In questa sesta domenica di Pasqua, la liturgia ci propone delle letture che ci presentano tre aspetti diversi della Chiesa
Un aspetto lo troviamo nella prima lettura, tratta dagli Atti degli apostoli, che contiene un documento sintetico che raccoglie il dibattito del primo Concilio celebrato a Gerusalemme, convocato per risolvere la spinosa questione dell’accoglienza diretta dei pagani nella comunità cristiana senza passare attraverso le pratiche giudaiche.
Un altro aspetto è presente Nella seconda lettura, tratta dal libro dell’Apocalisse, in cui la Gerusalemme nuova, immagine della comunità di fede, risplende della luce e della gloria che scaturiscono dalla grazia del Signore risorto.
L’ultimo aspetto lo troviamo nel passo del Vangelo di Giovanni, che come di consueto, in questo periodo pasquale è preso dai discorsi di Gesù nell’ultima cena. Gesù manifesta il suo amore concreto verso i discepoli, e attraverso di loro, verso tutti coloro che crederanno nel suo nome, mediante il dono dello Spirito Santo che è la sua stessa vita. Coloro che credono in Lui, animati da questo Spirito, potranno vivere con amore, nel loro quotidiano, le parole e i gesti del Signore e testimoniarlo. Sarà proprio lo Spirito a guidarli verso la nuova Gerusalemme, venuta dal Cielo, da Dio, figura e immagine della Chiesa nel tempo, in cammino verso l’eternità, città che non ha un tempio, perchè il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello, sono il suo tempio.
Dagli Atti degli Apostoli
In quei giorni, alcuni, venuti dalla Giudea, insegnavano ai fratelli: «Se non vi fate circoncidere secondo l’usanza di Mosè, non potete essere salvati». Poiché Paolo e Bàrnaba dissentivano e discutevano animatamente contro costoro, fu stabilito che Paolo e Bàrnaba e alcuni altri di loro salissero a Gerusalemme dagli apostoli e dagli anziani per tale questione.
Agli apostoli e agli anziani, con tutta la Chiesa, parve bene allora di scegliere alcuni di loro e di inviarli ad Antiòchia insieme a Paolo e Bàrnaba: Giuda, chiamato Barsabba, e Sila, uomini di grande autorità tra i fratelli. E inviarono tramite loro questo scritto: «Gli apostoli e gli anziani, vostri fratelli, ai fratelli di Antiàchia, di Siria e di Cilìcia, che provengono dai pagani, salute! Abbiamo saputo che alcuni di noi, ai quali non avevamo dato nessun incarico, sono venuti a turbarvi con discorsi che hanno sconvolto i vostri animi. Ci è parso bene perciò, tutti d’accordo, di scegliere alcune persone e inviarle a voi insieme ai nostri carissimi Bàrnaba e Paolo, uomini che hanno rischiato la loro vita per il nome del nostro Signore Gesù Cristo. Abbiamo dunque mandato Giuda e Sila, che vi riferiranno anch’essi, a voce, queste stesse cose. È parso bene, infatti, allo Spirito Santo e a noi, di non imporvi altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie: astenersi dalle carni offerte agli idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalle unioni illegittime. Farete cosa buona a stare lontani da queste cose. State bene!».
At 15,1-2.22-29
Questo brano ci dà il resoconto del primo Concilio convocato a Gerusalemme intorno all’anno 50 e costituisce la terza parte degli Atti degli Apostoli.
Da Luca sappiamo che: siccome ad Antiochia non tutti erano d’accordo sul fatto che i pagani potevano essere ammessi nella chiesa senza ricevere la circoncisione, Paolo e Barnaba furono inviati a Gerusalemme per consultare gli apostoli. Anche lì esplode però la polemica; allora tutta la comunità, con gli apostoli e gli anziani si raduna per discutere il problema.
Il modo pacato con cui Luca descrive il conflitto nell’assemblea di Gerusalemme, che ha visto contrapporsi i due gruppi della Chiesa primitiva, separate proprio dal modo di annunziare il messaggio di Gesù in un ambiente diverso da quello giudaico, è comprensibile solo se si tiene conto che, quando egli scrive, questo conflitto si è ormai risolto. A Luca interessa spiegare che il Concilio di Gerusalemme, è stato una grande svolta nella storia della Chiesa, per cui non si ferma alla cronaca pura e semplice degli avvenimenti, ma rilegge le informazioni che gli sono pervenute alla luce della sua visione delle origini cristiane. La sua prospettiva è quella propria delle chiese sorte nel mondo greco, le quali, pur non osservando le prescrizioni della legge mosaica, si ritengono tuttavia le legittime continuatrici della Chiesa madre di Gerusalemme, la prima testimone della morte e risurrezione di Cristo.
