Questa domenica, la prima che viene tra il Natale e il primo dell'anno, si celebra la festa della santa Famiglia di Nazareth con la speranza che in questo periodo la gente non sia troppo distratta dalle feste natalizie e quindi poco disposta a fissare l'attenzione sulla icona della santa Famiglia, esempio e modello di ogni famiglia cristiana e umana. Comunque la liturgia con le letture che ci propone ci dà preziosi insegnamenti, sempre validi in ogni tempo.
Nella prima lettura, tratta dal Libro del Siracide, vengono raccomandati i doveri dei figli verso i genitori: Onorare il padre, la madre... prendersi cura di loro nella vecchiaia e anche quando dovessero perdere il senno. Frutti di questi gesti di pietà: Il Padre celeste esaudirà la preghiera, concederà lunga vita, donerà gioia dai figli...
Nella seconda lettura S. Paolo, scrivendo ai Colossesi, consiglia ad ogni famiglia di vivere nel Signore. Il vero legame della famiglia cristiana non sono tanto i sentimenti che passano, tramontano e cambiano, quanto quella comunione profonda che avviene tra i coniugi nella fede nel Signore Gesù che insegna a onorare, amare e rispettare nell'altro/a la sua immagine.
Il brano del Vangelo di Matteo ci ricorda come la famiglia di Nazareth non fu estranea alla sofferenza: la persecuzione di Erode la costrinse già nei primi giorni di vita di Gesù, ad affrontare rischi e disagi che non intaccarono la fede di Maria e di Giuseppe. Questo brano è un invito per le famiglie credenti a vedere in Giuseppe un modello straordinario da imitare, un uomo consapevole delle proprie responsabilità, totalmente distaccato dai propri interesse, che accetta con fede l’invito del Signore a mettersi in cammino, per difendere la vita della sua famiglia e vegliare su di essa.
Da libro del Siracide
II Signore ha glorificato il padre al di sopra dei figli
e ha stabilito il diritto della madre sulla prole.
Chi onora il padre espìa i peccati e li eviterà
e la sua preghiera quotidiana sarà esaudita.
Chi onora sua madre è come chi accumula tesori.
Chi onora il padre avrà gioia dai propri figli
e sarà esaudito nel giorno della sua preghiera.
Chi glorifica il padre vivrà a lungo,
chi obbedisce al Signore darà consolazione alla madre.
Figlio, soccorri tuo padre nella vecchiaia,
non contristarlo durante la sua vita.
Sii indulgente, anche se perde il senno,
e non disprezzarlo, mentre tu sei nel pieno vigore.
L’opera buona verso il padre non sarà dimenticata,
otterrà il perdono dei peccati, rinnoverà la tua casa.
Sir 3,3-7.14-17a (NV) [gr. 3,2-6.12-14]
Il libro del Siracide è un libro un po’ particolare perché fa parte della Bibbia cristiana, ma non figura nel canone ebraico. Si tratta di un testo deuterocanonico che, assieme ai libri di Rut, Tobia, Maccabei I e II, Giuditta, Sapienza e le parti greche del libro di Ester e di Daniele, è considerato ispirato nella tradizione cattolica e ortodossa, per cui è stato accolto dalla Chiesa Cattolica, mentre la tradizione protestante lo considera apocrifo.
È stato scritto originariamente in ebraico a Gerusalemme attorno al 196-175 a.C. da Yehoshua ben Sira (tradotto "Gesù figlio di Sirach", da qui il nome del libro "Siracide"), un giudeo di Gerusalemme, in seguito fu tradotto in greco dal nipote poco dopo il 132 a.C. .
È composto da 51 capitoli con vari detti di genere sapienziale, sintesi della religione ebraica tradizionale e della sapienza comune. Benché non sia stato accolto nel canone ebraico, il Siracide è citato frequentemente negli scritti rabbinici; nel Nuovo Testamento la lettera di Giacomo vi attinge molte espressioni, ed anche la saggezza popolare fa proprie alcune massime.
Nel prologo l'anonimo nipote dell'autore spiega che tradusse il libro quando si trovava a soggiornare ad Alessandria d’Egitto, nel 38° anno del regno Tolomeo VIII, che regnò in Egitto a più riprese a partire dal 132 a.C..
