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Ott 31, 2020

Solennità di tutti i santi - 1 novembre 2020

Le commemorazioni dei santi martiri, comuni a diverse Chiese, cominciarono ad essere celebrate nel IV secolo, ma la commemorazione di tutti i Santi la si deve a Papa Gregorio III (731-741) che scelse il 1^ novembre come data dell'anniversario della consacrazione di una cappella a San Pietro alle reliquie "dei santi apostoli e di tutti i santi…”. Venne poi decretata festa di precetto da parte del re franco Luigi il Pio nell'835 e il decreto fu emesso su richiesta di papa Gregorio IV con il consenso di tutti i vescovi.
La commemorazione dei fedeli defunti al 2 novembre ebbe origine nel sec. X nel monastero benedettino di Cluny. Papa Benedetto XV, al tempo della prima guerra mondiale, giunse a concedere a ogni sacerdote la facoltà di celebrare «tre messe» in questo giorno.
Le letture proposte dalla liturgia di questi due giorni ci aiuteranno a dare una risposta alla domanda: chi sono i santi? Non sono solo coloro che hanno raggiunto la gloria degli altari, ma sono anche coloro che hanno interpretato ed interpretano nel mondo il bisogno di Dio, che accettano e fanno fruttificare la grazia del Signore, che collaborano al compimento del progetto divino della riconsacrazione del mondo nell’amore. La santità è certamente anche un dono di Dio e, nello stesso tempo, il risultato di un impegno morale, svolto anche nell’ombra, che solo Dio vede. La santità non è quindi solo il raccolto finale di una vita spesa nel bene, la santità è il segno di una quotidiana partecipazione ai progetti di Dio.

Solennità di tutti i Santi – 1 Novembre 2019

Dal libro dell’Apocalisse di S.Giovanni Apostolo
Io, Giovanni, vidi salire dall’oriente un altro angelo, con il sigillo del Dio vivente. E gridò a gran voce ai quattro angeli, ai quali era stato concesso di devastare la terra e il mare: «Non devastate la terra né il mare né le piante, finché non avremo impresso il sigillo sulla fronte dei servi del nostro Dio».
E udii il numero di coloro che furono segnati con il sigillo: centoquarantaquattromila segnati, provenienti da ogni tribù dei figli d’Israele.
Dopo queste cose vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani. E gridavano a gran voce:
«La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all’Agnello».
E tutti gli angeli stavano attorno al trono e agli anziani e ai quattro esseri viventi, e si inchinarono con la faccia a terra davanti al trono e adorarono Dio dicendo: «Amen! Lode, gloria, sapienza, azione di grazie, onore, potenza e forza al nostro Dio nei secoli dei secoli. Amen».
Uno degli anziani allora si rivolse a me e disse: «Questi, che sono vestiti di bianco, chi sono e da dove vengono?». Gli risposi: «Signore mio, tu lo sai». E lui: «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello».
Ap 7,2-4.9-14