Luca vuole così dimostrare che, se è vero che il centro di diffusione di una Chiesa ormai in continua crescita è stata la comunità di Antiochia, tuttavia Gerusalemme rimane sempre la Chiesa madre che, vincendo le proprie resistenze, ha dato il via all’evangelizzazione dei pagani, autorizzandone l’ammissione nella comunità senza l’obbligo della circoncisione.
In questa prospettiva la missione di Paolo, mediante la quale il cristianesimo si è esteso fino a Roma, appare non tanto come l’iniziativa personale del grande apostolo, ma come l’assenso cosciente della Chiesa Madre di Gerusalemme.
Nota: La formula di accordo del Concilio di Gerusalemme riportata dagli Atti dimostra, comunque, che il problema venne superato solo in parte, perché di fatto una divisione perdurò e se ne trova traccia nella maggior parte delle lettere di Paolo, nelle quali risalta la sua continua lotta contro le problematiche create nelle Chiese dai cristiani giudaizzanti.
Salmo 66 - Ti lodino i popoli, o Dio, ti lodino i popoli tutti.
Dio abbia pietà di noi e ci benedica,
su di noi faccia splendere il suo volto;
perché si conosca sulla terra la tua via,
la tua salvezza fra tutte le genti.
Gioiscano le nazioni e si rallegrino,
perché tu giudichi i popoli con rettitudine,
governi le nazioni sulla terra.
Ti lodino i popoli, o Dio,
ti lodino i popoli tutti.
Ci benedica Dio e lo temano
tutti i confini della terra.
Il salmista presenta come Dio abbia benedetto il suo popolo con un raccolto abbondante: “La terra ha dato il suo frutto”. Ma questo non chiude il salmista nell’appagamento dei beni dati dalla terra, poiché egli manifesta, fin dall’inizio del salmo, il desiderio di un ben più alto dono: quello della presenza del Messia. Per tale presenza il popolo sarà rinnovato e si avrà che tutti i popoli giungeranno a conoscere il vero Dio e a lodarlo: “Su di noi faccia splendere il suo volto; perché si conosca sulla terra la tua via, la tua salvezza fra tutte le genti ”. Il salmista conclude il salmo ripresentando il suo desiderio dei tempi messianici: “Ci benedica Dio; il nostro Dio, ci benedica Dio e lo temano tutti i confini della terra”.
Noi, in Cristo, desideriamo vivamente una terra rinnovata dalla conoscenza di Cristo e dall’azione del suo Spirito, e dobbiamo, nella viva appartenenza alla Chiesa, adoperarci incessantemente per questo.
Commento tratto da “Cantico dei Cantici” di P.Paolo Berti
Dal Libro dell’Apocalisse di S. Giovanni Apostolo
L’angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scende dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino.
È cinta da grandi e alte mura con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d’Israele. A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte e a occidente tre porte. Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello.
In essa non vidi alcun tempio:
il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello
sono il suo tempio.
La città non ha bisogno della luce del sole,
né della luce della luna:
la gloria di Dio la illumina
e la sua lampada è l’Agnello.
Ap 21,10-14. 22-23
E’ la parte finale dell’Apocalisse che ci dà una visione splendida della Gerusalemme celeste che circonfusa dalla gloria di Dio, risplende di ogni luce cosmica. La planimetria della città viene tracciata con dodici porte alle quattro dimensioni dello spazio, i quattro punti cardinali. Il numero dodici esalta le dodici tribù della prima Alleanza e i dodici Apostoli della seconda Alleanza, con i loro nomi scritti su dodici basamenti. Le misure che vengono date sono colossali e certamente simboliche. I materiali da costruzione, naturalmente anche essi simbolici parlano di oro (il metallo divino) e di pietre preziose, dodici delle quali sono alle fondamenta della città santa. Tutto il resto della descrizione dalle mura di diaspro, alle porte di perle, ecc., indica uno splendore estremo. La Gerusalemme che scende dal Cielo è un tesoro inestimabile, l’unico che resiste alla tignola, alla ruggine ed ai ladri, come insegnava Gesù.
Poi c’è un altro elemento importante: “non vidi alcun tempio: il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio” perchè in questa Gerusalemme celeste non è più necessario il tempio materiale, perché con Dio presente non occorre più la mediazione del tempio!
San Paolo diceva che noi siamo il tempio di Dio e lo Spirito di Dio abita in noi (v.1^Cor 3,16 ) e un altro suo commento che può adattarsi a questa descrizione potrebbe essere: “voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti,” Ef 2.19-20)
Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse [ai suoi discepoli]: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate».
