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Gen 10, 2020

I Domenica - Anno A - "Battesimo del Signore" - 12 gennaio 2020

Con questa domenica, in cui si conclude il tempo di Natale, la Chiesa celebra il Battesimo del Signore invitandoci a fare memoria del nostro Battesimo. Dopo trent’anni di vita nascosta, Gesù prende un’iniziativa impensabile: giunge al fiume Giordano, si unisce alle folle desiderose di perdono, e riceve anche Lui il Battesimo amministrato da Giovanni.
Nella prima lettura, il profeta Isaia descrive le opere del servo di Jahvè su cui Dio pone tutta la Sua compiacenza. Egli è stato chiamato per realizzare la salvezza che viene da Dio, e compirà la sua missione rendendosi alleanza del popolo e luce delle nazioni, donando loro la luce e liberandoli da ogni male.
Nella seconda lettura nel brano tratto dagli Atti degli Apostoli, leggiamo che Pietro, rivolgendosi al centurione Cornelio, che sta per diventare cristiano insieme ai suoi famigliari, rievoca la scena del Battesimo di Gesù presentando Dio che effonde lo Spirito Santo su Gesù di Nazareth, il Cristo, Verbo del Dio vivente.
Il brano del Vangelo di Matteo ci racconta il battesimo di Gesù sulle rive del Giordano dove su di Lui irrompe in pienezza lo Spirito di Dio e la voce celeste annuncia «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento».
Gesù è il Figlio Unigenito che somiglia in tutto al Padre. Perciò seguendo Lui giungiamo al Padre e conoscendo Lui siamo certi di conoscere il volto di Dio. E’ Dio stesso che ci presenta Gesù come Suo proprio Figlio e ci invita a riconoscerlo come tale, perché il Suo battesimo sia salvezza per tutti gli uomini.

Dal libro del profeta Isaia
Così dice il Signore:
«Ecco il mio servo che io sostengo,
il mio eletto di cui mi compiaccio.
Ho posto il mio spirito su di lui;
egli porterà il diritto alle nazioni.
Non griderà né alzerà il tono,
non farà udire in piazza la sua voce,
non spezzerà una canna incrinata,
non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta;
proclamerà il diritto con verità.
Non verrà meno e non si abbatterà,
finché non avrà stabilito il diritto sulla terra,
e le isole attendono il suo insegnamento.
Io, il Signore, ti ho chiamato per la giustizia
e ti ho preso per mano;
ti ho formato e ti ho stabilito come alleanza del popolo
e luce delle nazioni,
perché tu apra gli occhi ai ciechi
e faccia uscire dal carcere i prigionieri,
dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre».
Is 42,1-4. 6-7