Fatta questa premessa, per comprendere meglio lo stile dell’aurore, si può dire che in questo brano, Siracide cerca di spiegare ai figli già adulti i due aspetti presenti già in Esodo 20.12: Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che ti dà il Signore, tuo Dio. Mettendo in pratica il primo tema si sottolinea che onorare, riverire, soccorrere, compatire nella vecchiaia i genitori, è adempimento del volere di Dio, è come obbedire al Signore. Il secondo tema è invece sviluppato e spiritualizzato in relazione al testo dell’Esodo. L’osservanza del comandamento di Dio non solo dà lunga vita, ma è anche espiazione dei peccati e dà sicurezza di essere ascoltati nella preghiera, di avere gioia dai propri figli e, soprattutto, di non essere dimenticati da Dio.
Salmo 127 - Beato chi teme il Signore e cammina nelle sue vie.
Beato chi teme il Signore
e cammina nelle sue vie.
Della fatica delle tue mani ti nutrirai,
sarai felice e avrai ogni bene.
La tua sposa come vite feconda
nell’intimità della tua casa;
i tuoi figli come virgulti d’ulivo
intorno alla tua mensa.
Ecco com’è benedetto
l’uomo che teme il Signore.
Ti benedica il Signore da Sion.
Possa tu vedere il bene di Gerusalemme
tutti i giorni della tua vita!
Il salmo presenta l'intima gioia famigliare concessa da Dio all'uomo che lo teme e cammina nelle sue vie. “Teme il Signore”; non è qui il timor servile, cioè il timore di incorrere nella punizione che ha il servo di fronte al padrone, ma è il timore che un figlio deve avere verso un Padre buono. Il timore di Dio è principio di sapienza (Pr 1,7; 9,10; 15,23; Gb 28,28; Sir 1,14.16.18.20), cioè di conoscenza della parola di Dio nell'impegno di tradurla in viva esistenza, camminando così “nelle sue vie”.
"Della fatica delle tue mani ti nutrirai" cioè il tuo lavoro avrà buon esito.
“Nell'intimità della casa”, avrà gioia dalla sposa, presentata nella bella immagine di una vite feconda; feconda di gioia, di vivacità, di operosità e di affetto. A ciò si aggiunge la gioia data dai figli presentati come virgulto d'ulivo attorno alla mensa.
Il salmo presenta un'invocazione di benedizione sull'uomo giusto: “Ti benedica il Signore da Sion...”, dove Sion è il monte simbolo della stabilità delle promesse di Dio.
Veramente è giunta a noi la benedizione di Dio da Sion nel sacrifico redentore del Figlio.
Tale benedizione è per tutti i popoli, e ha costituito la Chiesa, chiamata ad estendersi su tutta la terra per l'avvento globale della civiltà dell'amore, che è la Gerusalemme messianica (Ap 21,9s), la Gerusalemme senza le mura (Zc 2,8) .
“Pace su Israele”, invoca il salmo. E noi diciamo pace sulla Chiesa, l'Israele di Dio (Gal 6,16); come pace - quella che sgorga dall'accoglienza di Cristo - invochiamo su l'Israele etnico, cioè secondo la carne (1Cor 10,18), e su tutti i popoli.
Commento di P.Paolo Berti
Dalla lettera di S.Paolo apostolo ai Colossesi
Fratelli, scelti da Dio, santi e amati, rivestitevi di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri, se qualcuno avesse di che lamentarsi nei riguardi di un altro.
Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi. Ma sopra tutte queste cose rivestitevi della carità, che le unisce in modo perfetto. E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo. E rendete grazie!
La parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza. Con ogni sapienza istruitevi e ammonitevi a vicenda con salmi, inni e canti ispirati, con gratitudine, cantando a Dio nei vostri cuori. E qualunque cosa facciate, in parole e in opere, tutto avvenga nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre.
Voi, mogli, state sottomesse ai mariti, come conviene nel Signore. Voi, mariti, amate le vostre mogli e non trattatele con durezza. Voi, figli, obbedite ai genitori in tutto; ciò è gradito al Signore. Voi, padri, non esasperate i vostri figli, perché non si scoraggino.
Col 3,12-21
La Lettera ai Colossesi, è stata scritta da S.Paolo durante la sua prigionia a Roma, attorno al 62; (altri esperti sostengono che l’autore della lettera sia un suo discepolo e che l’abbia scritta dopo la morte dell’Apostolo (64-67), verso fine I secolo). Probabilmente Paolo non si era mai recato a Colosse, che era una piccola cittadina che si trovava nella regione della Caria, nella zona sud-ovest dell'attuale Turchia (circa 124 km a nord di Efeso) e il Vangelo era stato portato lì da alcuni missionari da Efeso, fra questi Èpafra, al quale Paolo dà la sua approvazione all’inizio della lettera (1,7).