L‘Apocalisse di Giovanni, è l’ultimo libro del Nuovo Testamento, si compone di 22 capitoli, ed è uno dei testi più controversi e difficili da interpretare. Appartiene al gruppo di scritti neotestamentari noto come “letteratura giovannea“, in quanto redatta, intorno all’anno 95, verso la fine dell'impero di Domiziano, dai discepoli dell’apostolo che si sono ispirati al suo insegnamento.
I libri che hanno di più influenzato l'Apocalisse sono i libri dei Profeti, principalmente Daniele, Ezechiele, Isaia, Zaccaria e poi anche il Libro dei Salmi.
L'autore presenta se stesso come Giovanni, esiliato a Patmos, isola dell‘Egeo, a circa 70 km da Efeso, a causa della parola di Dio. Secondo alcuni studiosi, la stesura definitiva del libro, anche se iniziata durante l'esilio dell’autore, sarebbe avvenuta ad Efeso.
Questo brano costituisce l’intermezzo della sezione che va sotto il nome “i sette sigilli”. Essi vengono aperti dall’Agnello immolato, cioè da Gesù che si presenta così, per mezzo della sua passione, come il rivelatore del disegno salvifico di Dio. Ad ogni apertura corrisponde la realizzazione progressiva dei decreti di Dio. Volta per volta vengono rivelati coloro che devono realizzare questi decreti: i quattro cavalieri, i martiri con il loro invito alla giustizia, il cosmo, gli Angeli e i Santi con le loro preghiere.
Prima dell'apertura del settimo sigillo vi è una pausa. Giovanni poi continua il racconto della sua visione:
“Io, Giovanni, vidi salire dall’oriente un altro angelo, con il sigillo del Dio vivente. E gridò a gran voce ai quattro angeli, ai quali era stato concesso di devastare la terra e il mare: «Non devastate la terra né il mare né le piante, finché non avremo impresso il sigillo sulla fronte dei servi del nostro Dio.”
Gli angeli vengono mandati sulla terra a mettere un segno per distinguere gli eletti di Dio. Questo segno pone gli eletti sotto la protezione di Dio, e grazie al Suo aiuto essi potranno resistere alle prove della persecuzione, non però saranno risparmiati dalla sofferenza e neppure dalla morte fisica, ma saranno preservati dalla distruzione totale e dall'annientamento.
“E udii il numero di coloro che furono segnati con il sigillo: centoquarantaquattromila segnati, provenienti da ogni tribù dei figli d’Israele”.
Questo è un numero figurativo, formato da 12 per 12 per 1000. Il numero 12, è il segno del tempo giunto a compimento, poiché nei 12 mesi dell’anno la terra compie il suo giro intorno al sole. Perciò il numero 12, qui abbinato al numero 1000, è considerato segno della perfezione e della completezza. Il numero 144.000, proveniente da ogni tribù dei figli d'Israele, è il prodotto di 12 (tribù d'Israele), per 12 (numero degli apostoli) per 1000 (numero di grandezza divina).
Giovanni poi vede la schiera dei beati che si trova già in cielo:
“Dopo queste cose vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani. E gridavano a gran voce: «La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all’Agnello».
I beati del cielo sono una folla immensa, non si può calcolare, non si può esprimere nemmeno con un numero simbolico. Provengono da tutte le parti del mondo. Essi stanno in piedi: atteggiamento dell'uomo vivo e libero. I vestiti bianchi sono simbolo della gloria del cielo e le palme sono simbolo di vittoria.
“Uno degli anziani allora si rivolse a me e disse: «Questi, che sono vestiti di bianco, chi sono e da dove vengono?». Gli risposi: «Signore mio, tu lo sai». E lui: «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello».
