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Ago 3, 2019

XVII Domenica del Tempo Ordinario - Anno C - "Signore insegnaci a pregare" - 28 luglio 2019

Le letture liturgiche di questa domenica ci aiutano a comprendere quanto sia forte il potere della preghiera che è il dono più grande che ci è stato dato. La preghiera è un colloquio tra l’uomo e Dio e non sempre ha bisogno di parole, perché non bisogna confondere la preghiera con le preghiere: l’incontro con Dio può avvenire anche nel più completo silenzio.
La prima lettura, tratta dal libro della Genesi, ci riporta lo stupendo dialogo tra Dio e Abramo che implora la salvezza di Sòdoma e Gomorra, in un crescendo di ardite richieste: si cercano i giusti per salvare i peccatori.
Nella seconda lettura, San Paolo nella sua lettera ai Colossesi, afferma che Gesù Cristo, con la sua morte e risurrezione ci ha liberato dal peso dei nostri peccati e con Lui siamo diventati nuove creature
Nel Vangelo, Luca introduce come sfondo una richiesta avanzata da un discepolo che chiede a Gesù di insegnare loro a pregare. La preghiera del Padre nostro che Gesù propone chiarisce molto bene che si prega non solo per noi stessi, ma per il prossimo e nella misura che noi perdoniamo agli altri saremo perdonati. Poi Gesù racconta due parabole per esemplificare la fiducia totale che l’orante deve avere nei confronti di Dio Padre. Dio non è un estraneo indifferente, a Lui ci si può rivolgere con l’audacia e la serenità che si ha con una persona amata, avendo la certezza che nessuno può amarci più di Lui.

Dal libro della Genesi
In quei giorni, disse il Signore: «Il grido di Sòdoma e Gomorra è troppo grande e il loro peccato è molto grave. Voglio scendere a vedere se proprio hanno fatto tutto il male di cui è giunto il grido fino a me; lo voglio sapere!».
Quegli uomini partirono di là e andarono verso Sòdoma, mentre Abramo stava ancora alla presenza del Signore. Abramo gli si avvicinò e gli disse: «Davvero sterminerai il giusto con l’empio? Forse vi sono cinquanta giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai a quel luogo per riguardo ai cinquanta giusti che vi si trovano? Lontano da te il far morire il giusto con l’empio, così che il giusto sia trattato come l’empio; lontano da te! Forse il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia?». Rispose il Signore: «Se a Sòdoma troverò cinquanta giusti nell’ambito della città, per riguardo a loro perdonerò a tutto quel luogo». Abramo riprese e disse: «Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere: forse ai cinquanta giusti ne mancheranno cinque; per questi cinque distruggerai tutta la città?». Rispose: «Non la distruggerò, se ve ne troverò quarantacinque».
Abramo riprese ancora a parlargli e disse: «Forse là se ne troveranno quaranta». Rispose: «Non lo farò, per riguardo a quei quaranta». Riprese: «Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora: forse là se ne troveranno trenta». Rispose: «Non lo farò, se ve ne troverò trenta». Riprese: «Vedi come ardisco parlare al mio Signore! Forse là se ne troveranno venti». Rispose: «Non la distruggerò per riguardo a quei venti». Riprese: «Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora una volta sola: forse là se ne troveranno dieci». Rispose: «Non la distruggerò per riguardo a quei dieci».
Gn 18,20-32

Questo brano è il proseguimento della scena di domenica scorsa in cui dopo la bella ospitalità che Abramo aveva offerto ai suoi ospiti, la promessa di un figlio era divenuta certa: “Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio”. Nel momento del congedo Abramo accompagna i tre ospiti verso il monte da dove si poteva vedere il panorama di Sodoma, la regione prospera dove risiedeva il nipote Lot.
Qui inizia il brano liturgico la cui scena si carica di tensione e paura. Dio parla ad Abramo come ad un amico fedele confidandogli i suoi propositi: “Il grido di Sòdoma e Gomorra è troppo grande e il loro peccato è molto grave…” dalle città di Sodoma e Gomorra sale a Dio come un respiro un grido di peccato e di ingiustizia. Troviamo un’immagine dalle caratteristiche umane quando Dio continua dicendo: Voglio scendere a vedere se proprio hanno fatto tutto il male di cui è giunto il grido fino a me; lo voglio sapere”
Ma Abramo, consapevole della tragedia imminente, apre una specie di trattativa con Dio per allontanare la distruzione finale. Il dialogo stupendo tra Dio ed Abramo, che implora la salvezza di Sodoma e Gomorra è un crescendo di ardimento in cui quasi si percepisce come il cuore di Abramo sia pieno di emozione: è molto titubante all'inizio, poi man mano la sua preghiera diventa più intensa, pressante, profonda perché ha compreso la disponibilità del Signore a voler perdonare più che punire.. In sei tappe i giusti richiesti passano da 50 a 10, mentre ogni volta Abramo inizia la sua richiesta con parole sempre più umili e nello stesso tempo ardite. “Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora una volta sola: forse là se ne troveranno dieci”. Si può notare che nella sua trattativa Abramo non osa abbassare al di sotto di 10 il numero dei giusti, forse perchè sentiva che dei veri giusti non c’erano, ma il numero 10 era anche il numero minimo per costituire nell’ebraismo una comunità .