Gv 14,23-29
Questo brano è la parte finale del discorso di addio rivolto da Gesù ai suoi discepoli durante l'ultima cena il cui inizio l’abbiamo meditato la scorsa domenica. Gesù, annunciando la Sua morte imminente, aveva assicurato che un giorno sarebbe ritornato. Ora invece parla del modo in cui i discepoli potranno continuare a gioire della Sua amicizia e della Sua presenza in questo periodo di separazione. Il discorso quindi non è più diretto ai discepoli presenti nel cenacolo, ma a quelli di tutti i tempi e di tutti i luoghi. Gesù infatti non usa più il voi, ma parla in modo impersonale: " Se uno mi ama, osserverà la mia parola …chi non mi ama, non osserva le mie parole---” Gesù rivendica per sé, per la prima volta, il sentimento più importante del mondo umano: l'amore, ed entra nella nostra parte più intima e profonda con estrema delicatezza. Tutto poggia su quel “se”.
«Se mi ami osserverai la mia parola…»… Gesù lo dice oggi ad ognuno di noi e non esprime un ordine, ma ci dà la possibilità di scegliere liberamente. E’ il rispetto che ha Dio, che bussa alla porta del nostro cuore e attende pazientemente solo la nostra risposta.
Poi Gesù continua :Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.
I discepoli potranno capire ciò che Gesù dice solo grazie all'intervento del Paraclito, il Consolatore, cioè lo Spirito Santo. E' grazie al Paraclito mandato dal Padre che i discepoli potranno penetrare in pieno il senso della Parola di Gesù.
Al termine del suo discorso, Gesù ritorna al momento presente, ai suoi discepoli da cui sta per separarsi, dicendo loro:Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore.
Lasciando i discepoli, Gesù non augura loro la pace, ma gliela dà in dono, come Sua eredità. La pace che Egli dona è molto diversa da quella che gli uomini si augurano e tentano di realizzare.
Non a caso Giovanni nel suo vangelo parla di pace solo nel contesto della passione e della risurrezione. Il dono della pace viene annunciato all'inizio della passione e si realizza nell'incontro di Gesù risorto con i discepoli nel cenacolo. Si tratta di un vero dono che viene solo da Dio, è solo opera di Dio che dona ai discepoli come segno della Sua presenza.
L’invito dunque rivoltoci da Gesù in questa ultima domenica di Pasqua è di credere alla Sua presenza in mezzo a noi, un presenza silenziosa, discreta, ma anche reale ed efficace. Una presenza capace di consolarci in ogni situazione della nostra esistenza.
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Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi Gv 14,27
Questa pace si riceve con il Battesimo e con la Cresima ma soprattutto si riceve come un bambino riceve il regalo, “senza condizione, a cuore aperto”. E lo Spirito Santo va custodito senza “ingabbiarlo”, chiedendo aiuto a questo “grande regalo” di Dio: “Se voi avete questa pace dello Spirito, se voi avete lo Spirito dentro di voi e siete consci di questo, non sia turbato il vostro cuore. Siete sicuri!
Paolo ci diceva che per entrare nel Regno dei Cieli è necessario passare per tante tribolazioni. Ma tutti, tutti noi, ne abbiamo tante, tutti! Più piccole, più grandi… ‘Ma non sia turbato il vostro cuore’: e questa è la pace di Gesù. La presenza dello Spirito fa che il nostro cuore sia in pace. Non anestetizzato, no! In pace! Conscio, in pace: con quella pace che soltanto la presenza di Dio dà”.
Papa Francesco
1, Come giè avvisato, domenica prossima 24 aprile, le offerte che si raccoglieranno nelle chiese saranno destinate all' aiuto dei nostri fratelli dell'Ucraina.
2. E' disponibile l'Esortazione Apostolica "Amoris Letitia" di Papa Francesco.
Siamo giunti alla quinta domenica di Pasqua e la liturgia ci propone delle letture che ci invitano a realizzare di più l’amore fraterno che “fa nuove tutte le cose” e rivela il vero volto di Dio. In questo girono si celebra la giornata di sensibilizzazione per il sostegno economico della Chiesa cattolica.
Nella prima lettura, tratta dagli Atti degli apostoli, Paolo e Barnaba danno coraggio ai discepoli ed esortandoli a restare saldi nella fede «perché – dicevano – dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni».
Nella seconda lettura, tratta dal libro dell’Apocalisse, Cristo risorto ha operato la piena trasformazione dell’uomo e del mondo. L’uomo, liberato dal male e dal peccato, è diventato “dimora di Dio” e l’orizzonte del mondo si apre su “un cielo nuovo e una terra nuova.”
