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Ago 28, 2023

XXI Domenica del Tempo Ordinario - Anno A - "La missione di Pietro" - 27 agosto 2023

Le letture che la liturgia di questa domenica ci porta a meditare, hanno come filo conduttore il simbolo delle chiavi e il suo profondo significato.
La prima lettura, tratta dal libro del profeta Isaia, riporta l’oracolo che annuncia che Dio metterà la chiave della casa di Davide nelle mani di Eliakim, personaggio che simboleggia Cristo, Colui che prenderà su di sé in modo definitivo la chiave di Israele.
Nella seconda lettura, tratta dalla lettera ai Romani, San Paolo di fronte ai disegni meravigliosi e imperscrutabili della sapienza e della misericordia di Dio, invita tutti a contemplare e adorare il Creatore.
Nel Vangelo, San Matteo narra come alla professione di fede di Pietro, Gesù risponde con la dichiarazione che proprio su di lui, Pietro, edificherà la Sua Chiesa, e gli affiderà l’incarico del servizio dell’autorità e della guida nell’unità. Per fede Pietro ha ricevuto il dono delle chiavi del Regno dei cieli e con esse il potere di sciogliere e legare, così per fede noi, come Pietro, possiamo riconoscere in Gesù, il Figlio del Dio vivente.

Dal libro del profeta Isaia
Così dice il Signore a Sebna, maggiordomo del palazzo:
«Ti toglierò la carica, ti rovescerò dal tuo posto.
In quel giorno avverrà che io chiamerò il mio servo Eliakìm, figlio di Chelkìa;
lo rivestirò con la tua tunica, lo cingerò della tua cintura e metterò il tuo potere nelle sue mani.
Sarà un padre per gli abitanti di Gerusalemme
e per il casato di Giuda.
Gli porrò sulla spalla la chiave della casa di Davide:
se egli apre, nessuno chiuderà;
se egli chiude, nessuno potrà aprire.
Lo conficcherò come un piolo in luogo solido
e sarà un trono di gloria per la casa di suo padre».
Is 22,19-23

