La festa della Pentecoste rievoca la discesa dello Spirito Santo sugli apostoli e la loro investitura missionaria, avvenuta cinquanta giorni dopo la Pasqua di resurrezione.
Il mistero di Cristo morto e risorto è sempre vivo e presente perché nella Chiesa l’azione dello Spirito Santo è costante. La Pentecoste, compimento del tempo pasquale, non è solo un episodio della storia della salvezza, è piuttosto il mistero vivo della Chiesa abitata per sempre dallo Spirito Santo.
Nella prima lettura, tratta dagli Atti degli Apostoli, viene evidenziato come lo Spirito Santo scendendo sugli apostoli dà loro il potere di esprimersi in tutte le lingue. Da quel momento la Chiesa proclama un unico linguaggio, quello di Cristo e dell’amore. La diversità delle culture, delle razze e dei doni personali non è sorgente di incomprensione e di ostilità, ma diventa una “sinfonia” di voci che secondo i timbri e tonalità differenti annunziano la stessa gioia e la stessa speranza.
Nella seconda lettura, tratta dalla lettera ai Romani, Paolo ci ricorda che lo Spirito Santo nel Battesimo ci fa figli ed eredi in Cristo, coeredi della vita eterna. Lo Spirito diventa la nostra voce e ci permette di rivolgerci a Dio chiamandolo “Padre”.
Nel Vangelo, Giovanni presenta Gesù che parla ai suoi discepoli di quando verrà il Consolatore, lo Spirito di verità, che gli renderà testimonianza, ricordando e rendendo più comprensivo tutto ciò che prima aveva loro insegnato e li guiderà alla verità tutta intera!
L’azione dello Spirito è rivolta sia al futuro (rivelazione), sia al passato (comprensione). Per il cristiano di ogni tempo e di ogni luogo si tratta di continuare a comprendere la rivelazione di Gesù nelle diverse e molteplici situazioni della propria vita.
Dagli Atti degli Apostoli
Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.
Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamiti; abitanti della Mesopotàmia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frìgia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirène, Romani qui residenti, Giudei e prosèliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio».
At 2,1-11
Luca inizia il suo racconto indicando il momento e il luogo in cui si è verificato l’evento: “Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste si trovavano tutti insieme nello stesso luogo.” In realtà stava per compiersi non tanto il giorno di Pentecoste, che era solo iniziato, ma il conto delle sette settimane, a partire dalla Pasqua, al termine delle quali ha luogo la Pentecoste1 .
Anche se non viene precisato chi fosse presente all’avvenimento, si può supporre che insieme ai discepoli fosse presente Maria insieme ad altre donne. Luca dicendo “si trovavano tutti insieme” vuole sottolineare non solo la presenza fisica nello stesso luogo ma anche l’unione che regnava tra coloro che costituivano il primo nucleo della Chiesa.
“Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano.”
I termini che Luca usa si ricollegano alla terminologia usata per descrivere la teofania
(V. 1Re 19,11), e il termine “vento” allude già allo Spirito (pneuma), che ad esso viene spesso assimilato (Ez 37,9; Gv 3,8). Il fragore venuto dal cielo “riempie” tutta la casa, così come lo Spirito “riempirà” tutti i presenti.
“Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.”
Il fuoco, a cui le lingue assomigliavano, è anch’esso un’immagine ricavata dalla rappresentazione biblica della teofania (Es 19,18). È indicativo inoltre che, la parola di Dio ha preso la forma di una torcia di fuoco
Il fatto che i presenti parlino “altre lingue” richiama la leggenda giudaica secondo la quale al Sinai la parola di Dio si divideva in 70 lingue. A prima vista sembra quindi che essi parlassero ognuno una lingua diversa dall’altra, ma dal seguito del racconto appare che si trattava piuttosto di un miracolo di audizione, simile a quello che, secondo le leggende giudaiche, si era verificato al Sinai: in realtà essi parlavano normalmente e i presenti li comprendevano nella propria lingua originaria.
Questo fenomeno non è conosciuto altrove nel N.T. perciò diversi studiosi pensano che originariamente si trattasse non di un ”parlare in altre lingue”, ma del “parlare in lingue”, cioè della “glossolalia”, un carisma che consiste nel lodare Dio in una lingua sconosciuta.
Il fragore della teofania viene udito anche all’esterno della casa in cui si trovavano gli apostoli, e subito si raduna una piccola folla di curiosi, pieni di stupore e di meraviglia, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua… delle grandi opere di Dio».
