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Dic 18, 2021

IV Domenica di Avvento - Anno C - "L'annuncio a Maria" - 19 dicembre 2021

Il Natale ormai vicino già illumina questa quarta domenica di Avvento. Infatti al centro delle letture si presentano le due figure fondamentali del grande evento di salvezza, Gesù e Maria.
Nella prima lettura, Michea, il profeta contadino, afferma che una partoriente, a Betlemme, piccolo villaggio di Giuda, sta per dare alla luce un nuovo Davide, re di pace e di gioia, fonte di una rinnovata armonia cosmica. Dio è fedele alle sue promesse.
Nella seconda lettura, l’autore della lettera gli Ebrei, afferma che Gesù Cristo si è offerto al Padre per compiere la Sua volontà: il valore della nostra esistenza, delle nostre preghiere, dei nostri sforzi si trova nel compiere questa volontà.
Nel Vangelo di Luca, si contempla l’incontro di Maria con la cugina Elisabetta. Il loro dialogo è un inno sull’accettazione della vita e del miracolo: è la celebrazione del miracolo della vita e dell’umiltà che aiuta ad individuarlo e difenderlo quotidianamente. L’incarnazione di Cristo è un miracolo, ma anche la nascita di ogni creatura umana è un miracolo, così come è un miracolo della grazia di Dio la rinascita di un’anima.

Dal libro del profeta Michèa
Così dice il Signore:
«E tu, Betlemme di Èfrata,
così piccola per essere fra i villaggi di Giuda,
da te uscirà per me
colui che deve essere il dominatore in Israele;
le sue origini sono dall’antichità,
dai giorni più remoti.
Perciò Dio li metterà in potere altrui
fino a quando partorirà colei che deve partorire;
e il resto dei tuoi fratelli ritornerà ai figli d’Israele.
Egli si leverà e pascerà con la forza del Signore,
con la maestà del nome del Signore, suo Dio.
Abiteranno sicuri, perché egli allora sarà grande
fino agli estremi confini della terra.
Egli stesso sarà la pace!».
Mic 5,1-4°

Il profeta Michea era originario di Moroset, un piccolo villaggio a circa 35 km a sudovest da Gerusalemme. Visse nell’VIII secolo a.C., quasi duecento anni dopo la scissione fra le dieci tribù del nord, guidate da Geroboamo, e le due del sud, rimaste fedeli alla casa del re Davide.
Mentre il regno di Giuda, a vicende alterne, continuava a servire il Signore nel tempio di Gerusalemme, il regno del Nord, con capitale Samaria, era invece diventato un centro di sacerdoti idolatri e di pratiche pagane. Michea svolse la sua attività di profeta durante i regni di Iotam, Acaz ed Ezechia tra il 727 a.C. ed il 690 a.C., cioè prima e dopo la presa di Samaria nel 721 e forse fino all’invasione di Sennàcherib nel 701 a.C., un’epoca che vide "in piena azione" un altro grande profeta, Isaia ed anche Osea. Per la sua origine contadina, Michea, vissuto nell’alone del grande Isaia, è più simile al profeta Amos, di cui divide l’avversione alle grandi città, il linguaggio concreto e talvolta brutale, il gusto delle immagini rapide e dei giochi di parole. Il libro che porta il suo nome, è composto da 7 capitoli e mostra che le parole del profeta sono articolate tra processo a Israele per le sue colpe (1,2-3,12) promesse a Sion (4,1-5,14), nuovo processo a Israele (6,1-7,7) e speranza finale che rimette nelle mani di Dio la salvezza (7,8-20). Michea, non si limita, ad accusare e condannare il peccato del popolo, ma si pone come tenace difensore della giustizia sociale e delle promesse di Dio.
La sicurezza in Dio, che mantiene le Sue promesse, apre gli occhi a un futuro di speranza. Questa speranza certa è legata al “resto” d’Israele che sopravvivrà alle possibili distruzioni umane.
Il messaggio di speranza che il profeta proclama è diretto all’annuncio del Messia, discendente di Davide, che dovrà nascere nella piccola e umile città di Betlemme (è il solo profeta che precisa il luogo della nascita e specifica Betlemme di Efrata in Giuda per distinguerla dall’altra Betlemme esistente ai suoi tempi)
Il brano che abbiamo riporta il celebre passo che è risuonato sette secoli dopo, che Michea le ha pronunciate, all’interno di un lussuoso palazzo di Gerusalemme, davanti ad un re ingiusto e violento, Erode: “E tu, Betlemme di Èfrata, così piccola per essere fra i villaggi di Giuda, da te uscirà per me colui che deve essere il dominatore in Israele”.
Il profeta in questo passo alludeva alla venuta del Messia e ai tempi messianici, in cui il "piccolo resto" d'Israele salvato da stragi e calamità dalla mano potente di Dio, tornerà là dove deve nascere l'Atteso delle genti: il Salvatore, e ciò avverrà quando “partorirà colei che deve partorire”
L’attenzione va posta innanzitutto su Betlemme (= città del pane) che il profeta riconosce tanto piccola, pur essendo tra i capoluoghi di Giuda. In questi versetti si può notare anche tratti di politica vera e propria. Il messia viene annunciato come nuovo dominatore in Israele, in opposizione ai capi politici e religiosi che a Gerusalemme si dimostrano incapaci di governare. Per di più, proprio questa città, così piccola e dunque di ben poca importanza, è messa in relazione con una donna: quella da cui dovrà nascere il Signore delle genti, Colui che pascerà con la forza del Signore, con la maestà del nome del Signore, suo Dio.
Questo oracolo ha avuto allora, un sapore nuovo, e soprattutto ai poveri, ai giusti, agli stranieri dal cuore puro come i Magi, ha aperto un orizzonte di luce e di speranza, quell’orizzonte che oggi celebriamo e da cui siamo avvolti.

