La liturgia di questa terza domenica di Pasqua ci presenta la fragilità dell’umanità di Pietro e nello stesso tempo la forza della sua fede che diventa esempio per ogni discepolo di Cristo.
Nella prima lettura, tratta dagli Atti degli Apostoli, vediamo come Pietro, e gli altri discepoli nell’aula processuale del Sinedrio a Gerusalemme testimoniano senza esitazione il loro amore e la loro fede nel Cristo risorto. Anche se questa testimonianza li ha condannati ad essere fustigati, loro dopo se ne vanno “lieti di essere stati oltraggiati per amore del nome di Gesù”.
Nella seconda lettura, tratta dal libro dell’Apocalisse, la visione dell’apostolo Giovanni ci trasporta in una solenne liturgia di lode: davanti al trono di Dio appare l’agnello ”ritto…come immolato” e in suo onore si leva un inno di acclamazione nel quale si fondono le voci degli angeli e dei santi che stanno davanti a Dio.
Nel vangelo di Giovanni, Gesù si manifesta di nuovo ai discepoli sul lago di Tiberiade ed essi lo riconoscono dopo la pesca miracolosa. Gesù fermandosi sulla riva del lago a cuocere il pesce per loro, si presenta ancora come uno che serve, perché il risorto è tutto amore, ed è sull’amore che interroga Pietro. Di fronte alla debolezza di Pietro, in cui ci riconosciamo tutti, commuove la fiducia che Gesù continua a dargli. Quel dialogo umano fra Gesù e Pietro lo dovremmo sempre ricordare perché ci dice che Gesù, nello stesso modo accoglierà noi quando ci pentiamo dei nostri errori.. come dice Papa Francesco, il Signore non si stanca mai di perdonarci, siamo noi a volte che ci stanchiamo di chiedere perdono!
Dagli Atti degli Apostoli
In quei giorni, il sommo sacerdote interrogò gli apostoli dicendo: «Non vi avevamo espressamente proibito di insegnare in questo nome? Ed ecco, avete riempito Gerusalemme del vostro insegnamento e volete far ricadere su di noi il sangue di quest’uomo».
Rispose allora Pietro insieme agli apostoli: «Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini. Il Dio dei nostri padri ha risuscitato Gesù, che voi avete ucciso appendendolo a una croce. Dio lo ha innalzato alla sua destra come capo e salvatore, per dare a Israele conversione e perdono dei peccati. E di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a quelli che gli obbediscono».
Fecero flagellare [gli apostoli] e ordinarono loro di non parlare nel nome di Gesù. Quindi li rimisero in libertà. Essi allora se ne andarono via dal sinedrio, lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù.
At, 5,27b-32.40b-41
Luca in questo brano descrive il coraggio con il quale gli apostoli, e in particolare Pietro, mossi dalla forza dello Spirito rendono testimonianza al loro Maestro. L’antefatto del brano che abbiamo si svolge nell’aula del Sinedrio di Gerusalemme: il sommo sacerdote si era rivolto agli apostoli e, senza indagare sulla loro misteriosa liberazione, li aveva rimproverati perché, invece di obbedire al comando, dato precedentemente a Pietro e Giovanni, di non insegnare nel nome di Gesù, essi avevano riempito Gerusalemme della loro dottrina, con lo scopo di “far ricadere su di loro”, cioè sui membri del sinedrio, il sangue di quell’uomo. (L’espressione “far ricadere il sangue di una persona su..” significa attribuire a qualcuno la responsabilità di un crimine, scatenando la vendetta del sangue innocente ossia il castigo divino).
Il sinedrio è evidente che rifiuta questa responsabilità, e Luca ne è persuaso, come già Pietro stesso aveva affermato precedentemente (2,23; 3,13-15), che i giudei sono colpevoli della morte di Gesù. Non si tratta però del popolo ebraico nella sua totalità e tanto meno di quello delle epoche successive, ma di coloro che avevano partecipato direttamente o indirettamente alle vicende della passione. Per loro riconoscere la propria colpa significa arrivare alla conversione, cosa che il sommo sacerdote e il sinedrio non intendono fare.
