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Mag 27, 2022

VII Domenica di Pasqua - "Ascensione del Signore" - Anno C - 29 maggio 2022

In questa domenica ricordiamo l’Ascensione del Signore che se anche è una festa di addio, paradossalmente non conosce lacrime e malinconia, perché Gesù lascia gli apostoli promettendo lo Spirito Santo che rende l’Ascensione, non una sparizione di Gesù in un mondo lontano, irraggiungibile, ma una vicinanza permanente nel cuore dei credenti.
Nella prima lettura tratta dagli Atti degli Apostoli Gesù salendo al Padre conclude la Sua esistenza terrena. Con l’ascensione di Gesù, la Chiesa inizia la sua vicenda storica proprio con questa grande epifania del Cristo, il Signore e Salvatore risorto. Chi crede in Lui sa di vivere per mezzo di Lui nella Parola e nei sacramenti.
Nella seconda lettura, l’autore della Lettera agli Ebrei, ci dice che Gesù, vero e definitivo sommo sacerdote, è salito al cielo, per comparire davanti a Dio e intercedere in nostro favore. Egli ha realizzato così ciò che i riti del popolo ebreo compivano solo in figura. Il tempio era figura del cielo, il sacrificio con il sangue delle vittime doveva essere ripetuto ogni anno. Il sacerdote ogni anno, nella festa dell'Espiazione (Yom Kippur) offriva il sacrificio prima per i suoi peccati e poi per i peccati commessi dal popolo. Tutto questo viene superato dal sacrificio di Cristo sulla croce, che cancella il peccato e vale per tutti i secoli. Per questo motivo possiamo accostarci con fiducia al suo trono per chiedergli di donarci la sua salvezza.
Nel Vangelo di Luca sono riportati gli ultimi momenti della permanenza di Gesù con i Suoi discepoli. L’ultimo comando di Gesù ai Suoi discepoli, e da loro a noi oggi, è stato di andare in tutto il mondo e predicare il Vangelo a ogni creatura. La vera missione che oggi noi dobbiamo compiere, non è tanto di andare in tutto il mondo (non tutti hanno la capacità e le possibilità di farlo) ma è di annunciare il Vangelo al nostro piccolo mondo, a quello che ci circonda, quello che secondo le fasi della nostra vita, accostiamo. Forse sarà un mondo ancora più difficile di quello che si potrà trovare nella classica terra di missione, ma a quello siamo chiamati a dare la nostra testimonianza di credenti. Il Signore non ci chiede mai di scalare una montagna se prima non siamo in grado neanche di arrivare alla piccola altura del nostro cuore.

 

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Dagli Atti degli Apostoli
Nel primo racconto, o Teòfilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo.
Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre, «quella - disse - che voi avete udito da me: Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo».
Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra».
Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo».
At 1,1-11

