1. Il pellegrinaggio nazionale a La Salette comprenderà anche tre giorni al santuario di Lourdes in aereo e Bus. Il programma è a vostra disposizione in ufficio parrocchiale. Iscrizioni sono ancora possibili entro il 15 Marzo.
2. Vi ringraziamo per la vostra accoglienza durante la benedizione delle famiglie, per il vostro aiuto per averci informato circa le persone malate, alle quali abbiamo potuto portare o porteremo i sacramenti.
3. La prossima settimana dal 7 al 10 marzo per tutti i gruppi del catechismo (Comunione e Cresima) è prevista la VIA CRUCIS ANIMATA DAGLI STESSI RAGAZZI (ognuno secondo il proprio giorno d’ incontro ) I ragazzi con i loro genitori si troveranno in chiesa alle ore 17,45. Il Santo Rosario sarà recitato in questi giorni nella cappella in fondo alla chiesa.
4. L'UNITALSI ringrazia per le vostre generose offerte, Sono stati raccolti più di 1,000 €.
IV Domenica di Quaresima – Anno C – La parabola del Padre misericordioso – 6 marzo 2016
Le letture liturgiche di questa IV domenica di quaresima ci parlano di riconciliazione con Dio e di misericordia divina, di coscienza del peccato e di garanzia del perdono. Inquadrano situazioni di pena che si trasforma in gioia e di penitenza che si trasforma in festa.
Nella prima lettura, tratta dal libro di Giosuè, con l’ingresso degli Israeliti in Palestina si conclude l’esodo e ha inizio il compimento di un’altra promessa fatta da Dio ad Abramo: il dono della terra. Il passaggio dalla schiavitù alla terra promessa, ha avuto inizio e si è concluso con la celebrazione della Pasqua. L’esodo diventa così un grande passaggio. In questo cammino gli Israeliti erano sostenuti dalla manna, che ora cessa, perchè la terra è stata raggiunta. Anche l’Eucarisita è il cibo di un popolo in cammino che cesserà nel giorno in cui verrà il Signore.
Nella seconda lettura, tratta dalla seconda lettera di S.Paolo ai Corinzi, troviamo i criteri fondamentali che guidano l’apostolo delle genti nella sua missione e che sono per lui il punto di vista giusto per risolvere le difficoltà della Chiesa di Corinto: Dio riconcilia a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe … La Pasqua ormai vicina deve fare di noi delle “creature nuove”: se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate…. Ogni giorno, ogni momento, dobbiamo rinnovare la nostra conversione.
Nel brano del Vangelo, Luca ci conforta con una delle più toccanti pagine evangeliche: la parabola del figlio prodigo, o meglio del padre prodigo d’amore che spia una strada deserta, che spera contro ogni speranza, e appena si profila all’orizzonte la figura del figlio, gli corre incontro per abbracciarlo e in quell’abbraccio la morte si trasforma in vita, uno smarrimento diventa un ritrovamento gioioso.
riporto il sito della parrocchia in cui opero. Potete collegarvi e trovare notizie sulla sua storia e altre attività.
Parrocchia N.S.de La Salette
www.lasaletteroma.it
Dal libro di Giosuè
In quei giorni, il Signore disse a Giosuè: «Oggi ho allontanato da voi l’infamia dell’Egitto».
Gli Israeliti rimasero accampati a Gàlgala e celebrarono la Pasqua al quattordici del mese, alla sera, nelle steppe di Gerico.
Il giorno dopo la Pasqua mangiarono i prodotti della terra, àzzimi e frumento abbrustolito in quello stesso giorno.
E a partire dal giorno seguente, come ebbero mangiato i prodotti della terra, la manna cessò. Gli Israeliti non ebbero più manna; quell’anno mangiarono i frutti della terra di Canaan.