Pietro a nome degli altri apostoli testimonia senza esitazione il suo amore e la sua fede nel Cristo risorto affermando decisamente: “Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini ...” sottolineando così che l'obbedienza a Dio va oltre ad ogni dovere umano, poi continua dicendo: Il Dio dei nostri padri ha risuscitato Gesù, che voi avete ucciso appendendolo a una croce. Dio lo ha innalzato alla sua destra come capo e salvatore, per dare a Israele conversione e perdono dei peccati. E di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a quelli che gli obbediscono»
E con l’affermazione finale “E di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a quelli che gli obbediscono” Pietro ritorna così al concetto iniziale, lasciando comprendere che agli apostoli compete ora, in quanto si sono sottomessi a Dio, quell’autorevolezza che i membri del sinedrio hanno perso.
Il brano non riporta l’irritazione dei membri del sinedrio, i quali si calmano solo in seguito all’intervento del maestro Gamaliele, il quale fa osservare che se il movimento rappresentato dagli apostoli, viene dagli uomini, non avrà futuro, ma se invece viene da Dio nessuno potrà fermarlo.
Alla fine il sinedrio adotta la linea suggerita da Gamaliele e lascia liberi gli apostoli, non prima però di averli fatti fustigare e di aver ordinato loro ancora una volta di non continuare a parlare nel nome di Gesù. Ma essi se ne vanno felici di essere stati oltraggiati per amore del nome di Gesù perchè così si sentivano più vicini al loro Maestro.
Salmo 29 - Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato.
Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato,
non hai permesso ai miei nemici di gioire su di me.
Signore, hai fatto risalire la mia vita dagli inferi,
mi hai fatto rivivere perché non scendessi nella fossa.
Cantate inni al Signore, o suoi fedeli,
della sua santità celebrate il ricordo,
perché la sua collera dura un istante,
la sua bontà per tutta la vita.
Alla sera ospite è il pianto
e al mattino la gioia.
Ascolta, Signore, abbi pietà di me,
Signore, vieni in mio aiuto!».
Hai mutato il mio lamento in danza,
Signore, mio Dio, ti renderò grazie per sempre.
L’autore del salmo riconosce di essere stato nel passato ampiamente beneficato da Dio, ma aveva peccato di presunzione dicendo tra sé: “Mai potrò vacillare!”.
Per questo Dio l’aveva abbandonato e gli aveva nascosto per “un istante” il suo volto. Per “un istante” l’aveva esposto ai suoi nemici, i quali giunsero ad un sol passo dal prevalere su di lui, ma Dio gli diede “vita” e così poté sfuggire alla morte. Per questo egli è diventato un testimone della bontà del Signore: “Cantate inni al Signore, o suoi fedeli”.
Permane però nelle insidie ed egli si rivolge a Dio chiedendo di conservarlo in vita, perché non ne trarrebbe nessun vantaggio dalla sua morte: “Quale guadagno dalla mia morte, dalla mia discesa nella fossa? Potrà ringraziarti la polvere e proclamare la tua fedeltà?”. La sua missione, il suo proclamare la fedeltà di Dio, sarebbe interrotta anzitempo.
Umile, invoca misericordia, e lascia il lamento sperimentando ancora una volta la fedeltà del Signore. Conclude confermandosi nell’amore per il Signore: “Signore, mio Dio, ti renderò grazie per sempre”.
Dal libro dell’Apocalisse di S.Giovanni apostolo
Io, Giovanni, vidi, e udii voci di molti angeli attorno al trono e agli esseri viventi e agli anziani. Il loro numero era miriadi di miriadi e migliaia di migliaia e dicevano a gran voce: «L’Agnello, che è stato immolato,
è degno di ricevere potenza e ricchezza,
sapienza e forza,onore, gloria e benedizione».
Tutte le creature nel cielo e sulla terra, sotto terra e nel mare, e tutti gli esseri che vi si trovavano, udii che dicevano: «A Colui che siede sul trono e all’Agnello
lode, onore, gloria e potenza,nei secoli dei secoli».
E i quattro esseri viventi dicevano: «Amen». E gli anziani si prostrarono in adorazione.