Questo brano fa parte dei testi (capitoli 40-55) attribuiti ad un autore, rimasto anonimo, a cui è stato dato il nome di “Secondo Isaia ” o “deutero Isaia ”. Forse era un lontano discepolo del primo Isaia che visse a Babilonia insieme agli esiliati che dalla sue profezie prendono speranza. Era accaduto che a partire dal 550 a.C. un nuovo popolo, non semitico, i Persiani, sotto il comando del loro re, Ciro, in pochi anni sottomisero l’oriente e agli occhi dei popoli oppressi, deportati dai Babilonesi, Ciro sembrò come un liberatore. Da allora nella comunità degli Ebrei esiliati si videro apparire racconti, oracoli, canti che esaltavano l’opera di Dio nella storia del mondo. Era finito il tempo in cui dominavano gli idoli, il vero Dio, il solo Dio apparve loro il padrone degli avvenimenti che agiva per la liberazione e la salvezza del suo popolo. Con la caduta di Babilonia nel 539, Ciro autorizzò gli Israeliti a ritornare in patria e a praticare il loro culto. Si pensò persino che Ciro fosse l’inviato del Signore, un messia, un uomo di Dio, che avrebbe realizzato ovunque la pace. Ma per quanto Ciro fosse una figura gloriosa della storia, l’inviato di Dio sarebbe arrivato secoli dopo sotto spoglie più umili, quelle di un Giusto, che espia nel dolore le colpe degli uomini. In questo brano troviamo i primi versetti che fanno parte del primo dei 4 brani, conosciuti come "canti del servo del Signore", dove il Signore presenta questo servo come un profeta, oggetto di una missione, animato dallo Spirito.
Il testo si apre con una dichiarazione pubblica in cui il Signore manifesta la sua predilezione per il Servo:”Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto di cui mi compiaccio. Ho posto il mio spirito su di lui; egli porterà il diritto alle nazioni”. Il Servo ha il privilegio di essere scelto, sostenuto e amato dal Signore e riceve in dono il Suo Spirito, segno della sua presenza che è la prerogativa degli uomini di Dio, giudici, profeti e re, e in modo particolare del futuro discendete di Iesse (V.Is 11,1-2).
Il Servo appare dunque come uno dei grandi personaggi che, come Mosè, Davide, i profeti, Dio ha scelto come Suoi rappresentanti e che spesso hanno ricevuto il titolo onorifico di Suoi servi.
La scelta divina e il dono dello Spirito comportano per il Servo una missione: “egli porterà il diritto alle nazioni”. Il termine “diritto” indica qui non il diritto in generale, ma il “decreto” divino che stabilisce la fine dell'esilio. Il compito del Servo è principalmente quello di annunziare la prossima liberazione degli israeliti dall’esilio babilonese. Questo messaggio è annunziato metaforicamente alle nazioni (ossia anche ai pagani) poiché anche loro devono conoscere l'iniziativa divina, della quale saranno spettatrici attonite.
Un evento del popolo di Israele diventa così la manifestazione di un agire di Dio nella storia in favore di tutta l’umanità
Alla vocazione del Servo fa seguito una breve descrizione del modo in cui egli svolgerà la sua missione: “Non griderà né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce, non spezzerà una canna incrinata,non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta” Con queste allegorie Isaia vuole far comprendere che il Servo non farà uso di alcuna forma di imposizione, ma rispetterà i tempi e i modi di ciascuno. Egli infatti è inviato a persone impreparate, simili a canne incrinate pronte a rompersi o a stoppini fumiganti che facilmente si spengono. Il suo compito dunque non è quello di imporre, ma di proporre la liberazione, in modo da ottenere un'adesione libera e consapevole.
Tuttavia la sua mitezza non è segno di debolezza, infatti “Non verrà meno e non si abbatterà,finché non avrà stabilito il diritto sulla terra, e le isole attendono il suo insegnamento”.
Nel suo annunzio, riguardante una svolta epocale nella storia, il Servo non avrà dunque un successo facile e immediato, ma dovrà scontrarsi con notevoli difficoltà, in quanto metterà in crisi interessi e privilegi consolidati. Egli però reagirà con grande coraggio e forza d'animo, senza mai perdere di vista la meta, che è talmente importante da suscitare persino l'attesa delle isole, cioè delle nazioni più lontane.
Dopo il Signore si rivolge nuovamente al Servo presentandogli la sua missione: “Io, il Signore, ti ho chiamato per la giustizia e ti ho preso per mano; ti ho formato e ti ho stabilito come alleanza del popolo e luce delle nazioni”. Il Servo è l'uomo che Dio ha prescelto, per manifestare la sua giustizia (nel senso di fedeltà e misericordia) verso il popolo eletto, liberandolo dall'oppressione a cui è stato sottoposto. Egli sarà quindi il mediatore che, in nome del Signore, dovrà concludere con esso l'alleanza escatologica; così facendo egli diventerà “luce delle nazioni”, in quanto la sua opera in favore di Israele si riverserà anche su di esse.
Dopo questa premessa viene indicato espressamente il compito per cui il servo è stato chiamato: “perché tu apra gli occhi ai ciechi e faccia uscire dal carcere i prigionieri, dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre”. La missione del Servo, che viene indicata con tre espressioni:”aprire gli occhi ai ciechi”, “far uscire dal carcere i prigionieri”, “liberare dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre”, segnala la situazione non solo materiale ma anche spirituale di coloro che sono stati privati della loro terra, della loro cultura, della loro libertà e indipendenza. Il Servo deve dunque compiere un’opera immane, quella cioè di riaggregare persone disperse, dare loro la percezione di essere popolo, assegnare loro un progetto che non consiste soltanto in un ritorno nella terra di origine, ma in una vera e propria conversione al Signore.

Salmo 28 - Il Signore benedirà il suo popolo con la pace.
Date al Signore, figli di Dio,
date al Signore gloria e potenza.
Date al Signore la gloria del suo nome,
prostratevi al Signore nel suo atrio santo.

La voce del Signore è sopra le acque,
il Signore sulle grandi acque.
La voce del Signore è forza,
la voce del Signore è potenza.

