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Ago 4, 2017

XVIII Domenica – Anno A – La Trasfigurazione- 6 agosto 2017

Le liturgia di oggi ci offre la contemplazione della Trasfigurazione del Signore. Per gli orientali il 6 agosto rappresenta la Pasqua dell’estate per l’importanza dell’avvenimento ricordato nel Vangelo. Questa festa fu estesa all’Occidente nel 1456 da Papa Callisto III in ricordo di una vittoria sull’Islam.

Nella prima lettura, tratta dal libro del profeta Daniele, viene raccontata la visione del profeta “di uno simile ad un figlio d’uomo” rivestito di potere e di gloria, che prefigura il Cristo trasfigurato e risorto, nello splendore della sua regale divinità.

Nella seconda lettura, tratta dalla seconda lettera di S.Pietro apostolo, c’è la testimonianza stessa di Pietro riguardo l’evento della Trasfigurazione. L’evento è stato per lui una conferma di ciò che i profeti avevano preannunciato.

Nel Vangelo di Matteo troviamo il racconto della Trasfigurazione di Gesù, il cui significato si coglie pienamente solo alla luce della fede pasquale, a cui si riferisce l’esortazione finale di Gesù: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti». Dio stesso manifesta la vera identità di Gesù, la cui umanità viene momentaneamente trasfigurata e avvolta dalla luce radiosa della divinità, quale anticipazione della sua gloria pasquale.

Dal libro del profeta Daniele
Io continuavo a guardare,quand’ecco furono collocati troni e un vegliardo si assise.
La sua veste era candida come la neve e i capelli del suo capo erano candidi come la lana; il suo trono era come vampe di fuoco con le ruote come fuoco ardente. Un fiume di fuoco scorreva e usciva dinanzi a lui, mille migliaia lo servivano e diecimila miriadi lo assistevano.
La corte sedette e i libri furono aperti.
Guardando ancora nelle visioni notturne, ecco venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d’uomo; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui. Gli furono dati potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano: il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto
Dn 7,9-10.13-14

Il Libro del profeta Daniele è un testo contenuto nella Bibbia ebraica e cristiana. È stato scritto in ebraico e una parte in aramaico e secondo molti studiosi, la redazione definitiva del libro è avvenuta in Giudea attorno al 164 a.C.. È composto da 12 capitoli che descrivono le vicende ambientate nell'esilio di Babilonia (587-538 a.C.) del profeta Daniele, saggio ebreo che rimase fedele a Dio, e visioni apocalittiche preannuncianti il figlio dell’Uomo-Messia e il regno di Dio.

Nel testo si cerca di intravedere il senso della storia come si presenta ai credenti nel Dio d'Israele, nel II secolo a.C.. Il capitolo 7, da dove è tratto il brano liturgico, inizia con la visione apocalittica di quattro bestie che sorgono dall'oceano, il luogo del caos e del male. Le bestie rappresentano il dominio e il potere di quattro regni che si sono succeduti nel Medio Oriente e di cui è stato testimone il popolo d'Israele nel suo cammino faticoso: il leone che rappresenta Babilonia, l'orso che rappresenta il popolo della Media, il leopardo con quattro teste che è simbolo dei Persiani che scrutano in ogni direzione in cerca della preda, la quarta bestia, un mostro terribile, che richiama il regno di Alessandro Magno e dei suoi successori.

Israele sta vivendo un tempo angoscioso in cui si ribella e tenta di conquistarsi una libertà, combattendo l'oppressione culturale e religiosa di Antioco IV Epifane (175-164 a.C.).
Nella visione, Daniele intravede il giudizio finale come un grande processo da parte di Dio, un vegliardo, che pronuncia la sentenza contro le bestie che opprimono il mondo con la violenza. Poi continua:“Guardando ancora nelle visioni notturne,ecco venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d’uomo;

Perciò questo figlio dell’uomo non viene dal caos, dall'abisso, ma dal cielo, ed è portatore di speranza e di accoglienza, è semplicemente "uomo" ma viene nel mondo come risolutore della speranza di un popolo,
Egli giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui. Gli furono dati potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano: il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto.