Gs 5, 9a, 10-12
Il libro di Giosuè viene subito dopo il Pentateuco e apre la serie dei Libri Storici dell'Antico Testamento. E’ stato scritto in ebraico e la sua redazione definitiva, ad opera di autori ignoti, è collocata in Giudea intorno al VI-V secolo a.C, sulla base di tradizioni orali e scritte.. Il libro prende il nome dal suo protagonista principale, Giosuè, figlio di Nun della tribù di Efraim, presentato già nell'Esodo come aiutante di Mosè. Dal libro dei Numeri sappiamo che era al servizio di Mosè fin dalla giovinezza, e che fu uno degli esploratori della Terra Promessa. Essendo stato, con Caleb, il solo tra il popolo a non rivoltarsi contro Mosè dopo il rientro degli esploratori, ebbe il diritto di entrare nella Terra di Canaan dopo la morte dell'intera generazione mosaica. Il periodo descritto va intorno al 1200.-1150 a.C
Il libro di Giosuè, composto da 24 capitoli è ripartito in tre sezioni:
- la conquista della Palestina (capitoli 1-12) E qui si inserisce uno dei brani più famosi della Bibbia, per prolungare la giornata ed assicurare la vittoria agli Israeliti, Giosuè grida:« Fermati, o sole, su Gabaon, e tu, luna, sulla valle di Aialon! » (Gs 10, 12)
- la suddivisione delle terre conquistate (capitoli 13-21)
- ultimi discorsi e morte di Giosuè (capitoli 22-24)
In questo brano, dopo che gli Israeliti sono entrati nella Terra promessa, si fermano a Gàlgala per celebrare la Pasqua. C’è un’annotazione che riveste una particolare importanza: “…a partire dal giorno seguente, come ebbero mangiato i prodotti della terra, la manna cessò “ perchè appare come un segno inequivocabile della fine di un'epoca, quella delle peregrinazioni di Israele attraverso il deserto. Ma nello stesso tempo se ne apre una nuova, la cui alba è simboleggiata dalla circoncisione del nuovo popolo nato nel deserto e, quindi, non compromesso dall'infedeltà, a differenza dei loro padri ribellatisi al Signore. Dio sembra voler ricominciare tutto da capo con un popolo che si qualifica per la sua fedeltà a lui, così come avviene dopo il diluvio universale: Dio distrugge un'umanità infedele, ma si preoccupa di dare origine ad una nuova umanità uscita dall'arca.
Nota: Per i cristiani Giosuè è la prefigurazione di Cristo: Giosuè ha condotto nella Terra promessa il popolo d’Israele e Cristo è il Salvatore del popolo di Dio.
Salmo 33 - Gustate e vedete com’è buono il Signore.
Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino.
Magnificate con me il Signore,
esaltiamo insieme il suo nome.
Ho cercato il Signore: mi ha risposto
e da ogni mia paura mi ha liberato.
Guardate a lui e sarete raggianti,
i vostri volti non dovranno arrossire.
Questo povero grida e il Signore lo ascolta,
lo salva da tutte le sue angosce.
L’autore del salmo, ricco dell’esperienza di Dio indirizza il suo sapere ai poveri, agli umili, e in particolare ai suoi figli. Egli afferma che sempre benedirà il Signore e che sempre si glorierà di lui. Egli chiede di venire ascoltato e invita gli umili ad unirsi con lui nel celebrare il Signore: “Magnificate con me il Signore, esaltiamo insieme il suo nome”.
Egli comunica la sua storia dicendo che ha cercato il Signore e ne ha ricevuto risposta cosicché “da ogni timore mi ha liberato”. Per questo invita gli umili a guardare con fiducia a Dio, e dice: “sarete raggianti”. “Questo povero”, cioè il vero povero, quello che è umile, è ascoltato dal Signore e l’angelo del Signore lo protegge dagli assalti dei nemici: “L’angelo del Signore si accampa attorno a quelli che lo temono (Dio), e li libera”. L’angelo del Signore è con tutta probabilità l’angelo protettore del popolo di Dio, chiamato così per antonomasia; sarebbe l’arcangelo Michele (Cf. Es 14,19; 23,23; 32,34; Nm 22,22; Dn 10,21; 12,1).