L’aggettivo “nuovo” caratterizza anche il passo del Vangelo di Giovanni in cui Gesù nel contesto dell’ultima cena propone il suo “comandamento nuovo”. Gesù lo fa rivolgendosi ai suoi discepoli chiamandoli teneramente “figlioli”. E’ l’unica volta che li chiama così e lo fa nel dare loro il suo comandamento nuovo. Ed è nuovo perchè è la clausola fondamentale e unica della “nuova alleanza”, annunziata già più di 500 anni prima dal profeta Geremia,(31,31-34) ed ora inaugurata dalla Pasqua di Cristo. E’ un amore che diventa l’unico segno di riconoscimento dell’appartenenza alla comunità di Gesù Cristo, la testimonianza più viva e autentica per chi vive e crede in Lui.
Dagli Atti degli Apostoli
In quei giorni, Paolo e Bàrnaba ritornarono a Listra, Iconio e Antiochia, confermando i discepoli ed esortandoli a restare saldi nella fede «perché – dicevano – dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni». Designarono quindi per loro in ogni Chiesa alcuni anziani e, dopo avere pregato e digiunato, li affidarono al Signore, nel quale avevano creduto.
Attraversata poi la Pisìdia, raggiunsero la Panfìlia e, dopo avere proclamato la Parola a Perge, scesero ad Attàlia; di qui fecero vela per Antiochia, là dove erano stati affidati alla grazia di Dio per l’opera che avevano compiuto. Appena arrivati, riunirono la Chiesa e riferirono tutto quello che Dio aveva fatto per mezzo loro e come avesse aperto ai pagani la porta
della fede.
At 14, 21b-27
Il brano descrive la parte finale del primo viaggio missionario di Paolo (At 13-14), che presenta le caratteristiche della missione apostolica quando è diretta a comunità già formate. L’attività di Paolo e Barnaba a Derbe, viene così descritta nel versetto precedente, non riportato nel brano: «Dopo aver annunciato il Vangelo a quella città e fatto un numero considerevole di discepoli, ritornarono a Listra, Icònio e Antiochia».
Con i due verbi “evangelizzare” e “fare discepoli” Luca mette in luce una feconda attività fatta soprattutto di contatti personali, che ha come risultato l’aggregazione di un buon numero di persone. Quando la comunità dà segno di poter continuare da sola il suo cammino, Paolo e Barnaba ritornano a Listra, Iconio e Antiochia di Pisidia.
Essi dunque ripercorrono a ritroso il cammino fatto e incontrano le comunità precedentemente fondate. Ciò offre loro l’occasione di incoraggiare i discepoli e di esortarli a restare saldi nella fede, rendendoli consapevoli che potranno entrare nel regno di Dio solo a prezzo di molte tribolazioni, causate dalla loro conversione.
Luca aggiunge che in ogni comunità costituirono degli anziani (dei presbiteri). E’ da notare che l’elezione non viene fatta dalla comunità come si usava presso gli Ebrei della diaspora, ed è Luca che attribuisce a Paolo l’introduzione di una struttura che in realtà si è affermata solo qualche decennio dopo la sua morte.
Paolo e Barnaba attraversano poi la Pisidia e raggiungono la Panfilia dove evangelizzano Perge, la città dove Marco si era separato da loro. Scendono poi ad Attalìa e di lì raggiungono via mare Antiochia di Siria, là dove erano stati affidati alla grazia del Signore per l'impresa che avevano compiuto.
Ad Antiochia riuniscono la comunità e “riferiscono” tutto quello che Dio aveva compiuto per mezzo loro e come avevano aperto ai pagani la porta della fede.
Salmo 144 - Benedirò il tuo nome per sempre, Signore.
Misericordioso e pietoso è il Signore,
lento all’ira e grande nell’amore.
Buono è il Signore verso tutti,
la sua tenerezza si espande su tutte le creature.
Ti lodino, Signore, tutte le tue opere
e ti benedicano i tuoi fedeli.
Dicano la gloria del tuo regno
e parlino della tua potenza.
Per far conoscere agli uomini le tue imprese
e la splendida gloria del tuo regno.
Il tuo regno è un regno eterno,
il tuo dominio si estende per tutte le generazioni.
Molti sono i frammenti di altri salmi che entrano nella composizione di questa composizione, che tuttavia risulta bellissima nella sua forma alfabetica e ricca di stimoli alla fede, alla speranza, alla pietà, alla lode.
Il salmo è uno dei più recenti del salterio, databile nel III o II secolo a.C.
… Il salmista fa un attimo di riflessione sulla misericordia di Dio, riconoscendo la sua pazienza verso il suo popolo. E' il momento dell'umiltà. La lode non può essere disgiunta dall'umile consapevolezza di essere peccatori: “Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore. Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature“. “Su tutte le creature”, cioè su tutti gli uomini, e pure sugli animali (Cf. Ps 35,7; 103,21).