La gente che si era radunata era composta di giudei della diaspora e di proseliti, cioè pagani convertiti al giudaismo, venuti a stabilirsi a Gerusalemme. I loro paesi di origine sono elencati in modo tale da dare l’impressione che si tratti di tutto il mondo allora conosciuto. Pur essendo giudei di nascita o di religione, i testimoni della Pentecoste cristiana sono presentati come i rappresentanti delle nazioni alle quali sarà rivolto l’annunzio evangelico.
Lo Spirito Santo con la Sua discesa sugli Apostoli e Maria ha completato l’opera dell’Incarnazione di Dio: al momento della Sua prima discesa, lo Spirito Santo aveva compiuto nella santa Vergine l’Incarnazione del Verbo, permettendo che il Verbo divenisse, nel suo corpo, il Dio-Uomo, per esserlo nell’eternità. Al momento della Sua seconda discesa, durante la Pentecoste, lo Spirito Santo discende per dimorare nel Suo corpo che è la Chiesa.
Maria è presente poiché è l’unica che possa confermare la presenza e l’azione dello Spirito, in quanto lei è la sola che ne ha già fatto esperienza, avendo, per opera dello Spirito Santo, generato al mondo il Verbo consustanziale al Padre.
Gli Apostoli sono rivestiti di Spirito Santo e annunciano al mondo quel Verbo eterno, crocifisso e risorto che Maria ha generato nella carne. Essi proclamano, lei conferma! Loro annunciano, a lei è stato annunciato! Essi diffondo la Parola di Vita, lei ha dato vita alla Parola!
Salmo 103 Manda il tuo Spirito, Signore, a rinnovare la terra.
Benedici il Signore, anima mia!
Sei tanto grande, Signore, mio Dio!
Quante sono le tue opere, Signore!
Le hai fatte tutte con saggezza;
la terra è piena delle tue creature.
Togli loro il respiro: muoiono,
e ritornano nella loro polvere.
Mandi il tuo spirito, sono creati,
e rinnovi la faccia della terra.
Sia per sempre la gloria del Signore;
gioisca il Signore delle sue opere.
A lui sia gradito il mio canto,
io gioirò nel Signore.
Il salmista esordisce con un invito a se stesso a benedire il Signore. Di fronte alla grandezza, alla bellezza, alla potenza della creazione esprime il suo stupore e la sua lode a Dio: “Sei tanto grande, Signore, mio Dio!”.Egli contempla Dio nella sua sovranità universale, tratteggiandolo “avvolto di luce come di un manto”. Una luce gloriosa, non terrena, non degli astri, ma divina, con la quale illumina gli spiriti angelici, nel cielo. …
Il salmo, segue l'ordine della prima narrazione della creazione (Gn 1,1s), continua presentando la primordiale situazione della terra, ora fermamente salda “sulle sue basi”, intendendo per basi niente di formalmente vincolante, ma solo un'immagine tratta dalle congetture dell'uomo.
L'onnipotenza divina viene presentata come dominatrice delle acque che coprivano la terra: “Al tuo rimprovero esse fuggirono, al fragore del tuo tuono rimasero atterrite”. Le acque si divisero in acque sotto il firmamento e in acque sopra il firmamento (le nubi, pensate ferme in alto per la presenza di una invisibile calotta detta firmamento), così cominciò il ciclo delle piogge e le acque “Salirono sui monti, discesero nelle valli, verso il luogo (mare) che avevi loro assegnato”. Dio provvede, nel tempo privo di piogge, al regime delle acque, e fa scaturire nelle alte valli montane acque sorgive che poi scendono lungo i canaloni tra i monti per dissetare gli animali. Gli uccelli trovano dimora nei luoghi alti e cantano tra le fronde degli alberi. Tutto è predisposto perché non manchi il cibo: “Con il frutto delle tue opere si sazia la terra. Tu fai crescere l'erba per il bestiame e le piante che l'uomo coltiva...”.
E anche gli alberi alti sono sazi per la pioggia “sono sazi gli alberi del Signore (cioè gli alberi altissimi: nell'ebraico il superlativo assoluto è reso con un riferimento a Dio), i cedri del Libano da lui piantati”. (I cedri del Libano raggiungono anche i 40 m. di altezza, con un diametro alla base di 2,5 m.)
Dio per segnare le stagioni ha fatto il sole e la luna. Ritirando a sera la luce stende “le tenebre e viene la notte”; e anche nella notte prosegue la vita: “si aggirano tutte le bestie della foresta; ruggiscono i giovani leoni in cerca di preda”. Con i loro ruggiti “chiedono a Dio il loro cibo”. Il salmo presenta che gli animali carnivori sono stati creati così da Dio. Il libro della Genesi (1,30) presenta un mondo animale che si cibava di erbe nella situazione Edenica; ma è un'immagine rivolta a presentare come all'inizio non ci fosse la ferocia tra gli animali, benché non mancassero animali carnivori, creati da Dio, come il nostro salmo presenta.