Il salmista continua la sua composizione invitando ad amare Dio dal quale procede gioia e pace: “Gustate e vedete com'è buono il Signore, beato l’uomo che in lui si rifugia”.
L’orante moltiplica i suoi inviti al bene: “Sta lontano dal male e fà il bene, cerca e persegui la pace”. Cercala, cioè trovala in Dio, e perseguila comportandoti rettamente con gli altri.
Il salmista non nasconde che il giusto è raggiunto da molti mali, ma dice che “da tutti lo libera il Signore”. Anche dalle angosce della morte, poiché “custodisce tutte le tue ossa, neppure uno sarà spezzato”. Queste parole sono avverate nel Cristo, come dice il Vangelo di Giovanni (19,16). Per noi vanno interpretate nel senso che se anche gli empi possono prevalere fino ad uccidere il giusto e farne scempio, le sue ossa sono al riparo perché risorgeranno.
Commento tratto da “Cantico dei Cantici” di P.Paolo Berti
Dalla seconda lettera di S.Paolo apostolo ai Corìnzi
Fratelli, se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove.
Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. Era Dio infatti che riconciliava a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione
In nome di Cristo, dunque, siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta.
Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio.
Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio.
2Cor 5:17-2
Paolo scrive la seconda lettera al Corinzi, spinto dai gravi avvenimenti che avevano scosso la comunità di Corinto. Nell’anno 56 Paolo è a Efeso (At 19) e viene a sapere che alcuni contestatori giudeo-cristiani stanno sollevando la comunità contro di lui. Vi fa una breve visita, ma è ricevuto freddamente, stanco e forse implicato troppo personalmente nel conflitto, non riesce ad aggiustare nulla, anzi la sua visita accresce piuttosto il disordine, si ripromette allora di ritornare in seguito.
Meno ricca della prima in insegnamenti dottrinali, la seconda lettera ai Corinzi ha il grande merito di introdurci nella vita interiore dell’Apostolo, in cui traspare il suo carattere appassionato. E’ una lettera ardente che può essere considerata come il suo diario intimo, le sue “confessioni”.
Paolo, in questo brano, arriva a farci contemplare fin dove Dio si spinge, pur di farsi vicino a noi senza soffocare la nostra libertà: " Era Dio infatti che riconciliava a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe " e ancora: " Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio ". Dio riconcilia a sé il mondo in Cristo: chiunque è in Cristo è una creatura nuova: tutto le cose di prima, con i suoi errori, sono passate, ne sono nate nuove.
Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».
Lc 15,1-3.11-32
Il Capitolo 15 del Vangelo di Luca ci presenta tre parabole sul tema della misericordia. La prima ci descrive il ritrovamento della pecora, la moneta ritrovata e la terza è la celeberrima parabola del Figliol prodigo che è una sintesi delle due precedenti, perchè è la storia di due persone che si perdono spiritualmente: una fuori casa (il figliol prodigo) e l'altra in casa (il fratello maggiore).
Tutti conosciamo questa parabola di Luca, tutti sappiamo la storia del figlio prodigo, ma in realtà dobbiamo ammettere che ci riconosciamo molto di più della figura del secondo figlio, il maggiore, quello che è rimasto a casa a badare agli interessi del padre. Ora invece di guardare a questi due figli nei quali ognuno più o meno si può riconoscere, guardiamo al Padre.
Si tratta di un padre un po’ speciale, che lascia andare il figlio anche se sa che si farà del male (chiediamoci se noi l’avremmo lasciato andare dandogli anche una parte di eredità, ossia questo figlio chiedendola in anticipo era come se avesse voluto la morte anticipata di questo padre). Vediamo anche che questo Padre, invece di ripudiare questo figlio per l’offesa ricevuta, scruta l'orizzonte ogni giorno con la speranza sempre viva di vederlo ritornare. Vediamo che questo Padre, quando finalmente il figlio ritorna lacero e affamato, non gli rinfaccia nulla, né chiede ragione dei soldi spesi e neanche gli dice: "te l'avevo detto io!“, che non lo accusa di nulla, ma lo abbraccia, che non fa neanche terminare al figlio la frase della richiesta di perdono, ma gli restituisce la dignità, e anche se non è certo che questo è guarito dentro, invita tutti a far festa. Vediamo anche che questo Padre esce a pregare il risentito fratello maggiore, che tenta di giustificarsi, spiegando le buone ragioni della sua indignazione. Vediamo un padre che accetta la libertà dei figli, che attende con pazienta, soffre in silenzio, gioisce del minimo accenno di ravvedimento, stimola chi è nell’inquietudine.