Nota
Troveremo circa mille anni dopo, che Dio parlando a Geremia (5,1) si dichiara disposto a perdonare a Gerusalemme, se vi trovasse almeno un solo giusto: “Percorrete le vie di Gerusalemme,osservate bene e informatevi,cercate nelle sue piazze se trovate un uomo,uno solo che agisca giustamente e cerchi di mantenersi fedele,e io le perdonerò, dice il Signore”.
E’ in Isaia (c.53) diventa realtà che un solo giusto (il Servo del Signore) può salvare tutto il popolo.

Salmo 137 Nel giorno in cui ti ho invocato mi hai risposto.
Ti rendo grazie, Signore, con tutto il cuore:
hai ascoltato le parole della mia bocca.
Non agli dèi, ma a te voglio cantare,
mi prostro verso il tuo tempio santo.

Rendo grazie al tuo nome per il tuo amore e la tua fedeltà:
hai reso la tua promessa più grande del tuo nome.
Nel giorno in cui ti ho invocato, mi hai risposto,
hai accresciuto in me la forza.

Perché eccelso è il Signore, ma guarda verso l’umile;
il superbo invece lo riconosce da lontano.
Se cammino in mezzo al pericolo, tu mi ridoni vita;
contro la collera dei miei avversari stendi la tua mano.

La tua destra mi salva.
Il Signore farà tutto per me.
Signore, il tuo amore è per sempre:
non abbandonare l’opera delle tue mani.

Il salmista ringrazia Dio per avere ascoltato la sua preghiera e avergli usato misericordia. La tradizione parla del re Davide, ma più probabilmente si tratta di Ezechia dopo la clamorosa liberazione di Gerusalemme dall'assedio degli Assiri (2Re 19,35): “Hai reso la tua promessa più grande del tuo nome”.
Egli vuole cantare la sua lode al cospetto di Dio, rifiutando ogni adesione agli idoli: "Non agli dèi, ma a te voglio cantare".
Dio ha risposto alla sua supplica rendendolo più forte di fronte ai sui nemici: “Hai accresciuto in me la forza”.
Il salmista professa la sua fede nel futuro messianico che vedrà “tutti i re della terra” lodare il Signore. Sarà quando “ascolteranno le parole della tua bocca”, dove per “bocca” si deve intendere il futuro Messia.
I re, i popoli, celebreranno le vie del Signore annunciate dal Messia.
Il salmista ha grande fiducia in Dio, affinché la sua missione di re abbia successo: "Il Signore farà tutto per me". Il salmista termina invocando: “Non abbandonare l'opera delle tue mani”, cioè la dinastia di Davide.
Noi crediamo che giungerà il tempo della “civiltà dell'amore”, quando i popoli e i potenti che li governano, si apriranno a Cristo. Ogni cristiano deve adoperarsi per questo tempo con la forza (“hai accresciuto in me la forza”) che sgorga dalla partecipazione Eucaristica.
La nostra battaglia non è contro nemici fatti di carne e sangue, come ci dice san Paolo (Ef 6,12), ma “contro i Principati e le Potenze, contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male”, cioè contro i demoni.
Commento di P.Paolo Berti

Dalla lettera di S.Paolo apostolo ai Colossesi
Fratelli, con Cristo sepolti nel battesimo,con lui siete anche risorti mediante la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti.
Con lui Dio ha dato vita anche a voi, che eravate morti a causa delle colpe e della non circoncisione della vostra carne, perdonandoci tutte le colpe e annullando il documento scritto contro di noi che, con le prescrizioni, ci era contrario: lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce.
Col 2,12-14