Uno degli anziani chiede a Giovanni chi siano queste persone e Giovanni a sua volta lo chiede all'anziano. Si tratta di coloro che hanno perseverato nel momento della prova. Essi hanno potuto resistere non grazie alle loro forze, ma grazie al sangue di Cristo, alla Sua redenzione, a cui hanno potuto accedere grazie alla fede e ai sacramenti.
Il canto che gli eletti elevano a Dio nella liturgia gloriosa del cielo riconosce che “La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all’Agnello”. C’è quindi un primato assoluto di Dio! Essere santi vuol dire accogliere un dono più che conquistarlo, ma una volta accolto, il dono deve essere a sua volta donato . E’ in questo che scatta l’impegno dell’uomo, la sua risposta d’amore, all’amore di Dio.
Questa grazia è luminosamente presente in tutti i santi, anche in quelli che espressamente non appartengono al cristianesimo, ma che certamente in modo misterioso e segreto sono legati a Dio e al Suo Figlio incarnato.
La santità nasce da un dialogo efficace in cui la prima battuta, quella che rompe il silenzio e crea la bellezza del discorso, è pronunziata da Dio. A questo punto è di vitale importanza rispondere, pronunciare il sì all’adesione piena e totale . Con questo impegno personale la vita è trasformata, divenendo un dialogo vivo e continuo con Dio, che è Amore e a questo amore si risponde solo amando.
Salmo 23/24 - Ecco la generazione che cerca il tuo volto, Signore.
Del Signore è la terra e quanto contiene:
il mondo, con i suoi abitanti.
È lui che l’ha fondato sui mari
e sui fiumi l’ha stabilito.
Chi potrà salire il monte del Signore?
Chi potrà stare nel suo luogo santo?
Chi ha mani innocenti e cuore puro,
chi non si rivolge agli idoli.
Egli otterrà benedizione dal Signore,
giustizia da Dio sua salvezza.
Ecco la generazione che lo cerca,
che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe.
Il salmo presenta il momento in cui Israele ritorna dell’esilio. Ora è consapevole, dopo la distruzione di Gerusalemme e del tempio, che per salire al tempio e per abitare alla sua ombra bisogna essere puri di cuore; il tempio non salva nessuno se non c’è la fedeltà alla legge.
Il Signore è di maestà infinita, e sua “è la terra e quanto contiene: il mondo, con i suoi abitanti”.
Dalla considerazione della grandezza e potenza di Dio parte l’esame delle qualità di chi andrà ad abitare all’ombra del tempio del Signore.
Il tempio è stato distrutto e un coro dice alle porte di ristabilire se stesse. Esse sono state distrutte, ma sono pure “eterne” (traduzione letterale), e perciò saranno rifatte.
Dalle porte del tempio, comprese quelle dell’atrio degli olocausti, entrerà il re della gloria a prendere dimora con la sua gloria nel tempio, nel santo dei santi.
E’ il Signore potente in battaglia, che vince i suoi nemici. “Il Signore degli eserciti” è il Signore delle schiere dei valorosi nella fede.
Il “sensus plenior" del salmo è per salire il monte santo, cioè giungere alla mensa Eucaristica, salire in un cammino d’iniziazione, alla partecipazione piena all’altare, e dimorare nella fede e nell’amore nella casa del Signore richiede rettitudine di vita. Occorre cercare colui che già si è fatto trovare; cercarlo per più conoscerlo e amarlo, in un tendere all’infinito a lui.
E i cieli sono aperti. Le porte del cielo ostruitesi per il peccato dell’uomo ora si sono riaperte. I cori angeli hanno proclamato: “Alzate, o porte, la vostra fronte, alzatevi soglie antiche, ed entri il re della gloria…”. Entri il “Signore valoroso in battaglia”, quella che ha condotto contro le tenebre lanciategli da Satana e i dolori della croce. “E’ il Signore degli eserciti il re della gloria”, il Signore delle schiere apostoliche della Chiesa, che porta la luce del vangelo ovunque.
Commento di P.Paolo Berti