Gesù con parole umane ci ha presentato un’immagine di Dio-Padre che ci aspetta a braccia aperte, con tutte le nostre colpe e le nostre mancanze, per farci comprendere, che in qualsiasi situazione ci troviamo, sia nel bene che nel male, dobbiamo aver fiducia in Lui, nel Suo amore che non conosce limiti, né confini. Nessun peccato, anche il più terribile, è più grande della Sua misericordia e del Suo amore.
*******
Questa pagina di san Luca costituisce un vertice della spiritualità e della letteratura di tutti i tempi. Infatti, che cosa sarebbero la nostra cultura, l’arte, e più in generale la nostra civiltà senza questa rivelazione di un Dio Padre pieno di misericordia? Essa non smette mai di commuoverci, e ogni volta che l’ascoltiamo o la leggiamo è in grado di suggerirci sempre nuovi significati. Soprattutto, questo testo evangelico ha il potere di parlarci di Dio, di farci conoscere il suo volto, meglio ancora, il suo cuore. Dopo che Gesù ci ha raccontato del Padre misericordioso, le cose non sono più come prima, adesso Dio lo conosciamo: Egli è il nostro Padre, che per amore ci ha creati liberi e dotati di coscienza, che soffre se ci perdiamo e che fa festa se ritorniamo. Per questo, la relazione con Lui si costruisce attraverso una storia, analogamente a quanto accade ad ogni figlio con i propri genitori: all’inizio dipende da loro; poi rivendica la propria autonomia; e infine – se vi è un positivo sviluppo – arriva ad un rapporto maturo, basato sulla riconoscenza e sull’amore autentico”….
Parte del commento di Papa Benedetto XVI all’Angelus del 14 marzo 2010
II Domenica di Quaresima – Anno C – La Trasfigurazione di Gesù - 21 febbraio 2016
Le letture liturgiche di questa domenica sono all’insegna di un grande simbolo biblico, quello della rivelazione-manifestazione gloriosa di Dio all’interno della storia umana. Il tempo quaresimale è tempo di penitenza, di attesa, di fede, di preghiera e le letture liturgiche ci offrono testi su cui meditare.
Nella prima lettura, tratta dal Libro della Genesi, vediamo che Dio stipula l’alleanza con Abramo. E’ Dio stesso che prende l’iniziativa e si manifesta ad Abramo, facendogli una promessa e stabilendo con lui un’alleanza.
Nella seconda lettura, S.Paolo nella sua lettera ai Filippesi afferma che la trasfigurazione di Gesù è figura e promessa della nostra trasfigurazione con Lui. “il Signore Gesù trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso”.
Nel Vangelo di Luca, con la sua gloriosa trasfigurazione Gesù ci invita a meditare sulla Sua prossima morte; lo fa per ricordarci che la Sua morte è l’antefatto della Sua risurrezione.
Morte e vita, penitenza e rigenerazione, Quaresima e Pasqua, Purgatorio e Paradiso, fede e salvezza, giustizia e amore, peccato e grazia sono i contrapposti binomi su cui si fondano la coscienza, l’esperienza e la speranza cristiana.
Dal libro della Gènesi
In quei giorni, Dio condusse fuori Abram e gli disse: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle» e soggiunse: «Tale sarà la tua discendenza». Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia.
