrontare la reazione dei discepoli, di fronte alla gente stanca e affamata, con quella di Gesù. Sono diverse. I discepoli pensano che sia meglio congedarla, perché possa andare a procurarsi il cibo. Gesù invece dice: date loro voi stessi da mangiare. Due reazioni diverse, che riflettono due logiche opposte: i discepoli ragionano secondo il mondo, per cui ciascuno deve pensare a sé stesso; ragionano come se dicessero: “Arrangiatevi da soli”. Gesù ragiona secondo la logica di Dio, che è quella della condivisione. Quante volte noi ci voltiamo da un’altra parte pur di non vedere i fratelli bisognosi! E questo guardare da un’altra parte è un modo educato per dire, in guanti bianchi, “arrangiatevi da soli”. E questo non è di Gesù: questo è egoismo. Se avesse congedato le folle, tante persone sarebbero rimaste senza mangiare. Invece quei pochi pani e pesci, condivisi e benedetti da Dio, bastarono per tutti. E attenzione! Non è una magia, è un “segno”: un segno che invita ad avere fede in Dio, Padre provvidente, il quale non ci fa mancare il “nostro pane quotidiano”, se noi sappiamo condividerlo come fratelli.
Compassione, condivisione.
E il terzo messaggio: il prodigio dei pani preannuncia l’Eucaristia. Lo si vede nel gesto di Gesù che «recitò la benedizione» prima di spezzare i pani e distribuirli alla gente . E’ lo stesso gesto che Gesù farà nell’Ultima Cena, quando istituirà il memoriale perpetuo del suo Sacrificio redentore. Nell’Eucaristia Gesù non dona un pane, ma il pane di vita eterna, dona Sé stesso, offrendosi al Padre per amore nostro. Ma noi dobbiamo andare all’Eucaristia con quei sentimenti di Gesù, cioè la compassione e quella volontà di condividere. Chi va all’Eucaristia senza avere compassione dei bisognosi e senza condividere, non si trova bene con Gesù.
Compassione, condivisione, Eucaristia. Questo è il cammino che Gesù ci indica in questo Vangelo. Un cammino che ci porta ad affrontare con fraternità i bisogni di questo mondo, ma che ci conduce oltre questo mondo, perché parte da Dio Padre e ritorna a Lui. La Vergine Maria, Madre della divina Provvidenza, ci accompagni in questo cammino.”
Papa Francesco Parte dell’Angelus del 3 agosto 2014