Egli è un uomo che rappresenta Israele e che prenderà il posto rimasto vacante dalla caduta degli imperi e porterà finalmente la pace ed il benessere. Sottometterà tutti i popoli come i regni precedenti, ma viene da Dio, e da Dio riceve i poteri per regnare con giustizia poiché il Signore gli avrà riconosciuto potenza e forza su tutti i regni della terra.
Su questa attesa la guerra partigiana dei Maccabei incomincia e si sviluppa con vicende via via più promettenti, fino a pensare che si possa arrivare, non solo alla indipendenza ma anche al dominio del mondo come, del resto, lo sono state altre nazioni. Purtroppo però, anche i vincitori ebrei non sanno mantenere salda l'alleanza con Dio e rientrano anche loro nella prospettiva del potere mantenuto con violenza, oppressione, intrighi e crudeltà.

La profezia di Daniele, tuttavia, continua a mantenere la speranza e il tempo di Gesù è particolarmente maturo per vedere realizzate queste attese. Infatti , Gesù applicherà a se stesso l'espressione "figlio dell'uomo", mettendovi dentro sia l'aspetto più umano della sofferenza (Lc 22,22), sia quello più divino della facoltà di rimettere i peccati (Lc 5,24), sia quello conclusivo della storia (escatologico) del giudizio finale (Lc 21,27.36).

Salmo 96 - Il Signore regna, il Dio di tutta la terra
Il Signore regna: esulti la terra,
gioiscano le isole tutte.
Nubi e tenebre lo avvolgono,
giustizia e diritto sostengono il suo trono

I monti fondono come cera davanti al Signore,
davanti al Signore di tutta la terra.
Annunciano i cieli la sua giustizia,
e tutti i popoli vedono la sua gloria

Perché tu, Signore,
sei l’Altissimo su tutta la terra,
eccelso su tutti gli dèi.

Il salmo comincia con la proclamazione della regalità attiva di Dio. Tutta la terra è invitata all'esultanza, come pure le isole lontane (i lidi) del Mediterraneo (Cf. Ps 71,10; Is 42,4.10.12: 66,19).
Dio è visto in un trono sulle nubi, che in tempesta trasvolano i territori delle nazioni; egli è Dio dell'universo. Il tema di Dio che avanza nella tempesta è già noto al salterio (Ps 17; 28). La sua avanzata è irresistibile, possente, niente può resistere, la sua potenza è al servizio del suo diritto di sovrano e alla sua giustizia: “Un fuoco cammina davanti a lui e brucia tutt'intorno i suoi nemici. Le sue folgori rischiarano il mondo: vede e frema la terra. I monti...”.

La tempesta, gloria del Signore che trasvola sovrana i territori, smentisce gli adoratori di statue, che si rivolgono a pietre scolpite: Dio è vivo, unico, ed è sovrano di tutto.
Il salmista con impeto invoca che "si vergognino tutti gli doratori di statue e chi si vanta del nulla degli idoli”; e con l'immagine poderosa degli dei che si prostrano a Dio chiede che i culti idolatrici si liberino dalle loro menzogne e si indirizzino al vero ed unico Dio: “A lui si prostrino tutti gli dei!”. “Perché tu, Signore, sei l'Altissimo su tutta la terra, eccelso su tutti gli dei” afferma il salmista, volendo dire che i demoni che agiscono all'ombra degli idoli, sono i bassissimi, davanti a colui che è l'Eccelso, l'Altissimo.
Dio è potente e i suoi fedeli saranno strappati dalle mani degli empi che impongono i loro idoli, cioè dagli Assiri e dagli Egiziani, che operavano nell'area Palestinese: “Egli custodisce la vita dei suoi fedeli, li libererà dalle mani dei malvagi”.