E gli disse: «Io sono il Signore, che ti ho fatto uscire da Ur dei Caldei per darti in possesso questa terra». Rispose: «Signore Dio, come potrò sapere che ne avrò il possesso?». Gli disse: «Prendimi una giovenca di tre anni, una capra di tre anni, un ariete di tre anni, una tortora e un colombo». Andò a prendere tutti questi animali, li divise in due e collocò ogni metà di fronte all’altra; non divise però gli uccelli. Gli uccelli rapaci calarono su quei cadaveri, ma Abram li scacciò. Mentre il sole stava per tramontare, un torpore cadde su Abram, ed ecco terrore e grande oscurità lo assalirono.
Quando, tramontato il sole, si era fatto buio fitto, ecco un braciere fumante e una fiaccola ardente passare in mezzo agli animali divisi. In quel giorno il Signore concluse quest’alleanza con Abram:
“Alla tua discendenza io do questa terra, dal fiume d’Egitto al grande fiume,il fiume Eufrate”.
Gen 15,5-12.17-18
Il Libro della Genesi (in ebraico בראשית bereshìt, "in principio"), è il primo libro del Pentateuco (cinque libri; in origine tutti in un unico rotolo: la Tôrah), e tratta delle origini dell’universo, del genere umano del peccato originale, della storia dei patriarchi prediluviani, della chiamata di Abramo fino alla morte di Giacobbe. È stato scritto in ebraico e, secondo gli esperti, la sua redazione definitiva, ad opera di autori ignoti, è collocata al VI-V secolo a.C. in Giudea, sulla base di precedenti tradizioni orali e scritte. Nei primi 11, dei suoi 50 capitoli, descrive la cosiddetta "preistoria biblica" (creazione, peccato originale, diluvio universale), e nei rimanenti la storia dei patriarchi, Abramo, Isacco,Giacobbe-Israele e di Giuseppe, le cui vite si collocano nel vicino oriente del II millennio a.C. (attorno al 1800-1700 a.C).
Con la chiamata di Abramo (Gn 12,1-9) Dio inizia una fase nuova della storia della salvezza. Essa è accompagnata da una "benedizione": "in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra". La promessa della discendenza "Farò di te un grande popolo” si completa con una seconda promessa: "Tutto il paese che tu vedi lo darò a te e alla tua discendenza per sempre" (13,15).
In questo brano il Signore, rispondendo ad Abramo, che si lamenta di non avere figli, gli assicura un erede: “Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle… Tale sarà la tua discendenza”. L’erede sarà dunque un figlio di Abram, e da lui nascerà una discendenza numerosa come le stelle del cielo. Dio non dà ad Abram nessuna garanzia, se non la sua parola. Di fronte a questa promessa , Abram “credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia” . Alla promessa di Dio, Abram risponde con la fede.
Il Signore rinnova inoltre ad Abram la promessa di dargli la terra di Canaan, e alla richiesta di Abram di una garanzia, Dio gli dice di sacrificare alcuni animali, di dividerli ciascuno in due parti e di disporle l’una di fronte all’altra. Si tratta dei preparativi per un arcaico rito di alleanza, nel quale ciascuno dei due contraenti deve passare attraverso le vittime squartate, scongiurando le divinità di riservargli, in caso di infedeltà agli impegni presi, la sorte toccata a esse.
Finiti i preparativi Abram cade in un profondo torpore accompagnato da terrore, segno dello smarrimento provocato nell’uomo dalla presenza di Dio.
Il brano termina con il commento: In quel giorno il Signore concluse quest’alleanza con Abram, e le parole di Dio: “Alla tua discendenza io do questa terra, dal fiume d’Egitto al grande fiume,il fiume Eufrate”
La fiaccola ardente che passa tra le vittime spezzate rappresenta DIO stesso che in questo modo “conclude” un’alleanza con Abram, in base alla quale si impegna ad attuare la promessa di dare la terra di Canaan non tanto a lui ma alla sua discendenza. Il fatto che Dio solo passi fra le parti degli animali indica il carattere unilaterale e gratuito dell’alleanza. Per Abram questo è un segno che conferma in modo indiscutibile l’attuazione di quanto Dio gli aveva promesso.