L'uomo comincia il suo lavoro col sorgere del sole: “Allora l'uomo esce per il suo lavoro, per la sua fatica fino a sera”.
Il salmista loda ancora il Signore per le sue opere.
Passa quindi a considerare le creature del mare; in particolare il Leviatan, nome col quale l'autore designa la balena.
Il mondo animale è oggetto pure esso dell'assistenza divina: “Nascondi il tuo volto: li assale il terrore; togli loro il respiro: muoiono, e ritornano nella loro polvere”. Se Dio ritrae la sua assistenza gli animali periscono, non hanno più l'alito delle narici “togli loro il respiro”.
Ma se manda il suo Spirito creatore sono creati. Lo Spirito di Dio è all'origine della creazione: (Gn 1,2).
Il salmista chiede che sulla terra ci sia la pace tra gli uomini, affinché “gioisca il Signore delle sue opere”. “Scompaiano i peccatori dalla terra e i malvagi non esistano più” dice, augurandosi un tempo dove gli uomini cessino di combattersi. Questo sarà nel tempo di pace che abbraccerà tutta la terra, quando la Chiesa porterà Cristo a tutte le genti; sarà la società della verità e dell'amore. Noi dobbiamo incessantemente impegnarci con la preghiera e la testimonianza per questo tempo che invochiamo nel Padre Nostro dicendo: “Venga il tuo regno”.
Commento tratto da “Perfetta Letizia”
(Per avere un’idea più completa della bellezza di questo salmo è stato riportato il commento nella sua interezza e non solo per i versetti proposti dalla liturgia)
Dalla lettera di S.Paolo apostolo ai Romani
Fratelli, Quelli che si lasciano dominare dalla carne non possono piacere a Dio.
Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene. Ora, se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto per il peccato, ma lo Spirito è vita per la giustizia. E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi.
Così dunque, fratelli, noi siamo debitori non verso la carne, per vivere secondo i desideri carnali, perché, se vivete secondo la carne, morirete. Se, invece, mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, vivrete. Infatti tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio.
E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!». Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria.
Rm 8,8-17
San Paolo scrisse la lettera ai Romani da Corinto probabilmente tra gli anni 58-59 e lo fa anche per presentare se stesso, in vista di un suo viaggio a Roma. La comunità dei cristiani di Roma era già ben formata e coordinata, ma lui ancora non la conosceva. Forse il primo annuncio fu portato a Roma da quei “Giudei di Roma”, presenti a Gerusalemme nel giorno della Pentecoste e che accolsero il messaggio di Pietro e il Battesimo da lui amministrato, diventando cristiani. Nacque subito la necessità di avere a Roma dei presbiteri e questi non poterono che essere nominati a Gerusalemme.
La Lettera ai Romani, che è uno dei testi più alti e più impegnativi degli scritti di Paolo, ed è anche la più lunga e più importante come contenuto teologico, è composta da 16 capitoli: i primi 11 contengono insegnamenti sull'importanza della fede in Gesù per la salvezza, contrapposta alla vanità delle opere della Legge; il seguito è composto da esortazioni morali. Paolo, in particolare, fornisce indicazioni di comportamento per i cristiani all'interno e all'esterno della loro comunità.
Nel c. 8, da dove è tratto questo brano, egli affronta il tema della vita nuova che si apre a colui che è diventato giusto mediante la fede. A tal fine riprende e rielabora alcune delle intuizioni che aveva già anticipato nel capitolo 5, e mostra anzitutto come sia ormai lo Spirito a guidare l’uomo giustificato e prosegue mettendo in luce come lo Spirito stesso trasformi intimamente non solo il credente ma anche tutto l’universo.
Questo brano, inizia con l’affermazione: “quelli che si lasciano dominare dalla carne non possono piacere a Dio”. Poi l’Apostolo invita a considerare fino in fondo la nuova situazione in cui i destinatari delle sue lettere di allora, e noi oggi, si trovano. “Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi”. Ora se Cristo abita in loro, da una parte il loro corpo è morto a causa del peccato,cioè essi, in quanto partecipi di questa umanità dominata dal peccato restano soggetti alla morte; dall’altra però in loro opera lo Spirito che è sorgente di vita a causa della giustizia. In altre parole, essi vanno incontro alla morte fisica, ultimo effetto della loro condizione umana, ma in forza della giustizia, che è stata loro conferita, possiedono già la vita che è dono dello Spirito. Infatti Dio “farà vivere i loro corpi mortali” dando loro quello stesso Spirito mediante il quale ha risuscitato Gesù dai morti.