La battaglia contro gli idoli adorati dai malvagi è condotta da Dio per mezzo di un re che è punto di riferimento per i giusti: “una luce è spuntata per il giusto”. Questa luce è identificabile con il re di Gerusalemme Giosia (640-609 a.C.), che condusse in Israele una decisa campagna contro l'idolatria (2Re 22,1s). Egli è una figura di Cristo.
Noi, Chiesa, non abbiamo solo di fronte genti che adorano idoli di pietra o legno o metallo; noi abbiamo in occidente anche idoli-uomo, che vengono adorati dalle folle. Questi falsi dei in carne e ossa “si prostrino a Dio”. Rallegriamoci, noi, che siamo in Cristo, che apparteniamo alla Chiesa, di cui Sion è una figura. Amiamo Gesù Cristo, “egli custodisce la vita dei suoi fedeli”; egli ci libera “dalle mani dei malvagi”; lui, che regna e che viene sulle nubi del cielo (Cf. Mt 24,30; 26,64) a vincer per mezzo della Chiesa le fortezze del peccato, per poi un giorno venire lui stesso a porre fine agli empi della terra con la fine del mondo (Cf. Gl 2,1s; Sof ,1-3; Ap 1,14).
Commento di P.Paolo Berti

Dalla seconda lettera di S.Pietro apostolo
Carissimi, vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro
Gesù Cristo, non perché siamo andati dietro a favole artificiosamente inventate,
ma perché siamo stati testimoni oculari della sua grandezza.
Egli infatti ricevette onore e gloria da Dio Padre, quando giunse a lui questa voce dalla maestosa gloria:
«Questi è il Figlio mio, l’amato, nel quale ho posto il mio compiacimento».
Questa voce noi l’abbiamo udita discendere dal cielo mentre eravamo con lui sul
santo monte. E abbiamo anche, solidissima, la parola dei profeti, alla quale fate
bene a volgere l’attenzione come a lampada che brilla in un luogo oscuro, finché
non spunti il giorno e non sorga nei vostri cuori la stella del mattino.
2Pt 1,16-19

La seconda lettera di Pietro è probabilmente l’ultimo scritto, in ordine di tempo, del Nuovo Testamento, e come la prima lettera, è tradizionalmente attribuita a San Pietro, ma molti esperti hanno ritenuto che sia stata scritta da un altro autore che aveva preso lo pseudonimo di Pietro, che tra la fine del I secolo e l'inizio del II aveva raccolto e messo per iscritto il pensiero di Pietro a favore dei cristiani dell'Asia Minore provenienti dal paganesimo. In questa comunità si erano introdotti alcuni falsi maestri che interpretavano le scritture in modo da giustificare la propria condotta immorale e deridevano coloro che attendevano la seconda venuta del Signore. La lettera assume toni molto forti, in modo da riportare i cristiani alla retta dottrina.
Il brano che la liturgia propone oggi è stato scelto poiché Pietro porta a sostegno delle sue argomentazioni l'evento della Trasfigurazione di Cristo, a cui lui stesso aveva assistito..
Egli si appella alla forza del Vangelo che è stato proclamato ed afferma che non si tratta di favole artificiosamente inventate, cioè le dottrine che circolavano in quel periodo nell'ambiente greco e giudaico e si riferivano soprattutto alla fine del mondo.

Proprio contro queste dottrine, Pietro fa appello a un fatto straordinario di cui è stato testimone lui stesso ed afferma: Egli infatti ricevette onore e gloria da Dio Padre, quando giunse a lui questa voce dalla maestosa gloria:«Questi è il Figlio mio, l’amato, nel quale ho posto il mio compiacimento».
Il fatto prodigioso è la trasfigurazione di Gesù sul monte Tabor. Non solo egli manifestò tutta la Sua gloria e il Suo splendore, ma il Padre con la Sua voce dal cielo lo ha dichiarato Figlio amato e oggetto di compiacimento. Gesù nella trasfigurazione ricevette onore e gloria dal Padre e con questo si sottolinea che in Lui la maestà e la divinità nascoste furono rivelate dal Padre stesso, pertanto quando gli apostoli annunciano che Cristo ritornerà con grande maestà e gloria, non inventano favole.