Il racconto dell’alleanza tra DIO e Abramo mette in luce come la fede sia la caratteristica fondamentale di Abramo. Questa fede non consiste nell’accettazione di particolari concezioni religiose, ma nell’adesione al piano di Dio che da lui vuole far nascere un grande popolo.
Nonostante la piena disponibilità di Abramo alla chiamata di Dio, la sua fede non è sempre stata all’altezza delle aspettative divine. Diverse volte egli viene meno, cercando soluzioni umane alla dolorosa situazione in cui si trovava, a motivo della sterilità di Sara. Ma Dio non lo abbandona e sempre il patriarca trova la forza di rialzarsi e di riprendere il suo cammino. Nella sua alleanza con DIO questa fede emerge come la scelta fondamentale che ispira tutta la sua vita. Egli diventa così il modello di Israele che, nonostante le sue frequenti infedeltà, resta legato a DIO e trae spunto anche dalle proprie cadute per approfondire la sua fede.
San Paolo, proprio in forza della sua fede, nella sua lettera ai Romani, prenderà ad esempio Abramo come modello anche per i cristiani (V. Rm 4).
Salmo 26- Il Signore è mia luce e mia salvezza.
Il Signore è mia luce e mia salvezza:
di chi avrò timore?
Il Signore è difesa della mia vita:
di chi avrò paura?
Ascolta, Signore, la mia voce.
Io grido: abbi pietà di me, rispondimi!
Il mio cuore ripete il tuo invito:
«Cercate il mio volto!».
Il tuo volto, Signore, io cerco.
Non nascondermi il tuo volto,
non respingere con ira il tuo servo.
Sei tu il mio aiuto, non lasciarmi,
non abbandonarmi, Dio della mia salvezza.
Sono certo di contemplare la bontà del Signore
nella terra dei viventi.
Spera nel Signore, sii forte,
si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore.
"Il Signore è mia luce”, dice il salmista. La luce è fonte di vita, fa vedere le cose, dona letizia e il salmista trova in Dio la sua luce, la sua sorgente di letizia, la sua conoscenza delle cose. E il Signore è pure sua salvezza assistendolo contro i nemici, che altrimenti prevarrebbero su di lui e gli strazierebbero la carne, tanto lo odiano. Ma col Signore non vede perché dovrebbe avere paura: “Di chi avrò timore;... di chi avrò paura?”.
E’ tanto sicuro nel Signore che se anche un esercito si accampasse contro di lui il suo cuore non temerebbe, e se si arrivasse alla battaglia e ne fosse nel folto anche allora avrebbe fiducia di vincere.
Egli non ha ambizioni di potere, di onori e ricchezze. Ha chiesto una sola cosa al Signore e questa sola cerca: “Abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita”. Noi chiediamo di vivere sempre centrati nell’Eucaristia, nella viva appartenenza alla Chiesa, in ammirazione della sua bellezza di pace, di carità, di fede, di speranza, di sacrificio, di testimonianza, di operosità instancabile.
“La casa del Signore” è per il salmista il luogo di rifugio offertogli dal Signore nel giorno della sventura, quando c’è la prova, la tribolazione. In essa si sente protetto, come nascosto, dalla turba degli uomini, e nello stesso tempo come posto su di una rupe inattaccabile.
Confortato nella casa del Signore non è pavido, ma in pieno sole rialza la testa da vincente; ha il coraggio di lottare certo della vittoria, che celebrerà nell’esultanza: “Immolerò nella sua tenda sacrifici di vittoria”. Noi non immoleremo tori o capri, bensì faremo offerte dei risultati del superamento del giorno in cui eravamo prossimi alla rovina, e faremo banchetti con i fratelli poveri.
Il salmista ritorna sulla sua situazione di dolore, trovando sempre conforto nella fede.
Umile, non può che presentarsi come reo di molti peccati davanti al Signore e chiede di non essere respinto con ira da Signore.
Egli ha un programma: “Cercare il volto del Signore”, per conoscerlo sempre di più e così sempre di più amarlo. E, ancora, cerca il volto del Signore per riceverne la volontà e la benevolenza. Il salmista mostra le sue ferite passate, la sua storia di dolore: “Mio padre e mia madre mi hanno abbandonato, ma il Signore mi ha raccolto”.