Tuona il Dio della gloria,
nel suo tempio tutti dicono: «Gloria!».
Il Signore è seduto sull’oceano del cielo,
il Signore siede re per sempre.

Secondo alcuni studiosi, questo è forse il Salmo più antico (XII-XI sec. a,C,) di tutta la collezione del Salterio. Esso assume termini e stilemi, strutture ideologiche e costellazioni simboliche del mondo indigeno preisraelitico. Questo orizzonte è rappresentato dalla cultura cananea che proprio in Baal Hadad, il dio della tempesta, aveva la sua divinità suprema. Infatti, lo scenario di questo che è stato definito “il Gloria in excelsis” dell’Antico Testamento è costituito da una tempesta, colta nel suo dispiegarsi progressivo e violento. ….
Nell’interpretazione cristiana: la voce divina diventa la voce del Padre che si indirizza al Figlio nel battesimo del Giordano e risuona nella predicazione apostolica, mentre il settenario delle voci-tuoni diventa il settenario dei dono dello Spirito o il settenario dei sacramenti. Scriveva san Gregorio Magno: “La voce di Dio tuona mirabilmente perchè, con forza nascosta, penetra i nostri cuori”.
Commento tratto da “I Salmi “di Gianfranco Ravasi

Dagli Atti degli Apostoli
In quei giorni, Pietro prese la parola e disse: «In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga. Questa è la Parola che egli ha inviato ai figli d’Israele, annunciando la pace per mezzo di Gesù Cristo: questi è il Signore di tutti. Voi sapete ciò che è accaduto in tutta la Giudea, cominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni; cioè come Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nàzaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui».
At 10,34-38

Il libro degli Atti degli Apostoli, la cui redazione definitiva risale probabilmente attorno agli anni 70-80, è attribuita all’evangelista Luca, che è anche autore del Vangelo che porta il suo nome. Il libro è composto da 28 capitoli e narra la storia della comunità cristiana dall'ascensione di Gesù fino all'arrivo di Paolo a Roma e copre un periodo che spazia approssimativamente dal 30 al 63 d.C. Oltre che su Paolo, l'opera si sofferma diffusamente anche sull'operato dell'apostolo Pietro e descrive il rapido sviluppo, l'espansione e l'organizzazione della testimonianza cristiana prima ai giudei e poi agli uomini di ogni nazione.
Nella seconda parte dell’opera viene delineata l’espandersi dell’annunzio evangelico al di fuori di Gerusalemme. A tal fine Luca presenta l’opera di Filippo in Samaria, la conversione dell’eunuco della regina d’Etiopia, e la straordinaria conversione del persecutore Saulo sulla via di Damasco. Infine egli racconta un viaggio apostolico di Pietro nella zona costiera della Palestina, a conclusione del quale mette la conversione del centurione Cornelio, con tutti i suoi famigliari, facendo di loro i primi pagani che aderiscono al cristianesimo senza passare attraverso la circoncisione. Per Luca è importante sottolineare come questo evento, che apre la porta della Chiesa ai pagani, sia accaduto per opera dello stesso Pietro.
In questo brano è riportato l’inizio del discorso di Pietro in casa del centurione Cornelio, a cui lo Spirito l’ha inviato. Pietro comincia con una constatazione: In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone,
Non sarà stato facile neanche per Pietro comprendere che il Vangelo era proprio destinato a tutte le genti. Le rigide norme di purezza rituale degli ebrei e i contatti con i pagani era molto forte in lui come ebreo praticante. Paolo nella lettera ai Galati (2,11-16) rimprovererà Pietro di incontrare i pagani di nascosto dagli ebrei proprio a causa della fatica di conciliare questi due gruppi di cristiani. Però con la conversione di Cornelio anche Pietro comprende che un incontro è possibile e che con la morte e risurrezione di Gesù non vi è più differenza tra persone e tra popoli.
“ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga”.
Per Luca i giusti di Israele erano coloro che si mettevano in ascolto della Legge e la osservavano in modo coscienzioso e qui vuole evidenziare che la giustizia del nuovo popolo di Dio, la Chiesa, è la continuazione della giustizia di Israele, quindi anche il centurione Cornelio può dirsi uomo giusto.
La giustizia perciò non viene da un diritto di nascita ma dalla disponibilità ad accogliere e seguire la parola di Dio.
“Questa è la Parola che egli ha inviato ai figli d’Israele, annunciando la pace per mezzo di Gesù Cristo: questi è il Signore di tutti. “
La Parola Dio l’ha inviata per mezzo suo Figlio ai figli di Israele, il popolo prediletto sin dal principio. Cristo ha portato soprattutto la pace, e in forza della sua morte e risurrezione è diventato il Signore di tutti.
“Voi sapete ciò che è accaduto in tutta la Giudea, cominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni;” Pietro ora fa una specie di riassunto dell'esperienza terrena di Gesù e tutto è cominciato proprio con il battesimo predicato da Giovanni. Questo battesimo era stato molto famoso, tanto che Paolo quando giunse a Efeso, trovò alcuni discepoli che avevano ricevuto soltanto il battesimo di Giovanni e non avevano mai sentito dire che esistesse uno Spirito Santo, o meglio non ne ignoravano l’esistenza, ma la sua effusione in adempimento delle promesse messianiche.
“cioè come Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nàzaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui”. Tramite il battesimo di Giovanni, Dio consacrò nello Spirito e nella Sua potenza, quell'uomo che tutti conoscevano come Gesù di Nazaret, che rivestito di potenza dall'alto beneficò e risanò coloro che erano sotto il potere del diavolo, liberandoli dal peccato e dalla morte.
Il Battesimo è il fondamento di tutta la vita cristiana, è l’abbraccio con l’infinito. È comunione con Dio, è la nostra adozione a figli ottenutaci da Gesù Figlio di Dio. E’ la porta che apre l'accesso agli altri sacramenti, che fa sì che il legame che intercorre tra Dio e l’uomo non è più quello tra il Creatore e la creatura, è un legame che si colora di intimità e di amore, è quello che sboccia in una relazione di paternità e di filiazione, come dice il profeta Osea : Dio si china e ci solleva alla sua guancia come il padre fa con il suo bimbo per farlo mangiare. (11,4)

Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui.
Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?». Ma Gesù gli rispose: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia». Allora egli lo lasciò fare.
Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. Ed ecco una voce dal cielo che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento».
Mt 3, 13-17

Il tempo di Natale si chiude col Battesimo del Signore, ma ovviamente nella storia di Gesù il tempo che passa tra la sua nascita e il battesimo al Giordano è di circa 30 anni e di questi decenni poco dicono i Vangeli, poco la tradizione.
Con il brano che la liturgia presenta, ci spostiamo sulle rive del fiume Giordano, dove già da tempo, Giovanni, il cugino di Gesù, figlio di Elisabetta e Zaccaria, sta predicando il suo invito alla conversione. Col Battesimo inizia la "vita pubblica" di Gesù per le strade di Palestina fino a quel triduo di Pasqua, presumibilmente all'inizio di aprile dell'anno 30.
Descrivendo il battesimo di Gesù, Matteo rivela come in Lui si realizzino i tratti del servo del Signore annunciato dal profeta Isaia nella prima lettura.
Il brano si apre riportando che : "Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui.” Gesù si unisce agli altri pellegrini che chiedono di essere battezzati. Sta insieme a tutti, uno fra i tanti, senza farsi notare.
Quando giunge il suo turno per il battesimo“Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?». Giovanni Battista è guidato dallo Spirito di Dio, è il più grande di tutti i profeti, e quindi sa che il giovane che gli sta di fronte non è semplicemente suo cugino, ma è il Messia atteso da sempre. Per questo si stupisce del desiderio di Gesù di farsi battezzare perché il battesimo che Giovanni conferiva era come segno del desiderio di cambiare vita, come segno dell'impegno che ciascuno prendeva per lasciarsi alle spalle il male, il peccato... Per cui si chiede giustamente che bisogno ha Gesù di farsi battezzare, lui che è senza peccato?
Eppure Gesù insiste, e gli dice “Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia”.
Questo dibattito tra Giovanni e Gesù, assente negli altri due sinottici, è inserito da Matteo per rispondere a due obiezioni. La prima riguarda l’ordine di dignità tra i due: il fatto che si faccia battezzare da Giovanni non esclude che Gesù sia il “più forte”, dal momento che il Battista stesso voleva evitare di battezzarlo. La seconda riguarda il motivo per cui Gesù riceve il battesimo: egli si sottomette a questa pratica, non perché sia peccatore anche lui come tutti gli altri, ma perché è suo compito compiere ogni giustizia.
Il termine "adempiere ogni giustizia" significa "compiere tutto ciò che sta scritto nella legge e nei profeti" (cfv. Mt 5,17). Con il battesimo di Gesù si realizzerà una parola profetica ben precisa
“Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui”.
Matteo non descrive il battesimo di Gesù, bensì parla del suo uscire dalle acque. A questa uscita si accompagna una teofania, la manifestazione della divinità di Gesù, anzi di tutta la Trinità.
“Ed ecco una voce dal cielo che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento»”.
Il cielo si apre per lui, per Gesù, ed è lui che vede lo Spirito, ma la voce del Padre è per tutti, quindi non solo Gesù ascolta, ma tutti hanno la conferma da parte del Padre: quest’uomo che si fa battezzare come tutti gli altri, è Suo Figlio, l’amato, in cui ha riposto ogni Sua compiacenza.
Gesù è il Figlio Unigenito che somiglia in tutto al Padre. Perciò seguendo Lui giungiamo al Padre e conoscendo Lui siamo certi di conoscere il volto di Dio. E’ Dio stesso che ci presenta Gesù come Suo proprio Figlio e ci invita a riconoscerlo come tale, perché il Suo battesimo sia salvezza per tutti gli uomini.
La gioia è grande, perché Dio non distrugge, non annienta e non maledice, ma rinnova, ricrea e fa nuove tutte le cose per mezzo dello Spirito Santo. Nell’Amato Suo Figlio ci viene incontro per abitare in mezzo a noi. E Gesù, che gli obbedisce, si fa nostro fratello, amico e salvatore.