Salmo 79 - Signore, fa’ splendere il tuo volto e noi saremo salvi.
Tu, pastore d’Israele, ascolta,
seduto sui cherubini, risplendi.
Risveglia la tua potenza
e vieni a salvarci

Dio degli eserciti, ritorna!
Guarda dal cielo e vedi
e visita questa vigna,
proteggi quello che la tua destra ha piantato,
il figlio dell’uomo che per te hai reso forte.

Sia la tua mano sull’uomo della tua destra,
sul figlio dell’uomo che per te hai reso forte.
Da te mai più ci allontaneremo,
facci rivivere e noi invocheremo il tuo nome.

Il salmo venne scritto quando ancora l’arca non era distrutta, il che avvenne con la distruzione di Gerusalemme. Probabilmente è stato scritto dopo la presa di Samaria da parte dell’Assiro Sargon (721), e dopo che Gerusalemme, assediata dall’Assiro Sennacherib dopo la devastazione della Giudea, rimase indenne (701). Questo evento fece risaltare la potenza di Dio nel suo tempio di Gerusalemme, e rese sensibile la Samaria verso Gerusalemme, cosa che permetterà l’azione riformista di Giosia (640-609) anche in territorio Samaritano. Il salmista è un pio Israelita delle tribù del nord (Samaria) che desidera che le tribù di Efraim, Beniamino e Manasse siano benedette da Dio, la cui gloria sta sui cherubini dell’arca, posta nel tempio di Gerusalemme; desidera la fine dello scisma samaritano: “Seduto sui cherubini, risplendi davanti a Efraim, Beniamino e Manasse. Risveglia la tua potenza e vieni a salvarci”.
A Dio, che guida Giuseppe “come un gregge”, il salmista chiede di manifestare nuovamente quella potenza che esercitò quando fece uscire “Giuseppe” dall’Egitto; intendendo per Giuseppe tutto Israele, finito in Egitto proprio a partire da lui (Gn 37,38).
Egli attraverso la bella immagine della vigna rievoca la storia di Israele: “Hai sradicato un vite dall’Egitto…”. Questa vite curata da lui ha esteso i suoi rami fino al Mediterraneo e fino al Libano: “La sua ombra copriva le montagne e i suoi rami i cedri più alti. Ha esteso i suoi tralci fino al mare, arrivavano al fiume i suoi germogli”. “Il fiume”, è l’Eufrate. Esso era lontano dalla Terra Promessa, ma indica fin dove giungeva l’influenza di Israele. …..….
Il salmista riconosce la dinastia di Davide e ha la speranza che il re di Gerusalemme saprà risollevare le sorti di Israele, costui al presente era Ezechia (716-687): “Sia la tua mano sull’uomo della tua destra, sul figlio dell’uomo che per te hai reso forte”, ma nel futuro sarà il Cristo. Quell’uomo reso forte è ora ogni pontefice, ogni vescovo, ogni sacerdote, ogni diacono, ogni fedele, che tutti sono uno, nell’uno che è la Chiesa, corpo mistico di Cristo, e che si adoperano per portare nel mondo la vera pace, cioè Cristo.
Commento tratto da Perfetta Letizia