La comunità di Colossi era bene organizzata e celebrava regolarmente le riunioni liturgiche in casa di Ninfa e di Filemone. Però c'era un pericolo: alcuni "falsi maestri" andavano predicando la necessità di tornare ad alcune pratiche legate ai riti pagani: ricorrenze settianali, noviluni, culto degli angeli, tutte cose che stridevano con l'unicità di Dio e con la salvezza che viene dalla croce di Cristo. Paolo dunque nella sua lettera mette in guardia i Colossesi dal tornare a queste usanze e riafferma in modo deciso la centralità di Gesù Cristo all'interno della creazione.
Il brano inizia con l’esortazione:
”Fratelli, scelti da Dio, santi e amati, rivestitevi di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità,”
Paolo usa parole prese dal linguaggio battesimale. I battezzati sono stati scelti da Dio, quindi devono rimanere rivestiti di alcune virtù importanti che riguardano l'amore fraterno che scaturisce dall'amore gratuito e salvifico di Dio.
“sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri, se qualcuno avesse di che lamentarsi nei riguardi di un altro. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi”.
Come i Colossesi anche noi oggi siamo chiamati a sopportaci e perdonarci a vicenda. Non è sempre facile, ma per riuscirci dobbiamo sempre tenere in mente che il Signore ci ha perdonato per primo, e per questo anche noi dobbiamo perdonare.
“Ma sopra tutte queste cose rivestitevi della carità, che le unisce in modo perfetto. E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo. E rendete grazie!
Vi sono poi tre esortazioni più generiche, ma molto significative che definiscono la fisionomia spirituale e le strutture essenziali di una comunità di battezzati. La prima è la carità fraterna (agape), che viene definita “vincolo che unisce in modo perfetto”. La seconda esortazione richiama alla pace tra i membri dell'unico corpo di Cristo. Il vincolo dell'agape porta alla pace, ed è proprio la pace che il Messia è venuto a portare che deve suscitare nei cuori il rendimento di grazie.
E qualunque cosa facciate, in parole e in opere, tutto avvenga nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre”.
Ma la lode di Dio non si deve limitare ai momenti celebrativi, bensì si estende ad ogni attività quotidiana,
ad ogni parola ad ogni opera. Tutto deve essere pervaso di gratitudine, riconoscenza verso il Padre per la salvezza che ha operato per noi per mezzo di Cristo.
Nei versetti che seguono Paolo , dà un vero e proprio codice di morale domestica, che viene chiamata tradizionalmente "codice o tavoletta domestica“, dove le mogli, i mariti e i figli devono avere rispetto reciproco:
“Voi, mogli, state sottomesse ai mariti, come conviene nel Signore.
L'esortazione riguardante le mogli si richiama alla norma morale dell'ambiente antico che apprezzava l'ordine stabilito dalla tradizione e dalle convenienze. Questo ordine richiedeva che le mogli fossero "sottomesse" ai mariti, ma questo può essere inteso in senso nuovo alla luce della fede, che non implica inferiorità o sudditanza.
“Voi, mariti, amate le vostre mogli e non trattatele con durezza”.
L'esortazione rivolta ai mariti può sembrare ovvia, ma dobbiamo pensare che al tempo in cui fu espressa, non era poi così chiaro che il marito dovesse amare la moglie, da qui deriva anche l'invito a non trattare con durezza le mogli, cosa che evidentemente succedeva spesso.
“Voi, figli, obbedite ai genitori in tutto; ciò è gradito al Signore”.
Anche le indicazioni ai figli potrebbero sembrare superflue, ma danno una nuova motivazione all'obbedienza: non per paura né per obbligo, ma per la fede e l’amore nel Signore.
“Voi, padri, non esasperate i vostri figli, perché non si scoraggino”.
Infine i padri vengono invitati a non trattare in modo troppo rigido i figli perché non perdano l'entusiasmo e la fiducia nella vita. Anche qui dobbiamo ricordare che i figli, anche se con buone intenzioni, venivano trattati molto duramente, talvolta ricorrendo a punizioni corporali pesanti, come è riportato nel Siracide (30,12 ).
Oggi come veri cristiani possiamo dire che il vero legame della famiglia non sono tanto i sentimenti che passano, tramontano e cambiano, quanto quella comunione profonda che avviene tra i coniugi (e dai coniugi viene comunicata, fatta vivere, ai figli) nella fede nel Signore Gesù che insegna a onorare, amare e rispettare nell'altro, o nell’altra, la Sua immagine. Si potrà naturalmente anche discutere, bisticciare, ma quello che conta è che alla fine di tutto prevalga l’amore, il rispetto e la solidarietà: sono questi i sentimenti che devono reggere tutte le famiglie del mondo.