 

*****

“Oggi, festa del Battesimo di Gesù, il Vangelo ci presenta la scena avvenuta presso il fiume Giordano: in mezzo alla folla penitente che avanza verso Giovanni il Battista per ricevere il battesimo c’è anche Gesù. Faceva la coda. Giovanni vorrebbe impedirglielo dicendo: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te» (Mt 3,14). Il Battista infatti è consapevole della grande distanza che c’è tra lui e Gesù. Ma Gesù è venuto proprio per colmare la distanza tra l’uomo e Dio: se Egli è tutto dalla parte di Dio, è anche tutto dalla parte dell’uomo, e riunisce ciò che era diviso. Per questo chiede a Giovanni di battezzarlo, perché si adempia ogni giustizia (cfr v. 15), cioè si realizzi il disegno del Padre che passa attraverso la via dell’obbedienza e della solidarietà con l’uomo fragile e peccatore, la via dell’umiltà e della piena vicinanza di Dio ai suoi figli. Perché Dio è tanto vicino a noi, tanto!
Nel momento in cui Gesù, battezzato da Giovanni, esce dalle acque del fiume Giordano, la voce di Dio Padre si fa sentire dall’alto: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento» (v. 17). E nello stesso tempo lo Spirito Santo, in forma di colomba, si posa su Gesù, che dà pubblicamente avvio alla sua missione di salvezza; missione caratterizzata da uno stile, lo stile del servo umile e mite, munito solo della forza della verità, come aveva profetizzato Isaia: «Non griderà, né alzerà il tono, [...] non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta; proclamerà il diritto con verità» (42,2-3). Servo umile e mite.
Ecco lo stile di Gesù, e anche lo stile missionario dei discepoli di Cristo: annunciare il Vangelo con mitezza e fermezza, senza gridare, senza sgridare qualcuno, ma con mitezza e fermezza, senza arroganza o imposizione. La vera missione non è mai proselitismo ma attrazione a Cristo. Ma come? Come si fa questa attrazione a Cristo? Con la propria testimonianza, a partire dalla forte unione con Lui nella preghiera, nell’adorazione e nella carità concreta, che è servizio a Gesù presente nel più piccolo dei fratelli. Ad imitazione di Gesù, pastore buono e misericordioso, e animati dalla sua grazia, siamo chiamati a fare della nostra vita una testimonianza gioiosa che illumina il cammino, che porta speranza e amore.
Questa festa ci fa riscoprire il dono e la bellezza di essere un popolo di battezzati, cioè di peccatori – tutti lo siamo – di peccatori salvati dalla grazia di Cristo, inseriti realmente, per opera dello Spirito Santo, nella relazione filiale di Gesù con il Padre, accolti nel seno della madre Chiesa, resi capaci di una fraternità che non conosce confini e barriere.
La Vergine Maria aiuti tutti noi cristiani a conservare una coscienza sempre viva e riconoscente del nostro Battesimo e a percorrere con fedeltà il cammino inaugurato da questo Sacramento della nostra rinascita. E sempre umiltà, mitezza e fermezza.”
Papa Francesco Angelus dell’ 8 gennaio 2017

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