In questo brano viene riportato il prologo degli Atti degli Apostoli e Luca lo inizia dedicando il suo libro a Teofilo,(la cui identità non è nota), lo stesso a cui aveva dedicato il suo Vangelo. Luca ricorda che nel suo primo racconto aveva già trattato di tutto quello “che Gesù fece e insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo”. Il gruppo dei Dodici, che dopo il tradimento di Giuda è ridotto a undici, viene così presentato fin dall’inizio come la cerchia degli intimi di Gesù, chiamati esplicitamente con l’appellativo di “apostoli”.
Dopo aver accennato all’ascensione di Gesù, Luca ci riporta al periodo precedente, affermando che Gesù è apparso agli apostoli per quaranta giorni.
Anche qui il numero 40 è un numero simbolico, che spesso è usato per indicare il tempo di preparazione a una particolare rivelazione divina (Mosè trascorre 40 giorni sul Sinai prima di ricevere le tavole dell’alleanza (Es 24,18), il popolo peregrina 40 anni nel deserto prima di giungere alla terra promessa (Nm 14,33), Elia cammina 40 giorni nel deserto verso il monte di Dio (1Re 19,8); nel giudaismo Esdra resta quaranta giorni con Dio quando gli sono consegnati i libri sacri (4Esd 14,23-45) e Baruc istruisce il popolo per quaranta giorni prima della sua assunzione in cielo (2Bar 76,1-4). Anche Gesù aveva trascorso 40 giorni nel deserto, digiunando, prima di iniziare la sua vita pubblica (Lc 4,1-2). Un tempo analogo è necessario agli apostoli per essere adeguatamente istruiti “con molte prove” circa il regno di Dio.
L’annunzio del regno di Dio era stato il programma di Gesù durante la Sua vita terrena, ora Egli lo affida agli apostoli e Luca si limita a riferire che egli ordinò loro di non lasciare Gerusalemme, ma di attendere che si adempisse la promessa del Padre che essi avevano inteso da lui: “Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo”. Il battesimo mediante lo Spirito santo viene inteso qui non come il rito cristiano che si sostituisce a quello del Battista, ma come il dono dello Spirito fatto alla nascente comunità cristiana nel giorno di Pentecoste. Come Gesù, all’inizio della Sua attività pubblica, ha ricevuto lo Spirito Santo in occasione del battesimo di Giovanni, così anche la Chiesa, all’inizio del suo cammino nel mondo, deve essere contrassegnata dalla presenza dello Spirito.
La domanda dei discepoli a Gesù: “Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele” dimostra che ancora non avevano compreso e pensavano che fosse ormai imminente il momento in cui i regni di questo mondo sarebbero stati distrutti e di conseguenza instaurata la sovranità di Dio mediante il popolo di Israele, come aveva profetizzato il profeta Daniele (7,27), ma Gesù risponde: “Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra”.
Anche per Gesù solo il Padre conosce i tempi in cui si attua il Suo progetto: ciò significa che l’instaurazione del regno non coincide con la fine del mondo perché in realtà il regno è già stato inaugurato da Gesù, ma dovrà passare ancora un lungo periodo di tempo prima della Sua venuta piena e definitiva.
Questo nuovo periodo, che inizierà appunto con la venuta dello Spirito Santo, sarà contrassegnato dalla testimonianza degli apostoli che si estenderà da Gerusalemme alla Giudea, alla Samarìa, fino agli estremi confini della terra.
Per Luca, Gerusalemme è il centro della salvezza, mentre gli estremi confini della terra sono il mondo dei pagani e in particolare Roma che, come capitale dell’impero romano, rappresenta, rispetto a Gerusalemme, l’estremo opposto del mondo.
In questo versetto, che delinea il progressivo espandersi del cristianesimo, Luca indica anche il piano della sua opera: egli intende narrare lo sviluppo dell’annunzio evangelico a Gerusalemme poi in Giudea e Samaria e infine, per mezzo di Paolo, in Anatolia e in Grecia.
Nel racconto dell’ascensione Luca si ispira anche a quanto scrive il profeta Daniele, che descrive l’apparizione, sulle nubi del cielo, di uno simile a un figlio di uomo, il quale si presenta davanti al trono di Dio e riceve potere, gloria e regno (Dn 7,13-14). Di questa scena nel racconto degli Atti rimane il particolare della nuvola, simbolo della manifestazione misteriosa di Dio, che sottrae Gesù dallo sguardo degli apostoli.
Come “figlio dell’uomo” Egli si presenta a Dio per ricevere il regno che si è acquistato con la Sua morte. Ma, contrariamente alle aspettative giudaiche, non è ancora venuto il momento della conclusione finale, infatti gli angeli annunziano che Egli dovrà ritornare un giorno “nello stesso modo” in cui i discepoli l’hanno visto andare in cielo. Sarà quello il momento della fine, nel frattempo gli apostoli non devono rimanere a guardare in cielo, come facevano coloro che ricevevano visioni apocalittiche (Dn 10,8), ma devono andare a svolgere la missione che è stata loro affidata, e da loro a tutta la Sua Chiesa, il Suo corpo mistico.
E proprio nell’impegno che noi oggi, Sua Chiesa, abbiamo di testimoniarlo, si sperimenta la Sua presenza, si scopre che Gesù non solo è venuto e verrà, ma che viene, oggi, nell’oggi di ognuno di noi, e lo colma di sé, della Sua gioia. La nostra testimonianza diviene allora indicazione di una presenza esperimentata, amata, e per questa ragione, comunicata.

Salmo 46 - Ascende il Signore tra canti di gioia.

Popoli tutti, battete le mani!
Acclamate Dio con grida di gioia,
perché terribile è il Signore, l’Altissimo,
grande re su tutta la terra.
Ascende Dio tra le acclamazioni,
il Signore al suono di tromba.
Cantate inni a Dio, cantate inni,
cantate inni al nostro re, cantate inni.