Dalla prima lettera di S.Giovanni Apostolo
Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui.
Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è.
Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro.
1Gv 3,1-3

La Prima lettera di Giovanni è una lettera tradizionalmente attribuita a Giovanni apostolo ed evangelista ed inclusa tra i libri del Nuovo Testamento (la quarta delle cosiddette “lettere cattoliche”). La lettera nella sua redazione finale dovrebbe essere stata scritta verso la fine del I secolo, probabilmente ad Efeso.
Nel II secolo, tra tutti gli scritti attribuiti a Giovanni, solo la "Prima lettera" era riconosciuta da tutte le chiese come "Sacra Scrittura“. I destinatari della lettera sono pagani delle comunità dell‘Asia Minore che si sono convertiti al Cristianesimo. Lo scopo che Giovanni si prefigge è quello di richiamare le comunità cristiane all’amore fraterno e di metterle in guardia verso i falsi maestri gnostici ed eretici, che negavano l’incarnazione di Gesù Cristo.
La seconda parte del capitolo 2 è dedicata agli ultimi tempi, che per l'autore della lettera sono ormai vicini. Egli parla di diversi anticristi, cioè di avversari del Signore che cercano di allontanare da lui i suoi fedeli. Essi però li hanno riconosciuti, alcuni facevano parte addirittura della loro comunità, e non sono caduti nei loro tranelli. Giovanni ricorda loro come distinguerli: negano che Gesù è il Cristo, negano che sia Figlio di Dio. I cristiani devono dunque rimanere fedeli a Lui e attendere con fiducia la sua parusia, cioè il suo ritorno nella gloria..
Questo brano, tratto dal 3^ capitolo, “Vivere da Figli di Dio”, leggiamo:
“Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui.”
Chi ha aderito al Vangelo non può vacillare nel momento della prova perché è stato il destinatario di un amore grandissimo. Siamo figli di Dio! Questo titolo per noi oggi probabilmente ha perso forse un po' di significato, ma rimane sempre un'affermazione forte. Anche noi come i cristiani di allora siamo “chiamati figli di Dio” , ma il mondo non ci riconosce come tali perché non ha riconosciuto Dio. E' il paradosso dell'amore di Dio, che lascia libere le persone di riconoscerlo come il Signore del mondo e della vita.
“Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è”.
In questo versetto c'è una tensione tra l'oggi e il futuro dei figli di Dio. Adesso è una situazione un po' nascosta, non si sa bene come saremo quando Cristo si manifesterà nella gloria. Una cosa sappiamo: saremo simili a Lui, ricolmi di gloria e di felicità perché lo vedremo faccia a faccia “così come egli è”. Questa anticipazione della gloria futura ci può bastare!
Il desiderio dei credenti è quello di vedere il Signore. La Sua gloria e la Sua bellezza ci investirà completamente e noi parteciperemo di questa Sua gloria.

Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia.
Rallegratevi ed esultate perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.
Mt 5,1-12 a

L’evangelista Matteo riunisce in un primo grande discorso gli insegnamenti di Gesù , presentando così un catechismo di iniziazione cristiana, opposto all’ideale religioso giudaico. C’era la legge, cioè l’insieme delle esigenze morali, religiose, culturali, personali e collettive che valeva per tutto il popolo di Dio e tutto questo Mosè l’aveva ricevuto sul Sinai. D’ora in poi c’è la nuova legge che Gesù dà sulla montagna come su un nuovo Sinai. Non toglie nulla alla legge di Mosè, ma la completa andando alla radice dei comportamenti umani. Gesù afferma che beati sono gli uomini e le donne poveri di spirito, beati i misericordiosi, gli afflitti, i miti, gli affamati di giustizia, i puri di cuore, i perseguitati a causa della giustizia ed anche coloro che sono insultati e perseguitati a causa del Suo nome.
Parole come queste non le aveva dette mai nessuno e i discepoli certo non le avevano mai udite sino a quel momento. E anche noi che le ascoltiamo oggi paiono davvero molto lontane, si ha come l’impressione di vedere il mondo alla rovescia, quasi agli antipodi di ciò che pensiamo, diciamo e facciamo.
Le beatitudini però non sono delle cose da fare, ma frutti di una scelta di vita che non è sforzo solo nostro, ma conseguenza dell’opera dello Spirito in noi. Solo lo Spirito ci può rendere miti, pacifici, puri di cuore, misericordiosi … Il nostro sforzo deve consistere nell’accogliere l’azione dello Spirito Santo in noi, di obbedire in tutto a Dio. Quanto riusciremo ad accogliere e seguire lo Spirito che elargisce i Suoi doni (fortezza, scienza, sapienza, intelletto, consiglio, pietà, timor di Dio) tanto saremo capaci di vivere le beatitudini. Capiremo così che le beatitudini sono la vita stessa di Gesù, Lui le ha vissute tutte. Per questo, il nostro aderire ad esse ci inserisce nella vita di Cristo, ci unisce più che mai a Lui. Il premio delle beatitudini è Dio stesso: è Lui la beatitudine vera, la felicità che non avrà mai fine.