Il salmista desidera che tutte le opere di Dio diventino lode a Dio sul labbro dei fedeli: “Ti lodino, Signore, tutte le tue opere e ti benedicano i tuoi fedeli. Dicano la gloria del tuo regno...”. “Tutte le tue opere”, anche quelle inanimate (Cf. Ps 148). Il significato profondo di questo invito cosmico sta nel fatto che, il salmista vede le creature come bloccate da una cappa buia posta dalle divinizzazioni pagane. Il salmista desidera che esse siano libere da quella cappa, che nega loro la glorificazione del Creatore.
La lode a Dio sul labbro dei fedeli diventa annuncio a tutti gli uomini: “Per far conoscere agli uomini le tue imprese e la splendida gloria del tuo regno”. “Il regno” (malkut) è Israele e le “imprese” sono quelle della liberazione dall'Egitto, ecc. Terminata la successione monarchica dopo la deportazione a Babilonia, Israele, pur senza scartare minimamente la tensione verso il futuro re, il Messia, si collegò alla tradizione premonarchica dove il re era unicamente Dio. Nel libro dell'Esodo si parla di Israele come regno (19,6): “Un regno di sacerdoti e una nazione santa”. Israele come regno di Dio si manifesta in modo evidente mediante l'osservanza della legge data sul Sinai; ma Israele non è solo suddito di Dio, ma anche figlio (Cf. Es 4,22). ….
Il cristiano nella potenza dello Spirito Santo annuncia le grandi opere del Signore (At 2,11), che sono quelle relative a Cristo: la salvezza, la liberazione dal peccato, ben più alta e profonda di quella dall'Egitto; il regno di Dio posto nel cuore dell'uomo e tra gli uomini in Cristo, nel dono dello Spirito Santo; i cieli aperti, il dono dei sacramenti, massimamente l'Eucaristia.
Commento tratto da “Cantico dei Cantici” di P.Paolo Berti
Dal libro dell’Apocalisse di S.Giovanni Apostolo
Io, Giovanni, vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima infatti erano scomparsi e il mare non c’era più. E vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii allora una voce potente, che veniva dal trono e diceva:
«Ecco la tenda di Dio con gli uomini!
Egli abiterà con loro
ed essi saranno suoi popoli
ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio.
E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi
e non vi sarà più la morte
né lutto né lamento né affanno,
perché le cose di prima sono passate».
E Colui che sedeva sul trono disse:
«Ecco, io faccio nuove tutte le cose».
Ap 21,1-5ª
Questo brano fa parte di quella sezione dell’Apocalisse in cui si descrive la definitiva e totale sconfitta del male, qui simbolicamente rappresentato dal mare (il mare, è il luogo di vita del drago e simbolo del male (Gb 7,12+), che, come al tempo del primo esodo, scomparirà, ma ora per sempre davanti alla marcia trionfale del nuovo popolo di Dio, che sarà definitivamente liberato da ogni tribolazione
Per descrivere questa gioiosa realtà l’autore rivede in prospettiva nuova, le profezie messianiche, per es. il versetto: E vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio contiene due grandi simboli biblici: la città santa, è Gerusalemme la città di Davide, progenitore del Messia nella carne. E’ nuova perché discende dal cielo, quindi viene dalla pienezza di grazia per l’intervento salvifico di Dio, mentre “pronta come una sposa adorna per il suo sposo” si richiama il tema più importante della Sacra Scrittura: il tema nuziale. Infatti il vero amore, in cui Dio si identifica, è l’amore nuziale, libero e personale, dove l’amore porta liberamente verso l’altro, mentre una madre, amando i figli ama anche se stessa. La sposa dunque è simbolo della creazione, distinta da Dio, ma verso la quale Dio si volge per unirla a sé. Solo l’amore nuziale, può, in qualche modo, ma in minima parte, aiutarci a capire che cos’è l’amore di Dio verso l’uomo.
E’ da notare anche il cambiamento, del versetto ispirato ad Ezechiele in cui è scritto: saranno il mio popolo e io sarò il loro Dio”(Ez 37,23) e qui l’espressione viene cambiata con essi saranno suoi popoli ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio. Dunque tutte le nazioni diventeranno popoli di Dio, quasi a mantenere le loro caratteristiche e diversità!
.E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno,perché le cose di prima sono passate». Il Dio che pone la tenda della Sua presenza in mezzo agli uomini è il vivente; in Lui non può sussistere né la sofferenza, né la morte!
E Colui che sedeva sul trono disse: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose».
Al principio Dio … e al termine Dio! Il tempo è inglobato nell’eterno presente di Dio.
Dal vangelo secondo Giovanni
Quando Giuda fu uscito[dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua
e lo glorificherà subito.
Figlioli, ancora per poco sono con voi.
Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.
Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».