Ora è saldo e sicuro, ma insidiato da falsi testimoni che lo vogliono trascinare in giudizio e per questo diffondono negli animi violenza contro di lui. Ma anche se costoro avessero da prevalere egli è certo di “contemplare la bontà del Signore nella terra dei viventi”; nel cielo e poi un giorno nella risurrezione, nella creazione rinnovata.
Commento tratto da “Cantico dei Cantici” di P.Paolo Berti
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési
Fratelli, fatevi insieme miei imitatori e guardate quelli che si comportano secondo l’esempio che avete in noi. Perché molti – ve l’ho già detto più volte e ora, con le lacrime agli occhi, ve lo ripeto – si comportano da nemici della croce di Cristo.
La loro sorte finale sarà la perdizione, il ventre è il loro dio. Si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi e non pensano che alle cose della terra. La nostra cittadinanza infatti è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che egli ha di sottomettere a sé tutte le cose.
Perciò, fratelli miei carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona, rimanete in questo modo saldi nel Signore, carissimi!
Fil 3,17-4,1
La Lettera ai Filippesi è stata scritta da Paolo fra il 53 e il 62, mentre si trovava in carcere, probabilmente durante la sua detenzione a Efeso, ed è ispirata da sentimenti di amicizia per la comunità cristiana di Filippi, la prima fondata da Paolo in Europa e con la quale l'apostolo aveva un legame particolarmente armonico e affettuoso. Filippi è una città nel nord della Grecia, situata a circa 15 chilometri dal mare, e i cristiani di questa comunità erano prevalentemente di origine pagana, e questo lo si deduce dal fatto che nella lettera Paolo, a parte una breve allusione, non cita mai l'Antico Testamento. Nella lettera non vengono trattati grandi temi, né vengono risolte particolari questioni: l'apostolo vuole semplicemente informare i filippesi della sua situazione, ringraziarli per l'attenzione dimostrata nei suoi confronti ed esortarli a proseguire sulla via dell'amore evangelico.
In questo brano Paolo contrappone i nemici della croce di Cristo agli amici di quella croce.
I primi sono coloro che rivolti unicamente alle cose della terra, hanno per loro Dio il loro ventre e la loro fine sarà la perdizione. Paolo non rimane inerte di fronte a questa constatazione, ma ne soffre fino alle lacrime, consapevole che Cristo è morto per tutti.
Ciò che Paolo afferma è attuale oggi più che mai in cui il materialismo più sfrenato ha contagiato anche molti credenti, affascinati dalla concezione del cogliere l'occasione e soddisfare tutti i bisogni compresi quelli immorali.
Paolo ha ancora toni molto forti quando afferma che: La nostra cittadinanza è nei cieli... Il nostro Salvatore Gesù trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso".
Nell’ultimo versetto ha un tono particolarmente affettuoso quando dice : fratelli miei carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona, rimanete in questo modo saldi nel Signore, e aggiunge quel carissimi come un ultimo abbraccio.
Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elìa, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme. Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa». Egli non sapeva quello che diceva.
Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!».
Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.
Lc 9: 28b-36
Luca inizia il suo racconto dicendo: «Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Non dice di quale monte si tratta, a lui interessa solo indicare con il monte un luogo adatto alla preghiera, sia per la solitudine che vi regna, sia perché è simbolo del luogo più vicino a Dio, che metaforicamente abita nei cieli. Questo monte è stato identificato con il Tabor, situato nei pressi di Nazaret, o con l’Hermon, nel Libano meridionale; in senso simbolico indica comunque però il luogo in cui Dio si rivela al suo popolo.