Dalla lettera agli Ebrei
Fratelli, entrando nel mondo, Cristo dice:
Tu non hai voluto né sacrificio né offerta,
un corpo invece mi hai preparato.
Non hai gradito
né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: «Ecco, io vengo
– poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà».
Dopo aver detto: «Tu non hai voluto e non hai gradito né sacrifici né offerte, né olocausti né sacrifici per il peccato», cose che vengono offerte secondo la Legge, soggiunge: «Ecco, io vengo a fare la tua volontà».
Così egli abolisce il primo sacrificio per costituire quello nuovo. Mediante quella volontà siamo stati santificati per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per sempre.
Eb 10,5-10

L’autore della Lettera agli Ebrei è rimasto anonimo, anche se nei primi tempi si è pensato a Paolo di Tarzo, ma sia la critica antica che moderna, ha escluso quasi concordemente questa attribuzione.
L’autore è certamente di origine giudaica, perchè conosce perfettamente la Bibbia, ha una fede integra e profonda, una grande cultura, ma tutte le congetture fatte sul suo nome rimangono congetture, si può solo dedurre che nel cristianesimo primitivo ci furono notevoli personalità oltre agli apostoli, anche se rimaste sconosciute.
Quanto ai destinatari – ebrei – è certo che l’autore non si rivolge agli ebrei per invitarli a credere in Cristo, il suo scopo è invece quello di ravviare la fede e il coraggio ai convertiti di antica data, con tutta probabilità di origine giudaica. Infatti per discutere con essi, l’autore cita in continuazione la Scrittura e richiama incessantemente le idee e le realtà più importanti della religione giudaica ..
Questo brano inizia riportando una citazione: “Fratelli, entrando nel mondo, Cristo dice:
Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato”.
Per dare maggiore forza all’affermazione precedente in cui sosteneva che Cristo ha offerto se stesso in sacrificio una volta per sempre, rendendo inutile il sistema dei sacrifici nel Tempio, ora l’autore cita il salmo 40,6-8. Questo salmo è molto adatto a descrivere l'offerta di Cristo e nessun altro brano del Nuovo Testamento lo utilizza. In questo salmo si dice appunto che il Signore non ha gradito sacrificio, cioè l'immolazione di animali, né altre offerte. Invece di accettare questi doni, il Signore ha preparato un corpo per il Cristo.
“Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato”
I profeti si erano spesso scagliati contro un culto solo esteriore, con l'offerta di beni materiali, fatto solo per ottenere il perdono dei peccati. Il sacrificio di Cristo è superiore a tutti i sacrifici e inaugura un nuovo modo di mettersi in relazione con il Signore.
“Allora ho detto: «Ecco, io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà»”.
Cristo ha risposto dando la sua piena disponibilità a compiere la volontà di Dio. Di Lui è scritto nel rotolo del libro, cioè nei testi profetici, che parlano del Messia.
“Dopo aver detto: «Tu non hai voluto e non hai gradito né sacrifici né offerte, né olocausti né sacrifici per il peccato», cose che vengono offerte secondo la Legge,”
In questi ultimi versetti si sottolinea ciò che è stato prima affermato. Il sacrificio degli animali e altre cose che venivano offerte, perché previste dalla Legge, non sono più gradite a Dio.
“soggiunge: «Ecco, io vengo a fare la tua volontà». Così egli abolisce il primo sacrificio per costituire quello nuovo”.
Cristo viene a fare la volontà di Dio. Questo provoca una svolta fondamentale, vi è una sostituzione nei tipi di sacrificio.
“Mediante quella volontà siamo stati santificati per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per sempre”.
La volontà di Dio ci rende santi, attraverso l'offerta del corpo di Gesù Cristo, che è il vero atto sacerdotale: tutta l’esistenza di Gesù, è il grande atto di offerta. Egli togliendo il peccato, ha ristabilito il legame con Dio nella propria persona, nella propria esperienza viva. Ha fondato l’alleanza nuova, il popolo nuovo che può accostarsi a Dio.