Continuando la sua lettera ai Colossesi, Paolo dopo aver affermato che in Gesù abita tutta la pienezza della divinità ed essi hanno avuto parte alla sua pienezza, che fa di Lui il capo di ogni principato e di ogni potestà (Col 2,9-10) e continuando sottolinea che in lui essi hanno ricevuto non una circoncisione fatta da mano di uomo mediante la spogliazione del corpo di carne, cioè la circoncisione fisica, ma la vera circoncisione di Cristo (Col 2,11), egli spiega in questo brano in che cosa consiste la circoncisione di Cristo:
“con Cristo sepolti nel battesimo,con lui siete anche risorti mediante la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti.”
Diversamente dalla circoncisione fisica, la “circoncisione di Cristo” ha luogo in rapporto con Cristo e in unione con Lui. Essa consiste nel battesimo, che è presentato da Paolo, nella polemica contro i giudaizzanti, come la vera circoncisione (Fil 3,3).
Paolo riprende questa immagine definendo il battesimo come un essere sepolti con Cristo, cioè come una partecipazione alla Sua morte, e come una risurrezione con Lui.
Gli effetti del battesimo vengono così descritti “Con lui Dio ha dato vita anche a voi, che eravate morti a causa delle colpe e della non circoncisione della vostra carne, perdonandoci tutte le colpe e annullando il documento scritto contro di noi che, con le prescrizioni, ci era contrario: lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce”.
Prima di diventare cristiani, i pagani erano morti a causa delle loro colpe e della loro incirconcisione. L’idea qui espressa si riferisce chiaramente a Gal 2,15 dove Paolo definisce così la differenza tra giudei e gentili: “Noi che per nascita siamo Giudei e non pagani peccatori, sapendo tuttavia che l’uomo non è giustificato dalle opere della legge ma soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo, abbiamo creduto anche noi in Gesù Cristo per essere giustificati dalla fede in Cristo e non dalle opere della legge; poiché dalle opere della legge non verrà mai giustificato nessuno”.
Al termine del brano, nell’ultima parte omessa dalla liturgia “avendo privato della loro forza i Principati e le Potestà ne ha fatto pubblico spettacolo dietro al corteo trionfale di Cristo”, Paolo afferma che così facendo Dio ha spogliato i principati e le potestà e ne ha fatto pubblico spettacolo, trionfando su di loro in Cristo.*
Con la sua morte in croce e la sua resurrezione, Gesù ha aperto dunque nuove prospettive che non hanno più nulla a che fare con la legge e con il peccato.
* Nota:
Dietro la legge ebraica, Paolo scorge, secondo una vecchia tradizione, le potenze angeliche ( Gal 3,19+). Esse avevano usurpato, nello spirito dell’uomo (cf. v 18), l’autorità del creatore. Sopprimendo con la croce di Suo Figlio il sistema della legge, Dio ha sottratto a queste potenze lo strumento del loro dominio; esse appaiono ormai sottomesse al Cristo.

Dal Vangelo secondo Luca
Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite: “Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione”». Poi disse loro: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”; e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono.
Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto.
Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!».
Lc 11,1-13