Poi Pietro continua commentando: Questa voce noi l’abbiamo udita discendere dal cielo mentre eravamo con lui sul santo monte. L'essere stati testimoni di questa manifestazione della gloria di Gesù e aver sentito la Sua glorificazione da parte del Padre, è una garanzia per gli apostoli che la loro predicazione non è stata inventata, e non è certo una favola.
E abbiamo anche, solidissima, la parola dei profeti, alla quale fate bene a volgere l’attenzione come a lampada che brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e non sorga nei vostri cuori la stella del mattino.
L’evento è stato per Pietro una conferma di ciò che i profeti avevano predetto. Accettare quindi la testimonianza dei profeti, cioè delle Scritture, per conoscere il Cristo, non è fondare la propria fede sui miti, ma sulla stessa Parola di Dio che come una lampada nella notte ha aiutato ed aiuta i credenti a mantenere viva la propria fede.

Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco, apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui.
Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube
che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo».
All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo. Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».
Mt 17,1-9

Questo brano del Vangelo di Matteo, che viene dopo la confessione di Pietro, il primo annunzio della Passione, e le condizioni per seguire Gesù, inizia con questa precisazione:, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. Anche se non è specificato, si è sempre pensato che il monte fosse il Tabor, comunque, trattandosi di una scena simbolica, ciò che conta non è il luogo ma il significato della parola “monte”, che esprime la vicinanza a Dio: (su un monte hanno avuto luogo secondo Matteo la tentazione di Gesù (4,8), il discorso inaugurale (5,1) e le apparizioni del Risorto (28,16).

Matteo poi ci riporta che: “E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui.” Per spiegare la nuova forma assunta da Gesù, Matteo aggiunge il dettaglio del volto splendente come il sole, mentre per quanto riguarda le sue vesti afferma che esse divennero bianche, ma come secondo termine di paragone prende la luce e non l’opera del lavandaio, come fa Marco.
Alla trasfigurazione di Gesù fa seguito l’apparizione di due personaggi biblici, Mosè ed Elia La presenza dei due personaggi esprime la totalità della rivelazione veterotestamentaria (Legge e Profeti). Il racconto prosegue con la reazione dei discepoli: “Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia”. Pietro interviene anche a nome anche degli altri due discepoli presenti, e chiama Gesù “Signore” (Kyrios) e non “rabbi”, come riferisce Marco, mettendo così più in luce la trascendenza. Infine Matteo evita di mettere in cattiva luce Pietro omettendo l’osservazione riportata da Marco circa lo stato confusionale in cui si trovava per la paura.
Si può osservare però che la tenda richiama il luogo in cui Mosè riceveva gli oracoli del Signore (Es 33,7-11) e su questo sfondo l’intenzione di fare tre tende potrebbe significare il desiderio di mettere Gesù sullo stesso piano dei due personaggi biblici, rinchiudendo così la sua persona e il suo messaggio nell’ottica dell’AT.
Improvvisamente la scena cambia: Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo».

La nube (solo per Matteo è “luminosa”) indica la presenza di Dio, la sua shekinâ o la sua Gloria, che in passato aveva accompagnato il popolo nel deserto (Es 13,21), aveva preso dimora nella Tenda costruita da Mosè (Es 40,34-35) e successivamente aveva riempito il tempio eretto da Salomone. La voce dalla nube contiene una dichiarazione cristologica: Gesù racchiude in sé le prerogative di Messia, Servo e profeta. Mosè ed Elia ormai hanno finito il loro compito, solo Gesù resta come intermediario tra Dio e l’umanità.
Matteo aggiunge al racconto di Marco un accenno alla reazione dei discepoli All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.
Il loro atteggiamento esprime il sacro timore che invade l’uomo di fronte a Dio, e la reazione dei discepoli rievoca quella di tutto Israele all’apparire della nube all’ingresso della tenda dove il Signore “parlava con Mosè faccia a faccia” (Es 33,10).
Riprendendo il racconto di Marco, Matteo soggiunge che essi, alzando gli occhi, non videro nessuno “se non Gesù solo”. La scomparsa di Mosè e di Elia mette in luce il ruolo unico che compete a Gesù nel piano di salvezza.

