La liturgia di questa terza domenica di Pasqua ci presenta la fragilità dell’umanità di Pietro e nello stesso tempo la forza della sua fede che diventa esempio per ogni discpeolo di Cristo.
Nella prima lettura, tratta dagli Atti degli apostoli, vediamo come Pietro, e gli altri discepoli testimoniano con franchezza e con forza, la loro amore e la loro fede nel Cristo risorto. Anche se questa testimonianza li ha condannati ad essere fustigati, loro dopo se ne vanno “lieti di essere stati oltraggiati per amore del nome di Gesù”.
Nella seconda lettura, tratta dal libro dell’Apocalisse, la visione dell’apostolo Giovanni ci trasporta in una solenne liturgia di lode: davanti al trono di Dio appare l’agnello”ritto…come immolato” e in suo onore si leva un inno di acclamazione nel quale si fondono le voci degli angeli e dei santi che stanno davanti a Dio.
Nel vangelo di Giovanni, Gesù si manifesta di nuovo ai discepoli sul lago di Tiberiade ed essi lo riconoscono dopo la pesca miracolosa. Gesù fermandosi sulla riva del lago a cuocere il pesce per loro, si presenta ancora come uno che serve, perché il risorto è tutto amore, ed è sull’amore che interroga Pietro. Di fronte alla debolezza di Pietro, in cui ci riconosciamo tutti, commuove la fiducia che Gesù continua a dargli. Quel dialogo umano fra Gesù e Pietro lo dovremmo sempre ricordare perché ci dice che Gesù, nello stesso modo accoglierà noi quando ci pentiamo dei nostri errori.. come dice Papa Francesco, il Signore non si stanca mai di perdonarci, siamo noi a volte che ci stanchiamo di chiedere perdono!
Dagli Atti degli Apostoli
In quei giorni, il sommo sacerdote interrogò gli apostoli dicendo: «Non vi avevamo espressamente proibito di insegnare in questo nome? Ed ecco, avete riempito Gerusalemme del vostro insegnamento e volete far ricadere su di noi il sangue di quest’uomo».
Rispose allora Pietro insieme agli apostoli: «Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini. Il Dio dei nostri padri ha risuscitato Gesù, che voi avete ucciso appendendolo a una croce. Dio lo ha innalzato alla sua destra come capo e salvatore, per dare a Israele conversione e perdono dei peccati. E di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a quelli che gli obbediscono».
Fecero flagellare [gli apostoli] e ordinarono loro di non parlare nel nome di Gesù. Quindi li rimisero in libertà. Essi allora se ne andarono via dal sinedrio, lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù.
At, 5,27b-32.40b-41
Luca in questo brano descrive il coraggio con il quale gli apostoli, e in particolare Pietro, mossi dalla forza dello Spirito rendono testimonianza al loro Maestro. L’antefatto del brano che abbiamo si svolge nell’aula del Sinedrio di Gerusalemme: il sommo sacerdote si era rivolto agli apostoli e, senza indagare sulla loro misteriosa liberazione, li aveva rimproverati perché, invece di obbedire al comando, dato precedentemente a Pietro e Giovanni, di non insegnare nel nome di Gesù, essi avevano riempito Gerusalemme della loro dottrina, con lo scopo di “far ricadere su di loro”, cioè sui membri del sinedrio, il sangue di quell’uomo. (L’espressione “far ricadere il sangue di una persona su..” significa attribuire a qualcuno la responsabilità di un crimine, scatenando la vendetta del sangue innocente ossia il castigo divino). Il sinedrio è evidente che rifiuta questa responsabilità, e Luca ne è persuaso, come già Pietro stesso aveva affermato (2,23; 3,13-15), che i giudei sono colpevoli della morte di Gesù. Non si tratta però del popolo ebraico nella sua totalità e tanto meno di quello delle epoche successive, ma di coloro che avevano partecipato direttamente o indirettamente alle vicende della passione. Per loro riconoscere la propria colpa significa arrivare alla conversione, cosa che il sommo sacerdote e il sinedrio non intendono fare.