Luca prosegue : «Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante» poi all'improvviso Gesù non è più solo: «Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elìa, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme.» Diversamente da Marco, Luca segnala anche che essi parlavano con Gesù degli eventi che avrebbero avuto luogo a Gerusalemme. L’allusione è chiaramente alla morte e alla risurrezione di Gesù, che vengono sintetizzate con il termine “esodo”. E’ chiaro qui anche il riferimento all’esodo degli israeliti dall’Egitto, che troverà nella morte e risurrezione di Gesù il suo compimento. Non stupisce il fatto che siano Mosè ed Elia a parlare con Gesù di questo, in quanto per Luca, Mosè e i profeti avevano predetto la sofferenza di Gesù. La scena lascia quanto mai impressionati i discepoli che ne sono testimoni: «Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui.» . Il sonno che coglie i discepoli (menzionato solo da Luca) non è un fenomeno fisiologico, ma l’espressione della fragilità e deficienza dell’uomo di fronte alla manifestazione divina. È la stessa reazione che ebbe Abramo (v. 1^ lettura) e quella che coglierà i discepoli nell’orto degli Ulivi (Lc 22,45). Sotto l’influsso di questa esperienza soprannaturale Pietro interviene e fa una proposta: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa». Diversamente da quanto afferma Marco, Pietro si fa avanti solo quando Mosè ed Elia si stavano ormai separando da Gesù. Luca infatti li fa scomparire prima che si senta la voce divina. È tipico di Luca che quando Gesù si manifesta, la legge e i profeti hanno già portato a termine il loro ruolo. Luca subito commenta che Pietro non sapeva quello che diceva. Perchè la richiesta di Pietro, di prolungare l’esperienza della gloria, suona come una totale incomprensione del doloroso “esodo” che attende Gesù a Gerusalemme.
Dopo aver visto la gloria di Gesù i discepoli fanno un’altra esperienza straordinaria: «Mentre parlava così, venne una nube e li avvolse; all'entrare in quella nube, ebbero paura». Il racconto di Luca raggiunge il suo culmine con l’intervento diretto di Dio: «E dalla nube uscì una voce, che diceva: Questi è il Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo». Il significato della trasfigurazione di Gesù, così come è presentato da Luca, è simile a quello che riporta Marco, ma Luca dimostra di essere più interessato al suo “esodo”, che abbraccia tutti gli eventi che coronano l’esperienza di Gesù in questo mondo. Il fatto che questo esodo avrà luogo in Gerusalemme sottolinea il tema della centralità della città santa nella storia della salvezza.
****
Come Pietro, vorremmo restare tutti sul Tabor a gustare pezzetti di Paradiso in terra. Vorremmo seguire noi stessi, chiusi nel nostro egoismo, ma la strada che indica Gesù è un’altra:
"Qui è il punto cruciale: la trasfigurazione è anticipo della risurrezione, ma questa presuppone la morte. Gesù manifesta agli Apostoli la sua gloria, perché abbiano la forza di affrontare lo scandalo della croce, e comprendano che occorre passare attraverso molte tribolazioni per giungere al Regno di Dio”.
(Benedetto XVI - Angelus, 17 febbraio 2008)
1. Lunedì prossimo, 15 febbraio, inizieremo la benedizione delle famiglie. Per il momento non abbiamo molte adesioni. Sollecitiamo a farlo in tempo opportuno, secondo il programma proposto. Se nel vostro palazzo riuscite a trovare una persona disponibile ad accogliere adesioni, questa stessa potrà comunicarle alla parrocchia.
2. A riguardo del Pellegrinaggio Nazionale a La Salette vi ricordiamo che entro il 22 febbraio scade il tempo delle iscrizioni .
3. La nostra parrocchia svolge diversi attività e servizi. Facciamo presente, che la Caritas, il Centro Anziani, l'Oratorio dei giovani hanno bisogno di collaboratori per svolgere il loro compiti in maniera efficace. Quindi invitiamo tutti coloro, che hanno del tempo disponibile a dare la loro adesione per offrire un servizio alla parrocchia.
Domenica, 8:30; 10:00; 11:30; 18:30
Lun-Sab, 9:00; 18:30
L'umanità è una grande e immensa famiglia ... Troviamo la dimostrazione di ciò da quello che ci sentiamo nei nostri cuori a Natale.
(Papa Giovanni XXIII)