Il profeta Isaia iniziò la sua opera pubblica verso la fine del regno di Ozia, re di Giuda, attorno al 740 a.C. A quel tempo, l'intera regione siro-palestinese era minacciata dall'espansionismo assiro. Il suo libro si apre con una raccolta di oracoli anteriori alla guerra siro-efraimita (cc. 1-5), a cui fa seguito il “libro dell’Emmanuele”, che risale invece al periodo in cui questo evento ha avuto luogo (cc. 6-12). Dopo queste due parti troviamo una serie di oracoli contro le nazioni (cc. 13-23). Verso la fine di questa raccolta si trova, un oracolo contro Sebna, un personaggio della corte reale, maggiordomo del re. Si tratta di un oracolo, anteriore alla campagna di Sennacherib (701 a.C.): ed è l’unico in cui il profeta si interessa alle sorti di una singola persona. A Sebna il profeta preannunzia la destituzione e la sostituzione con un altro dignitario chiamato Eliakim.
Nella parte precedente questo brano, vengono riportate le ragioni della disgrazia di Sebna e si descrive in modo metaforico la sua caduta. Il profeta lo accusa di essersi fatto costruire un sepolcro sotterraneo seguendo l’uso dei notabili egizi, con lo scopo certamente di immortalare il suo nome e l’immagine usata per indicare la sua caduta in disgrazia è quella di una palla che DIO scaglia lontano e fa rotolare sopra un ampio terreno; in conclusione il profeta gli annunzia che morirà in un paese straniero
Nel brano liturgico viene preannunziata in modo esplicito la sostituzione di Sebna: Il Signore stesso interviene pronunciando questa sentenza : “Ti toglierò la carica, ti rovescerò dal tuo posto. …. È questo il primo passo della sua caduta. Il profeta però quasi a rendere più dura la sua disgrazia descrive il passaggio del suo incarico ad un altro personaggio della corte:
In quel giorno avverrà che io chiamerò il mio servo Eliakìm, figlio di Chelkìa;
La sostituzione di Sebna con Eliakim viene descritta mediante due azioni rituali, il rivestimento del secondo con gli abiti del primo e il conferimento della chiave. Eliakim verrà rivestito della tunica e cinto con la sciarpa che erano appartenute a Sebna.
Ciò significa che gli sarà conferito il potere che questi prima deteneva: questa umiliazione sarà tanto più cocente in quanto il nuovo dignitario “ Sarà un padre per gli abitanti di Gerusalemme e per il casato di Giuda”. “Padre” era un titolo o un ufficio di corte (cfr. Is 9,5): al di là del suo significato formale questo vuol forse dire che Eliakim gestirà la sua carica in modo tale da riscuotere non solo l’approvazione del re, ma anche il favore della gente comune. Forse proprio questo non era riuscito a Sebna, e ciò era stato uno dei motivi della sua rimozione.
Inoltre a Eliakim verrà consegnata la chiave della casa di Davide. Con questa chiave egli potrà aprire e chiudere, senza che nessuno possa ostacolarlo: “se egli apre, nessuno chiuderà; se egli chiude, nessuno potrà aprire”. La chiave della casa di Davide rappresenta il potere decisionale in tutti gli affari riguardanti il governo della nazione.
Infine si dice che Eliakim sarà come un paletto conficcato in un” luogo solido” e “sarà un trono di gloria per la casa di suo padre”.
Con l’immagine del paletto conficcato in luogo solido si vuole dunque significare la stabilità dell’incarico conferito. Il “trono di gloria” indica il suo successo, che porterà onore e potenza a tutta la sua famiglia.
L’importanza di questo testo è dovuta anche al fatto che viene ripreso nell’Apocalisse “Così parla il Santo, il Verace,Colui che ha la chiave di Davide: quando egli apre nessuno chiude, e quando chiude nessuno apre” (3,7) e anche Matteo ci fa riferimento nel suo Vangelo “A te darò le chiavi del regno dei cieli:” (16,19) . Affidare le chiavi è rendere l’affidatario detentore di pieni poteri.
Nei versetti successivi, non riportati dal brano liturgico, leggiamo che proprio perché di Eliakim si sono approfittati tutti i suoi parenti,* egli sarà come un paletto che anche se conficcato in luogo solido, si spezzerà, cadrà e andrà in frantumi, coinvolgendo nella sua rovina tutto ciò che era stato appeso ad esso. Anche per Eliakim, nonostante le sue qualità, il potere sarà una realtà temporanea e provvisoria.

* situazione che si è sempre ripetuta … dice bene Qoèlet “Ciò che è stato sarà e ciò che si è fatto si rifarà;non c’è niente di nuovo sotto il sole” Qo 1,9)

Salmo 137 - Signore, il tuo amore è per sempre.
Ti rendo grazie, Signore, con tutto il cuore:
hai ascoltato le parole della mia bocca.
Non agli dèi, ma a te voglio cantare,
mi prostro verso il tuo tempio santo.

Rendo grazie al tuo nome
per il tuo amore e la tua fedeltà:
hai reso la tua promessa più grande del tuo nome.
Nel giorno in cui ti ho invocato, mi hai risposto,
hai accresciuto in me la forza.

Perché eccelso è il Signore,
ma guarda verso l’umile;
il superbo invece lo riconosce da lontano.
Signore, il tuo amore è per sempre:
non abbandonare l’opera delle tue mani.

Il salmista ringrazia Dio per avere ascoltato la sua preghiera e avergli usato misericordia. La tradizione parla del re Davide, ma più probabilmente si tratta di Ezechia dopo la clamorosa liberazione di Gerusalemme dall'assedio degli Assiri (2Re 19,35): “Hai reso la tua promessa più grande del tuo nome”.
Egli vuole cantare la sua lode al cospetto di Dio, rifiutando ogni adesione agli idoli: "Non agli dèi, ma a te voglio cantare".
Dio ha risposto alla sua supplica rendendolo più forte di fronte ai sui nemici: “Hai accresciuto in me la forza”.
Il salmista professa la sua fede nel futuro messianico che vedrà “tutti i re della terra” lodare il Signore. Sarà quando “ascolteranno le parole della tua bocca”, dove per “bocca” si deve intendere il futuro Messia.
I re, i popoli, celebreranno le vie del Signore annunciate dal Messia.
Il salmista ha grande fiducia in Dio, affinché la sua missione di re abbia successo: "Il Signore farà tutto per me". Il salmista termina invocando: “Non abbandonare l'opera delle tue mani”, cioè la dinastia di Davide.
Noi crediamo che giungerà il tempo della “civiltà dell'amore”, quando i popoli e i potenti che li governano, si apriranno a Cristo. Ogni cristiano deve adoperarsi per questo tempo con la forza (“hai accresciuto in me la forza”) che sgorga dalla partecipazione Eucaristica.
La nostra battaglia non è contro nemici fatti di carne e sangue, come ci dice san Paolo (Ef 6,12), ma “contro i Principati e le Potenze, contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male”, cioè contro i demoni.
Commento tratto da “Perfetta Letizia”