Pietro a nome degli altri apostoli testimonia senza esitazione il suo amore e la sua fede nel Cristo risorto affermando decisamente: “Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini ...” Pietro sottolinea che l'obbedienza a Dio va oltre ad ogni dovere umano, poi continua dicendo : Il Dio dei nostri padri … confessando così di essere ebreo discendente dei Patriarchi … ha risuscitato Gesù, che voi avete ucciso appendendolo a una croce. Dio lo ha innalzato alla sua destra come capo e salvatore
Con l’affermazione finale “E di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a quelli che gli obbediscono” Pietro ritorna così al concetto iniziale, lasciando comprendere che agli apostoli compete ora, in quanto si sono sottomessi a Dio, quell’autorevolezza che i membri del sinedrio hanno perso.
Il brano non riporta l’irritazione dei membri del sinedrio, i quali si calmano solo in seguito all’intervento del maestro Gamaliele, il quale fa osservare che, se il movimento rappresentato dagli apostoli, viene dagli uomini, non avrà futuro, ma se viene da Dio nessuno potrà fermarlo.
Alla fine il sinedrio adotta la linea suggerita da Gamaliele e lascia liberi gli apostoli, non prima però di averli fatti fustigare e di aver ordinato loro ancora una volta di non continuare a parlare nel nome di Gesù. Ma essi se ne vanno felici di essere stati oltraggiati per amore del nome di Gesù perchè così si sentivano più vicini al loro Maestro.
Salmo 29 - Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato.
Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato,
non hai permesso ai miei nemici di gioire su di me.
Signore, hai fatto risalire la mia vita dagli inferi,
mi hai fatto rivivere perché non scendessi nella fossa.
Cantate inni al Signore, o suoi fedeli,
della sua santità celebrate il ricordo,
perché la sua collera dura un istante,
la sua bontà per tutta la vita.
Alla sera ospite è il pianto
e al mattino la gioia.
Ascolta, Signore, abbi pietà di me,
Signore, vieni in mio aiuto!».
Hai mutato il mio lamento in danza,
Signore, mio Dio, ti renderò grazie per sempre.
L’autore del salmo riconosce di essere stato nel passato ampiamente beneficato da Dio, ma aveva peccato di presunzione dicendo tra sé: “Mai potrò vacillare!”.
Per questo Dio l’aveva abbandonato e gli aveva nascosto per “un istante” il suo volto. Per “un istante” l’aveva esposto ai suoi nemici, i quali giunsero ad un sol passo dal prevalere su di lui, ma Dio gli diede “vita” e così poté sfuggire alla morte. Per questo egli è diventato un testimone della bontà del Signore: “Cantate inni al Signore, o suoi fedeli”.
Permane però nelle insidie ed egli si rivolge a Dio chiedendo di conservarlo in vita, perché non ne trarrebbe nessun vantaggio dalla sua morte: “Quale guadagno dalla mia morte, dalla mia discesa nella fossa? Potrà ringraziarti la polvere e proclamare la tua fedeltà?”. La sua missione, il suo proclamare la fedeltà di Dio, sarebbe interrotta anzitempo.
Umile, invoca misericordia, e lascia il lamento sperimentando ancora una volta la fedeltà del Signore. Conclude confermandosi nell’amore per il Signore: “Signore, mio Dio, ti renderò grazie per sempre”.
Commento tratto da “Cantico dei Cantici” di P. Paolo Berti
Dal libro dell’Apocalisse di S.Giovanni apostolo
Io, Giovanni, vidi, e udii voci di molti angeli attorno al trono e agli esseri viventi e agli anziani. Il loro numero era miriadi di miriadi e migliaia di migliaia e dicevano a gran voce: «L’Agnello, che è stato immolato,
è degno di ricevere potenza e ricchezza,
sapienza e forza,onore, gloria e benedizione».
Tutte le creature nel cielo e sulla terra, sotto terra e nel mare, e tutti gli esseri che vi si trovavano, udii che dicevano: «A Colui che siede sul trono e all’Agnello
lode, onore, gloria e potenza,nei secoli dei secoli».
E i quattro esseri viventi dicevano: «Amen». E gli anziani si prostrarono in adorazione.
Ap 5,11-14
Giovanni nella sua visione ci presenta la liturgia celeste, che si svolge davanti a colui che siede sul trono e all’ agnello, formata da miriadi di angeli e di anziani che acclamavano a gran voce
«A Colui che siede sul trono e all’Agnello
lode, onore, gloria e potenza,
nei secoli dei secoli».