Gv 13, 31-33a,34-35
Questo brano ci riporta nel contesto dell'ultima cena: dopo l'uscita di Giuda, Gesù apre il suo cuore al gruppo dei discepoli e dice loro: “Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito”. Il verbo “è stato glorificato” esprime il momento decisivo della missione di Gesù e si riferisce in modo totale alla Sua passione, morte, risurrezione e ascensione. È Dio che glorifica il Figlio dell’uomo; tuttavia si sottolinea anche che Dio stesso è glorificato “in lui” a motivo del dono volontario di sé con cui Gesù porta a compimento il suo disegno di salvezza.
Gesù si rivolge poi ai discepoli con l’appellativo affettuoso di “Figlioli” e dice loro: Figlioli, ancora per poco sono con voi”. E prosegue: Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri…. “Il precetto dell’amore appare già nel contesto dell’alleanza del Sinai come compendio di tutta la legge (Lv 19,18.34), ma i profeti avevano predetto una nuova alleanza, in forza della quale la legge dell’amore non sarà più scritta su tavole di pietra ma sul cuore del popolo (Ger 31,31-34; Dt 30,6; Ez 36,24-28). Ma la vera novità del comandamento di Gesù sta nel “come” bisogna amare: Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.
La particella “come” non stabilisce solo un confronto tra l’amore che i discepoli devono praticare e quello che Gesù ha avuto nei loro confronti, ma ne indica anche il fondamento e l’origine. Gesù diventa così la fonte e il modello dell’autentico amore cristiano.
In realtà la nuova legge è Gesù stesso in quanto esprime in termini umani l’amore di Dio. Gesù conclude con questa affermazione: Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri.
Gesù propone anche a noi oggi di amarci gli uni gli altri come Lui ci ha amato, e se noi fossimo capaci di amare gli altri con l’intensità e la radicalità con cui ci ama Gesù Cristo-Dio, potremmo davvero cambiare la realtà, creare come i primi discepoli di Gesù una comunità su cui fondare il rinnovamento del mondo.
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E come dimenticare le parole di Papa Francesco:
"Per Dio noi non siamo numeri, siamo importanti, anzi siamo quanto di più importante Egli abbia; anche se peccatori, siamo ciò che gli sta più a cuore. Lasciamoci avvolgere dalla misericordia di Dio; confidiamo nella sua pazienza che sempre ci dà tempo; abbiamo il coraggio di tornare nella sua casa, di dimorare nelle ferite del suo amore, lasciandoci amare da Lui, di incontrare la sua misericordia nei Sacramenti. Sentiremo la sua tenerezza, sentiremo il suo abbraccio e saremo anche noi più capaci di misericordia, di pazienza, di perdono, di amore“.
Con la quarta domenica di Pasqua ogni anno si celebra la Giornata Mondiale di preghiera per le vocazioni e il tema questa volta è suggerito da Papa Francesco nella Evangeliumm Gaudium : “Vocazioni e santità: grati perchè amati”
E’ conosciuta anche come giornata del Pastore e della vocazione, in particolare quella sacerdotale e religiosa.
Nella prima lettura, tratta dagli Atti degli apostoli, ci viene descritta l’opera missionaria di Paolo e Barnaba ad Antiochia: i discepoli “pieni di gioia e di Spirito Santo” erano attivissimi nel formare una comunità unita. Di fronte alla reazione dei Giudei del luogo, essi dichiarano che si sarebbero rivolti per il futuro ai pagani annunciando loro il Vangelo.
Nella seconda lettura, tratta dal libro dell’Apocalisse, Cristo viene presentato come l’agnello sacrificale che si trasforma in pastore: l’Agnello, che sta in mezzo al trono, sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita.
Nel vangelo di Giovanni, Gesù viene presentato come il Buon Pastore che afferma: “Le mie pecore ascoltano la mia voce”. La conoscenza di Gesù si può raggiungere ascoltando la sua voce, obbedendo alla sua parola, come fa il gregge che segue il suo pastore.
Dagli Atti degli Apostoli
In quei giorni, Paolo e Bàrnaba, proseguendo da Perge, arrivarono ad Antiochia in Pisìdia e, entrati nella sinagoga nel giorno di sabato, sedettero.
Molti Giudei e prosèliti credenti in Dio seguirono Paolo e Bàrnaba ed essi, intrattenendosi con loro, cercavano di persuaderli a perseverare nella grazia di Dio.
Il sabato seguente quasi tutta la città si radunò per ascoltare la parola del Signore. Quando videro quella moltitudine, i Giudei furono ricolmi di gelosia e con parole ingiuriose contrastavano le affermazioni di Paolo. Allora Paolo e Barnaba con franchezza dichiararono: «Era necessario che fosse proclamata prima di tutto a voi la parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco: noi ci rivolgiamo ai pagani. Così infatti ci ha ordinato il Signore:
“Io ti ho posto per essere luce delle genti, perché tu porti la salvezza sino all’estremità della terra”».