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“La prima Lettura di oggi, dal Libro dell’Apocalisse, ci parla del cielo e ci pone davanti a «una moltitudine immensa», incalcolabile, «di ogni nazione, tribù, popolo e lingua». Sono i santi. Che cosa fanno “lassù”? Cantano insieme, lodano Dio con gioia. Sarebbe bello ascoltare il loro canto… Ma possiamo immaginarlo: sapete quando? Durante la Messa, quando cantiamo «Santo, santo, santo il Signore Dio dell’universo...». È un inno – dice la Bibbia – che viene dal cielo, che si canta là (cfr Is 6,3; Ap 4,8), un inno di lode. Allora, cantando il “Santo”, non solo pensiamo ai santi, ma facciamo quello che fanno loro: in quel momento, nella Messa, siamo uniti a loro più che mai.
E siamo uniti a tutti i santi: non solo a quelli più noti, del calendario, ma anche a quelli “della porta accanto”, ai nostri familiari e conoscenti che ora fanno parte di quella moltitudine immensa. Oggi allora è festa di famiglia. I santi sono vicini a noi, anzi sono i nostri fratelli e sorelle più veri. Ci capiscono, ci vogliono bene, sanno qual è il nostro vero bene, ci aiutano e ci attendono. Sono felici e ci vogliono felici con loro in paradiso.
Per questo ci invitano sulla via della felicità, indicata nel Vangelo odierno, tanto bello e conosciuto: «Beati i poveri in spirito […] Beati i miti […] Beati i puri di cuore…». Ma come? Il Vangelo dice beati i poveri, mentre il mondo dice beati i ricchi. Il Vangelo dice beati i miti, mentre il mondo dice beati i prepotenti. Il Vangelo dice beati i puri, mentre il mondo dice beati i furbi e i gaudenti. Questa via della beatitudine, della santità, sembra portare alla sconfitta. Eppure – ci ricorda ancora la prima Lettura – i santi tengono «rami di palma nelle mani», cioè i simboli della vittoria. Hanno vinto loro, non il mondo. E ci esortano a scegliere la loro parte, quella di Dio che è Santo.
Chiediamoci da che parte stiamo: quella del cielo o quella della terra? Viviamo per il Signore o per noi stessi, per la felicità eterna o per qualche appagamento ora? Domandiamoci: vogliamo davvero la santità? O ci accontentiamo di essere cristiani senza infamia e senza lode, che credono in Dio e stimano il prossimo ma senza esagerare? Il Signore «chiede tutto, e quello che offre è la vera vita - offre tutto -, la felicità per la quale siamo stati creati» (Esort. ap. Gaudete ed exultate , 1). Insomma, o santità o niente! Ci fa bene lasciarci provocare dai santi, che qua non hanno avuto mezze misure e da là “tifano” per noi, perché scegliamo Dio, l’umiltà, la mitezza, la misericordia, la purezza, perché ci appassioniamo al cielo piuttosto che alla terra.
Oggi i nostri fratelli e sorelle non ci chiedono di sentire un’altra volta un bel Vangelo, ma di metterlo in pratica, di incamminarci sulla via delle Beatitudini. Non si tratta di fare cose straordinarie, ma di seguire ogni giorno questa via che ci porta in cielo, ci porta in famiglia, ci porta a casa. Oggi quindi intravediamo il nostro futuro e festeggiamo quello per cui siamo nati: siamo nati per non morire mai più, siamo nati per godere la felicità di Dio! Il Signore ci incoraggia e a chi imbocca la via delle Beatitudini dice: «Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli» . La Santa Madre di Dio, Regina dei santi, ci aiuti a percorrere con decisione la strada della santità; lei, che è la Porta del cielo, introduca i nostri cari defunti nella famiglia celeste.”
Papa Francesco Parte dell’Angelus del 1 novembre 2018

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Pro Memoria

L'umanità è una grande e  immensa famiglia ... Troviamo la dimostrazione di ciò da quello che ci sentiamo nei nostri cuori a Natale.
(Papa Giovanni XXIII)

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Titolo presbiterale: Card. Polycarp PENGO
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