Dal Vangelo secondo Luca
In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
Lc 1,39-45

Luca in questo brano del suo vangelo riporta la visita di Maria ad Elisabetta e inizia con una indicazione di tempo ed altri segni che legano il concepimento di Giovanni e quello di Gesù.
“In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta.”
Luca sottolinea la prontezza di Maria nel rispondere alle esigenze della Parola di Dio. Ella esce di casa, da Nazareth per percorrere le montagne della Giudea facendo più di 100 km, con i mezzi che potevano esserci allora . La fretta di Maria è piena di significato sotto tutti i punti di vista: quando si manifesta negli eventi l’opera di Dio non si può rimanere inerti o pigri. Così fa Abramo quando corre a preparare per i tre ospiti, così fa Zaccheo quando scende dal sicomoro, così fanno i pastori quando si affrettano a Betlemme. Nel caso di Maria, poi, ella sa, per le parole dell’angelo, che la gravidanza insperata di Elisabetta ha qualcosa a che fare con la sua, che il prodigio operato nella sua anziana parente fa parte dello stesso disegno divino in cui lei stessa è coinvolta. È naturale perciò che Maria corra verso la casa di Zaccaria per comprendere meglio il mistero che la riguarda. ”. Maria ed Elisabetta si conoscevano tutte e due. Erano parenti. Ma in questo incontro scoprono, l’una nell’altra, un mistero che non conoscevano ancora e che le riempie di gioia indescrivibile.
“Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo”!
La reazione del bambino precede quella della madre: egli sussultò nel suo grembo. L'evangelista utilizza per indicare la reazione del piccolo Giovanni il verbo greco della versione dei LXX di Gn 25,22-25 relativo ai figli di Rebecca, Esaù e Giacobbe, che si urtavano (così in ebraico) nel suo seno. Un segno di gioia che con lo Spirito santo di cui viene riempita Elisabetta, indica l'arrivo dei tempi messianici.
Il testo ci fa pensare anche che Giovanni ancor prima della nascita è profeta, perchè annuncia la presenza di Gesù (in questo caso alla madre), dimostrandosi suo precursore.
“ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo”
Finito il tempo del nascondimento, ora Elisabetta può gridare l’opera del Signore. Ogni maternità nella Bibbia è una benedizione, ma la maternità di Maria è unica e procura la più grande delle benedizioni. “Benedetta tu fra le donne...”. Per opera dello Spirito Santo Elisabetta comprende non solo che Maria è incinta, ma che il bambino che porta è fonte di benedizione. Maria è benedetta sopra tutte le altre donne a causa della benedizione che proviene dal frutto del suo grembo.
“A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me?”
E’ un onore per Elisabetta ricevere Maria. Tale dichiarazione è sorprendente se si pensa che Elisabetta è più anziana e moglie di un sacerdote, mentre Maria non possiede alcun rango sociale ed è molto più giovane di lei. La frase di Elisabetta trova la sua giustificazione nel fatto che riconosce in Maria la madre del Messia.
Il titolo di Signore, che Elisabetta usa per indicare il bambino che Maria ha in seno, è uno dei principali titoli messianici attribuiti a Gesù nel Nuovo Testamento,
“ Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo.”
Letteralmente la traduzione è “ha saltellato” di gioia. Nella Bibbia si parla più di danza che di sussulto. In questo versetto abbiamo una specie di danza che Giovanni Battista compie nel seno di sua madre. Sua madre l’ha interpretata così, l’ha sentita come una danza, come un movimento gioioso. Giovanni sta vivendo il primo incontro con Gesù e gli rende testimonianza.
“E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto”.
Sono le parole di lode di Elisabetta che esaltano Maria a concludere questo brano. Maria è diventata la madre di Gesù perché ha obbedito alla parola di Dio. E quando una donna del popolo, rivolgendosi a Gesù, la proclamerà beata: "Beato il grembo che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte!", Gesù completerà l'espressione di lode, dicendo: "Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!" (Lc 11,27-28).
La prima beatitudine del vangelo di Luca è l'esaltazione della fede di Maria. La fede è la virtù che ha accompagnato Maria nel suo cammino e l'ha radicata profondamente nel progetto di salvezza di Dio.
Maria è beata non perché ha generato fisicamente il Cristo, come intendeva la donna della folla, ma, come ha replicato Gesù, è beata perché è la credente che ha ascoltato la Parola di Dio e l’ha messa in pratica.
Per questo Maria è figura dei credenti, dei cristiani, che sono beati perché credono alla parola di Dio che hanno ascoltato dalla bocca di Gesù. Ella infatti ha creduto e per questo è la vera madre del Signore.