Gesù è definito “L’Agnello immolato” perchè è in forza della sua opera salvifica che è degno di lode. Cristo è il solo che ha redento l'umanità dal peccato, e tutto ciò che la Chiesa riesce a realizzare lo deve a Lui. La gloria è attribuita solo al Cristo, morto e risorto, che tornato al Padre dà mandato alla sua Chiesa di predicare la Parola.
In questa liturgia è unificata la liturgia della terra e quella del cielo, ed è superata la divisione tra materia e spirito.
Nel cielo ogni divisione scompare: tutta la creazione è davanti al trono di Dio e glorifica Dio!
Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberiade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla.
Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri.
Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatre grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti.
Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?».
Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».
Gv 21, 1-19
Il 20^capitolo del vangelo di Giovanni riporta il racconto delle apparizioni di Gesù ai discepoli nel Cenacolo e al termine c’è una breve conclusione da far sembrare che il vangelo fosse terminato. Invece nel capitolo successivo, da dove è preso questo brano, viene riportato il racconto di un’ulteriore apparizione di Gesù risorto, questa volta non più a Gerusalemme ma in Galilea. Qui si racconta che sei discepoli di Gesù con Simon Pietro, vanno a pescare riprendendo così in un certo senso la vita di prima. Pescano tutta la notte, ma senza risultato! (La notte è simbolo dell’assenza di Gesù, luce del mondo: per questo il risultato della pesca è vano).
All’alba appare loro sulla riva Gesù, ma essi non lo riconoscono. Egli si rivolge a loro in modo affettuoso: “Figlioli, non avete nulla da mangiare?” e alla loro risposta negativa dà loro più che un suggerimento, un comando: “Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete”. Questa precisa indicazione, evidenzia come la pesca abbondante non sia frutto di casualità, ma dell’intervento di Gesù, che ha indicato lui stesso dove gettare le reti. Essi obbediscono e la rete si riempie di pesci, senza per questo spezzarsi.
Allora il discepolo che Gesù amava lo riconosce e dice a Pietro: “È il Signore”.
L'evangelista, anche qui, non lo chiama col suo nome, ma lo designa come "il discepolo che Gesù amava" per far simboleggiare in lui ogni vero discepolo che è oggetto dell'amore personale di Gesù e a sua volta risponde a tanto amore.
Sentito ciò, Pietro si getta in mare per poter raggiungere prima Gesù sulla riva; ritroviamo in questo gesto l’indole passionale e spontanea di Pietro.
Intanto arrivano anche gli altri discepoli trascinando la rete piena di pesci. Arrivati a terra, i discepoli vedono che è già pronto un fuoco con sopra del pesce e del pane. Gesù dice allora di portare un po’ del pesce che hanno appena preso. Pietro, salito sulla barca, porta a terra la rete, nella quale vi sono centocinquantatre grossi pesci. (Il numero 153 ha una portata simbolica. Pare che a quell'epoca i naturalisti distinguessero 153 specie di pesci. Una missione quindi universale: raccogliere la grande varietà di popoli e razze umane nell'unità della Chiesa, simboleggiata dall'unica rete che non si spezza, nonostante la grandissima quantità di pesci).
Poi Gesù li invita a mangiare. Nessuno di loro osa chiedergli chi è, perché sapevano bene che era il Signore. Gesù dà loro del pane e del pesce. L’evangelista conclude il racconto sottolineando che si trattava della terza volta in cui Gesù si era manifestato a loro dopo la sua risurrezione dai morti.
Il brano però prosegue riportando un dialogo tra Gesù e Pietro inizia con la domanda di Gesù: “Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?”. Pietro risponde:”Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene”. Gesù allora gli dice: “Pasci i miei agnelli”. Una seconda volta Gesù gli dice: “Simone, figlio di Giovanni, mi ami?”.Di nuovo Pietro gli risponde: ”Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene”. Gesù allora gli dice: “Pascola le mie pecore”. Per la terza volta Gesù gli dice: “Simone di Giovanni, mi vuoi bene?. Pietro allora rimane addolorato e gli dice: “Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene”. Gli rispose Gesù: “Pasci le mie pecore”. Con queste tre domande Gesù dà a Pietro la possibilità di correggere il suo triplice rinnegamento, e Pietro, che certo ha colto nell’insistenza del Maestro un’allusione alla scena della passione, resta addolorato. A Pietro ormai pentito Gesù conferisce il ruolo di pastore della sua chiesa, o meglio lo accosta a sé in questo compito che è e resta il Suo anche dopo la Sua morte e risurrezione.