Il racconto termina con le parole di Gesù, Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».
Con la Sua trasfigurazione Gesù ha voluto attenuare il timore dei discepoli per l’annuncio della Sua passione e morte, per rinforzare in loro la fede professata. Il cammino di ritorno dal Tabor è preparatorio per la salita verso Gerusalemme e il Golgota: comprendere il mistero di Cristo, equivale a entrare nella stessa logica della rivelazione.
Il discepolo che ha contemplato in anticipo la gloria di Cristo, ha davanti a sé il tracciato del cammino che è chiamato a seguire.

 

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Il Vangelo di oggi ci presenta il racconto della Trasfigurazione di Gesù. . Presi in disparte tre degli apostoli, Pietro, Giacomo e Giovanni, Egli salì con loro su un monte alto, e là avvenne questo singolare fenomeno: il volto di Gesù «brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce».
In tal modo il Signore fece risplendere nella sua stessa persona quella gloria divina che si poteva cogliere con la fede nella sua predicazione e nei suoi gesti miracolosi. E alla trasfigurazione si accompagna, sul monte, l’apparizione di Mosè e di Elia, «che conversavano con lui».
La “luminosità” che caratterizza questo evento straordinario ne simboleggia lo scopo: illuminare le menti e i cuori dei discepoli affinché possano comprendere chiaramente chi sia il loro Maestro. È uno sprazzo di luce che si apre improvviso sul mistero di Gesù e illumina tutta la sua persona e tutta la sua vicenda.
Ormai decisamente avviato verso Gerusalemme, dove dovrà subire la condanna a morte per crocifissione, Gesù vuole preparare i suoi a questo scandalo – lo scandalo della croce -, a questo scandalo troppo forte per la loro fede e, al tempo stesso, preannunciare la sua risurrezione, manifestandosi come il Messia, il Figlio di Dio. E Gesù li prepara per quel momento triste e di tanto dolore.
In effetti, Gesù si stava dimostrando un Messia diverso rispetto alle attese, a quello che loro immaginavano sul Messia, come fosse il Messia: non un re potente e glorioso, ma un servo umile e disarmato; non un signore di grande ricchezza, segno di benedizione, ma un uomo povero che non ha dove posare il capo; non un patriarca con numerosa discendenza, ma un celibe senza casa e senza nido.
È davvero una rivelazione di Dio capovolta, e il segno più sconcertante di questo scandaloso capovolgimento è la croce. Ma proprio attraverso la croce Gesù giungerà alla gloriosa risurrezione, che sarà definitiva, non come questa trasfigurazione che è durata un momento, un istante.

Gesù trasfigurato sul monte Tabor ha voluto mostrare ai suoi discepoli la sua gloria non per evitare a loro di passare attraverso la croce, ma per indicare dove porta la croce. Chi muore con Cristo, con Cristo risorgerà. E la croce è la porta della risurrezione. Chi lotta insieme a Lui, con Lui trionferà. Questo è il messaggio di speranza che la croce di Gesù contiene, esortando alla fortezza nella nostra esistenza. La Croce cristiana non è una suppellettile della casa o un ornamento da indossare, ma la croce cristiana è un richiamo all’amore con cui Gesù si è sacrificato per salvare l’umanità dal male e dal peccato. …
La Vergine Santa ha saputo contemplare la gloria di Gesù nascosta nella sua umanità. Ci aiuti lei a stare con Lui nella preghiera silenziosa, a lasciarci illuminare dalla sua presenza, per portare nel cuore, attraverso le notti più buie, un riflesso della sua gloria.
Papa Francesco
Parte dell’Angelus del 12 marzo 2017

 

 

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