Ascende Dio tra le acclamazioni,
il Signore al suono di tromba.
Cantate inni a Dio, cantate inni,
cantate inni al nostro re, cantate inni.

Il salmo è un inno festoso a Dio re dell’universo. Il salmo invita tutti i popoli ad applaudire il Signore. Dopo il momento terribile delle vittorie filistee e dei popoli della terra di Canaan, ecco la vittoria per Israele. La terra promessa sta per essere totalmente conquistata e Gerusalemme è stata sottratta ai Gebusei. Un corteo festante porta l’arca dentro la Città di Davide: “Ascende Dio tra le acclamazioni”.
La conquista della terra promessa, la presa di Gerusalemme sono solo una tappa di un disegno più ampio di Dio che riguarda tutti i popoli.
Israele ha visto come Dio ha posto ai suoi piedi le nazioni, e dunque nessuna nazione può resistergli.
Egli è “re di tutta la terra”. Il popolo di Abramo è come un germe chiamato ad attirare a sé i popoli. Il salmista vede profeticamente già attuato questo: “I capi dei popoli si sono raccolti come popolo del Dio di Abramo”. Questo avverrà per mezzo del futuro Messia, che produrrà la nuova ed eterna alleanza. Il segno della sua vittoria sarà la risurrezione, la sua salita al cielo - “ascende Dio tra le acclamazioni” -, il suo stare alla destra del Padre (Cf. Ps 110,1).
Commento tratto da Perfetta Letizia

La liturgia cattolica a causa del versetto “ascende Dio…” ha usato questo salmo per l’Ascensione del Cristo, mentre quella giudaica lo fa recitare sette volte prima che il corno dia il segnale inaugurale del nuovo anno. …
Al centro appare la figura monumentale del Signore re d’Israele, mentre tutt’attorno si odono suoni, voci, applausi: egli è: “altissimo, terribile, grande”. Si tratta di attributi che vogliono esaltare la trascendenza divina, il suo primato sull’essere, la sua onnipotenza.
Per un lettore cristiano il parallelo cristologico potrebbe essere la celebre pagina finale di Matteo in cui il Cristo risorto proclama:
“Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra…” 28,28
Commento tratto da “I Salmi” di Gianfranco Ravasi

Dalla lettera agli Ebrei
Cristo non è entrato in un santuario fatto da mani d’uomo, figura di quello vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore. E non deve offrire se stesso più volte, come il sommo sacerdote che entra nel santuario ogni anno con sangue altrui: in questo caso egli, fin dalla fondazione del mondo, avrebbe dovuto soffrire molte volte.
Invece ora, una volta sola, nella pienezza dei tempi, egli è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso. E come per gli uomini è stabilito che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio, così Cristo, dopo essersi offerto una sola volta per togliere il peccato di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione con il peccato, a coloro che l’aspettano per la loro salvezza.
Fratelli, poiché abbiamo piena libertà di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Gesù, via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne, e poiché abbiamo un sacerdote grande nella casa di Dio, accostiamoci con cuore sincero, nella pienezza della fede, con i cuori purificati da ogni cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura. Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è degno di fede colui che ha promesso.
Eb 9,24-28; 10,19-23