Dopo aver affidato a Pietro il ruolo di pastore, Gesù aggiunge: “In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi”. L’evangelista (che scrive intono al 90 perciò dopo la morte di Pietro) aggiungendo “questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio”, vuole sottolineare una predizione di Gesù sul martirio di Pietro: è questa infatti la meta a cui porta non solo la sequela di Cristo, ma anche la condivisione del suo ruolo di pastore.
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Gesù, interrogando Pietro, interroga anche ciascuno di noi . La domanda “Mi ami tu?” è rivolta ad ogni discepolo di ogni tempo e di ogni luogo.
E’ una domanda che tocca il nostro intimo più profondo che il linguaggio umano non può esprimere.
Buongiorno!
Desideriamo rinnovare l’invito a partecipare ai viaggi/pellegrinaggi missionari proposti dal Centro Missionario Diocesano di Roma per l’estate 2016.
1. Sabato e domenica, 9 e 10 aprile nella nostra Parrocchia si terrà il CORSO PARROCCHIALE “NUOVA VITA”. Il corso sarà tenuto da un gruppo di laici e un sacerdote. Il corso è aperto a tutti coloro che desiderano fare una esperienza nuova e personale con il Signore. Il corso avrà il seguente orario:
Sabato dalle 14.00 alle 22.00 e domenica dalle 8.45 alle 19.30 Per motivi organizzativi è necessaria l'iscrizione previa presso l'ufficio parrocchiale.
2. Corso prematrimoniale comincia lunedì 4 aprile e prosegue al fine del maggio, ogni lunedì sera alle 21.00 fuorché lunedì 11 aprile.
La prima domenica dopo Pasqua, prima di chiamarsi della Divina Misericordia, era chiamata "domenica in albis". Questo nome era dovuto perchè ai primi tempi della Chiesa il battesimo era amministrato durante la notte di Pasqua, ed i battezzandi indossavano una tunica bianca che portavano poi per tutta la settimana successiva, fino alla prima domenica dopo Pasqua, detta perciò "domenica in cui si depongono le vesti bianche" ("in albis depositis"). Questa domenica dal 2000 è stata proclamata Festa della Divina Misericordia per volontà del Papa Giovanni Paolo II, come testimonia la sua seconda Enciclica “Dives in Misericordia”, scritta nel 1980.
Le letture liturgiche però non hanno subito variazioni.
Nella prima lettura tratta dagli Atti degli Apostoli, Luca sottolinea la crescita della prima comunità e colpisce l’immagine dei malati che si accostano a Pietro per farsi almeno coprire con la sua ombra nella speranza della guarigione.
Nella seconda lettura tratta dal libro dell’Apocalisse, Gesù risorto appare a Giovanni in visione come giudice universale, e gli affida la missione per le sette Chiese, raffigurate simbolicamente in sette candelabri d’oro. A Giovanni quasi privo di sensi Gesù lo rassicura dicendo: «Non temere! Io sono il Primo e l’Ultimo, e il Vivente…” Gesù è l’eterno vivente e ad ogni celebrazione liturgica noi lo possiamo incontrare!
Il Vangelo di Giovanni riporta l’incontro di Gesù risorto con gli apostoli e il Suo saluto: Pace a Voi ! L’episodio di Tommaso, con i suoi umanissimi dubbi, è particolarmente utile per tutti coloro che procedono a tentoni in una valle oscura alla ricerca di Dio. Tommaso alla fine è stato in grado di proclamare la sua fede con una purezza straordinaria, forse la più alta del quarto Vangelo: “Mio Signore e mio Dio!”
Dagli Atti degli Apostoli
Molti segni e prodigi avvenivano fra il popolo per opera degli apostoli. Tutti erano soliti stare insieme nel portico di Salomone; nessuno degli altri osava associarsi a loro, ma il popolo li esaltava.
Sempre più, però, venivano aggiunti credenti al Signore, una moltitudine di uomini e di donne, tanto che portavano gli ammalati persino nelle piazze, ponendoli su lettucci e barelle, perché, quando Pietro passava, almeno la sua ombra coprisse qualcuno di loro.