Dalla lettera di S.Paolo apostolo ai Romani
O profondità della ricchezza, della sapienza
e della conoscenza di Dio! Quanto insondabili sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie!
Infatti, chi mai ha conosciuto il pensiero del Signore?
O chi mai è stato suo consigliere?O chi gli ha dato qualcosa per primo tanto da riceverne il contraccambio?
Poiché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose.
A lui la gloria nei secoli. Amen.
Rm 11,33-36

L’Apostolo Paolo dopo aver dato la sua spiegazione, ispirata alle Scritture, sul mistero di Israele, ha concluso che alla fine anche tutto il popolo eletto sarà salvato. Al termine di questa sua profonda riflessione Paolo eleva un inno di lode a Dio.
Il brano liturgico si apre con la lode che Paolo esprime con due esclamazioni: “O profondità della ricchezza, della sapienza e della conoscenza di Dio! Quanto insondabili sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie!”. Egli esalta con la prima esclamazione la grandezza di Dio come creatore.
La profondità riguarda tre aspetti: la Sua “ricchezza”, che consiste nelle risorse inesauribili della Sua potenza, la Sua “sapienza”, che è l’attributo manifestato da Dio nella creazione, la Sua “scienza” che è la conoscenza intima e diretta che Dio ha di tutte le realtà create.
Con la seconda esclamazione Paolo esalta Dio come Colui che conduce gli esseri umani alla salvezza: i Suoi “giudizi” sono insondabili e le Sue “vie” cioè le Sue scelte, sono inaccessibili: l’uomo può vedere solo gli “effetti delle decisioni divine”, ma le Sue scelte profonde sono al di fuori della sua comprensione.
Paolo poi si pone tre domande che formula con le parole stesse della Scrittura. Per le prime due: “chi mai ha conosciuto il pensiero del Signore? O chi mai è stato suo consigliere?”
attinge ad un passo di Isaia e di Geremia (Is 40,13; Ger 23,18)
Per la terza domanda: “O chi gli ha dato qualcosa per primo tanto da riceverne il contraccambio?” Paolo attinge al libro di Giobbe (Gb 41,3). Anche qui si possono solo dare risposte negative perché nessuno può pensare neppure lontanamente di aver dato qualcosa a Dio e pretendere così che Dio sia debitore nei suoi confronti. Dio è totalmente al di sopra e al di fuori della portata di ogni Sua creatura!
Alle tre domande fa seguito una piccola professione di fede “Poiché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose”.
Paolo, qui si ispira alla teologia biblica della creazione in cui Dio è presentato come il principio supremo dal quale tutte le cose hanno origine. Dio è anche la causa strumentale, cioè Colui per mezzo del quale tutte le cose sono state fatte ed è anche la meta verso cui gli esseri umani devono orientarsi per trovare il significato della loro vita.
Il brano termine con la formula: “A lui la gloria nei secoli. Amen” con la quale a Dio solo viene attribuita la lode da parte di tutte le creature.

Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti».
Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».
E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».
Mt 16,13-19

In questo brano l’evangelista Matteo riferisce che Gesù, venendo nelle parti di Cesarea di Filippo, chiede ai suoi discepoli: “La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?”
Prima Matteo aveva riportato che i farisei e i sadducei avevano chiesto a Gesù un segno dal cielo e Lui aveva risposto: “nessun segno sarà dato se non il segno di Giona.” Nel passare però all’altra riva, ai discepoli che avevano dimenticato di prendere il pane,Gesù ricorda loro la moltiplicazione dei pani e alla fine li ammonisce a guardarsi dal lievito dei farisei e dei sadducei.
Ora giunti a Cesarea di Filippo presso le sorgenti del Giordano, è Gesù che comincia a fare domande iniziando con il chiedere cosa la gente dice del Figlio dell’uomo. La risposta dei discepoli viene espressa con le stesse parole riportate anche nel Vangelo di Marco: “Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti”. Gesù viene così identificato, oltre che con il Battista, convinzione condivisa anche da Erode Antipa, con Elia, oppure con uno degli antichi profeti ritornato in vita. A questi personaggi Matteo aggiunge però anche Geremia, considerato un grande intercessore e difensore d’Israele.
Gesù non fa nessun commento a questa risposta, ma sembra più interessato a conoscere cosa i discepoli pensino di lui e incalza con la domanda che gli sta a cuore: “Ma voi, chi dite che io sia?”.
La risposta di Pietro è molto diretta: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. Matteo amplia la risposta asserita da Marco aggiungendo “il Figlio del Dio vivente”, come pure la risposta di Gesù a Pietro si trova solo in Matteo: “Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli”. Gesù così afferma che la conoscenza che Simone ha di lui non proviene da “carne e sangue”, cioè dalla sua intelligenza umana, ma da una rivelazione speciale del Padre
Gesù poi prosegue: "E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa”.
Il termine “Pietro”, è la traduzione greca dell’aramaico Kephas (roccia) e sta ad indicare una pietra staccata da un masso o un sasso. Nell’AT il titolo di “roccia” viene attribuito a Dio, in quanto saldo rifugio in cui l’orante trova protezione mentre nel NT l’appellativo di “pietra” è attribuito a Cristo (At 4,11; Rm 9,33; 1Pt 2,4-7). Simone era già stato chiamato precedentemente con questo nome (8,14; 10,2; 14,28; 15,15) ma secondo Matteo è in questo momento che Gesù glielo assegna ufficialmente.
Il cambiamento di nome significa nella Bibbia il conferimento di un compito che orienterà in modo nuovo la vita del prescelto. Per questo scopo Dio aveva cambiato il nome ad Abramo e a Giacobbe (Gen 17,5; 32,29).
Simone riceve il nome di Pietro perché su di lui, in quanto roccia, Gesù edificherà la Sua chiesa e contro la Chiesa fondata su Pietro le porte degli inferi non prevarranno. Con questa espressione Gesù non vuole certo dire che la Chiesa sarà preservata da tribolazioni, ma promette che non soccomberà agli assalti del Maligno
Infine Gesù promette ancora a Pietro: “A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli”.
Il conferimento delle “chiavi” poteva indicare nel linguaggio biblico la trasmissione del potere di governo: a Eliakim, nominato maggiordomo del re, è conferita la chiave della casa di Davide, con la quale egli potrà aprire e chiudere (Is 22,22). In senso analogo nell’Apocalisse, Cristo è chiamato “il Santo, il Verace, Colui che ha la chiave di David” (Ap 3,7), che ha “potere sopra la morte e sopra gli inferi.”(Ap 1,18).
A Pietro invece sono assegnate le chiavi del regno dei cieli, cioè un ruolo che viene precisato subito dopo con i verbi “legare” e “sciogliere”.
A Pietro viene dunque conferito il potere di interpretare in modo autorevole l’insegnamento di Gesù e la volontà di Dio da Lui rivelata. Ciò che egli proibirà o permetterà sarà ratificato in cielo, cioè le sue decisioni in campo dottrinale o disciplinare verranno confermate da Dio.
La missione di Pietro è anche quella di offrire il perdono di Dio (come ci ricorda continuamente Papa Francesco) e più ampiamente è quella di consolare, di ammonire, di esortare e di guidare il popolo di Dio.