Ap 5,11-14
Il capitolo 5 dell’Apocalisse, da dove è tratto il nostro brano liturgico, si apre con una domanda, contenuta in un libro a forma di rotolo, che tiene in sospeso l’universo: “Chi è degno di aprire il libro e scioglierne i sigilli?”, ossia “ chi eserciterà il giudizio?” Giovanni non può fare a meno di piangere perchè si rende conto che “nessuno né in cielo, né in terra, né sotto terra era in grado di aprire il libro”. Viene però consolato dalle parole di un vegliardo che gli dice: “Non piangere; ha vinto il leone della tribù di Giuda, il Germoglio di Davide, e aprirà il libro e i suoi sette sigilli”. Uno solo dunque può farlo: colui che è senza peccato ed ha vinto Satana e il mondo con la Sua stessa perfezione. E’ Cristo questo “Leone della tribù di Giuda”!
Ma, subito dopo, Cristo è visto sotto l’aspetto di “un Agnello, in piedi, come immolato”. Il linguaggio dell’Apocalisse è alquanto sconcertante, ma è proprio così, Cristo è nello stesso tempo il vincitore e la vittima sacrificata, il leone e l’agnello.
Poi c’è la descrizione dell’’Agnello: “ aveva sette corna e sette occhi, i quali sono i sette spiriti di Dio mandati su tutta la terra.” Le sette corna indicano la potenza vittoriosa dell’Agnello, mentre i sette occhi indicano la pienezza dello Spirito Santo, che Gesù possiede e che insieme al Padre invia su tutta la terra. “E l’Agnello giunse e prese il libro dalla destra di Colui che era seduto sul trono”. A questo punto, i quattro esseri viventi e i ventiquattro anziani si prostrano davanti all’Agnello, con in mano coppe ricolme del profumo effuso dalle preghiere dei santi e “cantavano un canto nuovo”. E’’ il canto di lode e di ringraziamento per la redenzione operata da Cristo, la nuova creazione “ hai fatto di loro per il nostro Dio un regno di sacerdoti e regneranno sopra la terra
Da qui inizia il brano liturgico
“Io, Giovanni, vidi, e udii voci di molti angeli attorno al trono e agli esseri viventi e agli anziani. Il loro numero era miriadi di miriadi e migliaia di migliaia”
Qui Giovanni continua a descrivere la sua visione: egli si trova davanti alla corte celeste, vede il trono di Dio, attorno al quale vi sono 24 seggi sui cui sedevano 24 anziani. ( Per gli esperti essi rappresentano le comunità dei cristiani, per altri sono la storia dell'umanità) Vi sono i quattro esseri viventi (4,6-8) che la tradizione cristiana da sant’Ireneo, vi ha visto il simbolismo dei quattro evangelisti. Ma probabilmente Giovanni prende ispirazione dalle visioni di Ezechiele, dove i quattro animali reggono il trono di Dio e rappresentano il mondo creato. Gli angeli che attorniano il trono sono miriadi di miriadi. Le miriadi (10.000 unità) erano le unità militari. Tutto l'esercito del cielo è attorno al trono di Dio, al Suo servizio.
“e dicevano a gran voce: «L’Agnello, che è stato immolato, è degno di ricevere potenza e ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e benedizione». e dicevano a gran voce: «L’Agnello, che è stato immolato, è degno di ricevere potenza e ricchezza”. Gli anziani e gli esseri viventi cantano un canto nuovo all'Agnello e ad essi si uniscono ora le voci degli angeli. L'Agnello che è una figura di Cristo, è stato ucciso per la salvezza, non solo di Israele, ma di tutti i popoli della terra. Ecco perché il canto celebra la Sua dignità, Egli è degno di ricevere da Dio “potenza e ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e benedizione”. Sono sette , il numero della pienezza!. L'Agnello proprio perché è stato immolato merita di ricevere ogni cosa.
“Tutte le creature nel cielo e sulla terra, sotto terra e nel mare, e tutti gli esseri che vi si trovavano, udii che dicevano: «A Colui che siede sul trono e all’Agnello lode, onore, gloria e potenza, nei secoli dei secoli».E i quattro esseri viventi dicevano: «Amen». E gli anziani si prostrarono in adorazione”. Infine tutte le creature del mondo si uniscono a questo canto e come in un ritornello attribuiscono non solo all'Agnello, ma anche a Dio delle prerogative simili, per tutti i secoli. L'inno di lode è sceso fino a sotto la terra e nel fondo del mare, poi ritorna nei cieli, con i quattro esseri viventi che rispondono: Amen, e con gli anziani si prostrano in adorazione.
Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberiade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla.
Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri.
Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatre grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti.
Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?».
Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».
Gv 21, 1-19
Il 20^capitolo del Vangelo di Giovanni riporta il racconto delle apparizioni di Gesù ai discepoli nel Cenacolo e al termine c’è una breve conclusione da far sembrare che il Vangelo fosse terminato. Invece nel capitolo successivo, da dove è tratto questo brano, viene riportato il racconto di un’ulteriore apparizione di Gesù risorto, questa volta non più a Gerusalemme ma in Galilea.
Qui si racconta che sei discepoli di Gesù con Simon Pietro, vanno a pescare riprendendo così in un certo senso la vita di prima. Pescano tutta la notte, ma senza risultato! (La notte è simbolo dell’assenza di Gesù, luce del mondo: per questo il risultato della pesca è vano).
All’alba Gesù appare loro sulla riva, ma essi non lo riconoscono. Egli si rivolge a loro in modo affettuoso: “Figlioli, non avete nulla da mangiare?” e alla loro risposta negativa dà loro più che un suggerimento, un comando: “Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete”. Questa precisa indicazione, evidenzia come la pesca abbondante non sia frutto di casualità, ma dell’intervento di Gesù, che ha indicato Lui stesso dove gettare le reti. Essi obbediscono e la rete si riempie di pesci, senza per questo spezzarsi.
Allora il discepolo che Gesù amava lo riconosce e dice a Pietro: “È il Signore”.
L'evangelista, anche qui, non lo chiama col suo nome, ma lo designa ancora una volta come "il discepolo che Gesù amava" per indicare in lui ogni vero discepolo che è oggetto dell'amore personale di Gesù e a sua volta risponde a tanto amore.
Sentito ciò, Pietro si getta in mare per poter raggiungere prima Gesù sulla riva; ritroviamo in questo gesto l’indole passionale e spontanea di Pietro.
Intanto arrivano anche gli altri discepoli trascinando la rete piena di pesci. Arrivati a terra, i discepoli vedono che è già pronto un fuoco con sopra del pesce e del pane. Gesù dice allora di portare un po’ del pesce che hanno appena preso.
Pietro, salito sulla barca, porta a terra la rete, nella quale vi sono centocinquantatre grossi pesci. (Il numero 153 ha una portata simbolica. Pare che a quell'epoca i naturalisti distinguessero 153 specie di pesci. Una missione quindi universale: raccogliere la grande varietà di popoli e razze umane nell'unità della Chiesa, simboleggiata dall'unica rete che non si spezza, nonostante la grandissima quantità di pesci).
Poi Gesù li invita a mangiare. Nessuno di loro osa chiedergli chi è “perché sapevano bene che era il Signore”. Gesù dà loro del pane e del pesce, e improvvisa così un banchetto in cui mangia anche Lui con i suoi discepoli la sua porzione di pesce arrostito.
L’evangelista conclude il racconto sottolineando che si trattava della terza volta in cui Gesù si era manifestato a loro dopo la sua risurrezione dai morti.
Il brano però prosegue riportando un dialogo tra Gesù e Pietro che inizia con la domanda di Gesù: “Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?”una domanda ripetuta per ben tre volte, nonostante la risposta affermativa dell'apostolo; una domanda che sembra voler dare a Pietro l’occasione, per cancellare il ripetuto tradimento, nei giorni della Passione.
”Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene!”’ è la triplice risposta di Pietro, al quale Gesù affida il compito di condurre e confermare i fratelli nella fede e a guidare il nuovo popolo di Dio, che è la Chiesa, quella mistica rete stracolma di pesci che, tuttavia, non si rompe per il carico che porta.
Pietro è stato interrogato sull'amore per il suo Signore, e anche noi lo siamo, ogni giorno per tutto l'arco della nostra vita, come Pietro siamo chiamati ad ascoltare l'invito di Gesù che non si stanca di ripete ad ognuno : «Seguimi!».