Anche la folla delle città vicine a Gerusalemme accorreva, portando malati e persone tormentate da spiriti impuri, e tutti venivano guariti.
At 5,12-16
Siamo al terzo sommario degli Atti (negli anni A e B si trovano i primi due ) e come nei prededenti si descrive il senso di unità della prima comunità cristiana di Gerusalemme tutta protesa a dare testimonianza pubblica con i fatti e la Parola.
Si verificano degli avvenimenti prodigiosi che rivelano la potenza dello Spirito di Gesù operante nei suoi testimoni qualificati, gli apostoli. Come avveniva al tempo di Gesù in Galilea (Lc 4,40), così ora l’azione potente di Dio si manifesta come forza di redenzione, che guarisce corpi malati e dà la liberazione agli uomini oppressi dalle potenze del male.
Di fronte a questa testimonianza pubblica Luca registra due tipi di reazione: quella del popolo e quella dei capi. Nel popolo ci sono persone intimorite ed impressionate che hanno persino timore di avvicinare il gruppo dei discepoli e nello stesso tempo altri, forse le persone più umili e semplici, sono attirate dalla nuova esperienza religiosa. Così si spiega l’aumento costante e progressivo di quelli che entrano a far parte della nuova comunità.
La comunità qui appare in tutta la sua bellezza e la sua unità: Apostoli e discepoli insieme e concordi e, allo stesso tempo, si presenta come un gruppo giudaico ben separato dagli altri e in continua crescita.
Questa realtà è tutta opera di Dio che compie prodigi per mezzo degli Apostoli e che suscita la fede in molti altri. Il loro inserimento nella tradizione ebraica è evidente. Si riuniscono, infatti, nel Tempio, il luogo più sacro del giudaismo e partecipano alle preghiere prescritte a tutti gli Ebrei.
Luca evidenzia in modo particolare la figura di Pietro e continuerà a farlo anche in seguito.
È Pietro che più degli altri opera prodigi tanto che la gente porta i suoi ammalati e li depone dove pensavano che passasse affinché almeno la sua ombra toccasse qualcuno di loro.
L’ombra era vista come continuazione della persona con tutti i suoi poteri.
Questa immagine della comunità è quella che più sottolinea il favore e l’entusiasmo del popolo e questo non poteva non infastidire i detentori del potere.
Salmo 117 - Rendete grazie al Signore perché è buono:il suo amore è per sempre
Dica Israele:«Il suo amore è per sempre».
Dica la casa di Aronne:
«Il suo amore è per sempre».
Dicano quelli che temono il Signore:
«Il suo amore è per sempre».
La pietra scartata dai costruttori
è divenuta la pietra d’angolo.
Questo è stato fatto dal Signore:
una meraviglia ai nostri occhi.
Questo è il giorno che ha fatto il Signore:
rallegriamoci in esso ed esultiamo!
Ti preghiamo, Signore: dona la salvezza!
Ti preghiamo, Signore: dona la vittoria!
Benedetto colui che viene nel nome del Signore.
Vi benediciamo dalla casa del Signore.
Il Signore è Dio, egli ci illumina.
Il salmo è stato composto per essere recitato con cori alterni e da un solista. Esso celebra una vittoria contro nemici numerosi. Probabilmente è stato scritto al tempo di Giuda Maccabeo dopo la vittoria su Nicanore e la purificazione del tempio di Gerusalemme (1Mac7,33; 2Mac 10,1s) (165 a.C). Si è condotti a questa collocazione storica, a preferenza di quella del tempo della ricostruzione delle mura di Gerusalemme con Neemia (445 a.C), dal fatto che si parla di “grida di giubilo e di vittoria”, che sono proprie di una vittoria militare. Inoltre le “tende dei giusti” non possono essere né le case, né le capanne di frasche per la festa delle Capanne, ma le tende di un accampamento militare.
Il salmo inizia con l'invito a celebrare l'eterna misericordia di Dio. A questo viene invitato tutto il popolo: “Dica Israele il suo amore è per sempre"; i leviti e i sacerdoti: “Dica la casa di Aronne”; i “timorati di Dio”: “Dicano quelli che temono il Signore” (Cf. Ps 113 B).