*****

 

“Il Vangelo di questa domenica presenta il momento nel quale Pietro professa la sua fede in Gesù quale Messia e Figlio di Dio. Questa confessione dell’Apostolo è provocata da Gesù stesso, che vuole condurre i suoi discepoli a fare il passo decisivo nella loro relazione con Lui. Infatti, tutto il cammino di Gesù con quelli che lo seguono, specialmente con i Dodici, è un cammino di educazione della loro fede. Prima di tutto Egli chiede: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?» . Agli apostoli piaceva parlare della gente, come a tutti noi. Il pettegolezzo piace. Parlare degli altri non è tanto impegnativo, per questo, perché ci piace; anche “spellare” gli altri. In questo caso è già richiesta la prospettiva della fede e non il pettegolezzo, cioè chiede: “Che cosa dice la gente che io sia?”. E i discepoli sembrano fare a gara nel riferire le diverse opinioni, che forse in larga parte essi stessi condividevano. Loro stessi condividevano. In sostanza, Gesù di Nazaret era considerato un profeta.
Con la seconda domanda, Gesù li tocca sul vivo: «Ma voi, chi dite che io sia?» A questo punto, ci sembra di percepire qualche istante di silenzio, perché ciascuno dei presenti è chiamato a mettersi in gioco, manifestando il motivo per cui segue Gesù; per questo è più che legittima una certa esitazione. Anche se io adesso domandassi a voi: “Per te, chi è Gesù?”, ci sarà un po’ di esitazione. Li toglie d’imbarazzo Simone, che con slancio dichiara: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». Questa risposta, così piena e luminosa, non gli viene dal suo impulso, per quanto generoso – Pietro era generoso –, ma è frutto di una grazia particolare del Padre celeste. Gesù stesso infatti gli dice: «Né carne né sangue te lo hanno rivelato – cioè la cultura, quello che hai studiato – no, questo non te l’ha rivelato. Te lo ha rivelato il Padre mio che è nei cieli» .
Confessare Gesù è una grazia del Padre. Dire che Gesù è il Figlio di Dio vivo, che è il Redentore, è una grazia che noi dobbiamo chiedere: “Padre, dammi la grazia di confessare Gesù”. Nello stesso tempo, il Signore riconosce la pronta corrispondenza di Simone all’ispirazione della grazia e quindi aggiunge, in tono solenne: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa». Con questa affermazione, Gesù fa capire a Simone il senso del nuovo nome che gli ha dato, “Pietro”: la fede che ha appena manifestato è la “pietra” incrollabile sulla quale il Figlio di Dio vuole costruire la sua Chiesa, cioè la Comunità. E la Chiesa va avanti sempre sulla fede di Pietro, su quella fede che Gesù riconosce [in Pietro] e lo fa capo della Chiesa.
Oggi, sentiamo rivolta a ciascuno di noi la domanda di Gesù: “E voi, chi dite che io sia?”. A ognuno di noi. E ognuno di noi deve dare una risposta non teorica, ma che coinvolge la fede, cioè la vita, perché la fede è vita! “Per me tu sei …”, e dire la confessione di Gesù. Una risposta che richiede anche a noi, come ai primi discepoli, l’ascolto interiore della voce del Padre e la consonanza con quello che la Chiesa, raccolta attorno a Pietro, continua a proclamare. Si tratta di capire chi è per noi Cristo: se Lui è il centro della nostra vita, se Lui è il fine di ogni nostro impegno nella Chiesa, del nostro impegno nella società. Chi è Gesù Cristo per me? Chi è Gesù Cristo per te, per te, per te… Una risposta che noi dovremmo dare ogni giorno.
Ma state attenti: è indispensabile e lodevole che la pastorale delle nostre comunità sia aperta alle tante povertà ed emergenze che sono dappertutto. La carità sempre è la via maestra del cammino di fede, della perfezione della fede. Ma è necessario che le opere di solidarietà, le opere di carità che noi facciamo, non distolgano dal contatto con il Signore Gesù. La carità cristiana non è semplice filantropia ma, da una parte, è guardare l’altro con gli occhi stessi di Gesù e, dall’altra parte, è vedere Gesù nel volto del povero. Questa è la strada vera della carità cristiana, con Gesù al centro, sempre. Maria Santissima, beata perché ha creduto, ci sia guida e modello nel cammino della fede in Cristo, e ci renda consapevoli che la fiducia in Lui dà senso pieno alla nostra carità e a tutta la nostra esistenza.”

Papa Francesco
Parte dell’Angelus del 23 agosto 2020

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L'umanità è una grande e  immensa famiglia ... Troviamo la dimostrazione di ciò da quello che ci sentiamo nei nostri cuori a Natale.
(Papa Giovanni XXIII)

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