*****

“La liturgia di questa quarta domenica di Avvento pone in primo piano la figura di Maria, la Vergine Madre, in attesa di dare alla luce Gesù, il Salvatore del mondo. Fissiamo lo sguardo su di lei, modello di fede e di carità; e possiamo chiederci: quali erano i suoi pensieri nei mesi dell’attesa? La risposta viene proprio dal brano evangelico di oggi, il racconto della visita di Maria alla sua anziana parente Elisabetta. L’angelo Gabriele le aveva svelato che Elisabetta aspettava un figlio ed era già al sesto mese. E allora la Vergine, che aveva appena concepito Gesù per opera di Dio, era partita in fretta da Nazareth, in Galilea, per raggiungere i monti della Giudea, e trovare sua cugina.
Dice il Vangelo: «Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta». Sicuramente si felicitò con lei per la sua maternità, come a sua volta Elisabetta salutò Maria dicendo: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me?». E subito ne loda la fede: «E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto» . È evidente il contrasto tra Maria, che ha avuto fede, e Zaccaria, il marito di Elisabetta, il quale aveva dubitato, e non aveva creduto alla promessa dell’angelo e per questo rimane muto fino alla nascita di Giovanni. È un contrasto.
Questo episodio ci aiuta a leggere con una luce del tutto particolare il mistero dell’incontro dell’uomo con Dio. Un incontro che non è all’insegna di strabilianti prodigi, ma piuttosto all’insegna della fede e della carità. Maria, infatti, è beata perché ha creduto: l’incontro con Dio è frutto della fede. Zaccaria invece, che ha dubitato e non ha creduto, è rimasto sordo e muto. Per crescere nella fede durante il lungo silenzio: senza fede si resta inevitabilmente sordi alla voce consolante di Dio; e si resta incapaci di pronunciare parole di consolazione e di speranza per i nostri fratelli. E noi lo vediamo tutti i giorni: la gente che non ha fede o che ha una fede molto piccola, quando deve avvicinarsi a una persona che soffre, le dice parole di circostanza, ma non riesce ad arrivare al cuore perché non ha forza. Non ha forza perché non ha fede, e se non ha fede non vengono le parole che arrivano al cuore altrui. La fede, a sua volta, si alimenta nella carità. L’evangelista racconta che «Maria si alzò e andò in fretta» da Elisabetta: in fretta, non in ansia, non ansiosa, ma in fretta, in pace. “Si alzò”: un gesto pieno di premura. Avrebbe potuto rimanere a casa per preparare la nascita di suo figlio, invece si preoccupa prima degli altri che di sé stessa, dimostrando nei fatti di essere già discepola di quel Signore che porta in grembo. L’evento della nascita di Gesù è cominciato così, con un semplice gesto di carità; del resto, la carità autentica è sempre frutto dell’amore di Dio.
Il Vangelo della visita di Maria ad Elisabetta, che abbiamo ascoltato oggi nella Messa, ci prepara a vivere bene il Natale, comunicandoci il dinamismo della fede e della carità. Questo dinamismo è opera dello Spirito Santo: lo Spirito d’Amore che fecondò il grembo verginale di Maria e che la spinse ad accorrere al servizio dell’anziana parente. Un dinamismo pieno di gioia, come si vede nell’incontro tra le due madri, che è tutto un inno di gioiosa esultanza nel Signore, che compie grandi cose con i piccoli che si fidano di Lui.
La Vergine Maria ci ottenga la grazia di vivere un Natale estroverso, ma non disperso: estroverso: al centro non ci sia il nostro “io”, ma il Tu di Gesù e il tu dei fratelli, specialmente di quelli che hanno bisogno di una mano. Allora lasceremo spazio all’Amore che, anche oggi, vuole farsi carne e venire ad abitare in mezzo a noi."
Papa Francesco Parte dell’Angelus del 23 dicembre 2018

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Pro Memoria

L'umanità è una grande e  immensa famiglia ... Troviamo la dimostrazione di ciò da quello che ci sentiamo nei nostri cuori a Natale.
(Papa Giovanni XXIII)

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