Nell’udire ciò, i pagani si rallegravano e glorificavano la parola del Signore, e tutti quelli che erano destinati alla vita eterna credettero. La parola del Signore si diffondeva per tutta la regione. Ma i Giudei sobillarono le pie donne della nobiltà e i notabili della città e suscitarono una persecuzione contro Paolo e Barnaba e li cacciarono dal loro territorio. Allora essi, scossa contro di loro la polvere dei piedi, andarono a Icònio. I discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo.
At 13,14, 43-52
Dal capitolo 13 inizia una nuova suddivisione del libro degli Atti e la Chiesa d’Antiochia diventa il punto di partenza dell’opera che sta per compiersi fra le nazioni. Barnaba e Paolo dopo aver fatto la prima tappa all’isola di Cipro, giungono in Panfilia e proseguendo poi da Perge, arrivano ad Antiochia in Pisìdia.
Ancora una volta Paolo e Barnaba si confrontano con i cristiani di Antiochia. ma mentre questa moltitudine di credenti pende dalle labbra dei due missionari, i Giudei, morsi dalla gelosia, si affannano a contraddire le loro affermazioni. Il testo annota: i Giudei furono ricolmi di gelosia e con parole ingiuriose contrastavano le affermazioni di Paolo. E' lo scontro penoso tra il cuore indurito di Israele e la docilità dei pagani, il rifiuto dei figli e l'assenso degli stranieri.
Paolo e Barnaba allora dichiararono: “Era necessario che fosse proclamata prima di tutto a voi la parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco: noi ci rivolgiamo ai pagani” Poi richiamando quanto diceva Isaia affermano: “Io ti ho posto per essere luce delle genti, perché tu porti la salvezza sino all’estremità della terra”..(Is 49,6) per dimostrare come ogni distruzione delle barriere nazionali o razziali entri nel piano salvifico di Dio.
La decisione di Paolo e di Barnaba rallegra i pagani, i quali “glorificavano” la parola di Dio. Luca osserva che tutti quelli che erano destinati alla vita eterna credettero. E questo vuol dire che questi pagani, che hanno aderito a Paolo e Barnaba, non si limitano ad una reazione di simpatia, ma intraprendono un vero cammino di fede che presuppone un dono speciale da parte di Dio, perchè l’adesione alla fede è sempre opera di Dio.
Luca dopo aver commentato che La Parola del Signore si diffondeva per tutta la regione, annota che i giudei scatenarono una persecuzione contro Paolo e Barnaba, che sono costretti ad andarsene. Essi allora si recano ad Iconio, non prima però di aver “scosso contro di loro la polvere dei piedi” . Questo gesto, fa riferimento a quanto aveva detto Gesù (Lc 9,5; 10,11), per significare che su coloro che hanno rifiutato il messaggio incombeva una dura condanna.
Il brano termina sottolineando che ”I discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo” perchè, nonostante il rifiuto dei giudei e la loro espulsione, era sorta in Antiochia di Pisidia una fervente comunità cristiana.
Salmo 99- Noi siamo suo popolo, gregge che egli guida
Acclamate al Signore, voi tutti della terra,
servite il Signore nella gioia,
presentatevi a lui con esultanza.
Riconoscete che solo il Signore è Dio:
egli ci ha fatti e noi siamo suoi,
suo popolo e gregge del suo pascolo.
Perché buono è il Signore,
Il suo amore è per sempre,
la sua fedeltà di generazione in generazione.
Questo salmo è un invito a tutti i popoli della terra a riconoscere l'unico Dio e a servirlo, cioè obbedire al suo disegno, che ha come oggetto l'uomo stesso. Il salmista invita a servirlo nella gioia, cioè con la gratitudine, l'esultanza di chi si riconosce amato e salvato da Dio. Il salmista desidera che i popoli della terra riconoscano l'identità d Israele per poterne partecipare: “Riconoscete che solo il Signore è Dio: egli ci ha fatti e noi siamo suoi, suo popolo e gregge del suo pascolo”. L'invito al tempio di Gerusalemme non ha confini. E' un invito espresso nell'attesa messianica, poiché a Gerusalemme, per mezzo del Messia, avverrà la ricomposizione dell'unità tra tutti i popoli. I popoli pagani sono invitati a orientarsi al Dio di Israele, al vero Dio, la cui gloria dimora nel tempio di Gerusalemme: “Varcate le sue porte con inni di grazie, i suoi atri con canti di lode...”. Tutti devono benedire la sua identità, (il suo nome), perché Dio è buono, misericordioso, fedele alla sua parola alle sue promesse.