L’autore della Lettera agli Ebrei è rimasto anonimo, anche se nei primi tempi si è pensato a Paolo di Tarzo, ma sia la critica antica che moderna, ha escluso quasi concordemente questa attribuzione. L’autore è certamente di origine giudaica, perchè conosce perfettamente la Bibbia, ha una fede integra e profonda, una grande cultura, ma tutte le congetture fatte sul suo nome rimangono congetture, si può solo dedurre che nel cristianesimo primitivo ci furono notevoli personalità oltre agli apostoli, anche se rimaste sconosciute. Quanto ai destinatari – ebrei – è certo che l’autore non si rivolge agli ebrei per invitarli a credere in Cristo, il suo scopo è invece quello di ravviare la fede e il coraggio ai convertiti di antica data, con tutta probabilità di origine giudaica. Infatti per discutere con essi, l’autore cita in continuazione la Scrittura e richiama incessantemente le idee e le realtà più importanti della religione giudaica.
Questo brano è tratto dalla parte centrale della lettera , in cui si affronta il tema del sacerdozio e del sacrificio di Cristo, in particolare descrive l’efficacia del suo sacerdozio in quanto esso si configura come un ingresso nel santuario celeste. L’autore inizia affermando:
“Cristo non è entrato in un santuario fatto da mani d'uomo, figura di quello vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore.”
Cristo sommo sacerdote, non è entrato nel tempio fatto dagli uomini, ma in quello vero, cioè al cospetto di Dio. Il tempio di Gerusalemme era solo una figura della corte celeste. Gesù è comparso davanti al Dio dell'universo per intercedere a nostro favore. Dal giorno dell‘ascensione Egli è davanti al trono di Dio, nel Suo corpo glorioso e parla di noi al Padre.
“E non deve offrire se stesso più volte, come il sommo sacerdote che entra nel santuario ogni anno con sangue altrui: “
la Sua offerta ha valore perenne, non deve perciò essere ripetuta ogni anno come invece dovevano fare i sacerdoti a Gerusalemme. Inoltre Gesù non ha presentato l'offerta di animali per il sacrificio, ma Lui stesso è stato immolato e offerto, come vero agnello pasquale.
“in questo caso egli, fin dalla fondazione del mondo, avrebbe dovuto soffrire molte volte. Invece ora, una volta sola, nella pienezza dei tempi, egli è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso”.
Qui viene chiarito meglio l’aspetto definitivo del sacrificio di Cristo. Egli non deve offrire più volte se stesso perché il Suo sacrificio non ha semplicemente impetrato il perdono dei peccati, bensì ha annullato del tutto il peccato.
“E come per gli uomini è stabilito che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio”
Anche per gli uomini vi è un evento definitivo e irreversibile, quello della morte. Dopo la morte avviene il giudizio, la valutazione di quanto di bene una persona ha fatto durante la sua vita terrena.
“così Cristo, dopo essersi offerto una sola volta per togliere il peccato di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione con il peccato, a coloro che l'aspettano per la loro salvezza.”
Gesù tornerà una seconda venuta nel mondo. Egli che si è offerto una sola volta per annullare il peccato, tornerà una seconda volta nella gloria; uscirà di nuovo dal santuario celeste, quando verrà a noi, non per morire, ma per salvare coloro che l’aspettano per essere ammessi nel Suo Regno.
Nei versetti (10,1-18) che il brano non riporta, l'autore riprende il paragone tra i sacrifici del culto ebraico e il sacrificio di Cristo, ricordando soprattutto che Gesù ha offerto il proprio corpo e non quello degli animali sacrificali.
Poi prosegue: “Fratelli, poiché abbiamo piena libertà di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Gesù,”
Grazie al sacrificio di Cristo ora abbiamo la possibilità anche noi di entrare nel santuario celeste. Il sangue che ci ha donato questa libertà non è più il sangue degli animali, ma il sangue di Cristo.
“via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne”
Cristo è una via nuova e vivente. Si può trovare riferimento alle parole di Gesù in Gv 14,6: Io sono la via, la verità e la vita, e questa via è stata tracciata attraverso il velo della Sua carne.
Il velo era la tenda che separava il luogo più sacro del tempio, il Santo dei Santi dove era conservata l'arca, dal resto del santuario. Al di là del velo potevano andarci solo i sacerdoti, in occasioni particolari. Con Cristo questa separazione è stata superata e chiunque può accostarsi alla gloria di Dio. Il corpo di carne di Cristo era il velo che non ci permetteva di vedere la Sua divinità. Ora con la morte di Gesù il velo è stato squarciato (Mt 27,51) e il tempio è diventato accessibile a tutti.
“e poiché abbiamo un sacerdote grande nella casa di Dio,”
Possiamo entrare nel santuario di Dio, non c'è più il velo che ci impediva l'ingresso. Nel santuario troveremo anche un grande sacerdote che ci aspetta solo per accoglierci, darci grazia e salvezza.
“accostiamoci con cuore sincero, nella pienezza della fede, con i cuori purificati da ogni cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura” .
Per entrare è necessario però avere alcuni requisiti: un cuore sincero, cioè il puro desiderio di accostarsi a Dio.
L'autore poi ricorda i tre elementi classici: fede, speranza e carità (V. 24) La fede è necessaria per fondare su Dio la nostra vita. Ci vuole un cuore purificato e un corpo lavato, elementi caratteristici del Battesimo. Per presentarsi a Dio è necessario credere in Lui e aver cominciato un cammino di conversione e di vita nuova.
“Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è degno di fede colui che ha promesso”.
Oltre alla fede, importante per la vita cristiana è la speranza, la fede rivolta al futuro, il sapere che Dio sarà fedele alle Sue promesse.
La comunità, a cui scrive l'autore della Lettera agli Ebrei, era alquanto scoraggiata a causa della persecuzione e del prolungarsi dei tempi di attesa per la venuta del Signore. L'autore riafferma così che il Signore è degno di fede e realizzerà le Sue promesse.

Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto».
Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio.
Lc 24: 46-53

Luca chiude il suo Vangelo narrando l’ascensione di Gesù e apre l’altra sua opera, gli Atti degli Apostoli, raccontando ancora per la seconda volta l’ascensione di Gesù. Sembra voler dire che l'Ascensione, se da una parte indica la chiusura della vita pubblica di Gesù, dall'altra vuol evidenziare una Sua presenza più profonda nella vita dei discepoli tanto da essere l'inizio, quasi il fondamento, di tutta la storia seguente della Chiesa.
Il brano inizia riportando le ultime istruzioni di Gesù agli apostoli:
«Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno,
Gesù sa che si sta congedando dai suoi discepoli e ricorda l’annuncio della sua passione, l’annuncio della sua Pasqua: il Gesù che ha patito è il Gesù che è risuscitato. Questo dobbiamo sempre tenerlo in mente: non c’è risurrezione senza passione e non c’è passione senza risurrezione.
“e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati,” cominciando da Gerusalemme”. Nel nome cioè di Colui che ha patito ed è risuscitato dai morti il terzo giorno, proprio in virtù di quel nome saranno predicate a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme, che è il punto centrale e l’annuncio non può che cominciare da Gerusalemme. La permanenza a Gerusalemme, cioè nei luoghi della Pasqua, è garanzia per non fallire.
È da lì che si comincia ed è lì che bisogna ritornare.
“Di questo voi siete testimoni.” Il Signore Gesù impegna i suoi apostoli a proclamare il suo vangelo a tutti i popoli, per invitarli alla conversione e alla fede. Perciò i credenti debbono rendere testimonianza al Cristo risorto non solo con la vita ma anche con la parola, con l’annuncio del vangelo.
“Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto».
Le promesse di Gesù non vengono meno. Lui se ne va, ma non lascia orfani i suoi amici. La promessa del Padre e la “potenza dall’alto” indicano la persona dello Spirito Santo.
“Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse”..Il gesto di saluto di Gesù è un dono. Dio non si allontana dai suoi, semplicemente si sottrae ai loro sguardi per apparire in altra veste.
“Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo”
La separazione finale di Gesù risorto dai suoi discepoli è avvenuta in un contesto di benedizione. La benedizione dei discepoli richiama il passo del Levitico (9,22) dove è narrato che “Aronne, alzate le mani verso il popolo, lo benedisse”. Probabilmente Luca si è ispirato a questo, per cui Gesù risorto viene presentato come il sommo Sacerdote che benedice il suo popolo, prima di separarsi per colmarlo della Sua grazia divina. Gesù si allontana dai suoi discepoli fisicamente perché sale al cielo, ma la Sua benedizione e la Sua presenza rimangono in mezzo alla Sua comunità.
“Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio”.
Quel giorno i discepoli hanno sperimentato che il Signore era ormai definitivamente accanto a loro, con la Sua Parola e il Suo Spirito; una vicinanza certo più misteriosa ma ancora più reale di prima. Avranno compreso fino in fondo ciò che Gesù aveva detto loro “dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”.(Mt 18,20)
Da quel momento in poi la presenza di Gesù sarebbe stata ancor più ampia nello spazio e nel tempo; per sempre avrebbe accompagnato i discepoli, dovunque e comunque. Di qui il motivo della grande gioia. Nessuno al mondo avrebbe ormai potuto allontanare Gesù dalla loro vita.
La gioia dei discepoli, ora è anche nostra, perché possiamo vivere quel che loro sperimentarono.
“Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre!” asserisce l’autore della Lettera agli Ebrei, (13,8) e niente è più vero di questo! Gesù non tradisce mai, è sempre pronto a sorreggere chi lo invoca, anche l’ultimo degli uomini … non esiste un peccato così grave che la Sua misericordia non possa perdonare. “
L’Ascensione di Gesù in Cielo crea un rapporto diretto tra noi e Dio, perché stabilisce tra Lui e le creature umane un rapporto personale e nello stesso tempo anche un rapporto di fiducia perché affida a ciascuno di noi (come a ciascun apostolo) il compito di annunciare e vivere la salvezza –rinnovamento “fino agli estremi confini della terra”.