Affidando dunque a Pietro il compito di pascere la Sua Chiesa, Gesù gli chiede una professione di fede e di amore perchè se lo amerà veramente sarà anche in grado di amare il suo gregge, saprà servirlo con la premura del responsabile e nello stesso tempo con il distacco del servo. Riuscirà a non cadere nella tentazione di spadroneggiare sulle persone a lui affidate, ma saprà farsi modello del gregge.
Dopo aver affidato a Pietro il ruolo di pastore, Gesù aggiunge: “In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi”.
L’evangelista (che scrive intono al 90 perciò dopo la morte di Pietro) aggiungendo “questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio”, vuole sottolineare una predizione di Gesù sul martirio di Pietro: è questa infatti la meta a cui porta non solo la sequela di Cristo, ma anche la condivisione del Suo ruolo di pastore.
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“Il Vangelo di oggi narra la terza apparizione di Gesù risorto ai discepoli, sulla riva del lago di Galilea, con la descrizione della pesca miracolosa. Il racconto è collocato nella cornice della vita quotidiana dei discepoli, tornati alla loro terra e al loro lavoro di pescatori, dopo i giorni sconvolgenti della passione, morte e risurrezione del Signore. Era difficile per loro comprendere ciò che era avvenuto. Ma, mentre tutto sembrava finito, è ancora Gesù a “cercare” nuovamente i suoi discepoli. E’ Lui che va a cercarli. Questa volta li incontra presso il lago, dove loro hanno passato la notte sulle barche senza pescare nulla. Le reti vuote appaiono, in un certo senso, come il bilancio della loro esperienza con Gesù: lo avevano conosciuto, avevano lasciato tutto per seguirlo, pieni di speranza… e adesso? Sì, lo avevano visto risorto, ma poi pensavano: “Se n’è andato e ci ha lasciati … E’ stato come un sogno…”.
Ma ecco che all’alba Gesù si presenta sulla riva del lago; essi però non lo riconoscono. A quei pescatori, stanchi e delusi, il Signore dice: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». I discepoli si fidarono di Gesù e il risultato fu una pesca incredibilmente abbondante. A questo punto Giovanni si rivolge a Pietro e dice: «È il Signore!». E subito Pietro si tuffa in acqua e nuota verso la riva, verso Gesù.
In quella esclamazione: “E’ il Signore!”, c’è tutto l’entusiasmo della fede pasquale, piena di gioia e di stupore, che contrasta fortemente con lo smarrimento, lo sconforto, il senso di impotenza che si erano accumulati nell’animo dei discepoli. La presenza di Gesù risorto trasforma ogni cosa: il buio è vinto dalla luce, il lavoro inutile diventa nuovamente fruttuoso e promettente, il senso di stanchezza e di abbandono lascia il posto a un nuovo slancio e alla certezza che Lui è con noi.
Da allora, questi stessi sentimenti animano la Chiesa, la Comunità del Risorto. Tutti noi siamo la comunità del Risorto! Se a uno sguardo superficiale può sembrare a volte che le tenebre del male e la fatica del vivere quotidiano abbiano il sopravvento, la Chiesa sa con certezza che su quanti seguono il Signore Gesù risplende ormai intramontabile la luce della Pasqua. Il grande annuncio della Risurrezione infonde nei cuori dei credenti un’intima gioia e una speranza invincibile. Cristo è veramente risorto! Anche oggi la Chiesa continua a far risuonare questo annuncio festoso: la gioia e la speranza continuano a scorrere nei cuori, nei volti, nei gesti, nelle parole. Tutti noi cristiani siamo chiamati a comunicare questo messaggio di risurrezione a quanti incontriamo, specialmente a chi soffre, a chi è solo, a chi si trova in condizioni precarie, agli ammalati, ai rifugiati, agli emarginati. A tutti facciamo arrivare un raggio della luce di Cristo risorto, un segno della sua misericordiosa potenza.
Egli, il Signore, rinnovi anche in noi la fede pasquale. Ci renda sempre più consapevoli della nostra missione al servizio del Vangelo e dei fratelli; ci riempia del suo Santo Spirito perché, sostenuti dall’intercessione di Maria, con tutta la Chiesa possiamo proclamare la grandezza del suo amore e la ricchezza della sua misericordia.”
Papa Francesco Parte dell’Angelus del 10 aprile 2016