Dal Vangelo secondo Matteo
I Magi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo».
Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Dall’Egitto ho chiamato mio figlio».
Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino».
Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele. Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno».
Mt 2,13-15.19-23
Nel primo capitolo del suo Vangelo, Matteo per spiegare chi fosse Gesù, ha riportato prima il lungo elenco dei suoi ascendenti, poi di come Giuseppe assume la paternità legale di Gesù, nel secondo porta la nostra attenzione sul luogo dove avvenne la sua nascita, la stella e la ricerca affannosa dei Magi, il tranello di Erode, l’arrivo a Betlemme e alla casa, dove “videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono”.
Questa domenica dedicata alla Santa Famiglia, in questo brano Matteo racconta un fatto che vide protagonisti tutti e tre i membri di questa Famiglia: Giuseppe, Maria e Gesù. Fin dal principio la vita di Gesù non fu facile e l’evangelista ci tiene a sottolineare le analogie che vi furono tra l'esperienza di Mosè e quella di Gesù, il nuovo legislatore e liberatore del popolo di Israele.
Il brano inizia riportando:
“I Magi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo». “
Appena i Magi partono, di nuovo l'angelo appare in sogno a Giuseppe per spingerlo a partire e lo fa in tono perentorio: Alzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto ….
L'Egitto, passato sotto il dominio romano nel 30 a.C., era fuori della giurisdizione di Erode. Da sempre era il luogo tradizionale in cui gli Ebrei avevano trovato rifugio. L'intenzione di Erode, un uomo estremamente spietato, ricorda la decisione del faraone di uccidere Mosè (Es 2,15).
“Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto”,
Come suo solito, Giuseppe esegue quanto gli viene ordinato, senza parlare. Giuseppe non risponde alla Parola con parole, ma con i fatti, eseguendo alla lettera il comando.
“dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Dall’Egitto ho chiamato mio figlio».
I tre rimasero in Egitto fino alla morte di Erode. Erode morì nel marzo-aprile del 4 a.C. (come si sa, i calcoli che stabilirono l'anno della nascita di Cristo furono poco esatti. Gesù nacque con tutta probabilità nel 7 a.C.).
Il brano di Osea citato si riferisce a Israele, visto come figlio di Dio. Qui il versetto è applicato a Gesù, il figlio di Dio per eccellenza, e dà la chiave di lettura di tutto questo brano. Gesù viene identificato con il popolo di Israele, che ha dovuto soffrire la schiavitù e la persecuzione in Egitto per poi entrare nella t“Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino»”.
L'angelo con le stesse parole invita Giuseppe a ritornare nella terra di Israele. Matteo è l'unico autore del NT a parlare di "terra d'Israele" e a parlare più spesso di "terra".
L’espressione “quelli che cercavano di uccidere il bambino” indica oltre ad Erode anche i capi dei sacerdoti e gli scribi, da lui consultati per sapere dove sarebbe nato il re di Giuda (Mt 2,3). Però Matteo in questo modo, sembra voler richiamare un passaggio della storia di Mosé: "Il Signore disse a Mosè in Madian: “Và, torna in Egitto, perché sono morti quanti insidiavano la tua vita!”. (Es 4,19). Gesù viene così paragonato non solo al popolo di Israele che deve vivere l'esodo dall'Egitto, ma anche a Mosè, la cui vita fu più volte perseguitata (innanzitutto con l'uccisione dei bambini ebrei da parte del faraone).
“Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele. Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea”
La situazione politica è mutata, ma non per questo più favorevole. I figli di Erode si sono divisi la terra d'Israele: Archelao ha potere sulla Giudea e la Samaria, Erode Antipa sulla Galilea e la Perea, Filippo sulla Gaulanitide e la Traconitide. Anziché tornare in Giudea, Giuseppe preferisce "ritirarsi“ in Galilea. Comincia qui la vita umile e ritirata nel quotidiano di Gesù, che durerà trent'anni. E' questo il mistero del Dio-con-noi che rende divina ogni quotidianità: nella fatica e nel riposo, nella gioia e nel dolore.
“e andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno».”
L’Evangelista vuole sottolineare questo particolare perché quel bambino “sarà chiamato Nazareno”, secondo le antiche profezie. Non è chiaro a quale profezia si riferisca Matteo, per lui il fatto che Gesù venisse da Nazareth, corrisponde però al piano di Dio, che Giuseppe nella sua fedeltà alla voce della coscienza, unita alla sua prudenza e saggezza umana compie in silenzio e senza indugi.