Gesù continua il suo cammino verso Gerusalemme, e dopo l'episodio di Marta e Maria, in cui è stata sottolineata
l'importanza dell'ascolto della Parola di Gesù, Luca inizia un nuovo capitolo in cui dà alcuni insegnamenti di tipo diverso.
Il primo riguarda la preghiera e ci viene proposto in questo brano che la liturgia propone. Gesù insegna ai suoi a pregare attraverso la preghiera del Padre nostro che è la versione più breve rispetto a quella di Matteo che tutti conosciamo a memoria. ( Il fatto che ci siano due versioni del Padre Nostro ci fa capire che Gesù non ha dato una preghiera fissa, con parole precise, come facevano tutti i rabbini del tempo, ma alcuni punti su cui orientarsi.) Poi vi è la colorita parabola dell'amico importuno seguita dall'esortazione ad insistere nella preghiera, per chiedere in particolare il dono dello Spirito Santo.
“Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli».
Non conosciamo il nome del discepolo (forse perchè ognuno di noi si possa sentire coinvolto in prima persona) che aveva atteso che Gesù finisse di pregare per farsi avanti e chiedergli a nome degli altri: “Signore, insegnaci a pregare..“ Sul modo di pregare anche Giovanni Battista istruiva i suoi seguaci, per cui il richiedente attendeva un insegnamento vivo, carico di esperienza.
“Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite: “Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno;
La paternità di Dio su Israele era già un dato assodato nella tradizione biblica e giudaica. Almeno dalla fine del I sec. a.C., Dio viene invocato con il titolo “Padre nostro” nella preghiera delle Diciotto Benedizioni, recitata quotidianamente dal giudeo. Nella cultura palestinese, la parola “padre” include non solo una nota di intimità , ma anche di sovranità. Dio è Padre in quanto Creatore, Signore del popolo che Egli ha scelto. E proprio come tale DIO dimostra il suo amore misericordioso verso Israele, dichiarandosi pronto a perdonare le sue infedeltà.
Con “sia santificato il tuo nome”, chi recita il Padre Nostro viene invitato ad aderire al grande disegno finale di Dio con piena disponibilità alla Sua volontà di salvezza. La santificazione del Nome del Padre trova le sue radici in Ez 36,20-22: «Io ho avuto riguardo del mio Nome Santo che gli Israeliti avevano profanato fra le genti presso le quali sono andati.... Io agisco non per riguardo a voi, gente d'Israele, ma per amore del mio Nome Santo...
Il verbo “sia santificato il tuo nome” è al passivo e ha per soggetto reale Dio. Quindi non si chiede che l'uomo rispetti il nome di Dio, ma che il Padre stesso faccia in modo che Egli sia riconosciuto Santo dagli uomini. Il “nome” sta per Dio stesso, Egli cessa di essere inaccessibile, in quanto si rivolge verso l'uomo, si rivela e si comunica a lui.
Con “venga il tuo regno” si esprime la prima domanda. Dio sarà riconosciuto Santo quando manifesterà la sua sovranità piena e definitiva, promessa per la fine dei tempi. Questo intervento finale di Dio coinvolge fin d'ora tutto l'uomo. Non si può desiderare sinceramente la venuta del Regno e il compimento del suo disegno senza conformarsi, fin d'ora e totalmente, alle esigenze della Sua volontà.
“dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano”
Le tre domande che appartengono alla seconda parte del Padre Nostro si interessano dei bisogni dell'uomo nella sua esistenza attuale e vanno capite nella linea delle prime due.
La prima domanda concerne il pane, come nutrimento in generale, anzi tutto ciò che viene incontro ai bisogni materiali della vita di ogni discepolo che chiede ogni giorno ciò che gli serve, che non ha una situazione stabile e si trova nella condizione di chi ha lasciato tutto per seguire concretamente Gesù.
“e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore,” ..
Con Gesù è arrivato il tempo della salvezza, in cui Dio offre agli uomini il suo perdono che viene sperimentato come una nuova comunione con il Padre e come forza liberatrice che rende l'uomo capace di amare a sua volta gli altri, senza misura.
Scaturisce quindi per l'uomo perdonato la possibilità e l'esigenza di perdonare sempre, di adottare verso gli altri il comportamento che Dio ha avuto verso di lui: solo allora il perdono divino sarà definitivo.
La preghiera del Padre Nostro termina con un grido di aiuto: e non abbandonarci alla tentazione”cioè non permettere che soccombiamo nella prova. Non è che si preghi Dio di non indurci a fare del male, ma gli si chiede di non permettere che la prova sia tanto grande da avere il sopravvento definivo su di noi.
“Poi disse loro: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli….
Nella prima parabola, c’è la storia di un uomo a cui gli si è presentato un ospite nel bel mezzo della notte, ma non ha nulla da offrirgli, (cosa penosa per un orientale dato che l'ospitalità è una caratteristica importante per la loro cultura). Allora va da un suo amico e, anche se sa di procurargli un bel fastidio, non se ne preoccupa e lo fa lo stesso. Con questa parabola dell’amico importuno, Gesù ci invita a rivolgerci a Dio come ad un amico, anche in modo insistente persino fastidioso.
“Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto.”
La parabola si conclude con un gruppo di detti sulle caratteristiche della preghiera efficace. L'invito a pregare viene formulato con tre immagini di uguale significato: chiedere, cercare, bussare. Sono verbi già usati nell'AT e nel giudaismo per parlare della preghiera. L'immagine del bussare ricorda inoltre il comportamento dell'amico importuno che prima abbiamo visto. Poi Gesù continua portando altri esempi:
“Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione?” Si tratta di due piccole similitudini con costruzione simile a quella dell'amico importuno. Il comportamento del padre umano nei confronti del figlio deve far capire quello di Dio riguardo al discepolo che chiede.
L'accostamento uovo/scorpione (che è comprensibile nell’ambiente palestinese perché lo scorpione di quelle zone è bianco e quando si chiude assomiglia ad un uovo), vuole sottolineare il contrasto tra la domanda del figlio e la risposta del padre che dà cose nocive.
Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!». Se dunque l'uomo benché cattivo (cioè pieno di difetti) darà necessariamente cose buone ai propri figli, quanto più Dio che è il nostro Padre non ci darà mai nulla che possa nuocerci.
Forse noi siamo bloccati da esempi terreni di padri e di madri indegni di portare questo nome, e non ci rendiamo conto fino a che punto possa arrivare l’amore di Dio che è Padre sì, ma è anche Madre. Per bocca del profeta Isaia Dio ce lo dice: Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai. Is 49,15
Allora dobbiamo entrare in confidenza con Lui imparare a chiedere anche se non sempre Dio risponde come noi vorremmo. Capita che a volte bussiamo e Lui ci apre delle porte e ci invita a percorrere delle strade che non avremmo mai avuto coraggio di percorrere, ma in quella strada Lui si fa nostro compagno di viaggio e ci aiuta a percorrere un cammino, che da soli non avremmo mai neanche osato percorrere.