L’apostolo poi afferma: “noi siamo debitori non verso la carne, per vivere secondo i desideri carnali, perché, se vivete secondo la carne, morirete. Se, invece, mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, vivrete. Infatti tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio. E aggiunge che proprio in forza di questo Spirito noi gridiamo: «Abbà! Padre!»
Gesù per primo si è rivolto a Dio chiamandolo “Abbà! Padre!” non seguendo l’uso dei giudei di invocarlo come “Avinu malkeinu” Padre di tutto il popolo. Egli è stato costituito Figlio di Dio con potenza in forza della Sua risurrezione (Rm 1,4) ma era stato proclamato come Figlio da Dio stesso (Mc 1,11; 9,7) ed era stato riconosciuto come tale da un centurione al momento della sua morte (Mc 15,39). Comunque Egli era Figlio di Dio fin dalla sua nascita, anzi fin dall’eternità (Gv 1,14.18), e lo stesso Gesù aveva dato ai Suoi discepoli la prerogativa di rivolgersi a Dio con lo stesso appellativo di “Padre”.
Lo Spirito dunque non si limita a rendere possibile ai credenti l’osservanza della legge e a conferire loro la vita, ma, proprio in quanto “Spirito di Cristo”, li coinvolge in quello stesso rapporto filiale che Egli ha con il Padre.
Lo Spirito non solo dà ai credenti la possibilità di chiamare Dio con l’appellativo di “Padre”, ma insieme al loro spirito “attesta che siamo figli di Dio”. La figliolanza divina non è quindi un semplice concetto, ma un’esperienza che ha luogo nell’ambito della preghiera e sicuramente Paolo pensa qui alla preghiera comunitaria, durante la quale i credenti si rivolgono a Dio con l’appellativo di Padre.
”E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria”. Questa figliolanza divina porta con sé anche il privilegio di ottenere un giorno l’eredità promessa, perchè, in quanto figli, i credenti sono diventati eredi di Dio, coeredi di Cristo, cioè hanno ricevuto con Lui l’attuazione delle promesse fatte da Dio ad Abramo (Rm 4,13-17) di conseguenza essi parteciperanno alla stessa gloria che fin d’ora è propria del Figlio.
Ciò si realizza però a patto che sappiano soffrire con Lui, accettando cioè di passare attraverso le stesse sofferenze che hanno caratterizzato la Sua vita terrena.
Pur essendo giustificati, i credenti però non sono ancora arrivati alla meta finale, ma hanno davanti a sé un lungo cammino, che sarà caratterizzato da varie prove ed anche da sofferenze.
In questo brano Paolo cerca di collegare strettamente il ”già” e il “non ancora” della salvezza. I credenti in Cristo hanno già ricevuto il Suo Spirito, sono liberati dalla carne e sono già partecipi della nuova vita che Cristo ha portato con la Sua morte. Proprio in forza della loro unione con Cristo essi sono già diventati a tutti gli effetti figli di Dio. Per loro i tempi ultimi della salvezza sono già iniziati.
Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito perché rimanga con voi per sempre.«Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà
e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui.
Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paraclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».
Gv 14, 15-16, 23b-26
Questo brano del Vangelo di Giovanni è ancora un’altra parte del discorso di addio rivolto da Gesù ai suoi discepoli durante l'ultima cena. Egli offre loro nuovi motivi per avere fiducia: “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito perché rimanga con voi per sempre”.
E’ la prima volta che nel vangelo di Giovanni, appare il termine greco: “Paraclito” che per sé significa “colui che si chiama a fianco (di qualcuno)”. E’ da notare che Gesù dice “un altro Paraclito” e lo dice quando sta per lasciare i Suoi discepoli, che non avranno più la consolazione della Sua presenza, e questo vuol dire che il primo Paraclito, il consolatore, è Gesù stesso e andandosene manderà un altro Paraclito che starà sempre con loro, presso di loro, in loro. In questo modo l'assenza di Gesù si trasforma in una presenza "nello Spirito”.
Gesù continua promettendo ancora "Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui." Ossia Egli stesso con il Padre verrà ad abitare con chi lo ama e osserva la Sua parola.
La condizione che tutto questo avvenga è che vi sia la volontà da parte di ciascuno nell'aderire e nel seguire i Suoi insegnamenti. Gesù lo promette e la Sua non è una promessa di uomo, ma di Dio.