Gesù ripercorre la storia del popolo d’Israele come un nuovo Mosè che scampa la strage degli innocenti, permane in Egitto, ritorna in patria e va in esilio a Nazareth. Gesù è un messia solidale con il suo popolo, con la sofferenza di ogni uomo. Il cammino di Israele con Mosè era stato segnato dal peccato e dalla morte, Gesù grazie a Giuseppe “salvatore del Salvatore”, apre un nuovo cammino verso la vita senza fine.
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“In questa prima domenica dopo Natale, la Liturgia ci invita a celebrare la festa della Santa Famiglia di Nazareth. In effetti, ogni presepio ci mostra Gesù insieme con la Madonna e san Giuseppe, nella grotta di Betlemme. Dio ha voluto nascere in una famiglia umana, ha voluto avere una madre e un padre, come noi.
E oggi il Vangelo ci presenta la santa Famiglia sulla via dolorosa dell’esilio, in cerca di rifugio in Egitto. Giuseppe, Maria e Gesù sperimentano la condizione drammatica dei profughi, segnata da paura, incertezza, disagi (cfr Mt 2,13-15.19-23). Purtroppo, ai nostri giorni, milioni di famiglie possono riconoscersi in questa triste realtà. Quasi ogni giorno la televisione e i giornali danno notizie di profughi che fuggono dalla fame, dalla guerra, da altri pericoli gravi, alla ricerca di sicurezza e di una vita dignitosa per sé e per le proprie famiglie.
In terre lontane, anche quando trovano lavoro, non sempre i profughi e gli immigrati incontrano accoglienza vera, rispetto, apprezzamento dei valori di cui sono portatori. Le loro legittime aspettative si scontrano con situazioni complesse e difficoltà che sembrano a volte insuperabili. Perciò, mentre fissiamo lo sguardo sulla santa Famiglia di Nazareth nel momento in cui è costretta a farsi profuga, pensiamo al dramma di quei migranti e rifugiati che sono vittime del rifiuto e dello sfruttamento, che sono vittime della tratta delle persone e del lavoro schiavo. Ma pensiamo anche agli altri “esiliati”: io li chiamerei “esiliati nascosti”, quegli esiliati che possono esserci all’interno delle famiglie stesse: gli anziani, per esempio, che a volte vengono trattati come presenze ingombranti. Molte volte penso che un segno per sapere come va una famiglia è vedere come si trattano in essa i bambini e gli anziani.
Gesù ha voluto appartenere ad una famiglia che ha sperimentato queste difficoltà, perché nessuno si senta escluso dalla vicinanza amorosa di Dio. La fuga in Egitto a causa delle minacce di Erode ci mostra che Dio è là dove l’uomo è in pericolo, là dove l’uomo soffre, là dove scappa, dove sperimenta il rifiuto e l’abbandono; ma Dio è anche là dove l’uomo sogna, spera di tornare in patria nella libertà, progetta e sceglie per la vita e la dignità sua e dei suoi familiari.
Quest’oggi il nostro sguardo sulla santa Famiglia si lascia attirare anche dalla semplicità della vita che essa conduce a Nazareth. E’ un esempio che fa tanto bene alle nostre famiglie, le aiuta a diventare sempre più comunità di amore e di riconciliazione, in cui si sperimenta la tenerezza, l’aiuto vicendevole, il perdono reciproco. Ricordiamo le tre parole-chiave per vivere in pace e gioia in famiglia: permesso, grazie, scusa.
Quando in una famiglia non si è invadenti e si chiede “permesso”, quando in una famiglia non si è egoisti e si impara a dire “grazie”, e quando in una famiglia uno si accorge che ha fatto una cosa brutta e sa chiedere “scusa”, in quella famiglia c’è pace e c’è gioia. …
Vorrei anche incoraggiare le famiglie a prendere coscienza dell’importanza che hanno nella Chiesa e nella società. L’annuncio del Vangelo, infatti, passa anzitutto attraverso le famiglie, per poi raggiungere i diversi ambiti della vita quotidiana.
Invochiamo con fervore Maria Santissima, la Madre di Gesù e Madre nostra, e san Giuseppe, suo sposo. Chiediamo a loro di illuminare, di confortare, di guidare ogni famiglia del mondo, perché possa compiere con dignità e serenità la missione che Dio le ha affidato.”
Papa Francesco Parte dell’Angelus del 29 dicembre 2013