 

*****

“Il Vangelo di questa domenica si apre con la scena di Gesù che prega da solo, in disparte; quando finisce, i discepoli gli chiedono: «Signore, insegnaci a pregare» ; ed Egli risponde: «Quando pregate, dite: “Padre…”» . Questa parola è il “segreto” della preghiera di Gesù, è la chiave che Lui stesso ci dà perché possiamo entrare anche noi in quel rapporto di dialogo confidenziale con il Padre che ha accompagnato e sostenuto tutta la sua vita.
All’appellativo “Padre” Gesù associa due richieste: «sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno». La preghiera di Gesù, e quindi la preghiera cristiana, è prima di tutto un fare posto a Dio, lasciandogli manifestare la sua santità in noi e facendo avanzare il suo regno, a partire dalla possibilità di esercitare la sua signoria d’amore nella nostra vita.
Altre tre richieste completano questa preghiera che Gesù insegna, il “Padre Nostro”. Sono tre domande che esprimono le nostre necessità fondamentali: il pane, il perdono e l’aiuto nelle tentazioni.
Non si può vivere senza pane, non si può vivere senza perdono e non si può vivere senza l’aiuto di Dio nelle tentazioni. Il pane che Gesù ci fa chiedere è quello necessario, non il superfluo; è il pane dei pellegrini, il giusto, un pane che non si accumula e non si spreca, che non appesantisce la nostra marcia. Il perdono è, prima di tutto, quello che noi stessi riceviamo da Dio: soltanto la consapevolezza di essere peccatori perdonati dall’infinita misericordia divina può renderci capaci di compiere concreti gesti di riconciliazione fraterna. Se una persona non si sente peccatore perdonato, mai potrà fare un gesto di perdono o di riconciliazione. Si comincia dal cuore dove ci si sente peccatore perdonato. L’ultima richiesta, «non abbandonarci alla tentazione», esprime la consapevolezza della nostra condizione, sempre esposta alle insidie del male e della corruzione. Tutti conosciamo cosa è una tentazione!
L’insegnamento di Gesù sulla preghiera prosegue con due parabole, con le quali Egli prende a modello l’atteggiamento di un amico nei confronti di un altro amico e quello di un padre nei confronti di suo figlio. Entrambe ci vogliono insegnare ad avere piena fiducia in Dio, che è Padre. Egli conosce meglio di noi stessi le nostre necessità, ma vuole che gliele presentiamo con audacia e con insistenza, perché questo è il nostro modo di partecipare alla sua opera di salvezza. La preghiera è il primo e principale “strumento di lavoro” nelle nostre mani! Insistere con Dio non serve a convincerlo, ma a irrobustire la nostra fede e la nostra pazienza, cioè la nostra capacità di lottare insieme a Dio per le cose davvero importanti e necessarie. Nella preghiera siamo in due: Dio e io a lottare insieme per le cose importanti.
Tra queste, ce n’è una, la grande cosa importante che Gesù dice oggi nel Vangelo, ma che quasi mai noi domandiamo, ed è lo Spirito Santo. “Donami lo Spirito Santo!”. E Gesù lo dice: «Se voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!» . Lo Spirito Santo! Dobbiamo chiedere che lo Spirito Santo venga in noi. Ma a che serve lo Spirito Santo? Serve a vivere bene, a vivere con sapienza e amore, facendo la volontà di Dio. Che bella preghiera sarebbe, in questa settimana, che ognuno di noi chiedesse al Padre: “Padre, dammi lo Spirito Santo!”.
La Madonna ce lo dimostra con la sua esistenza, tutta animata dallo Spirito di Dio. Ci aiuti lei a pregare il Padre uniti a Gesù, per vivere non in maniera mondana, ma secondo il Vangelo, guidati dallo Spirito Santo.”
Papa Francesco Parte dell’ Angelus del 24 luglio 2016

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(Papa Giovanni XXIII)

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