 

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“Oggi, in Italia e in altri Paesi, si celebra l’Ascensione di Gesù al cielo, avvenuta quaranta giorni dopo la Pasqua. Contempliamo il mistero di Gesù che esce dal nostro spazio terreno per entrare nella pienezza della gloria di Dio, portando con sé la nostra umanità. Cioè noi, la nostra umanità entra per la prima volta nel cielo.
Il Vangelo di Luca ci mostra la reazione dei discepoli davanti al Signore che «si staccò da loro e veniva portato su, in cielo». Non ci furono in essi dolore e smarrimento, ma «si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia». È il ritorno di chi non teme più la città che aveva rifiutato il Maestro, che aveva visto il tradimento di Giuda e il rinnegamento di Pietro, aveva visto la dispersione dei discepoli e la violenza di un potere che si sentiva minacciato.
Da quel giorno per gli Apostoli e per ogni discepolo di Cristo è stato possibile abitare a Gerusalemme e in tutte le città del mondo, anche in quelle più travagliate dall’ingiustizia e dalla violenza, perché sopra ogni città c’è lo stesso cielo ed ogni abitante può alzare lo sguardo con speranza. Gesù, Dio, è uomo vero, con il suo corpo di uomo è in cielo! E questa è la nostra speranza, è l'ancora nostra, e noi siamo saldi in questa speranza se guardiamo il cielo.
In questo cielo abita quel Dio che si è rivelato così vicino da prendere il volto di un uomo, Gesù di Nazareth. Egli rimane per sempre il Dio-con-noi – ricordiamo questo: Emmanuel, Dio con noi – e non ci lascia soli! Possiamo guardare in alto per riconoscere davanti a noi il nostro futuro. Nell’Ascensione di Gesù, il Crocifisso Risorto, c’è la promessa della nostra partecipazione alla pienezza di vita presso Dio.
Prima di separarsi dai suoi amici, Gesù, riferendosi all’evento della sua morte e risurrezione, aveva detto loro: «Di questo voi siete testimoni» . Cioè i discepoli, gli apostoli sono testimoni della morte e della risurrezione di Cristo, in quel giorno, anche dell’ Ascensione di Cristo. E in effetti, dopo aver visto il loro Signore salire al cielo, i discepoli ritornarono in città come testimoni che con gioia annunciano a tutti la vita nuova che viene dal Crocifisso Risorto, nel cui nome «saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati» .
Questa è la testimonianza – fatta non solo con le parole ma anche con la vita quotidiana – la testimonianza che ogni domenica dovrebbe uscire dalla nostre chiese per entrare durante la settimana nelle case, negli uffici, a scuola, nei luoghi di ritrovo e di divertimento, negli ospedali, nelle carceri, nelle case per gli anziani, nei luoghi affollati degli immigrati, nelle periferie della città… Questa testimonianza noi dobbiamo portare ogni settimana: Cristo è con noi; Gesù è salito al cielo, è con noi; Cristo è vivo!
Gesù ci ha assicurato che in questo annuncio e in questa testimonianza saremo «rivestiti di potenza dall’alto», cioè con la potenza dello Spirito Santo. Qui sta il segreto di questa missione: la presenza tra noi del Signore risorto, che con il dono dello Spirito continua ad aprire la nostra mente e il nostro cuore, per annunciare il suo amore e la sua misericordia anche negli ambienti più refrattari delle nostre città. È lo Spirito Santo il vero artefice della multiforme testimonianza che la Chiesa e ogni battezzato rendono nel mondo. Pertanto, non possiamo mai trascurare il raccoglimento nella preghiera per lodare Dio e invocare il dono dello Spirito. In questa settimana, che ci porta alla festa di Pentecoste, rimaniamo spiritualmente nel Cenacolo, insieme alla Vergine Maria, per accogliere lo Spirito Santo. “
Papa Francesco Parte dell’Angelus dell’8 maggio 2016

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Pro Memoria

L'umanità è una grande e  immensa famiglia ... Troviamo la dimostrazione di ciò da quello che ci sentiamo nei nostri cuori a Natale.
(Papa Giovanni XXIII)

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