Il solista - storicamente Giuda Maccabeo – presenta come Dio lo ha aiutato dandogli la forza, nella confidenza in lui, di sfidare i suoi nemici. Egli non ha confidato, né intende confidare, in alleanze con potenti della terra, che lo avrebbero trascinato agli idoli, ma ha confidato nel Signore. Era circondato dal fronte compatto delle genti vicine asservite al dominio dei Seleucidi, ma “Nel nome del Signore le ho distrutte". L'urto contro di lui era stato forte, ma aveva vinto nel nome del Signore: “Mi avevano spinto con forza per farmi cadere, ma il Signore è stato il mio aiuto”. “Cadere” significa cedere all'idolatria.
Egli sa che deve continuare la lotta, ma è fiducioso nel Signore: “Non morirò, ma resterò in vita e annuncerò le opere del Signore”. “Le opere del Signore” sono la liberazione dall'Egitto, l'alleanza del Sinai e la conquista della Terra Promessa.
Il solista, che è alla testa di un corteo chiede che gli vengano aperte le porte del tempio purificato dopo le profanazioni di Nicanore per “ringraziare il Signore”: “Apritemi le porte della giustizia...”.
“La pietra scartata dai costruttori”, è Giuda Maccabeo e i suoi, scartati da tanti di Israele che si erano fatti conquistare dai costumi ellenistici (1Mac 1,11s). Tale pietra per la forza di Dio era diventata “pietra d'angolo”, per Israele.
“Questo è il giorno che fatto il Signore”; il giorno della vittoria, del ripristino del culto nel tempio, è dovuto al Signore. Per noi cristiani quel giorno è il giorno della risurrezione; della vittoria di Cristo contro il male. Il corteo viene invitato a disporsi con ordine fino all'altare: “Formate il corteo con rami frondosi fino agli angoli dell'altare”. Il salmo si conclude ripetendo l'invito a celebrare la misericordia del Signore. Il salmo è messianico nel senso che esso profeticamente riguarda il Cristo: (Mt 21,42; Mc 12,10; Lc 20,17; At 4,11; Rm 9,23; 1Pt 2,7).
Commento tratto da “Cantico dei Cantici” di P.Paolo Berti
Dal libro dell’Apocalisse di S.Giovanni apostolo
Io,Giovanni, vostro fratello e compagno nella tribolazione, nel regno e nella perseveranza in Gesù, mi trovavo nell’isola chiamata Patmos a causa della parola di Dio e della testimonianza di Gesù.Fui preso dallo Spirito nel giorno del Signore e udii dietro di me una voce potente, come di tromba, che diceva: «Quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette Chiese».
Mi voltai per vedere la voce che parlava con me, e appena voltato vidi sette candelabri d’oro e, in mezzo ai candelabri, uno simile a un Figlio d’uomo, con un abito lungo fino ai piedi e cinto al petto con una fascia d’oro.
Appena lo vidi, caddi ai suoi piedi come morto. Ma egli, posando su di me la sua destra, disse: «Non temere! Io sono il Primo e l’Ultimo, e il Vivente.
Ero morto, ma ora vivo per sempre e ho le chiavi della morte e degli inferi. Scrivi dunque le cose che hai visto, quelle presenti e quelle che devono accadere in seguito».
Ap 1,9-11a, 12-13, 17-19
Il libro dell'Apocalisse, che è stato scritto dall’Apostolo Giovanni o da un suo discepolo nell’Anno 95, quando si trovava in esilio all’isola di Patmos, si compone di 22 capitoli, ed è il libro in cui Gesù si rivela (da qui il nome Apocalisse=rivelazione) così come Egli è, quale Re vittorioso sulla morte, il male ed il nemico di Dio e dell'umanità: Satana.
Questo libro inizia con i messaggi che Gesù Cristo invia alle "sette chiese" dell’Asia Minore dopo la Sua resurrezione ed ascensione. Questi messaggi, dice il libro, sono stati inviati da Cristo "per mezzo del suo angelo al suo servitore Giovanni."
Questo brano presenta la prima rivelazione avuta da Giovanni, durante un’estasi, nel giorno di domenica (nel giorno del Signore) e questo particolare riveste molta importanza. Egli la descrive seguendo il comune stile delle apocalissi e teofanie ma puntualizza in modo chiaro le caratteristiche del Risorto: ..il Primo e l’Ultimo, e il Vivente. Il risorto ha la pienezza della vita; ha il potere, e le chiavi: Ero morto, ma ora vivo per sempre e ho le chiavi della morte e degli inferi. Questo lo ha dimostrato risorgendo da morte e lo dimostrerà ancora con la risurrezione degli eletti. (V.Gv 5,26)
Dal vangelo secondo Giovanni
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!».
Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.
Gv 20, 19-31
Giovanni, in questo brano, ci racconta che i discepoli dopo la morte di Gesù, vivono nella paura e si sono chiusi nel cenacolo, ma Gesù entra nella casa a porte chiuse, perché il corpo del Risorto non ha più nessuno ostacolo, e rivolge loro il saluto messianico: "Pace a voi!“ Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco per far vedere le ferite dei chiodi e del colpo di lancia. (Giovanni è l'unico evangelista che riporta questo episodio e parla anche del colpo di lancia che ha trafitto il fianco di Cristo sulla croce). Dopo aver dato loro per la seconda volta il saluto della pace, il Risorto affida ai discepoli la missione di essere suoi messaggeri, e con il dono dello Spirito, che li consacra alla missione, i discepoli ricevono anche il potere di rimettere i peccati.
Giovanni, dopo aver descritto il primo incontro di Gesù con i suoi la sera di Pasqua, precisa che Tommaso, quando venne Gesù, era assente e da, uomo molto concreto, non crede a quanto i compagni gli riferiscono, anzi dice che vuol vedere con i suoi occhi e toccare con le sue mani; non solo ma precisa che vuole persino mettere il dito al posto dei chiodi e la mano nella ferita del costato.
Nella seconda apparizione ai discepoli nel cenacolo, otto giorni dopo, Gesù, dopo aver salutato gli amici col dono della pace, si rivolge all'apostolo incredulo esortandolo a toccare le Sue ferite per credere, e in questo invito il Signore prende quasi alla lettera le parole di Tommaso.
A questo invito Tommaso esclama : «Mio Signore e mio Dio!» facendo la sua professione, non solo, ma l’aggettivo "mio" davanti a Signore e Dio denota anche un accento d'amore e di appartenenza. Gesù allora conclude: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Tommaso è dunque entrato nel gruppo di coloro che, avendo visto, hanno creduto. Le parole di Gesù non rappresentano certo una critica nei confronti di coloro che appartengono a questa categoria, ma piuttosto esprimono un grande apprezzamento per tutti quelli che, pur non avendo avuto un’esperienza diretta di Gesù, hanno creduto sulla parola dei testimoni oculari .
L’evangelista pensa qui a coloro che essendo privi dell’esperienza diretta di Gesù, possono pensare di essere cristiani di seconda categoria: ad essi egli, con le parole del Risorto, dice: .. beati quelli che pur non avendo visto crederanno!
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..all’apostolo Tommaso viene concesso di toccare le ferite di Gesù e così egli lo riconosce – lo riconosce, al di là dell’identità umana del Gesù di Nazareth, nella sua vera e più profonda identità: "Mio Signore e mio Dio!" (Gv 20,28).
Il Signore ha portato con sé le sue ferite nell’eternità. Egli è un Dio ferito; si è lasciato ferire dall’amore verso di noi. Le ferite sono per noi il segno che Egli ci comprende e che si lascia ferire dall’amore verso di noi. Queste sue ferite – come possiamo noi toccarle nella storia di questo nostro tempo! Egli, infatti, si lascia sempre di nuovo ferire per noi. Quale certezza della sua misericordia e quale consolazione esse significano per noi! E quale sicurezza ci danno circa quello che Egli è: "Mio Signore e mio Dio!" E come costituiscono per noi un dovere di lasciarci ferire a nostra volta per Lui!
Stralcio del discorso di Benedetto XVI nella II domenica dopo Pasqua 15 aprile 2007
Ti piacerebbe incontrare veramente Dio, come lo incontrarono i grandi uomini biblici, i profeti, gli apostoli o i grandi santi? Non saresti felice di iniziare, grazie a questo incontro una nuova vita? O magari sei già credente, ma il tuo cuore si e raffreddato a quasi congelato nella tua relazione con il Signore?
Domenica, 8:30; 10:00; 11:30; 18:30
Lun-Sab, 9:00; 18:30
L'umanità è una grande e immensa famiglia ... Troviamo la dimostrazione di ciò da quello che ci sentiamo nei nostri cuori a Natale.
(Papa Giovanni XXIII)