Nel giorno della Pentecoste veramente si è avverato un andare a Gerusalemme di tanti e tanti, che, non Giudei, avevano abbracciato la religione di Israele (At 2,9s). A questi - i proseliti - vanno aggiunti i timorati di Dio, che non intendevano giungere al rito della circoncisione e alla pratica rituale della legge mosaica (At 10,2).
Noi in Cristo invitiamo i popoli ad accogliere il messaggio di Cristo, a riconoscere il vero Dio e a far parte col battesimo della Chiesa, le cui porte e atri sono aperte all'ingresso di tutti i popoli.
Commento tratto da “Cantico dei Cantici” di P. Paolo Berti
Dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo
Io, Giovanni, vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani.
E uno degli anziani disse: «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello. Per questo stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo tempio; e Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro.
Non avranno più fame né avranno più sete, non li colpirà il sole né arsura alcuna,
perché l’Agnello, che sta in mezzo al trono,
sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita.
E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi».
Ap. 7,9, 14b-17
Questo brano è l’intermezzo della sezione che va sotto il nome di “i sette sigilli”. Essi vengono aperti dall’Agnello immolato, cioè da Cristo che si presenta così, per mezzo della sua passione, come il rivelatore del disegno salvifico di Dio. In questo contesto la visione di Giovanni, ha lo scopo di indicare come i “segnati” dell’Israele ideale, cioè della Chiesa, sono benedetti e protetti da Dio.
La conclusione ci riporta alla fase finale della salvezza:
I redenti, passati attraverso il mare della tribolazione, ora sono con Dio. Tutta la loro vita non è che un rimanere con Dio ed Egli li accoglie sotto una medesima tenda, li consola e abita con loro per sempre.
Poi riporta immagini, correnti nella tradizione profetica, per descrivere la felicità escatologica:
Non avranno più fame né avranno più sete, non li colpirà il sole né arsura alcuna, perché l’Agnello, che sta in mezzo al trono, sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita. E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi.
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Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».
Gv 10, 27-30
Questo brano tratto dal capitolo 10 del Vangelo di Giovanni è la continuazione del tema “Gesù, Buon pastore” (meditato nella IV domenica di Pasqua – anno A e anno B) e cerca di indicare il fine dell’agire amoroso di Gesù “Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono”.
Da una parte dunque c’è Gesù che conosce le sue pecore, dall’altra esse ascoltano la sua voce e lo seguono. Gesù conosce le sue pecore come Dio conosce il suo popolo. Questa conoscenza consiste in un rapporto di amore molto personale e profondo in forza del quale Gesù conduce i Suoi verso la salvezza come un giorno Dio aveva guidato il Suo popolo verso la Terra promessa. L’ascolto della Sua parola da parte delle pecore significa che i credenti in Lui non si limitano a eseguire le Sue direttive, ma entrano in profonda sintonia con Lui con i valori che hanno ispirato la Sua vita e che lo hanno portato a donarsi fino in fondo.
La conoscenza che Gesù ha delle sue pecore viene poi ulteriormente specificata: Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. L’espressione «Io do loro la vita» indica l’amore che lo ha portato a morire sulla croce e di conseguenza la vita nuova che Egli dà a chi crede in Lui.
Questo pensiero viene ulteriormente approfondito nella frase seguente: “Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre”. Coloro che credono in Gesù non possono essere strappati da Lui perché per mezzo Suo essi hanno stabilito un rapporto strettissimo con il Padre, che è amore e potenza infinita..
Gesù conclude affermando: “Io e il Padre siamo una cosa”. Questa espressione indica la perfetta sintonia che esiste tra Dio Padre e il Suo inviato, Suo Figlio Gesù. Essa appare dal fatto che in Lui e per mezzo Suo si è attuata pienamente la salvezza promessa da Dio nelle Scritture. I Suoi discepoli perciò hanno visto in Lui la manifestazione della “Parola-Sapienza” mediante la quale Dio ha creato il mondo e conduce gli esseri umani alla comunione con sé.
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Gesù, è il “Pastore di cento pecore, non di novantanove”, e “le vuole tutte”: “La misericordia non è solo l’agire del padre, ma diventa il criterio per capire chi sono i suoi veri figli”, e la Chiesa “non è una dogana, è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa”.
Papa Francesco
1. Domenica prossima, 17 aprile, sarà tra noi p. Giancarlo Berzacola in occasione de 50-esimo anniversario della sua ordinazione sacerdotale. Celebrerà la S. Messa delle 10. Diversi anni del suo ministero sacerdotale li ha svolti tra noi, quindi è giusto roicordarlo e gioire insieme.
2. Papa Francesco per domenica 24 aprile ha indetto una raccolta straordinaria per il popolo dell"Ucraina.
L'umanità è una grande e immensa famiglia ... Troviamo la dimostrazione di ciò da quello che ci sentiamo nei nostri cuori a Natale.
(Papa Giovanni XXIII)