Gesù invita noi oggi, come i Suoi discepoli allora, ad osservare la Sua parola come dimostrazione del nostro amore per Lui. Se noi lo amiamo veramente desideriamo conoscerlo di più, e più lo conosciamo e più sentiamo di amarlo, è un cerchio di amore che si alimenta reciprocamente. Non dobbiamo pretendere che eventi straordinari (i miracoli) ci forzino a credere: Gesù stesso infatti disse "beati" quelli che senza aver visto crederanno. Noi non abbiamo visto e incontrato Gesù come i discepoli, ma lo Spirito ci aiuta a credere e a fidarci di Lui. Dobbiamo imparare a leggere gli eventi che accadono a noi e nel mondo con l’ottica di Dio: solo così potremo vedere nella storia la presenza dello Spirito che ha sostenuto e fatto crescere la comunità dei cristiani - la Chiesa - come se Gesù fosse stato presente. Questo dovrebbe alimentare la nostra speranza e la certezza che Dio continua ad agire cambiando anche il corso delle azioni, che se anche erano volte al male, con il tempo si tramutano in bene.
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“Oggi celebriamo la grande festa della Pentecoste, che porta a compimento il Tempo Pasquale, cinquanta giorni dopo la Risurrezione di Cristo.
La liturgia ci invita ad aprire la nostra mente e il nostro cuore al dono dello Spirito Santo, che Gesù promise a più riprese ai suoi discepoli, il primo e principale dono che Egli ci ha ottenuto con la sua Risurrezione. Questo dono, Gesù stesso lo ha implorato dal Padre, come attesta il Vangelo di oggi, che è ambientato nell’Ultima Cena. Gesù dice ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito perché rimanga con voi per sempre» .
Queste parole ci ricordano anzitutto che l’amore per una persona, e anche per il Signore, si dimostra non con le parole, ma con i fatti; e anche “osservare i comandamenti” va inteso in senso esistenziale, in modo che tutta la vita ne sia coinvolta. Infatti, essere cristiani non significa principalmente appartenere a una certa cultura o aderire a una certa dottrina, ma piuttosto legare la propria vita, in ogni suo aspetto, alla persona di Gesù e, attraverso di Lui, al Padre.
Per questo scopo Gesù promette l’effusione dello Spirito Santo ai suoi discepoli. Proprio grazie allo Spirito Santo, Amore che unisce il Padre e il Figlio e da loro procede, tutti possiamo vivere la stessa vita di Gesù. Lo Spirito, infatti, ci insegna ogni cosa, ossia l’unica cosa indispensabile: amare come ama Dio.
Nel promettere lo Spirito Santo, Gesù lo definisce «un altro Paraclito», che significa Consolatore, Avvocato, Intercessore, cioè Colui che ci assiste, ci difende, sta al nostro fianco nel cammino della vita e nella lotta per il bene e contro il male. Gesù dice «un altro Paraclito» perché il primo è Lui, Lui stesso, che si è fatto carne proprio per assumere su di sé la nostra condizione umana e liberarla dalla schiavitù del peccato.
Inoltre, lo Spirito Santo esercita una funzione di insegnamento e di memoria. Insegnamento e memoria. Ce lo ha detto Gesù: «Il Paraclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto». Lo Spirito Santo non porta un insegnamento diverso, ma rende vivo, rende operante l’insegnamento di Gesù, perché il tempo che passa non lo cancelli o non lo affievolisca.
Lo Spirito Santo innesta questo insegnamento dentro al nostro cuore, ci aiuta a interiorizzarlo, facendolo diventare parte di noi, carne della nostra carne. Al tempo stesso, prepara il nostro cuore perché sia capace davvero di ricevere le parole e gli esempi del Signore. Tutte le volte che la parola di Gesù viene accolta con gioia nel nostro cuore, questo è opera dello Spirito Santo.
Preghiamo ora insieme il Regina Caeli – per l’ultima volta quest’anno –, invocando la materna intercessione della Vergine Maria. Ella ci ottenga la grazia di essere fortemente animati dallo Spirito Santo, per testimoniare Cristo con franchezza evangelica e aprirci sempre più alla pienezza del suo amore.”
Papa Francesco Parte dell’Angelus del 15 maggio 2016
1 L'origine della festa di Pentecoste è ebraica e si riferisce allo Shavuot, celebrata sette settimane dopo la Pasqua ebraica. La festività era legata alle primizie del raccolto e alla rivelazione di Dio sul Monte Sinai, dove Dio ha donato al popolo ebraico la Torah.